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6. I Fornitori di Esperienza (ExPro)

6.6 I siti web e i media elettronic

Per molte aziende, internet, è diventato un forum ideale per creare esperienze per i loro consumatori. Pensiamo al sito web esperienziale di Club Med, appena vi accediamo compare lo slogan «Fai a modo tuo», con lo scopo di fornire un’esperienza olistica su misura per ogni persona. I visitatori, attraverso il sito, hanno la sensazione di vivere una storia fantastica orientata alla propria vacanza. Ogni pagina è abbondantemente illustrata con fotografie a colori e cartoni animati vivaci.

6.7 Le persone

Le persone, sono l’ultimo Fornitore di Esperienza, che può risultare molto efficace per tutti e cinque i SEM. In questo caso i fornitori di esperienza sono il personale di vendita, rappresentanti aziendali, gli erogatori di servizio e qualsiasi altra persona che possa essere associata all’azienda o alla marca. Per esempio, il personale di vendita è un elemento fondamentale per far si che riesca a stimolare nel cliente una certa esperienza.

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CAPITOLO 2

Storytelling e impresa: studi italiani ed esteri

La rinascita dello storytelling: the narrative turn

Parliamo ora, di un altro grande protagonista della mia tesi, lo Storytelling, attore principale del mio progetto lavorativo presso la società Eventi Italia s.r.l..

Il concetto di Storytelling è nato, sotto questo nome, a partire dagli anni ’90 negli Stati Uniti, ma le origini di tale tecnica sono molto più antiche, provengono dalla narratologia: si tratta dell’arte di raccontare delle storie. Esso recupera gli studi in materia di narrazione precedentemente analizzati mettendoli in valore in un contesto nuovo e dinamico: rispetto al passato, le condizioni sono mutate e quelle che venivano definite prima “fiabe per bambini”, cominciano a catturare l’attenzione di analisti e manager. In una società sempre più oppressa da un flusso di informazioni continuo e martellante, riemerge la necessità di ascoltare e di farsi ascoltare. Questi anni, infatti, sono caratterizzati da un insolito fenomeno definito “the narrative turn”, ossia il dilagare dell’interesse nei confronti delle storie, da tempo ormai accantonate, la cui lettura avveniva nei momenti di svago e l’analisi era relegata agli studi umanistici. Salmon parla di “âge narratif”, età in cui tutti sembrano ritrovare l’interesse per la narrazione, in cui le marche hanno cominciato a parlare puntando sul loro lato emozionale, in cui la sfida più grande che devono affrontare le aziende è la maniera attraverso cui comunicano la loro realtà nel modo più efficace e credibile possibile, sia all’interno che verso l’esterno. L’interesse trova conforto negli studi

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degli autori Barthes a Bruner: l’idea che l’uomo comunichi attraverso frame narrative è una scoperta senza precedenti.

Il pensiero narrativo, al giorno d’oggi ha trovato fertilità in molti campi, come quello storico, giuridico, economico e psicologico, questo perché l’uomo sta apprendendo il potere che le storie hanno di costruire la realtà, e il mezzo è proprio lo storytelling. Le scoperte più importanti riguardano l’ambito politico (la retorica del potere, a cui si riallacciano gli studi relativi ai discorsi dei grandi politici americani), l’ambito del marketing, il settore pubblicitario, la formazione (nelle scuole e nelle aziende), la ricerca (es. ricerche qualitative in contesti aziendali), le scienze psicologiche (la psicoterapia), la progettazione di parchi a tema, i videogiochi (es. quello destinato all’addestramento dei militari impegnati in Irak) e non da ultime le imprese.

In virtù di tutto questo, possiamo affermare che lo storytelling, è mutato col passare del tempo e questa sua interdisciplinarietà, che riguarda sia il contesto sia la carica lavorativa, ha portato l’essere umano, ha percepirlo come uno strumento indispensabile per essere ascoltati o per essere scelti. É un potentissimo mezzo per sedurre e convincere, influenzare i pubblici di riferimento (lettori, elettori, clienti), espandere le conoscenze, condividere esperienze ed organizzare il flusso informativo.

In breve, possiamo riassumere dicendo che la pratica dello storytelling nasce da un solido background di studi di stampo umanistico e si sviluppa grazie ad una forte esigenza sociale di fondo, in un ambiente in continua evoluzione in cui emergono nuovi media.

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specifico di quello che è il contesto lavorativo in cui ho dovuto applicare tale tecnica narrativa, ovvero la narrazione in azienda: come si sviluppa, quali sono le sue funzioni e chi sono i principali autori di riferimento.

