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Sei virtù per esemplificare

FILOSOFIA DELL’AGIRE UMANO

5. Sei virtù per esemplificare

5. 1. Tenerezza e Mitezza: oltre il sentimento

Non abbiate paura della tenerezza è espressione cara a papa France-sco e non a caso posta a titolo di suoi volumi, e “papa della tenerezza”

è stato definito Francesco. In effetto, quello della tenerezza è fra i ter-mini più reiterati da papa Bergoglio, ma con l’invito Siate forti nella tenerezza torna l’ossimoro: di una debolezza che non è per i deboli.

Per questo Walter Kasper ha attribuito a papa Francesco la rivoluzione della tenerezza nell’omonimo libro, e Isabella Guanzini ha definito la tenerezza come rivoluzione del potere gentile.

Ebbene, a questa virtù “rivoluzionaria” si appellano anche studiosi diversi, accomunati dalla convinzione che la tenerezza non ha nulla di sentimentalistico o di sdolcinato: la tenerezza è sentimento che indica dedizione, reclama fedeltà e suscita fiducia, in una parola possiamo parlare di tenerezza come una espressione della cura, nel senso che comporta attenzione e interessamento, ed evita l’indifferenza e il di-sinteresse.

In tale ottica, Giuliana Martirani è giunta ad auspicare una civiltà della tenerezza, ipotizzando nuovi stili di vita per il terzo millennio. Si va così estendendo una cultura della tenerezza tanto che Luis C. Re-strepo non esita a parlare di un diritto alla tenerezza, per dire che “la tenerezza è un paradigma di convivenza” che si deve far valere anche in campi che le sembrano estranei. A tal fine occorre superare l’attuale analfabetismo affettivo, che porta a una grande rozzezza nei rapporti con gli altri, e precisare che, siamo teneri quando sappiamo coniuga-re insieme pensiero e affetto, quando (per usaconiuga-re alcune espconiuga-ressioni di papa Francesco) sappiamo “aprire la mente al cuore”, perché “il cuore è la prima intelligenza”.

La mitezza è un’altra virtù debole, cui richiama papa Francesco non meno che il pensiero laico. Infatti, Norberto Bobbio, è autore di un Elogio della mitezza, un libro che ha sollecitato significativi in-terventi di altri filosofi. Peraltro la mitezza nel passato era stata già

valorizzata, ma nella contemporaneità l’attenzione portata alla mitezza si rinnova nel pensiero religioso e in quello filosofico, distinguendo tra mitezza e mansuetudine: mentre la mansuetudine è una caratteri-stica principalmente animale: mansueti sono gli animali o per natura o per addomesticamento, per cui la mansuetudine si configura come docilità (gli animali ammaestrati) o come sottomissione (gli animali domati), la mitezza è una virtù caratteristica dell’uomo.

Una definizione efficace della mitezza è stata data da Carlo Maz-zantini, secondo cui la mitezza è “lasciare che l’altro sia se stesso” o, addirittura, lasciare che ogni essere sia se stesso, come suggerisce papa Francesco nella enciclica Laudato si’. A parte ciò, potremmo dire con Bobbio che l’uomo mite non è né arrogante, né remissivo, rifiuta la competizione ma non la lotta per ciò in cui crede, inoltre vive nel modo più coerente possibile le caratteristiche dello spirito critico, cioè l’umiltà e la tolleranza. Come espressione di cura per gli altri, la mitez-za viene rivendicata oggi in nuovi ambiti: dal diritto all’economia alla psichiatria, onde favorire la loro umanizzazione.

5. 2. Gentilezza e Cortesia: non solo buone maniere

Anche della gentilezza e della cortesia, pur virtù inattuali, è stato fatto l’elogio da papa Francesco, il quale le ha condensate nelle cosid-dette “perle relazionali” del dire “permesso, grazie, scusa”, e da diversi studiosi, tra cui Borgna, secondo cui la gentilezza - “questa sconosciu-ta” - ha bisogno di essere coltivata più estesamente. Adam Philips e Barbara Taylor, nel loro Elogio della gentilezza spiegano che la genti-lezza è un valore sommesso e discreto, declinabile in varie maniere, in particolare va configurato quale capacità di ascoltare e accogliere le fragilità altrui, per cui è anche generosità, altruismo, solidarietà, amo-revolezza, in una parola: cura. Dal canto suo, Piero Ferrucci evidenzia la forza della gentilezza nel libro omonimo: sia in sé (nel soggetto che la esercita) sia nelle conseguenze (che produce negli altri).

