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La gestione del rischio dei disastri: reazione governativa e innovazione delle citta, le "Smart City"

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

TESI DI LAUREA

La gestione del rischio dei disastri: reazione governativa e innovazione delle città, le “Smart City”

RELATORE:

Prof. Vincenzo ZARONE

CANDIDATO: Fabio DE GREGORIO

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INDICE

1 INTRODUZIONE ... 3

2 RISCHIO E DISASTRO ... 5

2.1 La scienza del disastro ... 5

2.2 Differenza tra disastro e catastrofe ... 6

2.3 Tipologie di disastri ... 10

2.4 Disaster risk ... 12

2.4.1 Pericolosità ... 13

2.4.2 Vulnerabilità ... 15

2.4.3 Esposizione ... 18

2.5 Disaster risk reduction (DRR) e Disaster risk management (DRM) ... 19

2.5.1 Preparazione ... 22

2.5.2 Risposta ... 23

2.5.3 Recupero ... 24

2.5.4 Mitigazione ... 25

2.6 Resilienza ... 26

2.7 Costi dei disastri ... 29

2.7.1 Panoramica dei disastri dal 1998-2017 ... 32

3 INIZIATIVE INTERNAZIONALI PER LA GESTIONE E LA RIDUZIONE DEI DISASTRI ... 35

3.1 Hyogo For Action ... 35

3.1.1 Analisi delle priorità ... 41

3.1.2 Panoramica, promesse e lacune ... 45

3.2 Verso il Sendai Framwork ... 47

3.2.1 Priorità e obiettivi del Sendai ... 50

3.2.2 Considerazioni sul nuovo framework ... 54

4 AIUTI E ATTORI NELL’EMERGENZA ... 57

4.1 Contributo economico europeo, il “Fondo di solidarietà dell’Unione Europea” ... 57

4.2 Protezione Civile Italiana ... 60

4.3 Dipartimento di Protezione Civile ... 61

4.4 Servizio nazionale della Protezione Civile ... 63

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4.5.1 Previsione ... 67

4.5.2 Prevenzione ... 67

4.5.3 Soccorso ... 68

4.5.4 Post-emergenza ... 68

4.6 Meccanismo Unione Europea ... 69

4.7 Struttura del meccanismo di protezione civile ... 70

4.8 Innovazioni del meccanismo ... 71

5 SMART CITY ... 74

5.1 Verso le Smart city, il problema dell’urbanizzazione ... 74

5.2 Smart City, l’evoluzione del concetto ... 75

5.3 Panoramica Smart city ... 78

5.4 Misurazione dei fattori multidimensionali a livello locale ... 82

5.5 Fattori e dimensioni di una Smart City ... 87

5.6 Gli attori di una Smart City ... 94

5.7 Benefici della Smart city ... 96

5.8 Quadro normativo europeo ed iniziative ... 98

5.9 Quadro italiano ... 101

5.10 Caso Genova ... 102

6 CONCLUSIONI ... 109

BIBLIOGRAFIA ... 111

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1 Introduzione

Il mondo sempre più spesso si trova a far fronte a situazioni disastrose e la loro ricorrenza è entrata a far parte della nostra cultura, diventando socialmente accettabile. Gli eventi verificatosi in passato possono fornire delle indicazioni riguardo ai possibili eventi futuri, e l’incertezza della loro manifestazione rende necessaria la riduzione del rischio integrando la politica sulla DRR (Disasater Risk Reduction) e le pratiche DRM (Disaster Risk Management) in obiettivi di sviluppo sostenibile. I cambiamenti climatici, la crescita demografica, l’eccesivo sfruttamento delle risorse naturali, l’urbanizzazione, sono fenomeni che alimentano gli eventi disastrosi e per tale motivo sono numerosi gli interventi istituzionali per mettere in atto azioni per la loro diminuzione.

L'obiettivo di questa tesi di laurea è quello di offrire un'analisi sulla gestione e riduzione del disastro, fornendo una panoramica istituzionale, nazionale e internazionale, del fenomeno in termini normativi e di soccorso all’emergenza e come la sperimentazione di nuovi approcci di pianificazione, progettazione, finanziamento, gestione e funzionamento delle infrastrutture urbane e dei servizi, le Smart City, possano essere una risposta efficace ai bisogni emergenti di riduzione dei disastri.

La tesi presenta una comprensione del concetto di disastro, analizzandone il rischio e la gestione e ne fornisce una panoramica mondiale in termini di costi, capitolo 2; prende in considerazione l’importanza di promuovere gli sforzi di riduzione del rischio analizzando gli obiettivi e le priorità dei due framework mondiali, Hyogo e Sendai, capitolo 3; osserva come la comunità europea e le istituzioni nazionali, con i loro attori e aiuti, agiscono e forniscono supporto ai paesi che si trovano in una situazione di emergenza, capitolo 4; infine, osserva il concetto di Smart city e prende in riferimento un caso italiano, il Comune di Genova, che con i fondi e gli stanziamenti europei ha messo in pratica progetti legati

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alla salvaguardia ambientale, al risparmio energetico e alla prevenzione e gestione del rischio idrogeologico, capitolo 5.

