UNIVERSIT
À
DI PISA
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di laurea in Giurisprudenza
Patteggiamento e plea bargaining:
un problema di incentivi
Il Candidato
Il Relatore
Gabriele Paolini
Prof. Nicola Giocoli
Cum igitur hominum causa omne ius constitutum sit D. 1.5.2.
I
INDICE
INTRODUZIONE
……….………1CAPITOLO I – IL PANORAMA GIURIDICO
S
EZIONEI
–
Il plea bargaining statunitense
………51.
O
RIGINI STORICHE………51.1. Un excursus preliminare sulla storia del guilty plea o dichiarazione di colpevolezza………...…6
1.2. L’istituto dell’approvement...……….10
1.3. L’emergere del plea bargaining………...………12
1.3.1. Il plea bargaining prima della Guerra Civile…………...12
1.3.2. Le prime reazioni giurisprudenziali al plea bargaining...15
1.3.3. Il diffondersi del plea bargaining……….18
1.4. La scoperta del plea bargaining da parte delle Crime Commissions negli anni Venti……….…...……….…19
1.4.1. La crescita costante del plea bargaining e i suoi effetti sull’ordinamento………...…20
1.4.2. Le critiche alla pratica del plea bargaining……….22
1.5. Il progressivo riconoscimento del plea bargaining……….23
1.5.1. La pronuncia di legittimità da parte della Corte Suprema……….23
1.5.2. Il riconoscimento da parte del legislatore………30
1.6. La storia successiva del plea bargaining………32
2.
L
A DISCIPLINA POSITIVA…………...………342.1. Definizione………34
2.2. La procedura prevista dalla Rule 11 delle Federal Rules of Criminal Procedure………35
2.2.1. Le dichiarazioni possibili………35
2.2.2. Gli adempimenti della Corte dinanzi a una dichiarazione di colpevolezza o di nolo contendere……….37
II
S
EZIONEII – L’applicazione della pena su richiesta
delle parti
………...461.
O
RIGINI ED EVOLUZIONE STORICA……….461.1. Il patteggiamento previsto dalla l.689/1981………....47
1.2. Il nuovo Codice di procedura penale………...49
1.3. L’istituto nella sua fisionomia originaria………51
1.4. Le modifiche ad opera della c.d. legge Carotti…………....53
1.5. La legge n.134 del 2003 e l’introduzione del c.d. patteggiamento allargato………....55
1.6. Le altre modifiche intervenute……….57
1.7. Le prospettive future………....59
2. L
A NORMATIVA VIGENTE………..…612.1. Ambito di applicabilità……….61
2.2. La richiesta e il consenso………..63
2.2.1. Tempi e modalità di presentazione della richiesta o del consenso………....63
2.2.2. Il contenuto della richiesta………..65
2.2.3. Consenso o dissenso da parte del p.m.………...65
2.2.4. Le verifiche del giudice………....67
2.2.5. I rimedi esperibili a fronte del rigetto da parte del giudice o del dissenso del p.m……….69
2.3. Il ruolo della parte civile………...70
2.4. Efficacia e natura della sentenza………...70
2.5. I benefici premiali……….72
2.6. L’impugnabilità della sentenza………...73
CAPITOLO II – I MODELLI ECONOMICI DEL
PLEA BARGAINING
1.
I
NTRODUZIONE ALL’
ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO………..
………..751.1. La nascita e lo sviluppo della moderna analisi economica del diritto………..76
III
1.2. Alcuni concetti fondamentali………...82
1.2.1. Massimizzazione………..82
1.2.2. Equilibrio………...82
1.2.3. Efficienza……….83
1.2.4. Game theory………...84
1.2.5. Avversione al rischio………85
1.3. L’analisi economica del diritto penale……….86
2.
I
MODELLI ECONOMICI DELLA PROCEDURA CIVILE…...922.1. Il modello basato sulla diversità di opinioni, c.d. optimism model……….95
2.2. Il modello basato sul possesso di informazioni private, c.d. asymmetric information model………....98
2.3. Quali casi vanno a processo………....100
2.3.1. La risposta dell’optimism model………....100
2.3.2. La risposta dell’asymmetric information model……...101
2.4. Altri fattori che influenzano le probabilità di un settlement………...101
3. I
MODELLI ECONOMICI DEL PLEA BARGAINING……….1023.1. Il modello di Landes………...103
3.1.1. Le scelte dei “giocatori”………....103
3.1.1.1. La funzione di utilità del prosecutor………....105
3.1.1.2. La funzione di utilità dell’imputato………...107
3.1.2. La scelta tra il processo e il settlement……….107
3.2. Il modello di Adelstein………....109
3.2.1. Il problema del prosecutor introducendo la variabile tempo………...109
3.2.2. Il problema dell’imputato introducendo la variabile tempo………...111
3.2.3. Il modello dinamico della contrattazione………...112
3.3. Il modello di Grossman e Katz………...114
3.3.1. La diversa funzione di utilità del prosecutor…………..114
3.3.2. Il plea bargaining come insurance device………..116
IV
3.3.4. Il plea bargaining quando gli imputati non sono
egualmente avversi al rischio………..119
4. Conclusioni
………....121CAPITOLO III – IL SISTEMA DEGLI INCENTIVI
NELL
’
ORDINAMENTO ITALIANO
1.
I
L PROCESSO PENALE NELLA PRASSI ITALIANA………..1231.1. Tribunale ordinario di primo grado, rito collegiale…….124
1.2. Tribunale ordinario di primo grado, rito monocratico...127
1.3. La situazione complessiva nei Tribunali ordinari di primo grado………...131
2.
I
F
ATTORI CHE INCIDONO SU ENTRAMBE LE PARTI…...1352.1. Le limitazioni legislative all’ambito di applicabilità…....135
2.2. La tradizione inquisitoria………..140
2.3. Azione penale obbligatoria e predeterminazione dei vantaggi premiali………...146
3. I
L SISTEMA DEGLI INCENTIVI PER CIASCUNA PARTE…148 3.1. Gli incentivi per il p.m………....1493.1.1. La carriera……….149
3.1.2. Il budget……….154
3.2. Gli incentivi per l’imputato………....157
3.2.1. I peculiari incentivi per l’imputato italiano…………...157
3.2.2. I peculiari disincentivi per l’imputato italiano………...160
3.2.2.1. Il sistema delle impugnazioni………..161
3.2.2.2. L’estinzione del reato per prescrizione…………....165
4. Conclusioni
………....173CONCLUSIONI
………....1761
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni crescenti problemi e criticità sembrano caratterizzare il sistema processuale penale italiano, che appare sempre meno capace di garantire in tempi ragionevoli l’accertamento dei fatti dotati di rilevanza penale, nonché l’eventuale e conseguente punizione dei colpevoli. Secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero della Giustizia, il 19% dei procedimenti penali pendenti davanti al Tribunale ordinario e il 39,4% di quelli pendenti davanti alla Corte d’Appello è “a rischio Pinto”, ossia viola il diritto degli imputati ad un processo di durata ragionevole, nella misura definita dalla legge n.89 del 24 marzo 20011. Anche nel confronto con gli altri Stati europei, il sistema italiano si colloca alle ultime posizioni per quanto concerne la capacità di garantire alla collettività e agli imputati un’attuazione tempestiva delle norme penali sostanziali. In base ai dati raccolti dalla Commissione del Consiglio d’Europa per l’efficienza della giustizia (CEPEJ)2, l’Italia
risulta infatti ultima tra tutti i 49 Stati considerati dall’indagine per quanto concerne i tempi medi di definizione dei procedimenti penali: in primo grado occorrono ben 310 giorni, contro una media continentale di 138 giorni; in grado d’appello, invece, occorrono 876 giorni, contro i 143 giorni medi degli altri 48 Stati. Questi dati appaiono particolarmente allarmanti, soprattutto considerando che le conseguenze negative di tale situazione sono in grado di riflettersi ben oltre l’ambito penalistico: come evidenziato dalla stessa CEPEJ, “l’efficienza delle Corti gioca un ruolo cruciale nel preservare lo stato di diritto […] e aiuta a costruire la fiducia nelle istituzioni”3.
