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Il sistema delle impugnazioni

CAPITOLO III – IL SISTEMA DEGLI INCENT

3. I L SISTEMA DEGLI INCENTIVI PER CIASCUNA PARTE

3.2. Gli incentivi per l’imputato

3.2.2. I peculiari disincentivi per l’imputato italiano

3.2.2.1. Il sistema delle impugnazioni

In primo luogo, occorre ricordare che, in base all’art.445, comma 2 c.p.p., la sentenza che applica la pena richiesta dalle parti è sempre inappellabile da parte dell’imputato112. Tale previsione, pur essendo

coerente con le finalità di economia processuale che giustificano l’esistenza dell’istituto, costituisce forse il principale disincentivo al suo utilizzo. Infatti, come mostrato dal grafico seguente, il giudizio di appello costituisce una prospettiva particolarmente allettante per l’imputato eventualmente condannato in primo grado113.

Come è possibile riscontrare, le sentenze di conferma rispetto alla pronuncia di primo grado hanno fatto registrare un trend di calo abbastanza costante negli ultimi anni, raggiungendo il minimo storico proprio nel 2017, quando hanno costituito il 29,9% del totale. Viceversa, le sentenze di riforma, dopo un calo costante fino al 2013, hanno fatto

112 L’unico soggetto legittimato a proporre appello contro tale sentenza è il pubblico

ministero, qualora non avesse prestato il proprio consenso alla richiesta presentata dall’imputato e ritenuta congrua dal giudice.

113 Il grafico è stato elaborato a partire dai dati forniti dalla Direzione Generale di

Statistica del Ministero della Giustizia. Tali dati si riferiscono ai giudizi di impugnazione celebrati dinanzi alle Corti d’Appello e comprendono quelli riguardanti procedimenti contro imputati minorenni all’epoca di commissione del fatto.

0,00% 5,00% 10,00% 15,00% 20,00% 25,00% 30,00% 35,00% 40,00% 45,00% 50,00% 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017

Esito dei giudizi d'appello

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registrare un deciso aumento da allora fino al 2017, quando hanno rappresentato il 43,24% del totale, ossia la maggioranza relativa. Tale dato, pur non essendo univoco, può essere letto come un segnale favorevole da parte degli imputati, data la vigenza del principio che impedisce la reformatio in peius della sentenza di primo grado, qualora unico appellante sia l’imputato. Quest’ultima circostanza potrà verificarsi con maggiore frequenza negli anni futuri, posto che il dlgs. 11/2018 ha modificato l’art.593 c.p.p., limitando i casi in cui il pubblico ministero è legittimato a proporre appello contro le sentenze di condanna114.

Il dato più significativo e allarmante che emerge da questo grafico è tuttavia il costante e deciso aumento delle sentenze che pronunciano l’intervenuta prescrizione. Le sentenze di questo tipo sono infatti praticamente raddoppiate dal 2005 al 2017, anno in cui hanno raggiunto il massimo storico, pari al 27,56%, dopo una crescita che non ha fatto registrare alcun calo dopo il 2010. Ciò significa che, all’incirca in più di un caso su quattro, l’imputato che riesce a condurre il procedimento fino al giudizio d’appello andrà esente da ogni conseguenza penale per il fatto di reato eventualmente commesso. È evidente come questo dato fotografi una profonda crisi del sistema, che appare sempre meno capace di assicurare l’effettiva applicazione della legge penale.

L’imputato italiano, dunque, all’incirca nel 27% dei casi otterrà con sicurezza il migliore esito possibile, ossia nessuna condanna penale; circa nel 30% dei casi la sua situazione non sarà modificata rispetto alla pronuncia di primo grado; nel restante 43% circa dei casi, sebbene manchi la certezza di ottenere un esito positivo o negativo, avrà una probabilità relativamente maggiore di ottenere una pronuncia più vantaggiosa rispetto al primo grado di giudizio, considerato il divieto di reformatio in peius. Dunque, è chiaro che i vantaggi conseguibili mediante il patteggiamento dovranno essere particolarmente cospicui per riuscire ad indurre l’imputato ad accettare una simile alternativa, posto che essa comporterà con certezza una condanna penale e l’impossibilità di intraprendere un giudizio d’appello.