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2 Rischio e Disastro

2.1 La scienza del disastro

Samuel Henry Prince, ricercatore della Columbia University, definì nel 1920 il disastro “come un evento che produce la sovversione dell’ordine o del sistema delle cose”. In quegli anni, a causa di una collisione tra un cargo militare belga e una nave francese che trasportava materiale esplosivo, fu pubblicato uno studio, considerato il primo contributo sullo studio dei disastri e delle loro implicazioni sociali, la “disastrologia”. In seguito la disastrologia si sviluppò negli Stati Uniti d’America, dopo il conflitto bellico, con una definizione di disastro in termini sociologici da parte di Charles Fritz, “i disastri costituiscono un laboratorio dal vero per valutare sperimentalmente il grado di integrazione, la compattezza e la capacità di recupero di vasti sistemi sociali” (Charles Fritz,1961). Lo studioso aggiungeva a completare il quadro: “i disastri sono eventi accidentali o incontrollabili, reali o temuti, concentrati nel tempo o nello spazio per cui una società o una parte di essa relativamente sufficiente passa attraverso un grosso pericolo e subisce perdite dei suoi membri e delle appartenenze fisiche tali che la struttura sociale è sconvolta e lo svolgimento di tutte o di alcune delle sue funzioni esistenziali è impedito” (Charles Fritz,1961). A partire degli anni Sessanta le indagini sui disastri assunsero un più deciso impegno civile per opera della fondazione del Disaster Reserch Center (Drc) presso l’Ohio State University diretto da Enrico L. Quartanelli, che consolidò e istituzionalizzò la ricerca in questo campo. Conseguentemente alla costituzione del Disaster Risk Center (Drc), si assistette ad un sensibile spostamento del focus d’interesse dagli aspetti psicologici individuali alle reazioni collettive dei gruppi, dei raggruppamenti familiari, delle comunità e delle organizzazioni. Gli anni Sessanta e Ottanta segnarono un ampliamento sostanziale dei contributi sui disastri e sulle emergenze di massa tanto da permettere la consacrazione definitiva della disciplina a livello mondiale. Si attesta l’idea

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che il disastro sia un “evento a livello di comunità, raggruppamento fondato sui sentimenti di coesione e di appartenenza. Viene altresì ribadita la necessità di considerare la catastrofe in termini processuali e dinamici non solo coincidente con l’evento dannoso (fase di “impatto e distruzione”) ma inclusiva degli aspetti di rigenerazione e riorganizzazione del sistema (fasi di “emergenza e “ricostruzione”) (Cattarinussi, Pelanda 1981). La disastrologia oggi è la scienza che si occupa dello studio e la prevenzione dei disastri avvalendosi del contributo di diversi specialisti: fisici, geologi, geografi, urbanisti, ingegneri, sociologi, psicologi, storici. Oggi possiamo affermare che gli studi sui disastri e le esperienze acquisite nel passato consentono di considerare i disastri come prodotti sociali in termini di vulnerabilità di una società all’accadere di un determinato evento naturale o meno. Conoscere le cause tecniche, le risposte organizzative e quelle sociali, le percezioni, le decisioni umane e le relazioni personali che sono legate a questi eventi, rendono possibile prevederne l’evoluzione futura.

2.2 Differenza tra disastro e catastrofe

Nel linguaggio quotidiano i termini “disastro” e “catastrofe” vengono ritenuti simili perché si riferiscono a eventi avversi (di origine naturale o antropica) che avvengono provocando danni di vaste proporzioni e/o la morte di molte persone. Vengono usati principalmente nel caso di gravi eventi dannosi e luttuosi, con insorgenza imprevista e improvvisa, e sono indifferentemente utilizzati come sinonimi quando vi è la necessità di indicare generalmente una situazione rapida ed improvvisa che produce gravi conseguenze e che rende necessaria un’azione immediata. I due termini presentano diversi fattori comuni:

 l’imprevedibilità dell’evento in sé; il suo essere geograficamente circoscritto;  l’effetto d’interferenza con lo svolgimento della vita sociale di tutti i giorni;

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 lo squilibrio tra le richieste poste dal verificarsi della situazione e la capacità del sistema di farvi fronte.

Per “disastro” si tende a identificare un evento (o una serie di eventi), eccezionale o accidentale, che provoca perdite umane e/o un danno grave alle proprietà la cui entità dipende dalle scelte che l’entità sociale compie o ha compiuto per prevenirle o contrastarle, ma con conseguenze che possono essere in qualche modo riassorbite dal sistema colpito in un lasso di tempo relativamente breve senza che quest’ultimo collassi. Si evidenziano diverse definizioni del concetto di disastro:

 “Evento concentrato nel tempo e nello spazio nel quale una società subisce gravi danni e va incontro a perdite tali per persone e proprietà che la struttura sociale ne risulta sconvolta” (Ftitz, 1961)

 “Interfaccia tra un evento fisico estremo e una popolazione vulnerabile"(Okeefe et al 1976)

 “Eventi che interferiscono severamente con la vita di tutti i giorni, sconvolgono le comunità e spesso causano vaste perdite di vite umane e di proprietà, sovraccaricano le risorse locali e creano problemi che durano molto più a lungo di quelli che derivano dalle normali vicissitudini della vita” (Taylor 1989)

 “Evento che ha provocato danni materiali, decessi e / o lesioni a una comunità” (FEMA 1990)

