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Sistema elettorale e governabilità

denza costituzionale. – 5. Osservazioni critiche: i limiti alla legislazione elettorale nella Co- stituzione. – 6. Sistema elettorale ed effettività del metodo democratico: maggioritario e proporzionale come concezioni antitetiche della democrazia, rispettivamente in senso for- male-procedurale e in senso sostanziale-decisorio. – 7. Costituzione e democrazia deciden- te: la preferenza implicita per i sistemi proiettivi.

1. Egemonia e sistemi elettorali

L’egemonia del partito o, più spesso, della coalizione sull’organo rappresenta- tivo dipende, come detto, dalla quota di esso che il partito o la coalizione possono controllare, ossia dal numero dei componenti che gli rispondono. Ne deriva che il processo di traduzione del consenso politico in seggi è essenziale ai fini della de- terminazione dell’egemonia medesima. In questo senso l’egemonia riceve una pri- ma ipostasi normativa nella disciplina del sistema elettorale adottato per la forma- zione degli organi rappresentativi.

L’esperienza dei sistemi elettorali offre una pluralità di soluzioni, diverse a se- conda dei singoli ordinamenti e delle peculiarità degli organi rappresentativi alla cui composizione la disciplina è strumentale. La dottrina ha tuttavia individuato alcuni tratti comuni che consentono l’elaborazione di categorie unitarie.

La prima acquisizione concerne la circostanza che la delimitazione dei singoli collegi non è un’operazione meramente tecnica strumentale all’elezione. L’esten- sione del collegio e la determinazione dei suoi confini influenza, infatti, il risultato dell’elezione, qualora i collegi siano disegnati in modo da concentrare in alcuni di essi la porzione di corpo elettorale tradizionalmente vicina ad un determinato parti- to, con l’effetto di rafforzarlo in seno a tali circoscrizioni o, al contrario, in modo da diluirla in più collegi, così da diminuire il peso del partito all’interno di ciascuno

di essi1. La determinazione dei collegi e l’individuazione dei rappresentanti da eleg- gere in seno a ciascuno di essi costituisce, dunque, un elemento essenziale nella strutturazione della competizione partitica.

Nell’esperienza costituzionale più recente la formazione delle circoscrizioni elettorali è stata rimessa, sino al 2017, alla Commissione per la verifica e la revisio- ne dei collegi elettorali, istituita con le leggi n. 276 e 277 del 1993. Nel disegno dei collegi la Commissione incontrava i limiti della coerenza territoriale, dell’omoge- neità socio-culturale della popolazione residente e del ragionevole riparto della po- polazione tra i diversi collegi, ciascuno dei quali non poteva discostarsi dalla media della popolazione degli altri che in ragione del 10% (ovvero del 15%, nelle zone in cui siano presenti minoranze linguistiche)2.

Il modello è stato profondamente innovato a seguito dell’approvazione delle leggi n. 52 del 2015 e n. 165 del 2017. La nuova disciplina attribuisce la determina- zione dei collegi al Governo (non più al Parlamento), il quale è delegato ad adottare un decreto legislativo nel termine di trenta giorni dall’entrata in vigore della legge. La disciplina della determinazione dei collegi, posta dall’art. 3 della legge citata, sarà oggetto di puntuale analisi nel capitolo seguente.

Tradizionalmente, i sistemi elettorali sono distinti, come è noto, in due catego- rie generali: sistemi di tipo proporzionale e sistemi di tipo maggioritario3. Sebbene i due modelli siano stati oggetto di una riflessione scientifica che ha condotto ad al- cuni risultati consolidati, alcune acquisizioni sembrano risentire dell’influenza di discipline non giuridiche che rendono non inutile una delimitazione delle fattispe- cie sul piano del puro diritto costituzionale.

1 F.LANCHESTER, Sistemi elettorali, 89 ss. Nell’esperienza statunitense, ad esempio, si verificò la

curiosa situazione di un collegio largo quanto una strada statale e lungo parecchie miglia, in modo da richiamare la forma di una salamandra, con il fine precipuo di concentrare in questo collegio alcune minoranze etniche (C.J.FRIEDRICH, Der Verfassungsstaat der Neuzeit, 329 ss.; L.TRUCCO, Democrazie elettorali e Stato costituzionale, 187 ss.).