Corporate storytelling: da Denning a Fontana…fra ricercatori e guru

Nel parlare di Corporate storytelling ci faremo aiutare dagli studiosi di ultima generazione che si sono occupati in questi anni della narrazione in azienda.

Iniziamo con un assunto fondamentale, ovvero che tutte le organizzazioni parlano. Con la parola “parlare”, voglio fare riferimento a quella che è la loro necessità di comunicare.

Ora, un’organizzazione può comunicare all’interno e all’esterno secondo varie modalità, ma una di queste è sicuramente l’utilizzo di storie. “E, esattamente come per gli individui, anche per le organizzazioni che si raccontano, e raccontano i loro prodotti e servizi, richiamano tracce emotive, traiettorie affettive, che suggestionano la memoria individuale e di gruppo. In questo senso la narrazione è pervasiva dell’esperienza organizzativa.”3 Le narrazioni popolano la

nostra esperienza organizzativa e la nostra esperienza di consumo. Nel nominare il nome di una marca o azienda, cogliamo subito il concetto tramite un’immagine che spesso altro non è che uno script, una scena di vita.

Certo, non tutte le narrazioni sono storie. Esistono narrazioni frammentarie (osservazioni, aneddoti…) e narrazioni omnicomprensive

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(storie, saghe…).

Entrambe sono presenti in modo massiccio nei diversi atti narrativi aziendali. Si pensi alle battute scambiate davanti alla macchinetta del caffè o alle discussioni di dipendenti in merito all’immagine aziendale. Non si tratta di un racconto organico e complessivo, ma sono comunque delle narrazioni che possiamo definire frammentarie e che appartengono alla cultura dell’azienda. Altro invece sono le biografie aziendali, i cosiddetti miti fondatori o la storia che avvolge la figura mitica del presidente: narrazioni omnicomprensive.

Come è possibile definire allora le narrazioni che si sviluppano in ambito organizzativo?

Per rispondere a tale domanda, mi sono ispirato ad uno dei massimi esponenti italiani nel campo della scienza della Narrazione e del Corporate Storytelling, ovvero Andrea Fontana, il quale considera le storie in ambito aziendale: “tutte quelle forme narrative che generano prodotti oggettivi e/o simbolici (interni ed esterni) che “parlano” ai diversi pubblici”. O ancora Boje le definisce “sceneggiature di natura semi-narrativa o anche pre- narrativa, che i membri di una comunità usano per mettersi in relazione “con le cose” e dare un senso al loro mondo”4

.

Come possiamo notare, le storie organizzative sono un qualcosa di complesso e vario, difficile da ricondurre ad una sola definizione, infatti attraverso il mio studio, sono venuto a conoscenza che vi sono tre punti di vista attraverso cui studiare le storie organizzative. Essi sono:

1. Punto di vista individuale = tutte le narrazioni con cui le persone esprimono la propria esperienza di lavoro all’interno della comunità → le ricerche qualitative all’interno dell’organizzazione ovvero l’ambito dell’Organizational Storytelling e le operazioni di

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comunicazione interna;

2. Punto di vista strategico = il set di storie strategico per promuovere attività, iniziative, progetti → a questo livello ritroviamo lo Storytelling Management e tutte le operazioni di comunicazione interna ed esterna volte a sostenere un singolo progetto oppure a migliorare la visibilità dell’azienda in termini di identità, immagine e reputazione;

3. Punto di vista del consumo = le narrazioni che si occupano di promuovere i prodotti ed orientare il cliente all’acquisto → tratta soprattutto di operazioni di Marketing Narrativo, utilizzato spesso in ambito pubblicitario5.

Pur essendo importanti tutte e tre le tipologie, per non dilagare troppo, nel prossimo paragrafo, andremo ad approfondire solamente il secondo punto di vista, ovvero lo Storytelling Management, perché in definitiva è la strategia comunicativa che ho sviluppato nel mio progetto lavorativo. A tal proposito, s i p r o n u n c i a u n p e r s o n a g g i o m o l t o i n f l u e n t e a i f i n i d e l m i o s t u d i o , g r a z i e a l l e s u e r i c e r c h e i n m a r k e t i n g e c o m u n i c a z i o n e , i l q u a l e pone l’accento sulla differenza fra l’ambito dello storytelling management, cioè quello più strategico, e l’ambito della ricerca, ovvero l’organizational storytelling, che si rifà agli studi sociologici ed organizzativi, parliamo di Gabriele Qualizza, ricercatore presso l’Università di Udine.