 “Evento, naturale o provocato dall'uomo, improvviso o progressivo, che ha un impatto così forte che la comunità colpita deve rispondere adottando misure eccezionali." (Carter 1991)

 “Evento associato all'impatto di un pericolo naturale, che porta ad un aumento della mortalità, malattia e / o lesioni e distrugge o interrompe i mezzi di

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sostentamento, colpendo le persone o un'area in modo tale che lo percepiscono come eccezionale e richiede assistenza esterna per il recupero”. (Cannon 1994)  “Evento concentrato nel tempo e nello spazio, in cui una società subisce danni fisici

e interruzioni sociali, tali da compromettere tutte o alcune funzioni essenziali” (Kreps 1995)

 “Uno stato/condizione che destabilizza il sistema sociale che si manifesta in un malfunzionamento o interruzione delle connessioni e delle comunicazioni tra i suoi elementi o unità sociali (comunità, gruppi sociali e individui); distruzione/demolizione parziale o totale; sovraccarichi fisici e psicologici subiti da alcuni di questi elementi; rendendo così necessario prendere contromisure straordinarie o di emergenza per ristabilire la stabilità” (Porfiriev 1995)

 “Eventi di rischio singolari o interattivi, che hanno un profondo impatto sulle persone o sui luoghi locali in termini di lesioni, danni alla proprietà, perdita di vite umane o impatti ambientali” (Mitchell e Cutter 1997)

 "Un disastro viene solitamente definito come un evento che ha un grande impatto sulla società" (Tobin and Montz 1997)

 “Una condizione o situazione di distruzione significativa, interruzione e/o difficoltà per una comunità” (Salter 1997-98)

 “Evento non di routine che supera la capacità dell'area colpita di rispondere ad esso in modo tale da salvare vite umane; preservare la proprietà; e mantenere la stabilità sociale, ecologica, economica e politica della regione colpita (Pearce 2000)

 “Una situazione creata da eventi naturali o creati dall'uomo, diversi dalla guerra o dal conflitto interno che richiede totale integrazione e coordinamento, da parte dei responsabili dell'amministrazione della regione interessata, tra cui: tutti i sistemi di salvataggio, di soccorso e di supporto vitale richiesti per soddisfare i bisogni delle

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vittime, i sistemi essenziali di trasporto e comunicazione; riparazioni all'infrastruttura; riabilitazione e recupero post-disastro” (Ritchie, et al. 2001)

 "Una grave interruzione del funzionamento di una comunità o di una società che causa perdite umane, materiali, economiche o ambientali che superano la capacità della comunità o della società colpite di far fronte alle proprie risorse" (UNISDR 2004, 2009b).

L’idea comune e centrale a tutte le definizioni è che un disastro implica sempre una discontinuità del contesto sociale nel quale gli individui e le strutture sociali hanno funzionato fino al suo verificarsi e un allontanamento dallo schema di aspettative quotidiane condivise da una collettività. Il termine “catastrofe”, invece, indica un rovesciamento o capovolgimento per lo più improvviso e brutale che produce una drastica variazione della struttura di un sistema o comunità, in genere irreversibile, tale da determinare la sua degenerazione o il totale deterioramento delle funzioni primarie ed essenziali, provocando spesso il collasso o distruzione che pregiudica il ritorno della normalità. Nel contesto moderno questo termine viene utilizzato nei più svariati campi, con significati a volte diversi, anche per definire quegli avvenienti non calamitosi che causano gravi perdite economiche. La definizione di catastrofe data oggi della FEMA (Federal Emergency Management Agency) è la seguente: “ogni incidente naturale o artificiale, compreso il terrorismo, che si traduce in livelli di straordinari di vittime di massa, danni o disagi gravi che colpiscono la popolazione, infrastrutture, ambiente, economia, morale della azione, e/o funzioni di governo”. L’ambiguità dell’uso dei due termini, disastro e catastrofe, è data dal fatto che si parla di questi eventi quando si presentano due principali caratteristiche: assume proporzioni al di fuori della normalità e assume una dimensione collettiva e riguarda quindi una comunità nella sua totalità. Un terremoto o un uragano che non producono vittime o distruzioni non vengono considerati una catastrofe, ma un

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normale fenomeno naturale. Dal punto di vista della gestione e pianificazione dell’emergenza ci sarà maggiormente difficoltà nel coordinare la risposta organizzata nelle catastrofi che nei disastri. Anche dal punto di vista sociale la reazione e la risposta saranno sostanzialmente diverse.