L’inefficienza del sistema è in gran parte dovuta al fatto che per quanto concerne le modalità di definizione del procedimento penale le parti processuali continuano a preferire la via del giudizio ordinario piuttosto che ricorrere ai riti speciali introdotti nel 1989 dal vigente Codice di procedura. In effetti, già la Relazione al progetto preliminare del 1988 avvertiva che “il nuovo processo funzionerà se riusciremo a far pervenire al dibattimento soltanto una parte piccola di processi”4 e che,
pertanto, ai riti speciali era “affidata in gran parte la possibilità di funzionamento del procedimento ordinario, che prevede meccanismi di formazione della prova particolarmente garantiti, e quindi non suscettibili di applicazione generalizzata, per evidenti ragioni di 1 “Monitoraggio della giustizia penale - I trimestre” (2019), in https://www.giustizia.it. 2 European judicial systems Efficiency and quality of justice, CEPEJ Studies No. 26
(2018).
3 Ibidem.
4 Relazioni al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale,
2
economia processuale”5. In particolare, tra i riti speciali previsti dal
nuovo Codice, quello dotato delle maggiori potenzialità deflattive risulta essere il c.d. patteggiamento, che consente al giudice di applicare la pena richiesta concordemente dalle parti senza necessità di celebrare il dibattimento. Tuttavia, a più di trent’anni di distanza dall’entrata in vigore del nuovo Codice, il sistema appare ancora in larga misura dipendente dall’utilizzo del giudizio ordinario, mentre i riti speciali rivestono un ruolo piuttosto marginale.
La presente trattazione, dunque, intende individuare le ragioni che spingono le parti processuali italiane a preferire di gran lunga il giudizio ordinario come modalità di definizione dei procedimenti penali, malgrado i vantaggi che le stesse potrebbero conseguire scegliendo di ricorrere ai riti speciali, e al patteggiamento in particolare. A tale scopo, sarà adottato l’approccio metodologico dell’analisi economica del diritto: tale disciplina, impiegando l’apparato concettuale sviluppato dalla scienza economica, consente di studiare le norme giuridiche in base al sistema di incentivi che esse delineano per i consociati, orientandone il comportamento. Dunque, adottando l’approccio dell’analisi economica, la preferenza delle parti processuali per il giudizio ordinario piuttosto che per il patteggiamento sarà trattata come un problema di incentivi mancanti o distorti: l’ordinamento processuale penale, infatti, non appare in grado di orientare le scelte dei consociati nel modo auspicato dal legislatore della riforma del 1989. La presente trattazione, pertanto, non discuterà i vantaggi e gli svantaggi derivanti per l’ordinamento dall’istituto del patteggiamento, ma, considerando tali valutazioni come già compiute dal legislatore, si occuperà solo di comprendere per quali ragioni gli imputati italiani ricorrano in misura così limitata agli istituti di giustizia penale negoziata.
Nel dettaglio, la trattazione verrà sviluppata in tre capitoli, secondo lo schema seguente.
▪ Capitolo I: “Il panorama giuridico”.
Si tratta di un capitolo introduttivo, destinato ad illustrare l’evoluzione storica e la disciplina positiva del patteggiamento italiano e del plea bargaining statunitense.
In particolare, la Sezione I avrà ad oggetto il plea bargaining, in quanto fonte di ispirazione dell’introduzione del patteggiamento nell’ordinamento nazionale e, ancora oggi, importante metro di paragone per valutare l’efficienza dell’istituto italiano. La trattazione della disciplina positiva del plea bargaining a livello federale sarà preceduta da una ricostruzione delle origini storiche dell’istituto: tale esposizione, infatti, consentirà fin da subito di illustrare il peculiare sistema degli incentivi che da più 5 Ibidem.
3
di un secolo induce le parti processuali statunitensi a cercare spontaneamente soluzioni concordate dei casi penali in alternativa al processo.
La Sezione II sarà invece dedicata al patteggiamento. Anche in tal caso verrà seguito il medesimo schema espositivo: in primo luogo saranno illustrate le origini storiche dell’istituto, mentre la disciplina positiva sarà esposta successivamente.
▪ Capitolo II: “I modelli economici del plea bargaining”.
Questo capitolo si aprirà con una introduzione alla analisi economica del diritto, nel corso della quale saranno esposte le origini storiche, le premesse metodologiche e i principali risultati conseguiti da tale disciplina. Inoltre, saranno brevemente spiegati alcuni concetti fondamentali dell’analisi economica, indispensabili per comprendere la trattazione successiva. Nel medesimo capitolo saranno poi illustrati alcuni modelli economici delle controversie legali, a partire da quelli elaborati in riferimento ai casi civili. Successivamente saranno illustrati tre modelli economici della procedura penale, aventi ad oggetto le scelte delle parti processuali statunitensi dinanzi all’alternativa tra concludere un plea bargaining o ricorrere ad un ordinario processo penale.
▪ Capitolo III: “Il sistema degli incentivi nell’ordinamento italiano”.
Si tratta di un capitolo di sintesi, in cui le risultanze emerse dalla trattazione storica e dall’analisi economica saranno confrontate con la prassi dei processi penali in Italia.
La trattazione sarà introdotta da un’indagine statistica, avente come oggetto principale l’impiego delle diverse modalità di definizione dei procedimenti penali in Italia in prospettiva diacronica.
Dopo aver commentato le tendenze riscontrate nella prassi, sarà discussa l’applicabilità dei modelli economici del plea bargaining alla situazione italiana, individuando così la struttura degli incentivi che orienta imputati e pubblici ministeri nella scelta tra il patteggiamento e le altre modalità di definizione dei procedimenti penali, in primis il giudizio ordinario.
4
CAPITOLO I
I
L PANORAMA GIURIDICO
In questo primo capitolo verrà esaminata la disciplina giuridica degli istituti di giustizia penale negoziata nell’ordinamento italiano e in quello statunitense.
In particolare, costituiranno oggetto di discussione:
a) l’istituto statunitense del plea bargaining, che trova oggi la sua disciplina federale nella Rule 11(c) delle Federal Rules of Criminal Procedure;
b) l’istituto italiano della applicazione della pena su richiesta delle parti, denominato “patteggiamento” nella prassi, la cui disciplina positiva è dettata dagli artt. 444 sgg. del c.p.p.
L’esposizione in entrambi i casi verrà sviluppata secondo il seguente schema:
1. Origini storiche dell’istituto; 2. Disciplina positiva.
La prima sezione del presente capitolo sarà dedicata al plea bargaining statunitense per diverse ragioni: innanzitutto esso costituisce, dal punto di vista storico, il primo e più importante esempio di istituto di giustizia negoziata negli ordinamenti penali moderni; in secondo luogo, ha costituito la principale ispirazione per il legislatore italiano al momento dell’introduzione del c.d. patteggiamento nell’ordinamento nazionale
1, rappresentando tuttora un importante metro di paragone per valutare
l’efficienza dell’istituto italiano2; in terzo luogo, esso costituisce il
riferimento per i modelli economici della negoziazione in ambito penale, che saranno esposti nel Capitolo II.
La seconda sezione del presente capitolo sarà invece dedicata, seguendo il medesimo schema espositivo, all’istituto italiano della applicazione della pena su richiesta delle parti.
1 Relazione al Progetto Preliminare del Codice di Procedura Penale, GU Serie
Generale n.250 del 24-10-1988 - Suppl. Ordinario n. 93.
2 Nella medesima relazione l’onorevole Casini prospettava un utilizzo dei riti
alternativi nel 90% dei casi, con una percentuale simile dunque alla prassi statunitense; significativamente il legislatore del 1988 decise di anteporre il Libro VI “Procedimenti speciali” al Libro VII “Giudizio”, che contiene la disciplina del rito ordinario.
