3. LE CONSEGNE STRAORDINARIE
3.1. EVOLUZIONE DEL PROGRAMMA
3.2.2. SISTEMATICITA’ DELLE OPERAZIONI DI CONSEGNA
La descrizione delle operazioni di consegna straordinaria avverrà attraverso l’analisi di alcuni casi che verranno approfonditi nei capitoli successivi. In questo paragrafo, verranno fatti dei richiami a casi specifici, al solo fine di trarre da essi degli elementi comuni, i quali ci consentono di capire meglio come, in concreto, le operazioni di consegna si sono sviluppate nel corso degli anni, in molte parti del mondo, ma seguendo un filo conduttore unico.
Analizzando i racconti di testimoni o di vittime che sono state rilasciate possiamo cogliere degli elementi comuni, grazie ai quali capiamo che la materia cui ci troviamo davanti non è costituita da episodi sparsi e isolati, ma fa parte di un sistema, anche se i singoli casi non hanno effettivamente nessuna connessione uno con l’altro. Secondo le testimonianze, ciò che risalta subito è il metodo usato dalla CIA per svolgere le consegne straordinarie. In ogni singolo episodio, l’operazione viene portata avanti in uno specifico modo, identico agli altri. Possiamo quindi parlare di un preciso modo d’agire in questo tipo di attività, svolte da un gruppo
64 MARTY, Alleged secret detentions and unlawful inter-state transfer of detainees involving Council of Europe member states, 12 giugno 2006, Doc. 10957, par. 49 55.
scelto di agenti, probabilmente altamente istruiti appositamente per questo tipo di operazioni.
Occorre analizzare il comportamento degli agenti della CIA, tenendo sempre presenti le norme internazionali sui diritti umani. In tutti i trattati internazionali in materia, possiamo trovare una disposizione che afferma, in termini assoluti, il diritto di ogni individuo, sia esso innocente, presunto colpevole, riconosciuto colpevole di qualsiasi reato, dal più leggero fino a quello di associazione ai fini di terrorismo, di non essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni inumani o degradanti. E’, questo, un diritto assoluto che non ammette eccezioni, neanche dalla norma che permette agli agenti dello Stato di poter fare ricorso all’uso della forza per compiere un arresto regolare. Questa norma, infatti, anch’essa riconosciuta a livello internazionale, rappresenta un’eccezione al divieto di uso della forza e quindi, come tale, va interpretata in modo restrittivo: si può ricorrere alla forza, applicando il principio di proporzionalità: le forze dell’ordine possono, cioè, fare uso della forza solo se nelle procedure d’arresto si creano situazioni di pericolo per la loro incolumità e, comunque, solo per il tempo necessario a rendere il detenuto non più pericoloso.
Nel suo rapporto, Marty rende pubblica una dichiarazione di Michael Scheuer:
“La nostra priorità è quella di proteggere i nostri uomini. Per tale motivo, la
persona arrestata viene di solito incatenata e, almeno al momento di salire sull’aereo, anche bendata. Quando poi il detenuto sale sull’aereo viene legato al suo posto e vegliato da guardie”.
Secondo Dick Marty, Scheuer sottovaluta la gravità e la severità dei trattamenti cui i suoi agenti sottoponevano i presunti terroristi e afferma che nessuna misura, presa in nome della sicurezza, può mai giustificare una violazione dei diritti fondamentali.