2.3 Tipologie di disastri

I disastri e le catastrofi, sono sempre esistiti e hanno accompagnato l’uomo in tutte le epoche fin dall’antichità e molto probabilmente lo sarà fino la sua scomparsa sulla Terra. Le cause di tali fenomeni per millenni è stata collegata al destino, veniva interpretato come un castigo di Dio, ovvero, il “segno della volontà divina” di reagire al peccato, un avvertimento mandato da Dio agli uomini perché riconoscessero i propri errori e si pentissero. Nel novecento, in occidente, si abbandona la concezione teologica delle catastrofi lasciando posto ad una visione deterministica in base alla quale si attribuiscono ai disastri cause naturali, ovvero come conseguenza di un’insufficiente padronanza della natura. Negli anni successivi si abbandona il concetto secondo cui è la natura responsabile dell’evento e ci si concentra su una visione ecologista, cioè, è l’uomo che con le sue azioni e il suo operato è colpevole del disastro. Recentemente si predilige una visione “non-determinista”, in cui un qualsiasi evento naturale diventa un disastro nel momento in cui ha degli effetti sull’uomo. Un disastro non esiste se non in rapporto all’uomo. Un terremoto in un deserto disabitato non può essere considerato un disastro, non importa quanto siano forti le intensità prodotte, diviene disastroso solo quando colpisce le persone, le loro proprietà e attività. Un disastro si verifica quando un pericolo si ripercuote sulla popolazione vulnerabile e provoca danni, vittime e interruzioni. I pericoli sono sempre prevalenti, ma il pericolo diventa un disastro solo quando la frequenza o la probabilità di un pericolo e la vulnerabilità della comunità aumentano il rischio di essere gravemente colpiti. Pertanto, il

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disastrosi che oggi caratterizzano il mondo in cui viviamo possono essere causati da eventi naturali (natural disaster) indotti dalla presenza e/o attività dell’uomo, spesso improvvisi e imprevisti, caratterizzati dalla presenza di un evento/pericolo geologico: terremoto, eruzione vulcanica, movimenti versante, erosione accelerata, frane; meteorologico: uragano, tornado, valanghe e bufere di neve, grandinate, pioggia intensa, nebbia, siccità, fulmini; idrologico: inondazioni lente e veloci; oceanografico: tsunami (di origine geologica), tempesta marina (di origine meteorologica); biologico: incendi, epidemie. Il disastro naturale può essere definito come un rapido, istantaneo o profondo impatto dell’ambiente naturale sul sistema socio-economico umano, quando a quest’ultimo manca la capacità di riflettere, assorbire o respingere l’impatto (White, 1974). Questo perché gran parte dei disastri sono determinati dall’azione dell’uomo e dalla sua mancanza di misure di prevenzione e protezione. Dall’altro, vi sono i disastri provocati dall’uomo (acts of Man), ovvero, i man made disasters o disastri antropici che si riferiscono a fenomeni artificiali causati dall’azione umana. Questi fenomeni possono essere volontari o involontari, improvvisi o lenti, spesso dovuti a negligenze o errore o a un guasto di un sistema creato dall’uomo, che possono uccidere molte persone e interessare direttamente o indirettamente l’ambiente determinando distruzione. Questi possono essere distinti in eventi tecnologici, come il risultato del fallimento della tecnologia, incendi, esplosioni, diffusione di sostanze tossiche o infiammabili negli impianti o nel trasporto di sostanze chimiche, collasso di grandi strutture o reti tecnologiche. Questi rischi possono anche sorgere direttamente come conseguenza dell'impatto di un evento di pericolosità naturale e innescare una serie di rischi secondari. Una serie di relazioni scatenanti può causare un effetto domino o a cascata, come avvenuto nel caso della crisi nucleare-tsunami-terremoto, del 2011, in Giappone. Un’altra distinzione è in eventi sociali, disastri di natura conflittuale, che sono stati volutamente provocati dagli essere umani (disastri intenzionali), come la causa di

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catastrofi in conseguenza dell'improvvisa migrazione di popolazioni, tra cui i disastri di natura bellica, quali conflitti armati ed insurrezioni, e quelli di natura biologica e sanitaria (malattie infettive e carestie). Quindi i disastri possono essere di varia specie e vengono classificati in base al tipo di fenomeni che li determinano ma gli aspetti fondamentali che li contraddistinguono sono:

 l’eccezionalità dell’evento, caratterizzato dalla frequenza, dalla prevedibilità e dalla bassa percezione di controllo umano dello stesso;

 l’interruzione della normale vita sociale;

 la distruzione o il timore di distruzione della vita umana, il numero di vittime e la quantità di beni distrutti.

2.4 Disaster risk

Relativo al concetto di disastro è il concetto di rischio di disastro. Mentre i disastri sono shock esterni che si verificano come eventi una tantum, il rischio di catastrofi è interno al processo di sviluppo ed è sempre presente. Secondo la definizione proposta dall’Ufficio del Coordinatore delle Nazioni Unite per il Soccorso in caso di Catastrofe, per rischio si intende la possibile perdita di valore di uno o più elementi (popolazione, manufatti, attività sociali o economiche) esposti al pericolo degli effetti prodotti da un particolare fenomeno naturale ritenuto pericoloso. La definizione di rischio nel campo dei disastri è esprimibile attraverso un equazione, R = P x D (rischio= probabilità x danno), che fornisce il valore atteso di perdite (umane, ambientali, materiali, paesaggistici), causate da un evento, durante un periodo di tempo futuro specificato. Il concetto di rischio è legato sia alla possibilità di stimare la probabilità che un evento disastroso accada, ma anche alla possibilità di stimare il danno atteso. Di solito il rischio non si manifesta per la possibilità di verificarsi di un singolo evento e di un singolo scenario di danno, ma in forme diverse,