2 L. TRUCCO, Democrazie elettorali e Stato costituzionale, 185.

3 La bipartizione tra sistemi maggioritari e proporzionali, accettata dalla dottrina largamente

prevalente, incontra tuttavia alcune autorevoli voci dissenzienti. C. LAVAGNA, Il sistema elettorale nella Costituzione italiana, 854, preferisce ad esempio distinguere tra sistemi rappresentativi della sola mag-

gioranza, o maggioritari, sistemi a rappresentanza relativa delle minoranze e sistemi proiettivi o pro- porzionali. Analogamente, D. FISICHELLA, Sistemi elettorali, 649 ss., considera gli elementi di “corre- zione” rispetto ai modelli puri di sistemi maggioritari e proporzionali introducendo le categorie dei sistemi maggioritari corretti e dei sistemi proporzionali corretti. La questione appare, comunque, me- ramente terminologica, per cui, per semplicità di esposizione, si è qui preferito mantenere la biparti- zione classica, salvo svolgere nel prosieguo qualche considerazione più specifica sui fenomeni di maggiore interesse per l’ordinamento italiano.

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2. Fenomenologia dei sistemi elettorali

La ratio sottesa ai sistemi proiettivi è la garanzia della traduzione più fedele possibile della volontà politica del corpo elettorale in seno all’assemblea rappresen- tativa oggetto dell’elezione. Quest’ultima si trova dunque ad essere una sorta di ri- produzione su scala ridotta del corpo elettorale stesso, nella quale le forze politiche vengono rappresentate proporzionalmente ai consensi ottenuti. Tale proporzionali- tà vale, tuttavia, quale criterio meramente tendenziale. In effetti, la circostanza che il numero dei funzionari che compongono l’assemblea elettiva sia di molti ordini di grandezza inferiore ai votanti rende difficile una proiezione perfetta della geografia partitica espressa dal corpo elettorale in seno all’Assemblea, anche nell’ipotesi in cui i componenti dell’organo non siano determinati a priori ma varino in funzione dei voti espressi dalla collettività. Non si può, ad esempio, ritenere che 630 deputati e 315 senatori esprimano perfettamente la composizione politica di un corpo elet- torale composto da milioni di cittadini, per cui il rapporto tra la forza dei partiti nelle Camere e il loro consenso elettorale subisce una fisiologica e ineliminabile approssimazione. L’esperienza ha suggerito numerose formule finalizzate a ridurre tale margine di approssimazione, tuttavia l’efficacia di ciascuna formula dipende da numerose variabili tra le quali l’ampiezza dei collegi, il numero di eligendi attribuiti a ciascuno di essi e, naturalmente, il grado di omogeneità politica del corpo eletto- rale. In questa sede occorre limitarsi ad un cenno sulle sole formule che sono state utilizzate nell’ordinamento italiano4.

Una delle prime di tali formule finalizzate a tradurre i voti in seggi è stata quel- la dei divisori successivi, secondo la quale i voti ottenuti da ciascun partito vengo- no divisi per un quoziente determinato sulla base dei voti complessivamente espressi di guisa tale da assegnare il maggior numero di voti possibile.

Il metodo dei divisori successivi trova applicazione soprattutto in una sua va- riante, denominata, dal nome del suo ideatore, sistema D’Hondt. Tale variante si propone di ridurre il grado di approssimazione dividendo la cifra elettorale ottenu- ta da ciascun partito per 1, per 2, per 3 e così via, e assegnando i seggi ai risultati più alti. In questo modo, poiché il risultato della divisione assicura al partito meno votato un risultato pari ai voti ottenuti, è più probabile che quest’ultimo ottenga almeno un seggio. Tale obiettivo sarebbe, tuttavia, effettivamente realizzato solo se le cifre elettorali dei singoli partiti fossero proporzionali tra loro, perché in caso contrario i voti da essi ottenuti sarebbero parzialmente inutilizzati. Inoltre, l’efficacia del metodo D’Hondt è limitata a circoscrizioni elettorali chiamate ad esprimere un numero sufficientemente elevato di eligendi.

I sistemi proporzionali raggiungono il loro obiettivo di proiettare nel collegio i rapporti di forza tra i partiti quali espressi dal corpo elettorale solo se a ciascuna