Per questo si potrebbe parlare con Franck Martin di potere della

gentilezza, e conseguentemente della necessità di “imparare” la gen-tilezza, cosa tutt’altro che semplice in un tempo nel quale si esaltano furbizia e prepotenza, rozzezza e prevaricazione. Proprio perché è una qualità inattuale, la gentilezza può essere dirompente nell’epoca odier-na. Non è esagerato dire che di fronte alla crescente degradazione dei rapporti umani una cultura della gentilezza può costituire un efficace antidoto. La gentilezza, considerata come “forma di vita”, richiede (se-condo Borgna) abituali atteggiamenti di rispetto, attenzione e solle-citudine per i propri simili. Ancora una volta l’intelligenza interseca l’affettività, e una virtù debole s’intreccia con altre virtù deboli, e si rivela tutt’altro che per i deboli.

La cortesia è “un fenomeno tutt’altro che facile da capire”, ha detto Romano Guardini. Eppure della cortesia c’è necessità, sostiene papa Francesco, e (come sintetizza lo stesso Guardini) “questa disposizione umana è ancora più necessaria quando si abbia a che fare con persone fragili e deboli, timide e insicure, malate e infelici, verso le quali do-vremmo sentire l’impulso a prendercene cura”. Anche per Giovanna Axia, la cortesia è la capacità di volere bene, di provare affetto per le altre persone, di desiderare di farle stare bene, e di prendersi cura dei loro sentimenti.

Pertanto, “essere cortesi è un’arte che deriva da un forte impegno a usare l’intelligenza per capire le circostanze sociali e, in particolare, gli stati d’animo degli altri. Questo impegno, a volte faticoso e a volte dall’esito incerto, può realizzarsi solo quando è sostenuto dalla moti-vazione a prendersi cura dei sentimenti altrui. La persona cortese ha un’anima gentile, sensibile alla sofferenza umana e con un senso di obbligo a fare del suo meglio per alleggerire la fatica del vivere”. A tal fine “la persona veramente cortese non usa la sua intelligenza in modo banale”, ma “spinge la sua intelligenza fino ad esplorare cosa possono volere gli altri”. Ancora una volta tornano l’idea di “cura”, il binomio

“ragione e sentimento”, l’intreccio tra diverse virtù deboli, e la richie-sta che le persone non siano affatto deboli.

5. 3. Pazienza e Umiltà: poco di moda

In un tempo “impaziente” e “arrogante”, pazienza e umiltà posso-no sembrare poco di moda, ma posso-non è questa una buona ragione per perpetuarne l’ostracismo; anzi, pazienza e umiltà si rivelano altre virtù deboli, che non sono per i deboli, ma che reclamano persone forti, intenzionate a cambiare il mondo. Così Gabriella Caramore nel suo libro sulla pazienza che sa mettere in evidenza la positività di “que-sta attitudine dell’anima”, senza nascondersi che “il nostro tempo è radicalmente inospitale verso la pazienza”; e “non da ora, peraltro”, anche se oggi, “forse neppure ne avvertiamo il bisogno”. Tuttavia, per questa sua inattualità,“forse sarà possibile scoprire che la pazienza, spa-rita dall’orizzonte contemporaneo come qualità del tempo, la si potrà trovare, trasformata, in una qualità di relazione tra gli esseri umani, a cui si potrà dare il nome di cura”.

Da qui anche l’invito ad agire in modo da aver cura della pazienza.

Dal canto suo, papa Francesco auspica che “il Signore ci dia a tutti noi la pazienza, la pazienza gioiosa, la pazienza del lavoro, della pace, ci dia la pazienza di Dio, quella che Lui ha, e del nostro popolo fedele, che è tanto esemplare”: il papa precisa che la “pazienza non è rassegnazio-ne”, e “chi non conosce questa saggezza della pazienza è una persona capricciosa”. Dunque, “portare avanti con pazienza la vita”, ecco l’in-vito umano e cristiano di papa Francesco; il che richiede la forza della pazienza, così mons. Francesco Gioia nell’omonimo libro.

Con la pazienza si coniuga l’umiltà, che papa Francesco definisce la strada verso Dio nel volume omonimo Nella Evangelii gaudium poi fa riferimento all’esercizio della umiltà, intesa come atteggiamento in alternativa alla presunzione e alla chiusura; mentre queste ci rendono incapaci di cogliere le res novae, quella ci rende capaci di individuare

“alcune sfide del mondo attuale”. Umiltà, dunque, quale apertura che reclama di essere coniugata con tutta una serie di virtù come la bontà d’animo o mitezza e, ad essa collegate, la tenerezza, la gentilezza e la cortesia, e come la sopportazione d’animo o pazienza.

Dunque, anche l’umiltà è una virtù debole ma non per i deboli, anzi è stata definita “virtù gigante”, tale da impegnare ad avere consa-pevolezza dei propri limiti e, insieme, a realizzare le proprie potenziali-tà, al fine di avanzare incessantemente nel processo di umanizzazione.