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per cui in una determinata area in riferimento ad un determinato arco temporale vi possono essere eventi disastrosi ciascuno con diversi scenari di rischio che devono essere presi in considerazione. In riferimento all’equazione, quanto maggiore è la probabilità (pericolosità), tanto maggiore è il rischio. A parità di pericolosità invece il rischio aumenta con l’aumentare del danno. I danni e le perdite derivanti da un disastro dipendono da due parametri significativi, il valore esposto (E), cioè i beni presenti sul territorio che possono essere coinvolti e l’attitudine o propensione di un elemento esposto (persone, edifici, infrastrutture, attività economiche, servizi, beni naturali e culturali) ad essere danneggiato da un dato fenomeno (V). Il concetto di rischio di catastrofi è fondamentale per la prevenzione delle calamità ed è inteso come una funzione della pericolosità (Hazard), dell’esposizione (Exposure) e della vulnerabilità (Vulnerability). Il rischio di catastrofi è moltiplicativo perché, per il rischio di catastrofi, dovrebbero essere presenti tutti e tre i componenti (rischio, vulnerabilità e esposizione) (World Bank 2010). La pericolosità, la vulnerabilità e l’esposizione sono fattori determinanti del rischio di disastri e aiutano a spiegare perché alcuni eventi fisici non estremi possono anche portare a conseguenze estreme e catastrofi, mentre alcuni eventi estremi non lo fanno.

2.4.1 Pericolosità

La pericolosità, “Hazard”, è una delle componenti che determinano il rischio. E’ un fattore di rischio esterno che rappresenta un potenziale danno per una comunità o ambiente. Seconda la definizione dell’United Nations International Strategy for Disaster Reduction (UNISDR) la pericolosità è un processo, fenomeno o attività umana che può causare la perdita di vite umane, lesioni o altri impatti sulla salute, danni alla proprietà, interruzione sociale ed economica o degrado ambientale. Il termine si riferisce alla probabilità delle perdite attese in una determinata area (ambito urbano, area vasta), causate da un determinato evento disastroso (terremoti, incidenti, alluvioni), portatore/causa di effetti

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negativi per l’uomo e/o l’ambiente, di una certa intensità (magnitudo, entità dell’incidente, intensità dell’alluvione), durante un periodo di tempo futuro specificato (in un anno, in cento anni). È un processo naturale o un fenomeno classificato da cause geofisiche, meteorologiche, idrologiche, climatologiche e biologiche che deve tener conto anche dell’interazione con le attività antropiche. Si parla del verificarsi di pericoli di diversa intensità in termini di probabilità o periodi di ritorno/frequenza (noti anche come intervalli di ricorrenza), nel contesto dell'incertezza. La quantificazione della probabilità del rischio comporta la stima non solo, ad esempio, della probabilità del verificarsi di una alluvione, ma anche della probabilità del verificarsi di alluvioni di diversa intensità. La probabilità che un fenomeno si verifichi, cioè la pericolosità, è un dato su cui è impossibile intervenire. Il concetto di “periodo di ritorno” o intervallo di ricorrenza di un evento fa riferimento al tempo medio intercorrente tra il verificarsi di due eventi successivi di entità uguale o superiore ad un valore di assegnata intensità o analogamente, è il tempo medio in cui un valore di intensità assegnata viene uguagliato o superato almeno una volta (cioè la probabilità che eventi naturali, quali venti, terremoti, piogge intense, eruzioni vulcaniche, possano verificarsi con una intensità superiore o uguale ad una prestabilita). L’ obiettivo è quello di identificare, fare un inventario e valutare di tutti gli eventi naturali in una determinata area che possono potenzialmente danneggiare la vita e le proprietà umane. Attraverso la pericolosità vengono studiati i processi fisici rilevanti degli eventi, sulla base dei quali viene creata una mappa di pericolosità. Questa mappa indica quantitativamente e qualitativamente i pericoli naturali, ad esempio, raffiguranti processi e caratteristiche fisiche osservate o probabilità di accadimento e intensità. Fattori importanti rispetto al pericolo sono ad es. magnitudo, frequenza, durata, distruttività, velocità di insorgenza, distribuzione e prevedibilità dei processi. Per la mappatura di un pericolo di alluvione, vengono utilizzati indicatori come il flusso di picco, la profondità delle inondazioni, la

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durata delle inondazioni, la concentrazione dei sedimenti, il carico di inquinamento delle acque di inondazione e l'azione delle onde e del vento. Questi indicatori forniscono un ritratto spazialmente differenziato del pericolo.

2.4.2 Vulnerabilità

Includendo la vulnerabilità nella nostra comprensione del rischio di disastri, riconosciamo il fatto che il rischio di disastri non dipende solo dalla gravità del pericolo o dal numero di persone o attività esposte, ma che è anche un riflesso della suscettibilità delle persone e delle risorse economiche a subire perdite e danni. È una suscettibilità o predisposizione economica, sociale, politica e fisica di una comunità a danneggiare in caso di un fenomeno destabilizzante di origine naturale o etnografica (Cardona 2003) La vulnerabilità è definita dall’United Nations International Strategy for Disaster Reduction (UNISDR) come caratteristiche determinate da fattori o processi fisici, sociali, economici e ambientali che aumentano la suscettibilità di un individuo, una comunità, beni o sistemi agli impatti dei pericoli. Esistono quattro tipi principali di vulnerabilità:

 La vulnerabilità fisica: include nozioni di chi e cosa può essere danneggiato o distrutto da un pericolo naturale come terremoti o alluvioni. Può essere determinata da aspetti quali i livelli di densità della popolazione, la lontananza di un insediamento, il sito, la progettazione e i materiali utilizzati per l'infrastruttura critica e per l'alloggio. Si basa sulle condizioni fisiche delle persone e degli elementi a rischio e la loro vicinanza, posizione e natura del pericolo. Esempio: le case di legno hanno meno probabilità di collassare in un terremoto, ma sono più vulnerabili al fuoco.