5
S
EZIONEI
Il plea bargaining statunitense
1.
O
RIGINI STORICHEL’ordinamento degli USA appartiene alla famiglia delCommon Law3, caratterizzata dalla formazione preminentemente giurisprudenziale del diritto. Questo rende difficile lo stabilire con certezza l’origine di molti istituti giuridici: se infatti negli ordinamenti di Civil Law, nella maggioranza dei casi, la nascita di un istituto è individuata da un atto di diritto positivo contrassegnato da una data certa4, nel Common Law la
genesi degli istituti giuridici consegue tradizionalmente5 ad un’opera
secolare di stratificazione di pratiche giurisprudenziali, che spesso trovano un riconoscimento normativo espresso solo quando già costituiscono componenti essenziali dell’ordinamento complessivo. Questo in effetti è proprio il caso del plea bargaining, che diviene oggetto di disciplina positiva per la prima volta solo nel 19756, dopo aver superato il vaglio di costituzionalità della Corte Suprema nel 19707,
ma che già dai primi anni del Novecento rappresentava nella prassi lo strumento per la risoluzione della stragrande maggioranza dei procedimenti penali8. Inoltre, nel Common Law ogni discorso sulle
origini storiche di un istituto non ha soltanto valenza storiografica, costituendo anzi un importante fattore nella valutazione circa la legittimità di una certa norma nel contesto dell’ordinamento complessivo9. La tipica incertezza storica sulle origini del plea bargaining, unitamente alla sua potenziale contrarietà rispetto a diversi principi costituzionali, fino agli anni Settanta alimentò una accesa diatriba tra quanti ne sostenevano l’atavica esistenza nell’ordinamento, 3 Tra gli altri R.DAVID, Les grands systèmes de droit contemporains, Dalloz, Paris
(1964) e K.ZWEIGERT &H.KOTZ, Introduzione al diritto comparato, Milano, Giuffrè
Editore (1992).
4 Ad esempio, l’applicazione della pena su richiesta delle parti è stata prevista per la
prima volta nell’ordinamento italiano dal Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 447, entrato in vigore il 24 ottobre 1989.
5 Anche se oggi, per il c.d. fenomeno della convergenza dei sistemi giuridici, anche i
Paesi di Common Law “fanno affidamento sempre più spesso su leggi precise, dettagliate, complesse”, vedi F.SCHAUER Il ragionamento giuridico – Una nuova introduzione, Carocci editore, Roma (2018), pp.151 sgg.
6 Federal Rules of Criminal Procedure, Rule 11(c). 7 Brady v. United States, 397 U.S. 742.
8 Negli anni Venti in media l’85% dei casi era risolto sulla base di dichiarazioni di
colpevolezza degli imputati, che sottendevano accordi con la pubblica accusa. Vedi: R.MOLEY, “The Vanishing Jury”, South California Law Review (1928) e ILLINOIS
ASSOCIATION FOR CRIME SURVEY, The Illinois Crime Survey (1929).
9 F.SCHAUER, Il ragionamento giuridico – Una nuova introduzione, Carocci editore,
6
presentandolo dunque come connaturato al sistema e addirittura necessario per il suo corretto funzionamento10, e coloro che al contrario
lo giudicavano un istituto non solo recente, ma addirittura aberrante, frutto di decenni di pratiche corruttive, estranee a ogni forma di pubblicità o legalità e contrarie alla Costituzione federale11. Ormai, la
questione della legittimità costituzionale del plea bargaining è stata risolta da lungo tempo e in maniera univoca12, ma l’analisi delle sue origini storiche presenta ancora un certo interesse, soprattutto perché consente di capire come questo istituto sia intrinsecamente legato a determinate caratteristiche del sistema giudiziario e della cultura statunitense, ma al contempo costituisca la risposta a problemi che risultano comuni a tutti gli ordinamenti penali moderni.
1.1. Un excursus preliminare sulla storia del guilty plea o dichiarazione di colpevolezza
Come già anticipato, la discussione circa le origini storiche dell’istituto vede confrontarsi due posizioni: alcuni ne sostengono la presenza nel sistema da tempi immemori, fino ad ipotizzarne l’origine biblica; altri al contrario lo considerano una risposta a problemi più recenti, quali l’urbanizzazione e l’ipertrofia normativa in materia penale.
Possiamo da subito dire che ogni indagine storica circa le origini dell’istituto è resa difficoltosa da due fattori: innanzitutto, dettagliate informazioni statistiche sulla prassi giudiziaria hanno conosciuto uno sviluppo solo in tempi moderni; in secondo luogo, anche avendo a disposizioni le fonti normative vigenti in epoche più remote, vi è sempre la possibilità che la “law in action” fosse differente dalla “law in the books”13.
10 Tra le dichiarazioni di questo tipo troviamo “Il plea bargaining ha accompagnato
l’intera storia della giurisprudenza penale di questa Nazione” in Bryan v. United States, 492 F.2d 775 (5th Cir. 1974) oppure “Non dovrebbe sorprendere […] che Caino abbia confessato per un’accusa meno grave dopo aver ucciso Abele”, D.J.NEWMAN, “The
Agnew Plea Bargaining”, 10 Criminal Law Bulletin 85 (1974).
11 Uno dei principali critici fu Stephen J. Schulhofer, che per decenni tentò di
dimostrare la possibilità per il sistema penale statunitense di rinunciare al plea bargaining, partendo dalla considerazione della sua origine relativamente recente. Vedi tra gli altri S.J.SCHULHOFER, “Is Plea Bargaining Inevitable?”, Harvard Law Review,
Vol. 97, No. 5 (1984) e “Plea Bargaining as Disaster”, 101 Yale Law Journal (1992). 12 “La gestione delle imputazioni penali attraverso accordi tra il prosecutor e l’accusato, talvolta semplicemente chiamata «plea baragaining», è una componente essenziale dell’amministrazione della giustizia”, Santobello v. New York, 404 U.S. 257 (1971).
13 Vedi tra gli altri JEAN-LOUIS HALPERIN, “Law in Books and Law in Action: The
7
Nonostante queste incertezze, altre pratiche extra-giudiziali, diverse dal plea bargaining, hanno lasciato ricche testimonianze storiche14, mentre
dell’istituto in esame non si rinvengono testimonianze significative antecedenti alla metà dell’Ottocento.
Oltre alla mancanza di testimonianze di questo tipo, anche un’altra considerazione induce gli studiosi ad escludere una origine antica del plea bargaining, ossia il tradizionale disfavore delle corti di Common Law nei confronti del “guilty plea”, o confessione di colpevolezza, che costituisce invece il presupposto per l’applicazione dell’istituto in esame. Le confessioni di colpevolezza erano possibili ancor prima della conquista normanna dell’Inghilterra15, tuttavia i primi trattati di
Common Law indicano che le Corti erano estremamente restie ad accoglierle. Ad esempio, nel 1680 Sir Mathew Hale scriveva: “Laddove l’imputato, dopo aver udito l’accusa […] confessi il crimine, ciò dovrebbe condurre a un verdetto di colpevolezza; ma è comune per le Corti […] consigliare la parte di difendersi e di sottoporsi al processo, e, invece di trascrivere immediatamente la sua confessione, ammetterla a sostenere le proprie difese”16. Le testimonianze come quella di Hale si
rinvengono ancora alla metà del Settecento; in particolare Blackstone, nei suoi celebri Commentaries on the Laws of England, osserva che le Corti alla metà del secolo erano “molto riluttanti nel ricevere e trascrivere [una confessione di colpevolezza] e generalmente consigliavano il prigioniero di ritrattarla”17. La situazione non muta per
buona parte dell’Ottocento, tanto che Jeremy Bentham osservò con tono critico: “In pratica, si è diffusa una sorta di moda tra i giudici per cui, quando un prigioniero ha [rilasciato una dichiarazione di colpevolezza], essi si sforzano di persuaderlo a ritirarla, per sostituirla con una dichiarazione opposta, ossia quella di non colpevolezza”18.