Marty riporta, poi, altre testimonianze: una fonte americana interna alla CIA e due autorità svedesi che hanno collaborato con la CIA durante la consegna di Agiza e Alzery. Gli agenti svedesi descrivono la procedura di sicurezza come una procedura veloce, di circa 20 minuti, al termine della quale il detenuto veniva portato in uno stato di completa immobilità e privazione dei sensi, attraverso bende
e cuffie. I caratteri principali di questo controllo di sicurezza possono essere così elencati:
Si svolge in una piccola stanza di un aeroporto, solitamente uno spogliatoio della polizia;
il bendaggio del detenuto: alcune volte la vittima arrivava già bendata, altre volte veniva bendata sul posto;
l’operazione viene svolta da un numero di agenti CIA che varia dai 4 ai 6, vestiti di nero e con le facce coperte;
gli agenti della CIA non usano parole per comunicare tra di loro ma solo gesti;
alcuni testimoni riferiscono di essere stati spinti in modo violento all’inizio dell’operazione, altri di essere trattenuti con la forza da più lati;
mani e piedi del detenuto sono legati;
ai detenuti venivano tolti con la forza tutti i vestiti;
i detenuti erano sottoposti ad una analisi minuziosa del loro corpo in particolare su capelli, orecchie e labbra;
i detenuti venivano fotografati nudi, in questa occasione venivano loro tolte le bende per renderli riconoscibili;
venivano coperte le orecchie della vittima;
sulla faccia della vittima veniva poi messa una busta senza fori che rendeva difficoltosa la respirazione;
a questo punto, l’uomo veniva portato su un aereo già pronto sulla pista;
durante il volo il trattamento non era lo stesso per tutti, alcuni prigionieri venivano sedati e ricordano poco o niente del viaggio, altri descrivono il volo come il momento più duro della loro vita a causa della paura per le catene, i rifiuti di bere o andare semplicemente in bagno;
la vittima non aveva la minima idea di dove quell’aereo la stesse portando65.
65 MARTY, Alleged secret detentions and unlawful inter-state transfer of detainees involving Council of Europe member states, 12 giugno 2006, Doc. 10957, par. 85.
Il fine di tutto questa pratica era l’umiliazione della vittima cui si giungeva attraverso lo spogliare il detenuto dei suoi vestiti e l’incertezza sul suo futuro. In questa procedura possiamo anche notare che viene del tutto ignorato il sopra citato principio di proporzionalità e, con esso, viene ignorata la dignità della persona.
Un’operazione di consegna straordinaria non si ferma certo al momento dell’atterraggio dell’aereo. Al rapimento e al trasferimento, segue la detenzione, spesso in luoghi segreti e non conforme a nessuno dei trattati internazionali in vigore sull’argomento66. Provare a descrivere le condizioni di detenzione previste da tale programma, significa mettere in luce le gravi pene sofferte dalle vittime, sia a livello fisico, sia a livello psicologico. Il semplice fatto di essere detenuti al di fuori di ogni cornice legale, in strutture di cui non si conosce nemmeno la localizzazione, è da considerarsi, già per sé stesso, una forma di tortura, secondo Louise Arbour, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.
I sospetti terroristi, oltre a non sapere dove si trovavano e senza nessuna formale imputazione loro addebitata, venivano rinchiusi nelle loro celle, spesso piccole, sporche, e senza nessun accessorio utile alla sopravvivenza, sorvegliati costantemente da uomini mascherati. L’aria proveniva da un buco, controllato dall’esterno dagli agenti americani, i quali, a loro piacimento, creavano temperature estreme, sia di caldo, sia di freddo, per aumentare il disagio della vittima. Il trattamento loro riservato era ancora più aspro: i loro vestiti venivano strappati via e veniva loro offerto, ad intervalli irregolari secondo la discrezione dei carcerieri, cibo avariato o, comunque, di pessimo gusto. La detenzione durava in media quattro mesi, durante i quali ciascun sospetto terrorista non aveva alcun legame con altri esseri umani, se non con i suoi torturatori, durante il momento dell’interrogatorio.
La situazione non lasciava scampo: erano mesi durante i quali una persona rimaneva tutto il tempo da sola, accompagnata solamente dai propri pensieri. Prima di essere incarcerati, i detenuti venivano sottoposti ad una valutazione sul loro corpo, sulle loro condizioni di salute, quasi come fossero automobili prima di un noleggio. L’intero trattamento ha fatto in modo che una banale ripetizione degli stessi eventi, peraltro non certo piacevoli, abbia assunto il rango di ricordo incancellabile nella mente di chi ha subito tutto questo. Come ripetuto diverse volte
e come sottolineato ulteriormente in questo paragrafo, le sofferenze erano sia di tipo fisico, sia di tipo psicologico.