 La vulnerabilità sociale: si riferisce all'incapacità delle persone, delle organizzazioni e delle società di resistere a impatti negativi sui pericoli dovuti a caratteristiche intrinseche alle interazioni sociali, alle istituzioni e ai sistemi di

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valori culturali. È collegato al livello di benessere degli individui, delle comunità e della società. Comprende aspetti legati ai livelli di alfabetizzazione e istruzione, all'esistenza di pace e sicurezza, accesso ai diritti umani fondamentali, sistemi di buon governo, equità sociale, valori tradizionali positivi, dogane e credenze ideologiche e sistemi organizzativi collettivi generali. Esempio: quando si verificano alluvioni alcuni cittadini, come bambini, anziani e diversamente abili, potrebbero non essere in grado di proteggersi o evacuare se necessario.

 Vulnerabilità economica: il livello di vulnerabilità dipende in larga misura dallo status economico degli individui, delle comunità e delle nazioni. I poveri di solito sono più vulnerabili ai disastri perché mancano le risorse per costruire strutture solide e mettono in atto altre misure ingegneristiche per proteggersi dall'essere negativamente colpiti da disastri. Esempio: le famiglie più povere possono vivere in insediamenti abusivi perché non possono permettersi di vivere in aree più sicure, più costose.

 Vulnerabilità ambientale: l'esaurimento delle risorse naturali e il degrado delle risorse sono aspetti chiave della vulnerabilità ambientale.

La vulnerabilità descrive le caratteristiche e le circostanze di una comunità, sistema o risorsa che la rendono sensibile agli effetti dannosi di un pericolo. Il grado di vulnerabilità è determinato dalla combinazione di numerosi fattori tra cui la consapevolezza del pericolo, le caratteristiche degli insediamenti e delle infrastrutture, le strategie politiche e amministrative e la capacità di organizzazione in tutti i settori della gestione dei disastri. Gli esempi derivanti dai vari fattori fisici, sociali, economici e ambientali, possono includere: scarsa progettazione e costruzione di edifici, protezione inadeguata dei beni, mancanza di informazione e sensibilizzazione del pubblico, limitato riconoscimento ufficiale dei rischi e misure di preparazione. Sino ad adesso abbiamo parlato dei pericoli

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come condizioni fisiche esterne ad un sistema, invece, la vulnerabilità è interna al sistema. È sempre relativo a un fenomeno fisico; per esempio, una comunità potrebbe non essere vulnerabile ai terremoti perché la gente vive in edifici antisismici, che non crolleranno durante tali terremoti. Oggi un contributo significativo per comprendere come vengono percepiti i disastri proviene dalle scienze sociali attraverso il concetto di vulnerabilità. Wisner et al. (2004) definiscono la vulnerabilità come caratteristiche di persone o gruppi in termini di capacità di anticipare, affrontare, resistere e riprendersi dall'impatto di un pericolo naturale. L’obiettivo è quello di ridurre la vulnerabilità, non i danni da calamità, perché questa è la causa principale del disastro e può essere controllata a differenza dei rischi. Le persone differiscono nella loro esposizione al rischio come risultato del loro gruppo sociale, sesso, identità etnica o altra, età e altri fattori. Si ritiene che la causa principale della vulnerabilità sia la struttura sociale che favorisce coloro che hanno denaro e potere e pone le fasce svantaggiate e più deboli della società a un rischio più elevato di disastri. Il mondo appare diviso in due sul fronte del rischio: i paesi in via di sviluppo risultano più vulnerabili ai rischi naturali dei paesi occidentali. La povertà, la disoccupazione, l’illegalità diffusa rendono le popolazioni più vulnerabili in quanto costringono le persone a vivere in luoghi pericolosi o in abitazioni rischiose. Mentre nei paesi ricchi esistono le risorse finanziare per studiare e analizzare in maniera approfondita le situazione di pericolo, creare reti di monitoraggio, mettere a punto piani di emergenza, creare strutture di supporto e di intervento in caso di pericolo, nei paesi poveri non esistono alternative per far fronte agli eventi pericolosi e per sottrarsi ai loro impatti A differenza del pericolo, visto come condizione fisica esterna di un sistema, la vulnerabilità è interna. E’ un fattore di rischio interno che può essere controllato.