Anche le testimonianze tratte dai verbali dei processi dell’epoca sembrano confermare questo modus operandi delle Corti di Common Law. In particolare, il caso di Stephen Wright nel 1743 appare idoneo a rivelare non solo la riluttanza nell’accogliere dichiarazione di colpevolezza, ma anche ad escludere la possibilità di un plea bargaining in termini moderni, ovvero la concessione di benefici in cambio della
14 È il caso del “compounding”, una pratica di Common Law consistente nel
pagamento di una somma in favore della vittima di un reato, affinché questa non ne promuovesse la repressione in sede penale. Vedi KURLAND & WATERS, “Public
prosecution in England, 1854-1879: An Essay in English Legislative History”, Duke Law Journal 493 (1959).
15 H. ADAMS,H. LODGE,E. YOUNG &J. LAUGHLIN, Essays in Anglo-Saxon Law
(1876), pp.285-288.
16 M.HALE, History of the Pleas of the Crown, S. Emlyn ed., London (1736), p.225. 17 W.BLACKSTONE, Commentaries on the Laws of England, Clarendon Press, Oxford,
(1765-1770), p.329.
8
confessione medesima, oltre che per conseguire il vantaggio (secondario per l’imputato, ma primario per l’amministrazione della giustizia) di evitare gli sforzi che il processo avrebbe comportato. Infatti, le testimonianze dell’epoca riportano come Wright avesse annunciato che si sarebbe dichiarato colpevole di rapina al fine di evitare l’incombenza del processo alla Corte, esprimendo la speranza che la Corte stessa e la giuria avrebbero commutato la condanna a morte, prevista statutariamente per quel crimine. La Corte però replicò che non sarebbe stato possibile rinvenire alcuna circostanza a lui favorevole, se egli non si fosse sottoposto a processo. La vicenda dunque rivela come all’epoca in Inghilterra la rinuncia dell’imputato al processo non fosse avvertita come una concessione degna di essere premiata dal punto di vista del trattamento sanzionatorio19.
Anche negli Stati Uniti d’America la situazione era del tutto analoga a quella della Gran Bretagna, stando a quanto si ricava dalla prima decisione nota di una Corte statunitense circa una dichiarazione di colpevolezza. In Massachusetts nel 1804 un ventenne nero fu accusato di aver violentato una tredicenne bianca, di averla colpita alla testa con una pietra e di averne poi trascinato il corpo nell’acqua, causandone la morte. Quando l’imputato si dichiarò colpevole delle accuse di violenza sessuale e omicidio, “La Corte lo informò delle conseguenze della sua confessione, e che egli non aveva alcun obbligo giuridico né morale di dichiararsi colpevole, ma che aveva il diritto di negare le diverse accuse e di imporre al Governo di provarle. Egli però non ritrattò le dichiarazioni, dunque la Corte gli comunicò che gli avrebbero concesso un tempo ragionevole per considerare quanto gli era stato detto, e lo rimandarono in prigione. Diedero istruzioni al cancelliere di non trascrivere le sue dichiarazioni di colpevolezza, al momento”20. Quando
l’imputato tornò davanti alla Corte, nuovamente si dichiarò colpevole. “Di conseguenza la Corte interrogò, sotto giuramento, lo sceriffo, il carceriere, e il giudice [che aveva condotto l’esame preliminare dell’imputato] con riguardo alla sanità mentale dell’imputato; e se non avessero fatto pressioni su di lui, sia attraverso promesse, offerte o speranze di perdono, se si fosse dichiarato colpevole. Dopo una indagine molto approfondita, non risultando niente del genere, il prigioniero fu nuovamente convocato, e al cancelliere fu ordinato di trascrivere la dichiarazione circa entrambe le imputazioni”21.
19 La vicenda è riportata da J.H.LANGBEIN, “The Criminal Trial before the Lawyers”, University of Chicago Law Review (1978), p.278.
20 Commonwealth v. Battis, Massachusetts 95 (1804). 21 Ibidem.
9
Nell’unica altra decisione statunitense anteriore alla Guerra Civile circa una dichiarazione di colpevolezza22, la Corte invece riuscì a convincere
l’imputato a ritirare la propria confessione23.
Ancora alla fine dell’Ottocento si rinvengono testimonianze di casi trattati in modo analogo. In particolare, la Corte Suprema, nel confermare una condanna basata su una confessione in un caso del 1892, osservò: “La Corte [di prima istanza] si astenne dall’accettare la prima volta la dichiarazione di colpevolezza, gli assegnò un avvocato, e aggiornò per due volte la seduta, per un periodo di diversi giorni, in modo che egli potesse pienamente avvedersi della veridicità, forza ed effetti della sua dichiarazione di colpevolezza”24.
Dunque, lungi dal costituire una pratica tradizionale, il plea bargaining costituiva un istituto del tutto inammissibile nel contesto del Common Law antecedente alla fine dell’Ottocento, considerata l’estrema ritrosia delle Corti nell’ammettere le dichiarazioni di colpevolezza.
Questo atteggiamento giurisprudenziale è spiegato in parte dalla mancanza di fiducia nella veridicità di tali dichiarazioni, correlata dunque al timore di giungere alla ingiusta condanna di un innocente, secondo quanto testimoniato dalle parole di William Auckland, un contemporaneo di Blackstone: “Abbiamo saputo di esempi di omicidi dichiarati, che non furono mai commessi; di cose confessate come rubate, che non erano mai uscite dal possesso del proprietario […] ; non dobbiamo mai consentire, quando può essere evitata, neppure la possibilità di condurre un innocente alla distruzione”25. Secondo
Alschuler, ancora più che da tale fattore, la diffidenza delle Corti era giustificata dal fatto che, all’epoca, gli autori di crimini non erano assistiti da un avvocato26. Un’ulteriore ragione di tale atteggiamento riluttante era la previsione della pena di morte come sanzione per quasi ogni crimine27, il che avrebbe reso gli effetti di un errore giudiziario ancor più dannosi di quelli possibili in un ordinamento penale moderno. Il plea bargaining dunque appare incompatibile con l’assetto del Common Law precedente alla fine dell’Ottocento, innanzitutto perché le dichiarazioni di colpevolezza erano osteggiate in sé, ma ancora di più e soprattutto perché nessuna dichiarazione di questo tipo sarebbe stata
22 A.W.ALSCHULER, “Plea Bargaining and Its History”, 79 Columbia Law Review 1
(1979), p.10.
23 United States v. Dixon, 1 D.C., 414 (1807). 24 Hallinger v. Davis, 146 U.S., 314 (1892).
25 W.AUCKLAND, Principles of Penal Law, London (1771), p.167.
26 A.W.ALSCHULER, “Plea Bargaining and Its History”, 79 Columbia Law Review 1
(1979), p.11.
27 In realtà, anche quando la pena di morte raggiunse l’apice del suo impiego in
Inghilterra nel 1819, costituendo la sanzione prescritta per più di 220 crimini, delle 1254 condanne a morte pronunciate nell’anno precedente, solo 97 furono eseguite. Vedi C.COTTU, On the Administration of Criminal Justice in England, London (1822).
10
mai ammessa come espresso corrispettivo di una riduzione di pena, o di un trattamento generalmente più favorevole. Questo principio di diritto fu esposto nel modo più chiaro in Inghilterra nel caso Rex v. Warickshall del 1783, in cui la Corte dichiarò inammissibile ogni confessione ottenuta “mediante promessa di favori”28. Ancora alla fine
dell’Ottocento negli Stati Uniti la considerazione circa le dichiarazioni ottenute come corrispettivo di trattamenti più miti era la medesima: “Una confessione forzata dalla lusinga della speranza […] si presenta in una forma così discutibile che non gli può essere concesso alcun credito”29.
1.2. L’istituto dell’approvement
Una pratica di Common Law risalente a prima del XVII secolo, e che presenta alcune somiglianze con il moderno plea bargaining, è il c.d. approvement.