Nei prossimi anni la possibilità di affrontare un giudizio d’appello risulterà ancora più appetibile per gli imputati rispetto all’alternativa costituita dal patteggiamento, posto che la legge n.103/2017 ha reintrodotto115 il c.d. concordato sui motivi di appello, attualmente

114 Per effetto della novella legislativa, il p.m. può attualmente appellare contro le

sentenze di condanna “solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato”. Si impedisce così al p.m. di appellare solo per contestare l’entità della pena irrogata.

115 L’istituto in esame ha conosciuto una storia travagliata, essendo previsto

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disciplinato dall’art.599bis c.p.p. Tale istituto consente alla Corte d’Appello di provvedere in camera di consiglio qualora le parti ne facciano richiesta “dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo”116. È evidente dunque

l’analogia con il patteggiamento di primo grado, ulteriormente confermata dalla previsione dell’art.599bis, comma 2 c.p.p., il quale riproduce le medesime preclusioni oggettive e soggettive previste dall’art.444, comma 1 bis c.p.p. con riferimento al c.d. patteggiamento allargato117. In questo modo, tuttavia, si rende ancora meno appetibile la prospettiva di un patteggiamento in primo grado, dato che l’imputato sa che il termine finale stabilito dall’art.446 c.p.p. per la richiesta di patteggiamento in realtà non preclude del tutto la possibilità di una successiva soluzione concordata del procedimento118. La prospettiva del giudizio d’appello diviene così ancora più appetibile rispetto a quanto esposto in precedenza: il legislatore del 2008 aveva infatti deciso di abrogare l’istituto in esame proprio perché esso, oltre a indurre nella prassi una eccessiva riduzione del trattamento sanzionatorio, ridimensionava fortemente l’interesse dell’imputato ad avvalersi del patteggiamento ex art.444 c.p.p., provocando effetti negativi sulla deflazione nel primo grado119.

Sempre dal punto di vista delle impugnazioni penali, la stessa legge n.103/2017 ha contribuito ulteriormente a depotenziare gli incentivi per gli imputati nella scelta del patteggiamento. Infatti, in coerenza con gli indirizzi giurisprudenziali di legittimità ormai consolidati, è stato introdotto l’art.448, comma 2bis c.p.p., il quale attualmente consente di proporre ricorso per cassazione contro la sentenza che applica la pena concordata “solo per motivi attinenti all’espressione della volontà

dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza,

costituzionale con la sentenza n.435/1990, successivamente ripristinato dalla legge n.14/1999 e infine abrogato dalla legge n.125/2008.

116 Art.599bis, comma 1 c.p.p.

117 La similitudine tra i due istituti agli occhi delle parti processuali è confermata anche

dalla denominazione invalsa nella prassi, la quale parla proprio di un “patteggiamento in appello”.

118 Il concordato sui motivi d’appello tuttavia non consente di conseguire tutti i benefici

premiali previsti dal patteggiamento di primo grado, ma solo la riduzione di pena conseguente alla rinuncia a determinati motivi di appello da parte della pubblica accusa. Ciononostante, si pone comunque come una prospettiva vantaggiosa, posto che la condanna stessa non è un esito certo del giudizio di primo grado, se si sceglie un rito diverso dal patteggiamento.

119 R. ORLANDI, “Procedimenti speciali” in M. BARGIS - L. CONSO - V. GREVI, Compendio di procedura penale, CEDAM, nona edizione (2018), p.926.

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all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza”. Tuttavia, dal punto di vista dell’imputato, il giudizio di Cassazione costituisce un’ulteriore possibilità di migliorare la propria condizione in caso di condanna, o almeno di posticipare la definitività della sentenza; limitando tale possibilità, si aumentano i disincentivi idonei a distogliere l’imputato dalla scelta di patteggiare120.