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2.4.3 Esposizione

L’esposizione è l’altra componente del rischio, e si riferisce a ciò che può essere colpito dall’evento disastroso, come le persone, le cose e l’ambiente. A seconda del modo in cui è definito l’elemento interessato dall’evento, il rischio può essere misurato in termini di perdite economiche attese, del numero di vite perdute o dell’entità del danno fisico alla proprietà (Burton et al. 1993). La terminologia dell’United Nations International Strategy for Disaster Reduction (UNISDR) definisce l’esposizione come la situazione delle persone, delle infrastrutture, degli alloggi, delle capacità produttive e di altre risorse umane tangibili situate in aree a rischio. Le persone e le risorse economiche si concentrano in aree esposte a pericoli attraverso processi come la crescita della popolazione, la migrazione, l'urbanizzazione e lo sviluppo economico (UNISDR, 2009b). I disastri precedenti possono causare esposizione forzando persone dalle loro terre e verso aree sempre più pericolose. Di conseguenza, l'esposizione cambia nel tempo e da luogo a luogo. La pericolosità e la vulnerabilità possono coesistere senza provocare disastri se non c'è esposizione. Il grado di esposizione o contatto determina il grado di danno durante il disastro. Ad esempio, forti piogge non porteranno a danni e perdite se le persone e le loro risorse non saranno esposte alle inondazioni. Il grado di danni e perdite dipenderà dal numero di persone e attività che entrano in contatto con le inondazioni e dalla loro vulnerabilità agli effetti delle inondazioni. L’esposizione rappresenta la stima del valore degli elementi a rischio presenti nell’area di danno riferendosi alla loro natura, qualità e quantità. Pertanto, la stima dell’esposizione si traduce nella quantificazione probabilistica dei beni (edifici, infrastrutture, etc.), delle funzioni (attività sociali, economiche-produttive) e quantificazione delle presenze antropiche (persone) che risultano sensibili al danno.

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2.5 Disaster risk reduction (DRR) e Disaster risk management (DRM)

La riduzione del rischio di catastrofi sottolinea un nuovo pensiero globale nella gestione dei disastri e del rischio di disastro. Ridurre il rischio di disastro richiede l'integrazione della politica sulla DRR (Disasater Risk Reduction) e delle pratiche DRM (Disaster Risk Management) in obiettivi di sviluppo sostenibile. Riducendo e gestendo le condizioni di pericolo, esposizione e vulnerabilità è possibile prevenire le perdite e alleviare l'impatto dei disastri. Poiché non si è in grado di ridurre la gravità dei rischi naturali, l'opportunità principale per ridurre il rischio consiste nel ridurre la vulnerabilità e l'esposizione. Ridurre queste due componenti del rischio richiede l'identificazione e la riduzione dei fattori di rischio sottostanti, che sono particolarmente legati alle scarse scelte e pratiche economiche e di sviluppo urbano, al degrado ambientale, alla povertà e alla disuguaglianza e ai cambiamenti climatici, che creano e aggravano le condizioni di rischio, esposizione e vulnerabilità. Affrontare questi fattori di rischio ridurrà il rischio di disastri, diminuirà gli impatti dei cambiamenti climatici e, di conseguenza, manterrà la sostenibilità dello sviluppo (UNISDR, 2015). La Disaster Risk Reduction (DRR) fa parte dello sviluppo sostenibile, quindi deve coinvolgere ogni parte della società, del governo, delle organizzazioni non governative e del settore professionale e privato. Il suo successo deriva dalla combinazione di cambiamenti istituzionali top-down e strategie, con approcci bottom-up, locali e basati sulla comunità. La riduzione del rischio di catastrofi può essere vista come lo sviluppo sistematico e l'applicazione di politiche, strategie e pratiche per minimizzare le vulnerabilità e i rischi di disastro in una società, per evitare o limitare l'impatto negativo dei rischi, nel contesto generale di sviluppo sostenibile (ISDR, 2004). L'ISDR,” International Strategy for Disaster Reduction”, definisce inoltre il Disaster Risk Management (DRM), come "il processo sistematico da utilizzare per le decisioni amministrative, l'organizzazione, le capacità operative e le capacità per attuare politiche,

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strategie e capacità di coping della società e delle comunità per ridurre l'impatto dei rischi naturali e dei relativi aspetti ambientali e disastri tecnologici. Il disaster risk management (DRM) non solo include, ma va oltre, la disaster risk reduction (DRR) aggiungendo una prospettiva gestionale che combina mitigazione, preparazione, risposta e recupero. Secondo Warfield (2008), la gestione dei disastri ha lo scopo di ridurre, o evitare le potenziali perdite dai pericoli, assicurare un'assistenza tempestiva e appropriata alle vittime del disastro e ottenere una ripresa rapida ed efficace. Il ciclo di gestione del disastro (DRMC) illustra il processo in corso in base al quale i governi, le imprese e la società civile pianificano e riducono l'impatto dei disastri, reagiscono durante e immediatamente dopo un disastro e adottano misure per recuperare dopo un disastro. Azioni appropriate in tutti i punti del ciclo portano a una maggiore preparazione, a migliori avvertimenti, a una vulnerabilità ridotta o alla prevenzione di disastri durante la successiva iterazione del ciclo. Le tre fasi chiave delle attività intraprese nell'ambito della gestione del rischio di disastri sono le seguenti: pre-disastro, risposta e post-disastro.

1. Prima di un disastro (pre-disastro). Le attività pre-disatro sono quelle che vengono prese per ridurre le perdite umane e di proprietà causate da un potenziale pericolo. Mirano a rafforzare le capacità e la resilienza delle famiglie e delle comunità per proteggere le loro vite e mezzi di sussistenza, attraverso misure per evitare o limitare gli effetti negativi dei pericoli e per fornire previsioni del rischio tempestivo e affidabile. Ad esempio, realizzazione di campagne di sensibilizzazione, rafforzamento delle strutture deboli esistenti, preparazione dei piani di gestione dei disastri a livello di famiglie e comunità, ecc. Tali misure di riduzione del rischio adottate in questa fase sono denominate attività di mitigazione e preparazione.