In base all’approvement, un accusato poteva confessare la propria colpevolezza e offrirsi di promuovere un’azione penale30 contro gli altri
partecipanti al crimine di cui era accusato; il giudice avrebbe in seguito bilanciato i benefici dell’azione intrapresa con la possibilità di graziare l’accusato partecipante all’approvement. Se costui fosse riuscito a far condannare i veri autori del crimine di cui era accusato, sarebbe stato automaticamente degno del pardon, ossia del perdono giudiziale31. La
scelta del giudice se accettare l’offerta dell’imputato di divenire approver era “una questione di grazia e discrezionalità32”.
Tuttavia, anche questa limitata forma di bargaining fu criticata dai giuristi dell’epoca; in particolare, Sir Matthew Hale argomentò che “un maggiore danno proviene agli uomini buoni da questi approvements rispetto ai benefici addotti alla collettività dall’individuazione e dalla condanna dei veri colpevoli”33.
Al più tardi attorno alla metà del XVII secolo, la pratica dell’approvement cadde in disuso. Tuttavia, essa rimase “parte del common law”34 e i giudici la considerarono rilevante nel modellare una forma di bargaining for information che continuò ad esistere fino alla fine del XVIII secolo, sia in Inghilterra che negli Stati Uniti. In base a questa più recente pratica, agli accusati non era più richiesto di condurre
28 Rex v. Warickshall (1783).
29 Bram v. United States, 168 U.S., 532 (1897).
30 All’epoca di diffusione dell’approvement non esisteva un organo di pubblica accusa,
essendo questo compito lasciato ai privati che erano risultati danneggiati dal crimine.
31 A.W.ALSCHULER, “Plea Bargaining and Its History”, 79 Columbia Law Review 1
(1979), p.14.
32 M.HALE, History of the Pleas of the Crown, S. Emlyn ed., London (1736), p.226. 33 Ibidem.
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un’azione penale privata, né di assicurare la condanna dei sodali, bensì un imputato poteva essere ammesso a testimoniare contro un suo complice, guadagnando così un “titolo valutabile”35 per la concessione
del perdono da parte del giudice.
Fino alla metà dell’Ottocento i giudici negli USA impedirono ai prosecutors36 di contrattare per ottenere testimonianze, stabilendo che il potere di accordare trattamenti di favore in cambio di informazioni era “per sua natura un potere del giudice”37. Nei c.d. Whiskey Cases del
1878, tuttavia, la Corte Suprema degli Stati Uniti rilevò come un gran numero di giurisdizioni avesse consentito ai prosecutors di sostituire il giudice del dibattimento nel decidere se consentire a un complice di testimoniare e ottenere di conseguenza il perdono38. La Corte allora sembrò favorire questo sviluppo della prassi, avendo rilevato che il prosecutor, a differenza del giudice, poteva meglio stabilire la necessità della testimonianza di un complice, essendo a conoscenza del quadro probatorio che si andava delineando39.
Questa pronuncia della Corte Suprema presenta interesse non solo per conoscere l’istituto dell’accomplishment, ma anche per capire quale fosse la considerazione del plea bargaining all’epoca. In effetti, nei c.d. Whiskey Cases l’accordo per la testimonianza era correlato a un plea bargaining: gli imputati si erano accordati per dichiararsi colpevoli in riferimento a uno dei capi di imputazione e per testimoniare circa un accordo corruttivo che coinvolgeva alcuni funzionari dell’Internal Revenue Service40, nonché per ritirare alcune dichiarazioni difensive rese nel correlato giudizio civile per danno; in cambio il prosecutor aveva accettato di rinunciare all’azione penale con riguardo agli altri capi di imputazione, nonché all’azione civile con riguardo a determinate pretese. Il caso giunse all’attenzione dei giudici poiché il prosecutor aveva violato la parte dell’accordo concernente la rinuncia alle pretese in sede di responsabilità civile. La Corte Suprema allora riconobbe che gli imputati, mediante la propria testimonianza, avevano effettivamente reso un servizio all’amministrazione della giustizia, guadagnandosi un titolo valutabile equitativamente ai fini del perdono; tuttavia, al 35 Ibidem.
36 I prosecutors, ossia gli organi della pubblica accusa nel sistema giudiziario
statunitense, gestiscono in totale autonomia il procedimento che conduce al plea bargaining, il quale può essere visto appunto come un contratto tra il prosecutor e l’imputato, mentre al giudice è assegnato solo un ruolo successivo, ossia quello di verificare il rispetto delle condizioni poste dalla legge per la conclusione di un plea bargaining valido ed efficace. A.W.ALSCHULER, “Plea Bargaining and Its History”,
79 Columbia Law Review 1 (1979), p.36.
37 People v. Whipple, 9 Cow. 707, 712 (N.Y.O.&T. 1827). 38 The Whiskey Cases, 99 U.S. 594, 603 (1878).
39 Ibidem.
40 Si tratta dell’agenzia governativa deputata alla riscossione dei tributi federali negli
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contempo, la Corte Suprema stabilì che il prosecutor aveva ecceduto i limiti della propria autorità nel concludere l’accordo, il quale dunque non era giuridicamente vincolante41, poiché non si poteva pretendere una dichiarazione di colpevolezza come parte del sinallagma.
I Whiskey Cases dunque dimostrano ancora una volta la tradizionale diffidenza dei giudici verso le confessioni di colpevolezza, escludendo espressamente che esse potessero costituire elemento di un accordo vincolante con la pubblica accusa. Tuttavia, già fanno percepire una certa apertura alla possibilità per gli organi della pubblica accusa di accordarsi per la concessione di benefici agli imputati, mentre in tempi di poco precedenti le decisioni in materia erano considerate prerogativa esclusiva del giudice e non del prosecutor42.
1.3. L’emergere del plea bargaining
1.3.1. Il plea bargaining prima della Guerra Civile
Da quanto esposto nella sezione precedente, risultano due circostanze che portano ad escludere l’esistenza della pratica del plea bargaining almeno fino alla fine del XIX secolo: da un lato i giudici, sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, erano particolarmente restii ad accettare confessioni di colpevolezza, tentando in ogni modo di far ritrattare gli imputati, in modo che si potessero difendere nel corso di un ordinario processo; dall’altro lato simili confessioni, qualora fossero state ammesse, non potevano in nessun modo costituire il corrispettivo per un trattamento sanzionatorio di favore.
Nonostante ciò, si possono rinvenire alcune testimonianze circa l’esistenza di pratiche che potrebbero ricordare il plea bargaining43 . È
opportuno fin da ora anticipare, tuttavia, che si tratta di pratiche circoscritte a determinate fattispecie criminose o a contesti storici e territoriali ben individuati.
Il primo esempio è individuato dal professor Langbein44, il quale riporta uno statuto inglese risalente al 1485 che, in riferimento ai procedimenti
41 The Whiskey Cases, 99 U.S. 594, 606 (1878).
42 Vedi supra People v. Whipple, 9 Cow. 707, 712 (N.Y.O.&T. 1827).
43 Il professor Alschuler in “Plea Bargaining and Its History”, 79 Columbia Law Review 1 (1979), pp. 16 e seguenti, individua quattro testimonianze di questo tipo in tutta la storia anteriore alla Guerra Civile americana; tuttavia una di queste è talmente episodica che non è parso opportuno riportarla. Si tratta infatti di un singolo caso, avvenuto nel 1749 in Massachusetts all’epoca della dominazione britannica, in cui tre imputati si dichiarano colpevoli di furto dopo che il Procuratore Generale aveva annunciato che in tal caso non li avrebbe perseguiti per furto con scasso, come invece previsto nell’imputazione originaria. La vicenda è tratta da D.FLAHERTY, “Criminal
Justice in Provincial Massachusetts”, Acts of the Conference on Atlantic Society, University of Edinburgh (1973).