4 Si sono, dunque, tralasciate le formule elettorali Sainte-Lagüe e Hare, mai realizzate in Italia,

circoscrizione è attribuito un numero di funzionari da eleggere sufficientemente elevato; quanto minore risulta tale numero, tanto maggiore risulta il numero di voti che non trova espressione nel collegio, e dunque tanto maggiore è l’approssima- zione di siffatta proiezione. L’ampiezza della circoscrizione elettorale costituisce un elemento imprescindibile ai fini dell’efficacia proiettiva del sistema elettorale, e lo rende un elemento essenziale ai fini della valutazione del sistema stesso. Un colle- gio elettorale in cui deve essere eletto un numero ridotto di funzionari mortifica la vocazione proiettiva del sistema proporzionale, ed appare, perciò, razionalmente incompatibile con esso. Questa acquisizione è spinta alle sue estreme, ma coerenti conseguenze dall’autorevole opinione per la quale l’istituto della circoscrizione sa- rebbe coerente esclusivamente in un sistema elettorale maggioritario, ma costitui- rebbe invece un “disturbo organico” in un sistema proporzionale la cui efficacia proiettiva richiede, per la sua piena realizzazione, un collegio unico nazionale5.

Di converso, i sistemi elettorali maggioritari non si pongono alcun problema di rappresentatività delle formazioni politiche di minoranza: al contrario, essi mira- no precipuamente a sottodimensionare i partiti che, nell’ambito del collegio eletto- rale, non hanno conquistato seggi, con il dichiarato intento di rafforzare in tal guisa la posizione dei partiti di maggioranza e, dunque, della coalizione di governo6. Per questo motivo, tali sistemi si accompagnano, di norma, a collegi elettorali unino- minali. Anche i sistemi maggioritari si articolano in diverse fattispecie, le più signi- ficative delle quali, anche avendo riguardo all’esperienza italiana, sono due.

Il sistema della pluralità (plurality) attribuisce il seggio al candidato che, sempli- cemente, ha ottenuto più voti (the first past the post), indipendentemente dallo scarto rispetto al candidato che ha ottenuto la seconda migliore posizione, quando anche esso, in un’ipotesi meramente scolastica, fosse rappresentato da un solo voto. Si comprende come tale formula sia estremamente compressiva delle minoranze poli- tiche e, per altro verso, sia scarsamente funzionale anche sotto il profilo della rap- presentatività7. L’effetto manipolativo del sistema in esame sulla rappresentanza partitica nell’assemblea elettiva è, come sembra evidente, assai grande, perché la soglia percentuale sufficiente all’elezione del candidato più votato è tanto minore quanto maggiore è il numero dei candidati in competizione8.

5 H.KELSEN, Essenza e valore della democrazia, 106, nota 1.

6 Il modello ha il suo antecedente storico nel sistema di voto dei comizi centuriati

dell’ordinamento romano arcaico, in cui il dissenso all’interno di ciascuna centuria non aveva rilevan- za giuridica in ragione della circostanza che ogni centuria disponeva di un solo voto, predefinito in seno ad una consultazione preliminare interna alla centuria medesima.

7 Si ponga il caso di un collegio uninominale in cui cinque partiti ottengano, rispettivamente, il

30%, il 25%, il 20%, il 15% e il 10% dei consensi: l’applicazione a tale fattispecie del metodo della pluralità, attribuendo il seggio al candidato che, legato al primo partito, ha ottenuto il 30% delle prefe- renze, priva di rappresentanza politica il 70% degli elettori della circoscrizione.

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Tale conclusione, evidentemente iniqua sul piano della giustizia sostanziale, ha condotto all’introduzione di un correttivo che ha, di fatto, introdotto un sistema elettorale diverso: la previsione di un quorum che deve essere raggiunto per l’attri- buzione del seggio, coincidente con la maggioranza dei voti espressi. Si parla così di sistema della maggioranza (majority). Nella prassi, tuttavia, difficilmente un solo candidato ottiene un risultato elettorale così elevato, sicché il sistema della maggio- ranza è accompagnato dalla previsione di una tornata elettorale di ballottaggio tra i candidati che abbiano ottenuto i risultati migliori: in tal modo, gli elettori dei can- didati che non hanno avuto accesso al turno di ballottaggio possono riformulare le proprie preferenze in modo da attribuirle a quello dei candidati in ballottaggio che ritengano migliore.