Il primo, lo storytelling management, parte infatti da dei presupposti strumentali: “L’arte di raccontare storie è intesa come tecnica, espediente utilizzabile per rendere la comunicazione più coinvolgente ed accattivante. A tal fine diventa oggetto di interesse tutto ciò che può incorporare al proprio interno un elemento narrativo, traducibile a sua volta in un

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artefatto simbolico, capace di “parlare” a pubblici diversi: in questa prospettiva, possono diventare “storie” tutti i discorsi con cui la direzione strategica cerca di orientare l’opinione pubblica, ma possono essere rielaborati in termini narrativi anche i messaggi diffusi all’interno dell’organizzazione, così come i processi comunicativi tesi a presidiare i significati che le persone attribuiscono alle proprie esperienze di consumo”6

.

Van Riel e Stephen Denning, sono due nomi che non possono non essere citati all’interno di questo filone, in quanto sono considerati tra i massimi esponenti di questo campo, addirittura al secondo gli si attribuisce la figura di padre dello storytelling management.

L’organizational storytelling invece nasce dall’idea che storie, miti e riti possano essere visti come l’espressione profonda della cultura aziendale. Viene perciò data enorme importanza al vissuto delle persone e a ciò che resta nascosto all’interno di queste storie secondarie e dei comportamenti e discorsi ufficiali.

A metà fra organizational e management, troviamo altre due figure importanti, l’una per essere uno dei padri americani degli studi sullo storytelling (David Boje), l’altra (Andrea Fontana), già citato pocanzi, per aver avuto il merito di portare la riflessione in Italia.

E’ proprio tra m ite l a fus i one d i tu tte q ue ste c or re n ti d i p e n s i e r o , c h e t e n t e r ò d i d a r e un senso all’universo della narrazione in azienda, ovvero, ciò che viene chiamata in termini tecnici, Corporate Storytelling, concetto che abbraccia tutte le dinamiche appena viste.

In modo particolare ci occuperemo di storytelling in relazione alla capacità

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delle storie di veicolare un discorso solido e strutturato, portatore di valori aziendali, dimostrando come sia possibile grazie ad esso sostenere un’identità forte e coerente. Per farlo, durante il nostro percorso daremo uno sguardo d’insieme a tutti questi strumenti perché è soltanto grazie all’integrazione dei discorsi in un messaggio coerente secondo le tre modalità viste in precedenza che sarà possibile attribuire un valore concreto alla narrazione e raggiungere un vantaggio competitivo reale. Infatti le narrazioni che prendono vita all’interno dei tre filoni, tutte insieme vengono a costruire la Core Corporate Story, che altro non è che l’incontro fra le storie interne, le storie esterne e le storie di consumo7

. Fare storytelling significa allora, per un’impresa, saper gestire meglio il cambiamento culturale ed organizzativo, raccontandolo con nuovi codici e stili linguistici. Vuol dire anche dare vita a prodotti che siano significativi in mercati ad alto assedio testuale. Acquistare un brand significa oggi acquistare sempre una storia (un racconto, una narrazione) un modo in cui immedesimarsi e progettarsi in modo simulato, temporaneo, vicario”8

. Questo perché, ci dice Qualizza, “le narrazioni vengono sempre più spesso collegate alla comunicazione istituzionale, elaborata secondo il concetto di corporate branding”9

.

Tanto per capirci, si tratta di un processo abbastanza complesso che vede le imprese al centro di una fitta rete di narrazioni: non soltanto strumenti, discorsi, storie, provenienti dall’azienda, ma anche storie, racconti, esperienze che derivano dal vissuto dagli stakeholder. Le dinamiche di prosuming sociale contemporaneo comprendono organizzazioni, società ed individui; un sistema di interrelazioni tale da creare un universo sempre più

7

FONTANA A., Manuale di storytelling, op. cit. p. 31, figura 4.2 e VAN RIEL C., Managing the corporate story, p. 189, figura 12.1

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FONTANA A., Manuale di storytelling, op. cit. p. 32

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intricato, che Fontana ha cercato di riassumere molto bene nello schema che segue10:

Storie, individui, imprese e società

Con prosuming indichiamo il sistema di coinvolgimento dei pubblici, tale da renderli sempre più dinamici all’interno della relazione con il prodotto/marca/azienda. Si parla di prosumer, termine che deriva dalla contrazione di due concetti diametralmente opposti: produzione e consumo11.

Il consumatore diventa produttore: è presente in modo preponderante all’interno del processo produttivo e lega la sua storia di consumo a quella degli altri, venendo a confermare oppure a negare la grande narrazione aziendale. Per questo la storia del singolo (biografie

10

FONTANA A., op. cit. p. 46, figura 6.1

11 Per comprendere meglio il fenomeno del prosuming si consiglia la lettura di

MAZZOLI L., Network effect, op. cit. pp. 56-74

STORIE

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