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Il significato di un selfie Fra mind reading, racconto del Sé e gesto fatico

SELFIE E SELFING: LA COSTRUZIONE IDENTITARIA NELL’ERA DELLA FOTOGRAFIA SOCIAL

3.4 Il significato di un selfie Fra mind reading, racconto del Sé e gesto fatico

Postando e fruendo selfie le persone possono mettersi nella mente altrui e, inoltre, come tutte le foto pubblicate sul web i selfie sono usati per trasmettere una particolare impressione di sé (Leary, 2004), per comunicare con l’altro. Secondo questa visione i selfie da un lato sono per il fruitore esercizio del proprio mind

reading, come la lettura di un libro o l’immedesimazione in un qualsiasi tipo di

narrazione, così come è stato descritto nel capitolo secondo; dall’altro lato, i selfie per l’autore sono un canale di auto comunicazione del Sé. Prima ancora del selfie l’autoritratto pittorico o fotografico aveva già offerto al singolo individuo la possibilità di raccontarsi in immagine e di controllare la buona riuscita di questa immagine. Oggi questa offerta non è più arbitraria ma sta diventando sempre più obbligata. Scattare e condividere selfie si sta sempre più imponendo, infatti, come capacità sociale di base.

«We can no longer escape the obvious truth that every identification pre- supposes the mediation of an image and that there is no identity that does not pass through this process of alienation. (…) Every self-portrait, even the simplest and least staged, is the portrait of another»3. (Chevrier, 1986, p. 9)

3 «Non possiamo più sfuggire all'ovvia verità che ogni identificazione presuppone la

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Questa immagine oggi si condivide online su varie applicazioni di social networking ed è parte integrante della costruzione sociale del Sé. Essa sta fuori dal soggetto che la crea, è appunto qualcosa di “creato” e manipolato ma ciò non la rende per questo meno reale o sincera. Chevrier, che scrive in un momento ancora privo di social network e di selfie, parla di “ritratto di un altro” ma bisogna intendere questo “altro” come un pezzo dell’identità del singolo, quell’identità che è stata già definita come multipla e decentrata. Oggi la tecnologia ha trasformato, o meglio rimediato, il racconto del Sé in un’immagine fotografica ancora più aderente alla liquidità propria dell’identità, che viaggia su piattaforme digitali di condivisione e rappresenta non solo il soggetto protagonista del selfie ma anche la sua volontà di mostrarsi. Come si discuterà meglio fra poco, ciò che un selfie rappresenta è il gesto vero e proprio di mostrarsi.

Il selfie è dunque connesso alle pratiche di presentazione del sé e osservare l’immensa quantità di foto che viaggiano online non può che portare a riflettere sull’instabilità di questo Sé. La comunicazione online è un flusso continuo e liquido. Allo stesso modo, la presentazione del Sé in rete acquista le stesse caratteristiche e diventa una presentazione in continuo mutamento. Ma in realtà, come già discusso sopra, il racconto del Sé è sempre in divenire, decentrato e multiplo. É un racconto che il soggetto scrive mentre lo vive e che si evolve ogni giorno come ogni giorno cambiano le situazioni in cui ogni individuo si trova ad agire, le persone con cui ha a che fare, le esperienze che la vita gli presenta davanti e le emozioni che ne scaturiscono e vengono condivise con l’Altro. Il selfie è diventato il nuovo canale di comunicazione del racconto del Sé, proprio perché capace di materializzare questo racconto sempre più frammentato e liquido. Esso fonde insieme l’estetica dell’autoritratto del passato alla funzione sociale della comunicazione online (Tifentale, 2015) incarnando la necessità di immediatezza e trasparenza tipiche dell’epoca contemporanea. Un selfie è molto più di una semplice immagine. Ciò che cambia e che deve dunque essere oggetto di attenzione è il “come” e il “perché” viene creato questo autoritratto. processo di alienazione. (...) Ogni autoritratto, anche il più semplice e meno scenografico, è il ritratto di un altro».

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Manovich a tal proposito, anticipando quanto si andrà a sostenere a conclusione di questo capitolo, parla di una nuova estetica digitale e del suo uso per innestare emozioni ed esperienza fra gli utenti (Manovich, 2013).