Tra i sistemi elettorali maggioritari devono essere inseriti quei sistemi che, seppur formalmente proporzionali, prevedono tuttavia l’introduzione di un premio di maggioranza al partito o alla coalizione che abbia ottenuto il miglior risultato elettorale, quando tale premio sia tale da alterare sensibilmente i rapporti di rappre- sentatività tra tale forza politica e le altre: è quanto si verifica, ad esempio, in tutti i sistemi che garantiscano al vincitore almeno la maggioranza assoluta. Tale conclu- sione si giustifica perché, come si è detto, i sistemi maggioritari si caratterizzano in ragione del loro effetto deformante sul suffragio nel momento della traduzione di questo in seggi, mortificando i partiti che abbiano ottenuto i risultati peggiori a vantaggio della forza politica vittoriosa: e tale effetto, che nei sistemi maggioritari puri (indipendentemente dal metodo della pluralità o della maggioranza utilizzato) si determina mediante la sottorappresentazione delle minoranze, nei sistemi con premio di maggioranza viene invece perseguito sovrarappresentando il partito o la coalizione vittoriosa. In entrambi i casi il rapporto tra la maggioranza e la minoran- za, in seno all’organo rappresentativo, è artificialmente alterato a vantaggio della prima, indipendentemente dal consenso effettivamente espresso dal corpo elettorale9.

Se si accoglie il criterio proposto dell’alterazione del rapporto tra la coalizione maggiore e le minoranze quale elemento qualificante dei sistemi maggioritari, ne deriva che un’ipotesi peculiare di sistema sostanzialmente maggioritario deve con- siderarsi anche quello, cui si è fatto cenno, in cui il meccanismo di traduzione dei voti in seggi è formalmente proporzionale, nel quale, tuttavia, sia previsto un nu- mero limitato di candidati da eleggere per ciascuna circoscrizione, così da alterare il meccanismo proiettivo a vantaggio dei partiti più votati.

3. Sistema elettorale e governabilità

Come si vede, il sistema elettorale costituisce un elemento centrale nella con- creta esplicazione dell’egemonia del partito o della coalizione vittoriosi sull’organo rappresentativo, perché incide direttamente sulla composizione dell’organo mede- simo quanto alla scelta dei funzionari legati ai diversi partiti e, dunque, sul concreto atteggiarsi dei rapporti tra i partiti rappresentati. La legge elettorale, quale atto che traduce sul piano dell’ordinamento il sistema elettorale, ha, come più volte detto, la funzione di razionalizzare normativamente l’egemonia, poiché traduce i rapporti politici di forza tra i differenti partiti, misurata al livello del corpo elettorale, in rap- porti giuridici di condizionamento dell’assemblea elettiva in funzione del numero di funzionari attribuiti, secondo la disciplina legislativa, ai partiti stessi. In altri ter- mini, la legge elettorale costituisce una fonte peculiare, nel sistema costituzionale, perché se, per un verso, è funzionale alla realizzazione del principio democratico e all’esercizio del diritto di voto, per altro verso dispiega i propri effetti tra le forze politiche espresse dalla collettività disegnandone gli equilibri e, dunque, il peso all’interno degli organi democraticamente legittimati in funzione dell’applicazione del principio maggioritario. Ciò si risolve in un regime tipico che, nel disegno della Carta, si limitava a prevederne l’approvazione con la procedura legislativa ordinaria (art. 72, ultimo comma, Cost.). La giurisprudenza costituzionale ha tuttavia note- volmente inciso sullo statuto costituzionale di tale tipologia di legge. La Corte ne ha, infatti, dapprima escluso la sottoponibilità a un referendum meramente abrogati- vo, ritenendo ammissibili soltanto le consultazioni referendarie manipolative, le quali lasciano in vigore, in caso di esito positivo, una normativa di risulta che con- senta l’applicazione della legge10. Tale conclusione si lega alla circostanza che l’ammissione di un referendum meramente abrogativo condurrebbe alla paralisi isti- tuzionale, impedendo il rinnovo dell’organo rappresentativo per il venir meno delle regole per la sua elezione. Recentemente, tuttavia, la Corte11 ha introdotto un ulte- riore elemento di atipicità, a proposito, come si vedrà meglio, delle sole leggi per l’elezione delle Camere, ammettendone una sorta di impugnazione diretta da parte del corpo elettorale in ragione della flessibilità con cui ha guardato al requisito della rilevanza: in particolare, il giudice costituzionale ha ritenuto ammissibile una que- stione nell’ambito di un processo civile di accertamento del diritto di voto nell’ordinamento costituzionale, sebbene si trattasse di un’evidente litis ficta instau- rata con l’esclusiva finalità di sollevare l’incidente di costituzionalità12.

10 C. Cost., sent. n. 16 del 1978; sent. n. 47 del 1991; sent. n. 33 del 1993; e in termini partico-

larmente espliciti, sentt. nn. 15 e 16 del 2008 e n. 13 del 2012.