44 J.LANGBEIN, Prosecuting Crime in the Renaissance: England, Germany, France
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penali per caccia di frodo, consentiva al giudice di condannare l’imputato a titolo di summary offence qualora questi avesse confessato, ma a titolo di felony45 qualora avesse negato la propria responsabilità46. Il secondo esempio è fornito da una analisi47 condotta su circa cinquemila processi tenuti dalle corti itineranti nel c.d. Home Circuit48
tra il 1558 e il 1625. Dai dati risulta che, per i primi trent’anni del periodo considerato, le confessioni di colpevolezza erano praticamente sconosciute; in seguito, per un periodo di soli due o tre anni “cinque o sei prigionieri [ad ogni seduta] – talvolta la metà di quelli iscritti nel calendario – confessavano e venivano condannati senza proseguire nel processo”49. Per di più, in alcuni casi, le imputazioni rispetto alle quali
gli imputati confessavano erano differenti da quelle originarie: ad esempio, le accuse di furto con scasso erano ridotte ad accuse di furto, mentre quelle di furto erano degradate da felonies a misdemeanors50
riducendo il valore stimato della cosa rubata. Questo tipo di pratica sembra effettivamente anticipare il moderno plea bargaining e si diffuse in un periodo in cui le contee comprese nell’Home Circuit si trovarono a fronteggiare “un crescente tasso di criminalità, un sistema locale di repressione penale inadeguato […] e un alto tasso di assoluzioni”51.
Quindi il sorgere della pratica, a parere del professor Cockburn, rappresentò una componente di un più ampio fenomeno di illegalità che caratterizzava l’amministrazione della giustizia fuori dalla zona di Londra in quel periodo. In effetti, negli anni seguenti la pratica scomparve e le confessioni si registrarono solo nel 15-20% dei casi considerati dalle corti itineranti52.
45 Una summary offence consiste in un crimine meno grave e dunque punito in modo
meno severo; la felony è al contrario un crimine più grave, punibile con la detenzione o la morte. La distinzione tra summary offences e felonies esiste tuttora negli USA.
46 Lo statuto in esame consentiva questa differenziazione di trattamento trattando la
caccia di frodo in sé come summary offence punibile con una pena pecuniaria, mentre l’occultamento davanti a una Corte del crimine compiuto come felony.
47 J.S.COCKBURN, “Trial by the Book? Fact and Theory in the Criminal Process,
1558-1625”, Legal Records and the Historian (1978).
48 Le corti itineranti, dette assizes, operarono in Inghilterra e Galles dal 1166 almeno
fino al 1972; esercitavano la giurisdizione sia in materia civile che, soprattutto, penale, ed erano organizzate in diversi circuiti; in particolare lo Home Circuit cui si riferiscono i dati in esame comprendeva le contee di tutta l’Inghilterra meridionale. Vedi O.HOOD
PHILLIPS, A First Book of English Law, Sweet & Maxwell, London (1960) pp.54-55 e J.H.BAKER, An Introduction to English Legal History, Butterworths (1990).
49 J.S.COCKBURN, “Trial by the Book? Fact and Theory in the Criminal Process,
1558-1625”, Legal Records and the Historian (1978) p.73.
50 La distinzione tra felony e misdemeanor richiama quella tra felony e summary
offence esposta sopra, vedi nota 46.
51 J.S.COCKBURN, “Early Modern Assize Records as Historical Evidence”, 5 Journal of the Society of Archivists 4 (1975), p.273.
52 Secondo il professor Alschuler dunque si trattò di una “breve aberrazione”; A.W.
ALSCHULER, “Plea Bargaining and Its History”, 79 Columbia Law Review 1 (1979)
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Infine, il terzo esempio è costituito dalla testimonianza del giurista francese Charles Cottu, contenuta in alcuni report sull’amministrazione della giustizia in Inghilterra che egli predispose agli inizi dell’Ottocento per conto del governo francese53. Egli testimonia che quando un imputato si trovava a fronteggiare l’accusa di falsificazione di banconote, venivano preparate due imputazioni: una per falsificazione, punita con la morte; l’altra solo per possesso di banconote false con l’intento di usarle a scopo di truffa, punita con la deportazione nelle colonie per un numero variabile di anni. Successivamente, un procuratore in rappresentanza della banca frodata si sarebbe accordato con l’avvocato dell’imputato nei seguenti termini: se questi si fosse dichiarato colpevole, egli sarebbe stato condannato per il capo di imputazione meno grave, poiché il procuratore avrebbe rinunciato a provare l’integrazione della fattispecie più grave punita con la morte. Ciò che sorprese Cottu fu la totale pubblicità della pratica: “Non sia dato pensare che una così incredibile transazione avvenga nell’oscurità e nel segreto: no, tutta la faccenda avviene in udienza aperta, alla presenza del pubblico, del giudice e della giuria”54. Tuttavia, lo stesso Cottu afferma
che si trattava di una pratica speciale, prevista per i soli casi di falso nummario, confermando quanto esposto nella precedente sezione del presente lavoro: se infatti un imputato intendeva dichiararsi colpevole “il giudice, il cancelliere, il carceriere, quasi tutto il collegio della difesa, persino l’accusatore, lo persuadevano a tentare la possibilità di ottenere una assoluzione”55.
Passando a considerare la situazione negli Stati Uniti, i dati statistici presentano una situazione in evoluzione. Uno studio riguardante il tasso di dichiarazioni di colpevolezza nello Stato di New York56 effettuato negli anni Venti rilevò che nel 1839 soltanto il 15% di tutte le condanne per felony a Manhattan e Brooklyn erano basate su una dichiarazione di colpevolezza (guilty plea), ma che questa percentuale crebbe in modo costante decade dopo decade, crescendo fino all’80% alla fine dell’Ottocento; tale percentuale rimase successivamente stabile fino al 1919, quando crebbe a più dell’85%, raggiungendo il 90% nel 192657.
53 C.COTTU, On the Administration of Criminal Justice in England, London (1822). 54 Ibidem.
55 Ibidem.
56 R.MOLEY, “The Vanishing Jury”, 1 South California Law Review 1 (1928). 57 Il tasso di condanne a seguito di dichiarazioni di colpevolezza provenienti dagli
imputati continuò a crescere ulteriormente, raggiungendo addirittura il 97% di tutte le condanne per felony negli anni Settanta; vedi VERA INSTITUTE OF JUSTICE, Felony Arrest: Their Prosecution and Disposition in New York’s City Courts (1977). Questo tasso persiste ancora al giorno d’oggi in tutti gli Stati Uniti: vedi UNITED STATES
SENTENCING COMMISSION, 2018 Federal Sentencing Statistics (August 2019), da cui risulta che il 97,4% di tutti i casi federali è risolto sulla base di dichiarazioni di colpevolezza dell’imputato, mentre solo nel 2,6% dei casi è scelta la via del processo.
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1.3.2. Le prime reazioni giurisprudenziali al plea bargaining
Nel periodo successivo alla Guerra Civile, iniziano ad apparire nei report delle Corti d’appello statunitensi i primi casi di plea bargaining. La prima testimonianza risale a un caso trattato nel 1865 in Tennessee, in cui un imputato si era dichiarato colpevole di due capi di imputazione per gioco d’azzardo, in base a un accordo col prosecutor, il quale in cambio avrebbe rinunciato all’azione in riferimento ad altre otto accuse della stessa specie. La Corte Suprema del Tennessee osservò: “[L’imputato fu] avvisato dal Procuratore Generale, tra altre cose altamente irregolari, che se non avesse accettato, sarebbe andato in prigione, e che egli avrebbe potuto provare con certezza la sua colpevolezza. La confessione fu rilasciata, mentre il prigioniero stava contestando la propria colpevolezza, perché, date le circostanze, essa costituiva il massimo che avrebbe potuto ottenere”58. La Corte Suprema dello Stato dunque ordinò la celebrazione di un nuovo processo, basato su una dichiarazione di non colpevolezza, considerando incostituzionale il precedente accordo: “In base alla Costituzione dello Stato, l’accusato, in tutti i casi, ha il diritto ad un ‘processo pubblico e rapido’, e questo diritto non può essere vinto da nessun inganno o consiglio di sorta”59. Nel pronunciarsi su casi simili, le Corti offrirono un catalogo di obiezioni, sia pratiche sia teoriche, al plea bargaining, che sembrano ricalcare quelle ancora oggi sollevate dai critici della prassi.