Se la fotografia in passato era un evento particolare cui si rivolgeva attenzione solo nelle occasioni di vita più significative, oggi bisogna prendere coscienza del fatto che la fotografia è semplice vita quotidiana; essa è per tutti gli individui (o quasi) una parte della giornata. L’atto di scattare foto non richiede più grandi sforzi e la semplicità con cui ogni singolo individuo crea delle fotografie è paragonabile alla semplicità con cui utilizza la voce per parlare (too easy for word, come recitava lo slogan citato nel paragrafo precedente). Questa capacità della neworked camera di innervarsi nelle pratiche più banali della vita quotidiana dell’uomo ha dotato il selfie, come genere visuale più significativo, del potere di modificare l’interazione sociale e il linguaggio del corpo. Ciò avviene a prescindere dalla qualità e dalle caratteristiche estetiche del singolo selfie o dalle capacità creative o tecnologiche del suo autore. La singola foto è e non è allo stesso tempo importante quando si parla di foto sui social network perché ad essere più rilevante è la stessa pratica ed esperienza della fotografia di tutti i giorni. È più significativo, in questa prospettiva, studiare l’atto che sta dietro la creazione di un selfie rispetto al contenuto estetico del selfie stesso. O perlomeno, ed è questa la linea che si intende qui descrivere, mettere insieme le due cose e parlare sia di contenuti estetico/visuali sia di atti performativi che ne stanno a capo e, successivamente, di risposte somatico-motorie che scaturiscono dalla fruizione di selfie.

Osservando un selfie non si guarda alla semplice rappresentazione del Sé ma a quella che Frosh definisce “un’immagine gestuale” (Frosh, 2015).

«Not only ‘see this, here, now’ but also ‘see me showing you me’» (Frosh, 2015, p. 1610)

Questa caratteristica propria dell’autoritratto, unita all’istantaneità che definisce il

selfie stesso come oggetto che viaggia online sui social network in tempo reale,

inseriscono questo genere visuale all’interno di un circuito di “socialità corporea”. Il fruitore del selfie è invitato ad agire con una risposta fotografica (un altro selfie) oppure con un commento, un like o una condivisione. La propriocezione è in qualche

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modo influenzata da questa autorappresentazione del Sé che inserisce il corpo in uno spazio fisico e informativo del tutto nuovo che lo connette in modo altrettanto nuovo all’Altro. I selfie sembrano in grado, quindi, di mostrare qualcosa di intimo, connettere il Sé al corpo ed incarnare un gesto mentre allo stesso tempo si richiede all’osservatore un gesto di risposta. Ecco perché possiamo ancora ribadire che un

selfie è molto più di una semplice immagine fotografica, è un atto performativo che

modifica le vecchie regole di interazione sociale.

Questa osservazione permette di fare un ulteriore passo avanti rispetto alla concezione della fotografia del passato. L’indicalità, infatti, quale fondamento concettuale della teoria della fotografia tradizionale, si potenzia di qualcosa di nuovo. Secondo la nozione di Pierce, la fotografia è indice, segno che rappresenta il suo oggetto attraverso una connessione fisica causale (Dubois, 1983). Affinché un oggetto/persona compaia in una fotografia deve necessariamente essere situato davanti alla fotocamera nel momento in cui la foto viene scattata. Da qui varie digressioni sull’argomento hanno visto la fotografia descritta ora come “emanazione” del referente (Barthes, 1980) ora come “citazione” della realtà (Sontag, 1977). Ma il

selfie come indice oltre ad essere traccia di una realtà impressa sulla fotografia è

traccia di un’azione eseguita dall’autore. L’indicalità della fotografia nel genere visuale del selfie si riferisce alla performance comunicativa più che al solo soggetto rappresentato. Il selfie è traccia di quella performance in quanto non dice semplicemente, come già riportato sopra in lingua originale, “guarda questo, qui e ora” ma “guarda me, ora, mentre mi mostro a te” (Frosh, 2015). La potenza del gesto risulta schiacciante rispetto al solo contenuto visuale dell’immagine che pure costituisce parte fondamentale del racconto di cui il selfie è pagina scritta in immagine. La presenza del braccio, infine, conferma il selfie quale incarnazione di un gesto Figura 4.

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Figura 4 Kim Kardashian, attualmente al sesto posto dei profili più seguiti su Instagram (@kimkardashian), qui ripresa nell’atto di scattarsi un selfie. Sono tantissime le foto social che inquadrano l’atto di scattare selfie, #gettingselfie. Interessante dal punto di vista del presente lavoro che punta i riflettori proprio sul significato del gesto fatico che sta dietro l’immagine fotografica in sé.

Questo gesto fotografico invita l’osservatore a rispondere e nello stesso tempo ne innesca, secondo quanto può confermare l’attivazione dei neuroni specchio nell’osservazione di un’immagine, una risposta emozionale più che razionale. Ad attivarsi nella fruizione di un’immagine, come già affermato in precedenza, sono gli stessi circuiti neurali che si attivano alla visione di un oggetto dal vivo. Il selfie in questa prospettiva può essere inteso come un gesto fatico che mira a mantenere in vita il rapporto con gli Altri lontani che sono invitati a rispondere. Quella presentazione del Sé che un tempo era strettamente connessa alla presenza fisica dell’Altro con cui interagire e al linguaggio verbale, oggi si è smaterializzata in un flusso di comunicazione visiva digitale che viene rivolto ad un pubblico di Altri molto più vasto. La stessa moltiplicazione delle opportunità di vita ed esperienza del mondo contemporaneo ha reso necessaria questa rimediazione del racconto del Sé.