11 C. cost., sent. n. 1 del 2014; sent. n. 35 del 2017.

12 Si vedano, sul punto, le considerazioni di A. BARBERA, Costituzione della Repubblica italiana, 340

ss; G.ZAGREBELSKY, La sentenza n. 1 del 2014 e i suoi commentatori, 2960 ss.; nonché M. TROISI, La legge

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Alla costruzione largamente pretoria del regime giuridico delle fonti legislative elettorali si è accompagnata una forte valorizzazione dell’effetto di tale atto sulle forze politiche. La disciplina dei rapporti tra i partiti, nella ratio espressa dalle leggi elettorali degli ultimi anni, ha assunto un’importanza centrale che ha, nei fatti, oscurato la funzione, pure propria di tali leggi, strumentale alla realizzazione della posizione soggettiva ex art. 48 Cost., come si vedrà meglio con l’avallo della stessa giurisprudenza costituzionale.

Come si evince dal dibattito politico che ha accompagnato la legislazione elet- torale a partire dagli anni ’90, sia per quanto concerne gli organi rappresentativi delle Regioni e degli altri enti territoriali, sia in riferimento alle Camere, alla legge elettorale si è attribuito il ruolo di garanzia della governabilità degli apparati pubblici.

Il concetto di governabilità non è, tuttavia, espresso da alcun testo normativo, ed è possibile, in prima battuta, definirne i contorni solo avendo riguardo al suo significato politico. La nozione è stata coniata in reazione all’esperienza storica, che ha visto raramente una durata degli esecutivi statali o locali che coincidesse con quella della legislatura. In particolare, i Governi della Repubblica avvicendatisi dal 1948 al 1994 hanno avuto una durata media di un anno. La communis opinio ha indi- viduato quale causa del fenomeno l’eccessiva polarizzazione del sistema partitico, e la scarsa coesione delle coalizioni di Governo. Si sono dunque cercate soluzioni che rafforzassero la coesione delle maggioranze, al fine di consentire agli esecutivi di realizzare il programma sul quale avevano ottenuto la fiducia: ciò è quanto co- munemente si intende con l’espressione governabilità. La governabilità è, in altri termini, definibile come l’attitudine dell’egemonia di esplicarsi e durare nel tempo.

La ricerca della governabilità, come visto, è la logica che è sottesa ai sistemi maggioritari, che ad avviso di alcuni studiosi di scienza politica, oggi, in verità, al- quanto criticati, avrebbero addirittura l’effetto di ristrutturare il sistema dei partiti eliminando le ali estreme degli schieramenti in modo da tendere verso modelli bi- partici o comunque, con un numero limitato di partiti13. Il dichiarato intento di tali riforme è stato, appunto, l’introduzione in Italia del c.d. “modello Westminster”, ossia di un parlamentarismo simile, nel funzionamento, a quello inglese in cui, nell’ambito di un sistema partitico bipolare, l’elettore scelga la forza politica a cui affidare il governo del Paese per la durata della legislatura14. In tale sistema, il raf- forzamento del Governo e del suo Primo Ministro, di fatto legittimato direttamen- te dal corpo elettorale, svuota il Parlamento delle funzioni di determinazione dell’indirizzo politico e di scelta dei membri del Governo, scongiurando, per altro verso, il rischio di derive autoritarie in ragione della presenza di due elementi carat-

13 M.DUVERGER, I partiti politici, 249 ss. La critica alle “leggi di Duverger” da parte della scienza

politica contemporanea è riassunta da G.PASQUINO, I sistemi elettorali, 23 ss.

14 C.J.FRIEDRICH, Der Verfassungsstaat der Neuzeit, 330 ss. L’A. osserva che, in un contesto mul-

tipartitico, tale scelta presuppone necessariamente un sistema elettorale maggioritario, poiché in un contesto proporzionale l’elettore non è in grado di incidere sul compromesso politico alla base del patto di coalizione.

terizzanti il sistema politico inglese: la fiducia reciproca tra le parti in competizione e il legame tra corpo elettorale e attività di Governo spinta al punto di rinunciare al divieto di mandato imperativo, sanzionando gli atti di Governo privi dell’espresso consenso elettorale15.

Questo obiettivo ha condotto, a partire dal 1993, ad una vera e propria “feb- bre maggioritaria” del legislatore elettorale italiano, che ha operato su due fronti: introducendo sistemi elettorali maggioritari, dapprima in ambito locale, e preve- dendo quote di sbarramento finalizzate ad escludere la rappresentanza dei partiti più piccoli quale correttivo dei sistemi proporzionali espressi dalla legislazione elet- torale. Si impone, tuttavia, una constatazione.

Il modello inglese realizza spontaneamente lo scopo primario della Costitu-