In particolare, la Corte Suprema del Wisconsin nel 1877, considerando il caso di un imputato che si era assicurato una condanna mite dichiarandosi colpevole e offrendo la propria testimonianza contro altri accusati, qualificò tale accordo come “difficilmente, se non per nulla, distinguibile in via di principio da una diretta vendita di giustizia”60.
I casi di questo tipo si moltiplicarono negli anni seguenti, ma la reazione delle Corti si mantenne sempre simile, almeno fino ai primi anni del Novecento.
Ad esempio, la Corte Suprema della California nel 1871 dichiarò “Quando c’è ragione di credere che la dichiarazione [di colpevolezza] sia stata presentata con avventatezza e principalmente per la speranza che la punizione, cui l’accusato sarebbe altrimenti esposto, potesse essere di conseguenza mitigata, la Corte dovrebbe essere indulgente e permettere che la dichiarazione venga ritirata”61.
Nello stesso senso si pronunciava ancora ai primi del Novecento la Corte Suprema del Mississippi, escludendo espressamente che una
58 Swang v. State, 42 Tennessee, 2 Cold., (1865). 59 Ibidem.
60 Wight v. Rindskopf, 43 Wisc. (1877). 61 People v. McCroy, 41 Cal. (1871).
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dichiarazione di colpevolezza potesse costituire elemento su cui fondare un trattamento sanzionatorio mitigato: “Dal momento che la dichiarazione di colpevolezza è spesso resa perché l’imputato suppone che riceverà di conseguenza qualche favore dalla Corte nella condanna, è pratica di tradizione inglese non ricevere tale dichiarazione a meno che essa non sia reiterata dall’imputato dopo essere stato informato che una simile dichiarazione non comporterà alcuna variazione nella punizione”62.
La stessa preoccupazione è condivisa negli stessi anni dalla Corte Suprema della Florida, la quale vuole chiarire come una dichiarazione di colpevolezza debba essere del tutto genuina, non dovendo in particolare essere resa come elemento di un accordo sinallagmatico: “La dichiarazione [di colpevolezza] dovrebbe essere interamente volontaria [nonché resa] da qualcuno competente nel conoscerne le conseguenze e non dovrebbe essere indotta da timore, incomprensione, persuasione, promesse, avventatezza o ignoranza”63.
La Corte Suprema in questo periodo non si pronunciò espressamente sul tema del plea bargaining64, ma un caso di diritto civile dimostra la sua riluttanza nel consentire che le parti potessero negoziare la rinuncia ai propri diritti in sede processuale65. Nel caso in questione, la Corte Suprema ebbe modo di osservare incidentalmente che se le parti di un contratto privato non possono rinunciare al processo ordinario per controversie sorte in dipendenza del contratto, a maggior ragione in un caso di diritto penale l’imputato non avrebbe potuto “essere processato in un modo diverso che da una giuria di dodici uomini”66.
Lo stesso atteggiamento di diffidenza nei confronti delle dichiarazioni di colpevolezza è condiviso dalla dottrina dell’epoca, in particolare da Thomas M. Cooley, autore di riferimento per il diritto costituzionale statunitense nel XIX secolo. Egli, nella sua fondamentale opera Treatise on the Constitutional Limitations, innanzitutto afferma che una condanna non può essere basata esclusivamente sulle dichiarazioni dell’imputato, dovendo queste essere sorrette da riscontri esterni, o 62 Deloach v. State, 77 Miss. (1900). La Corte dunque fa riferimento alla tradizionale
ritrosia delle Corti d’Inghilterra nell’ammettere dichiarazioni di colpevolezza, esposta nella sezione precedente, come ancora caratterizzante l’ordinamento di Common Law degli Stati Uniti.
63 Pope v. State, 56 Fla., (1908).
64 Escludendo i Whiskey Cases del 1878, in cui l’oggetto principale di discussione era
la possibilità per il prosecutor di concludere accordi di approvement, ma che costituirono l’occasione per la Corte Suprema per dichiarare invalido il connesso plea bargaining concluso tra l’imputato e il prosecutor. Vedi supra nota 42.
65 U.S. 87, 20 Wall. (1874). Il caso riguardava una legge del Wisconsin che imponeva
alle compagnie di assicurazioni, per poter operare nello Stato, di rinunciare al proprio diritto di trasferire la discussione di una causa civile da una Corte statale a una Corte federale.
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almeno non essere contrastate da evidenze di segno contrario. Inoltre, “per rendere ammissibile in ogni caso [la confessione di colpevolezza], dovrebbe apparire che essa fu resa volontariamente, e che nessun motivo di speranza o paura fu impiegato per indurre l’accusato a confessare”67.
Pertanto, è del tutto esclusa la logica dello scambio, che invece dominerà la concezione dell’istituto del plea bargaining e fonderà il successivo riconoscimento della sua legittimità costituzionale. Del resto, per tutto l’Ottocento, i costi sostenuti dall’ordinamento per ottenere una condanna in esito a un ordinario processo non erano ancora percepiti come un problema. Per di più, nell’analisi di Cooley, ogni confessione resa in cambio di una utilità risulta equiparata, ai fini della legittimità, a una dichiarazione resa in seguito a tortura; infatti, egli afferma che “se le speranze o le paure della parte sono sfruttate per indurlo a renderla, tale fatto sarà sufficiente a impedire che la confessione sia accettata; la regola in questa materia è così rigida che persino dire al prigioniero che sarà meglio per lui confessare […] renderebbe inammissibile la dichiarazione ottenuta in questo modo”68. Peraltro Cooley, commentando la giurisprudenza statunitense, si mostra favorevole all’indirizzo più restrittivo in materia; quest’ultimo portava a ritenere inammissibili le dichiarazioni di colpevolezza rese per la speranza di un trattamento sanzionatorio mitigato, non solo quando le rassicurazioni in tal senso erano state rese all’imputato da soggetti dotati di autorità, come appunto il prosecutor o gli agenti di polizia, ma in ogni caso, anche quando tali rassicurazioni fossero provenute da soggetti estranei alla dinamica processuale. La primaria preoccupazione della giurisprudenza e della dottrina dell’epoca sembra infatti quella di garantire appieno il diritto contro la self-incrimination, preservando con rigore i principi fondanti del sistema accusatorio69.
Ancora alla fine dell’Ottocento la dottrina era allineata sulle medesime posizioni: “È universalmente riconosciuto come abuso di discrezionalità da parte del giudice non consentire il ritiro di una dichiarazione di
67 T.M. COOLEY, A Treatise on the Constitutional Limitations which rest upon the Legislative Power of the States of the American Union, Second edition, Boston (1871), p. 336.
68 Ibidem, p. 338.
69 “Un requisito molto più importante è che il procedimento per stabilire la
colpevolezza non debba essere inquisitorio. Una peculiare eccellenza dei sistemi processuali di common law rispetto a quelli che hanno prevalso nelle altre Nazioni civilizzate, consiste nel fatto che l’accusato non è mai costretto a fornire prove contro sé stesso”, ibidem, p.335. Come vedremo nel seguito della trattazione, al contrario, l’esistenza di istituti di giustizia negoziata sarà invece percepita dal legislatore italiano proprio come una caratteristica essenziale per il funzionamento concreto di un sistema processuale di stampo accusatorio; vedi Relazione al Progetto Preliminare del Codice di Procedura Penale, G.U. Serie Generale n.250/1988 - Suppl. Ordinario n. 93.
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colpevolezza, quando essa è stata resa per la speranza che la punizione, cui l’accusato sarebbe stato esposto, potesse essere mitigata”70.
1.3.3. Il diffondersi del plea bargaining
Malgrado l’atteggiamento ostile delle Corti superiori, la pratica del plea bargaining divenne sempre più diffusa nella prassi di molte Corti inferiori, in particolare nelle zone più urbanizzate.