È a partire già dalla nascita della società moderna che l’identità del singolo ha subito un evidente dilatamento di prospettive e definizioni. La “complicazione”, ma per usare le parole di Bauman (2000) si potrebbe dire la “liquidità” della vita contemporanea rende più complessa e fluida la stessa definizione della propria

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identità e il racconto che se ne offre all’Altro. Da qui la necessità di un supporto immediato e trasparente per questo tipo di comunicazione personale cui la fotografia istantanea e social risponde.

Senza entrare nel merito di una riflessione più sociologica sulla questione della socialità più o meno reale che l’individuo vive oggi in rete, si può affermare che la contemporanea cultura della rete favorisce un tipo di comunicazione fatica non sostanziale mediata dalle distanze (Miller, 2008). Con un selfie si comunica un pezzetto del proprio Sé all’Altro lontano e nello stesso tempo si comunica un gesto, una posizione, un’azione e una presenza in un determinato contesto che equivale in linguistica a quella funzione fatica che ha il fine di assicurare e mantenere il contatto tra due interlocutori. Si tratta da un lato di un invito a iniziare una comunicazione – “io sono qui ora, tu?” – dall’altro di una libera manifestazione delle proprie emozioni che solo in un’immagine come il selfie possono venire fuori con una potenza tale da essere empatizzate dal fruitore in modo nettamente più significativo rispetto agli altri tipi di immagini fotografiche istantanee.

Figura 5 Screenshot tratto da Selfiexploratory, un’applicazione web interattiva creata all’interno del progetto selfiecity.net (2014). Questa applicazione permette ai visitatori del sito web di esplorare un database di 3,200 selfie selezionati da Instagram. In particolare il progetto ha tratto dal social network immagini durante il periodo

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compreso fra il 2013 e il 2014 in 5 grandi città: New York, Mosca, Berlino, San Paolo e Bangkok. I selfie sono stati analizzati da diversi punti di vista nel contenuto sociale e nell’estetica. L’applicazione è tutt’ora disponibile a questo link http://selfiecity.net/#selfiexploratory. Il team del progetto è composto da: Lev Manovich, Moritz Stefaner, Mehrdad Yazdani, Dominicus Bayer, Daniel Goddemeyer, Alise Tifentale, Nadav Hochman, Jay Chow.

3.5 Selfie vs Anti-Selfie

Per meglio definire il selfie come gesto e performance, bisogna sempre partire dalla consapevolezza che nonostante le linee guida sopra descritte che definiscono in modo sufficientemente chiaro cos’è un selfie, ogni autoritratto fotografico social è in realtà diverso dall’altro. Ci sono dei micro insiemi riconoscibili che possono in questa sede aiutare a tracciare una linea distintiva e riconoscere i diversi tipi di selfie. Ad esempio, uno degli elementi in questo senso più significativi è il background dell’immagine. Spesso i selfie sono molto ravvicinati e lo sfondo perde di importanza. In questo genere di selfie è l’emozione del soggetto rappresentato ad essere protagonista dello scatto. Il “qui” che si comunica è relativo al solo momento temporale e non conferisce peso al luogo fisico in cui è stato scattato il selfie. Il soggetto è isolato e la pagina del racconto del Sé che l’immagine rappresenta è intima e personale e, pur essendo influenzata dal contesto magari visibile nelle altre immagini del profilo dell’utente, non possiede informazioni dirette relative a questo contesto. Ma ci sono altri tipi di

selfie che, invece, catturano momenti storici particolari o luoghi specifici descrivendo

il protagonista come testimone di questo o quell’evento particolare in questo o quel luogo specifico. Non solo “io sono qui” ma “io sono testimone di questo fatto” (Baym & Senft, 2015). Su questa scia è possibile riconoscere, per semplificare pur sapendo che le piccole variazioni sono infinite, due macro insiemi di autoscatti fotografici: il

selfie tradizionale e l’anti-selfie (Tifentale & Manovich, 2016)4.

Nella maggior parte dei casi il background di un selfie non ha rilevanza. Sparisce sorpassato da quel carico emozionale che il creatore dello scatto sente il bisogno di

4 I due autori fanno riferimento ad una ricerca di tipo quantitativo e qualitativo attuata

prendendo in esame il social network Instagram. Come si vedrà nell’ultimo capito, questa applicazione fa del selfie uno dei suoi punti di forza e il tipo di immagine fotografica social più forte e caratterizzante.