Negli Stati Uniti, il sistema delle impugnazioni non fornisce invece agli imputati un incentivo altrettanto forte ad evitare una soluzione negoziata del procedimento penale. In effetti, come esposto nel Capitolo I, un emendamento del 1983 ha reso possibile per l’imputato presentare un “conditional plea”, ossia una dichiarazione di colpevolezza o di nolo contendere con la quale egli stesso “si riserva per iscritto il diritto di ottenere una revisione da parte della Corte d’appello di una svantaggiosa decisione circa una specifica questione preliminare”121: tale possibilità

fu introdotta proprio perché le dichiarazioni di colpevolezza e di nolo contendere normalmente privano l’imputato del diritto di presentare ricorsi concernenti violazioni di diritti costituzionali avvenute prima della dichiarazione stessa; di conseguenza, gli imputati erano indotti ad affrontare un intero processo col solo scopo di conservare la possibilità di ottenere una revisione in appello di alcune questioni preliminari già sollevate e respinte122.

Oltre che nel caso di un conditional plea, negli Stati Uniti la conclusione di un plea bargaining non esclude del tutto la possibilità di impugnare la condanna, sebbene, per finalità di economia processuale, la legge delimiti i casi in cui ciò è possibile123. Inoltre, la possibilità di proporre

impugnazioni è particolarmente limitata negli Stati Uniti per ogni tipo di condanna, segnando dunque una differenza meno marcata di quella esistente in Italia tra il caso in cui venga concluso un patteggiamento e quello in cui venga affrontata la via del giudizio ordinario. Infatti, negli Stati Uniti non è sufficiente presentare appello per avere diritto al processo di secondo grado, essendo previsto un rigoroso vaglio di

120 La novella in esame è stata in effetti giustificata da esigenze di economia

processuale riferite al giudizio di Cassazione, evitando la proposizione di ricorsi che sarebbero stati comunque dichiarati inammissibili; tuttavia, le esigenze di economia processuale nel primo grado di giudizio vengono in tal modo parzialmente sacrificate.

121 Rule 11(a)(2), Federal Rules of Criminal Prosecution. 122 Notes of Advisory Committee on Rules – 1983 Amendement.

123 In particolare, una sentenza pronunciata in seguito a plea bargaining può essere

impugnata solo: a) per “ineffective assistance of counsel”, ossia per una prestazione negligente del difensore, che non abbia presentato alla Corte tutte le circostanze favorevoli all’imputato o che non abbia informato correttamente quest’ultimo circa le conseguenze del suo guilty o nolo contendere plea; b) perché la Corte ha omesso di effettuare nei confronti dell’imputato le comunicazioni garantistiche richieste dalla Rule 11(b) o di svolgere gli accertamenti richiesti dal medesimo articolo.

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ammissibilità dello stesso124. Il “collo dell’imbuto” si restringe ulteriormente al livello più elevato della giurisdizione, poiché non esiste un equivalente del giudizio di cassazione italiano. Negli Stati Uniti, infatti, la possibilità che il proprio caso sia giudicato dalla Corte Suprema non costituisce un diritto, mentre in Italia l’art.111, comma 7 Cost. stabilisce che “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge”: per questo motivo la Corte Suprema degli Stati Uniti nel 2017 ha discusso e deciso 65 casi, mentre i soli procedimenti penali iscritti presso la Corte di Cassazione nel medesimo periodo sono stati 56.642. Dunque, un imputato statunitense non può coltivare in nessun caso le medesime aspettative di un imputato italiano circa le possibilità di impugnazione di una eventuale condanna. Inoltre, nel caso in cui accetti una soluzione negoziata del procedimento, le possibilità di impugnazione, pur limitate, non divergono così tanto dal caso in cui la condanna costituisca l’esito di un ordinario processo. In Italia, al contrario, la soluzione patteggiata esclude ogni possibilità di appello per l’imputato, mentre gli altri riti gli garantiscono una possibilità praticamente illimitata di ottenere un processo di secondo grado, che, come mostrato dai dati statistici, almeno in un caso su tre si concluderà con certezza con un esito a lui favorevole.