Secondo la testimonianza di un giocatore d’azzardo, almeno a partire dal 1885 il Sindaco della città di Providence in Rhode Island agiva come intermediario nel concludere accordi di plea bargaining con il Procuratore Generale dello Stato in materia di gioco d’azzardo71.
Albert J. Harno, Dean della Law School dell’Università dell’Illinois, scriveva nel 1928: “Quando nei verbali si trova una dichiarazione di colpevolezza, quasi certamente essa ha sullo sfondo una sessione di negoziazione col procuratore dello Stato. […] Questi contatti, specialmente nella Contea di Cook, sono frequentemente realizzati tramite un’altra persona, chiamata ‘fixer’. Un soggetto di questo tipo è un abominio, ed è una minaccia per il nostro sistema di giustizia penale che una simile sanguisuga non solo possa esistere, ma addirittura prosperare”72. Dunque, nonostante le affermazioni che si possono
rinvenire nelle sentenze delle Corti Supreme dei vari Stati federali, la prassi testimonia la conclusione di plea bargaining in modo tanto frequente da consentire addirittura l’esistenza di una figura professionale la cui attività consisteva proprio nel favorire la conclusione di simili accordi.
Anche secondo la testimonianza di alcuni procuratori che avevano iniziato la loro carriera negli anni Venti “la corruzione era divenuta la norma” nell’ambito giudiziario73. Si racconta di un avvocato che era
solito offrire la metà del proprio onorario a un ispettore di polizia per imbastire un plea bargaining e che, se questi avesse rifiutato l’offerta, avrebbe restituito l’intera somma al proprio cliente74.
Secondo Alschuler la rapida e capillare diffusione del plea bargaining si spiega perché questa pratica ricalcava la struttura di un vero e proprio mercato, nel quale per definizione non si conclude uno scambio se non vi è l’accordo, dunque l’interesse, di entrambe le parti: questo genere di accordi dunque produceva contraenti soddisfatti e di conseguenza le
70 M.W.HOPKINS, “Withdrawal of Plea of Guilty”, 11 Criminal Law Magazine (1889),
p.484.
71 A.GARDNER, Canfield: the true story of the greatest gambler (1930).
72 A.J.HARNO, “The Working of the Parole Board and its Relation to the Court”, 19 American Institute of Criminal Law and Criminology (1928).
73 Dichiarazione di Benjamin M. Davis riportata in A.ALSCHULER, “The Defense
Attorney’s Role in Plea Bargaining”, 84 Yale Law Journal 1179 (1975).
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revisioni del processo erano rare75. Dunque, malgrado la condanna della pratica da parte delle Corti d’appello e delle Corti Supreme, i casi di questo tipo giungevano all’attenzione di queste Corti solo in rari casi, tant’è che la prassi si era sviluppata e diffusa nel, per così dire, sottobosco del sistema giudiziario americano, ma non emerse all’attenzione della dottrina e dell’opinione pubblica fino agli anni Venti.
1.4. La scoperta del plea bargaining da parte delle Crime
Commissions negli anni Venti
Durante gli anni Venti, un certo numero di Stati e amministrazioni di città commissionarono delle ricerche statistiche sul sistema di amministrazione della giustizia penale, le quali fornirono un quadro della situazione molto più dettagliato di quanto possibile negli anni precedenti.
I dati rivelarono una profonda dipendenza del sistema dalle dichiarazioni di colpevolezza: l’85% di tutte le condanne per delitti a Chicago erano fondate su una dichiarazione di colpevolezza, registrandosi percentuali piuttosto elevate in ogni parte degli Stati Uniti, dal 74% di Pittsburgh fino al 90% di Minneapolis76.
È interessante rilevare come tale preponderanza delle dichiarazioni di colpevolezza fosse apparsa come una notevole sorpresa per gli osservatori contemporanei77. In effetti, tutte queste indagini statistiche
inizialmente erano state commissionate per esaminare in profondità altri aspetti dell’amministrazione della giustizia penale, principalmente il fenomeno degli abusi nel disporre l’archiviazione, senza dedicare alcuna attenzione al fenomeno del plea bargaining, così strettamente legato alle dichiarazioni di colpevolezza78.
Secondo Albert Alschuler79, questa mancata consapevolezza circa
l’effettiva pratica delle Corti inferiori si spiega proprio per la creazione di una sorta di subcultura in questo ambito della giurisdizione penale. In effetti, le decisioni delle Corti inferiori erano raramente revisionate dalle Corti d’Appello, specialmente nel caso del plea bargaining poiché esso, come detto sopra, costituiva un accordo in grado di soddisfare entrambe le parti, dunque non idoneo a far sorgere un interesse all’impugnazione. 75 A. ALSCHULER, "Plea Bargaining and Its History," 79 Columbia Law Review 1
(1979), p.26.
76 R.MOLEY, “The Vanishing Jury”, 1 South California Law Review 1 (1928). 77 A.ALSCHULER, "Plea Bargaining and Its History," 79 Columbia Law Review 1
(1979), p.26.
78 La prima indagine statistica approfondita sull’amministrazione della giustizia penale
fu realizzata a Cleveland nel 1921, ma fino a quella commissionata dallo Stato del Missouri nel 1926 il fenomeno del plea bargaining non costituì un focus delle indagini.
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Pertanto, i risultati di queste indagini produssero un “genuino senso di shock”80 presso i professionisti che operavano nelle Corti superiori, gli
accademici e l’opinione pubblica.
Secondo le parole di Raymond Moley, contemporaneo ai fatti, “il pubblico apprese quanto lo spirito di un’asta aveva iniziato a dominare l’amministrazione della giustizia”81; inoltre aggiunse che “la difficoltà
con cui erano portati alla luce i fatti riguardanti questa partica mostrò quanto fosse facile per i prosecutors indulgere in una sorta di compromesso, senza sollecitare l’opinione pubblica”82.
1.4.1. La crescita costante del plea bargaining e i suoi effetti sull’ordinamento
Le indagini statistiche avviate a partire dagli anni Venti mostrarono che nelle Corti federali nel 1908 il 50% di tutte le condanne erano basate su dichiarazioni di colpevolezza, ma tale percentuale, dopo essere rimasta all’incirca costante, crebbe fino al 72% nel 191683. Tuttavia, il numero
totale dei casi discussi davanti alle Corti federali diminuì durante il 1916, quindi tale aumento non può essere attribuito alla pressione del carico dei casi pendenti; l’American Law Institute commentò “Sembrerebbe che i modi di perseguire i crimini siano improvvisamente cambiati in quell’anno. […] Un metodo di gestire i casi che può essere definito ‘la tecnica del guilty plea’ conobbe un uso estensivo”84.
Quando l’opinione pubblica, gli accademici e l’elite del sistema giudiziario statunitense vennero a conoscenza della diffusione così pervasiva dell’istituto, i tempi erano ormai troppo avanzati per poter porre in atto un rimedio efficace, in grado di contrastare una pratica la cui considerazione non era mutata, almeno sul piano dei principi, rispetto al secolo precedente.
In effetti, gli anni Venti videro una crescita eccezionale nel numero totale dei casi trattati dalla giustizia penale a causa delle leggi proibizionistiche. Se infatti la pratica era nata e si era diffusa a prescindere dalla necessità di smaltire un numero di casi particolarmente elevato, la pressione generata da questa legislazione rese materialmente impossibile ogni marcia indietro nell’evoluzione del sistema penale. Pertanto, già nel 1925 la percentuale di condanne basate su dichiarazioni di colpevolezza aveva ormai raggiunto il 90%85, ossia una quota vicina a quella odierna.
80 Ibidem.
81 R.MOLEY, “The Vanishing Jury”, 1 South California Law Review 1 (1928). 82 Ibidem.
83 AMERICAN LAW INSTITUTE, A Study of the Business of the Federal Courts, pt. I
(1934).
84 Ibidem. 85 Ibidem.