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In questi ultimi anni si è evidenziato l’importanza di un collegamento stretto tra territorio e innovazione. La prima teoria su questo collegamento è ritrovata nel concetto di distretti industriali sviluppatosi a metà del 1970, rispondendo alle esigenze dell’epoca dell’industrializzazione (Bagnasco,1977). Un distretto industriale è un’agglomerazione di imprese, in generale di piccola e media dimensione, ubicate in un ambito circoscritto e storicamente determinato, specializzate in una o più fasi di un processo produttivo e integrate mediante una rete complessa di interrelazioni di carattere economico e sociale. Questa strutturazione del lavoro ha consentito una produzione più efficiente rispetto a quanto accadrebbe in un singolo grande stabilimento. I distretti industriali si sono rilevati inadeguati per la loro estensione circoscritta in seguito al fenomeno della globalizzazione. La teoria di Bagnasco si è poi evoluta nella teoria dei cluster industriali di Porter, definiti come un insieme di imprese interconnesse e geograficamente concentrate le quali cooperano, e allo stesso tempo, competono per ottenere vantaggi competitivi (Porter, 1990). A differenze dei distretti i cluster rappresentano dei legami a monte e a valle con concentrazioni di imprese (fornitori specializzati, imprese di servizi..), che instaurano tra loro una doppia relazione, competitiva e collaborativa. Ulteriori ricerche teoriche in tale direzione sono state individuate nei modelli alla base della costruzione di parchi scientifici e tecnologici e delle technopolis (aree di innovazione in cui grazie al supporto di istituzioni si lavora per la creazione di una nuova tecnologia e per l’aggiornamento delle conoscenze economiche). Le agglomerati fin qui descritte (distretti, cluster, thecnopolis) individuano tre principali fattori dell’innovazione (Auci, 2012):

• la concentrazione di molte ed eterogenee esperienze in varie campi della conoscenza e della produzione;

• una rete di cooperazione tra gli attori coinvolti;

• la presenza di catalizzatori che facilitino la combinazione di differenti capacità e attori.

Agli inizi del 1990, il National Innovation System (Lundvall, 1992 e Nelson, 1992) sostituisce il paradigma tecnologico dei distretti industriali, affermando che i fattori macroeconomici dovessero sottostare al processo di trasferimento tecnologico. A partire dal 2000 lo studio della dimensione locale si sposta su Learning Regions, Regional Innovation System e Local Innovation Systems (Cooke et al,. 2004), caratterizzate:

• dall’abilità delle imprese all’interno di un sistema locale di imparare e generare conoscenza

• dall’abilità del sistema locale di organizzare e amplificare la conoscenza generata dagli individui

• dall’innovazione sistematica (relativa a una regione o città) che sostituisce quella lineare (laboratori di ricerca)

• dallo sviluppo di capitale sociale e creatività

E’ su base territoriale ristretta, la città, che i processi di collaborazione e diffusione tra individui si innescano. Sebbene la produzione di nuova conoscenza sia disponibile su scala globale, l’applicazione della conoscenza, l’innovazione, si sviluppa principalmente su scala locale. Le nozioni chiave del paradigma delle Learning Regions, adottati dalla Commissione Europea, si concretizzano in un nuovo insieme di politiche per la tecnologia e l’innovazione strategica. Con l’inizio del ventunesimo secolo, a seguito della

dematerializzazione delle infrastrutture, della progressiva digitalizzazione dell’informazione, delle nuove forme dell’apprendimento on line e dell’avvento di tecnologie più virtuali, si trovò l’esigenza di intervenire ed emerse un nuovo approccio all’innovazione su base regionale: la “Regione intelligente”. Quest’ultima è un’area caratterizzata dall’utilizzo di sistemi di innovazione collegati a infrastrutture IT e servizi digitali. In questo contesto, si sviluppano due modelli teorici:

• la teoria della “Tripla elica” che identifica la relazione tra Università, Industria e Governo come un complesso di sfere istituzionali indipendenti che interagendo fra loro portano a compimento, oltre al ruolo indipendente rivolto al servizio del cittadino, un ulteriore processo di cooperazione finalizzata all’incremento dell’innovazione delle città (Etzkowitz e Leydesdorff, 2000; Etzkowitìz,2008; Deakin, 2010; Lombardi et al., 2012) • la teoria delle “tre T” nella quale spicca l’aspetto della “Tolleranza”, intesa come sentimento di coesione sociale che contribuisce ad un maggior sviluppo dell’innovazione, della crescita e della conoscenza, perché per generare innovazione e crescita non sono sufficienti gli aspetti della “Tecnologia” e il “Talento” (Florida, 2002).

Questi modelli, nella seconda metà degli anni 2000, sono stati integrati con altri lavori che si sono focalizzati sul ruolo della creatività per uno sviluppo più sostenibile in un contesto urbano, sia dal punto di vista sociale che ambientale (Gabe, 2006; Markusen, 2006; Fusco Girard et al., 2009). La sostenibilità ambientale diventa un contesto centrale nella società caratterizzata dalla trascuratezza del territorio ma anche dal suo sfruttamento, con conseguenze negative in termini di scarsità di risorse. La sostenibilità deve avere anche una valenza sociale come afferma Sassen: “Oggi vediamo un numero crescente di città emergenti come territori strategici che contribuiscono a articolare una nuova economia politica globale” (Sassen, 2006). Tuttavia, questa politica economica globale è

caratterizzata da cambiamenti positivi e negativi. Da una parte lo sviluppo economico e l’innovazione tecnologica hanno reso benefici in termini di produzione di massa e hanno concorso all’ampliamento degli scambi mondiali, dall’altra hanno contribuito alla creazione di forme di disuguaglianza nella società. All’interno di un complesso insieme di visioni che si fondano sulla necessità di dare una nuova dimensione sociale, etica e ambientale allo sviluppo e alla crescita economica, anche nell’ambito delle tematiche connesse all’innovazione sociale, sostenibilità e benessere , si esplicita il paradigma delle Smart City. Le Smart City, oltre ad affrontare le tematiche ambientali, sono connesse alla “Social Innovation” che trae origine da diversi settori e aree di interesse, che nella società danno luogo a un processo i cui flussi di conoscenza, non sono solo verticali ma anche orizzontali. La Social Innovation racchiude, inoltre, lo scopo di inglobare in se le diverse sfide sociali e ambientali, che spaziano dall’imprenditoria, alla tecnologia, allo sviluppo urbano, al design, alle politiche pubbliche, ai movimenti sociali e, in generale, allo sviluppo delle comunità.