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condividere attraverso la rappresentazione fisica del proprio corpo. Inoltre, le immagini fotografiche social sono parte, come già accennato in precedenza in questo lavoro, di un discorso transmediale che viaggia da un social network all’altro ed è legato al momento presente, a quel “qui” e “ora” che perde subito di significato nel momento in cui viene condiviso un nuovo aggiornamento. Il senso di un background, infatti, può perdersi con il passare del tempo a causa di quell’obsolescenza rapida e naturale cui i selfie sono soggetti. O, ancora, il senso del background si riconosce osservando non il singolo selfie ma l’insieme delle fotografie caricate dall’utente online sul proprio profilo su un determinato social. Il protagonista del selfie appare in questi casi come un soggetto isolato. Ma nel caso in cui lo sfondo è predominante i selfie diventano testimonianza di un evento, un’attività, una situazione che coinvolge l’autore della foto, non più solo su uno sfondo opaco ma in movimento nella realtà che lo circonda. Questo tipo di selfie che Manovich e Tifentale definiscono appunto “anti-selfie” (2016) mostra una persona che partecipa ad una situazione particolare, vive un’esperienza specifica, è parte di uno spazio riconoscibile e ben visibile nello scatto. Non è il solo corpo dell’autore a comunicare ma tutto ciò che fa parte della composizione fotografica. In questo caso il contenuto estetico dell’immagine cambia. Si può considerare anti-selfie, secondo la definizione dei due autori, anche una foto che non riprende il volto del soggetto ma una sola parte del suo corpo. Ad esempio, una variante molto diffusa è quella che vede riprese le mani o le braccia dell’autore in un paesaggio specifico o impegnate in un’azione con un punto di vista in prima persona. Frequentissimi gli anti-selfie che vedono una mano reggere una tazza, un mazzo di fiori o un giornale nell’atto di interagire con quello specifico oggetto. La volontà è quella di includere lo spettatore nell’esperienza (Figura 6)5.

5 Si ricorda che la ricerca cui si fa riferimento è rivolta a dun social network specifico,

Instagram. Questo tipo di anti-selfie appartiene alla categoria di foto competitive cui si accennerà nel prossimo capitolo, e un esempio ne sono i flatlay dei profili designed.

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Figura 6 Sul concetto di anti-selfie si fonda l’intero progetto di Murad Osmann #followmeto. Fotografo e produttore musicale, Murad dall’ottobre del 2011 scatta e condivide fotografie su Instagram con la stessa composizione: in primo piano la mano dell’autore è trascinata dalla mano di una giovane donna (la moglie dell’instagramer) che si vede sempre e solo di spalle in luoghi differenti. Questo tipo di scatto invita l’osservatore a farne parte. L’invito all’azione è esplicito e anche se non si può fisicamente seguire la ragazza questa azione viene trasfigurata nel “like” all’immagine o nel gesto, appunto, di follow dell’account. Già nel selfie “tradizionale”, così com’è stato descritto nelle pagine precedenti, l’invito all’azione rivolto al fruitore è presente. Si è già accennato alla funzione fatica e alla ricerca di una risposta da parte del pubblico social nel momento in cui si condivide un selfie. Ma nell’anti-selfie questa funzione risulta ancora più esplicita. Lo spettatore non osserva dal di fuori, a distanza, ma fa parte del mondo rappresentato, acquisisce in tutto e per tutto il punto di vista dell’autore. Il contesto è protagonista e il soggetto che crea lo scatto mette in evidenza il suo far parte di quel contesto specifico. Detto con altre parole, il fruitore entra nella mente del soggetto rappresentato e ne condivide le esperienze. Questa distinzione fra selfie e anti-selfie è utile per riconoscere in modo più esplicito il potere performativo del selfie e il suo essere un invito all’azione ma è importante ribadire in questa sede che tale potere è insito in

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ogni tipo di selfie e questa distinzione vuole solo essere la citazione di interessanti ricerche qualitative e quantitative sull’uso della fotografia social.

Il selfie è, quindi, in ogni sua accezione e in modo più evidente nel caso dell’anti-selfie qui descritto, un gesto inclusivo nei confronti dell’osservatore che ne viene colpito a livello emozionale. Gli autoritratti fotografici condivisi in tempo reale sono inviti gestuali rivolti agli Altri distanti che in termini cognitivi possono essere intesi come atti visuali messi in scena per far provare emozioni simulate incarnate “come dal vivo” attraverso la fotografia istantanea e quotidiana condivisa online. Per questo motivo la fotografia di oggi va teorizzata come pratica incorporata, come modello esperienziale sensorimotorio e non più analizzata solo nella sua valenza estetica.