2. Durante un disastro (evento disastroso). Le comunità e le agenzie di soccorso si concentrano sul salvare vite e proprietà. Questi includono iniziative prese per garantire che

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i bisogni e le sistemazioni delle vittime siano soddisfatte e la sofferenza sia ridotta al minimo. Le attività intraprese in questa fase sono denominate attività di risposta alle emergenze.

3. Dopo un disastro (post-disastro). Sono iniziative prese in risposta a un disastro con lo scopo di ottenere il recupero precoce e la riabilitazione delle comunità colpite, subito dopo un disastro. Questi sono chiamati come attività di risposta e di recupero.

Figura 1: Il ciclo di gestione del disastro

Fonte (Alexander, 2002;Coppola, 2011)

• Mitigazione: La mitigazione è l'applicazione di misure che impediscono l'insorgenza di un disastro o riducono l'impatto qualora si verificasse. Esempi: codici edilizi e zonizzazione; analisi di vulnerabilità; educazione pubblica.

• Preparazione: Le attività che preparano la comunità a rispondere quando si verifica un disastro. Esempi: piani di preparazione; esercizi di emergenza e allenamento; sistemi di allarme.

• Risposta: La risposta è l'impiego di risorse e procedure di emergenza guidate da piani per preservare la vita, la proprietà, l'ambiente e la struttura sociale, economica e politica della comunità. Esempi: ricerca e salvataggio; aiuti di emergenza.

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• Recupero: Il recupero implica le azioni intraprese a lungo termine dopo che l'impatto immediato del disastro è passato per stabilizzare la comunità e ripristinare un aspetto di normalità. Esempi: alloggi temporanei; cure mediche.

Le quattro fasi di gestione delle catastrofi qui illustrate non sempre, o anche in generale, si verificano in isolamento o in questo preciso ordine. Spesso le fasi del ciclo si sovrappongono e la durata di ciascuna fase dipende in larga misura dalla gravità del disastro.

2.5.1 Preparazione

A fronte di potenziali disastri vengono prese un insieme di misure precauzionali attraverso lo studio delle attività di preparazione. E’ una fase indispensabile per evitare e attenuare esiti negativi e per il raggiungimento degli obiettivi. In questa fase si identifica in generale tutto ciò che precede l’eventuale evento disastroso con l’obiettivo di garantire che le autorità competenti e le squadre di soccorso siano in grado di fornire una risposta efficace ed appropriata quando un disastro colpirà. Nella fase di preparazione si possono distinguere due fasi, la programmazione, con cui si intraprendo le azioni svolte nel periodo non immediatamente precedente l’impatto, e, l’allarme, azioni svolte nel periodo precedente l’impatto. Nella prima fase si raggruppano tutte quelle azioni e quei processi che vengono presi come misure precauzionali a fronte di potenziali disastri, per essere pronti nel caso si verifichi l’emergenza, mentre la seconda fase consiste nella segnalazione di un pericolo imminente. La preparazione è una fase in cui i governi, le organizzazioni e la popolazione civile si preparano adeguatamente per rispondere all’evento, sviluppando piani per salvare vite umane, ridurre al minimo i danni provocati dalle calamità e migliorare le operazioni di risposta alle calamità. Le misure di preparazione comprendono piani di preparazione periodici che prevedono esercitazioni in base alle procedure previsti

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in caso d’emergenza; sistemi di allarme; stesura dei piani di evacuazione; sistemi di comunicazione di emergenza redatti con una terminologia facilmente comprensibile che consente di identificare la natura di una situazione di emergenza e di fornire istruzioni alla popolazione in caso di necessità; piani di evacuazione e addestramento; inventari delle risorse; identificazione degli addetti all’emergenza compresa la loro formazione, addestramento e equipaggiamento; accordi di mutuo soccorso; informazione ed educazione pubblica. Queste misure dipendono dall'incorporazione nei piani di sviluppo nazionali e regionali e la loro efficacia dipende dalla disponibilità di informazioni sui pericoli, sui rischi di emergenza e sulle contromisure da adottare e dal grado in cui gli enti governativi, le organizzazioni non governative e il pubblico in generale sono in grado di utilizzare tali informazioni. La preparazione è quindi un ciclo continuo di pianificazione, gestione, organizzazione, formazione, addestramento, reperimento di risorse, valutazione, monitoraggio e continuo miglioramento per garantire un coordinamento efficace se necessario per il rafforzamento delle capacità delle organizzazioni interessate per prevenire, proteggere, rispondere, recuperare, creare risorse e ridurre gli effetti dei disastri. 2.5.2 Risposta

La seconda fase, la risposta, ha lo scopo di fornire assistenza immediata per salvare le vite umane, migliorare la salute e sostenere il morale della popolazione colpita dal disastro. Le attività di risposta seguono un'emergenza o un disastro ed è definita come l’insieme delle azioni intraprese per prevenire la perdita delle vite umane e di ulteriori danni causati da un disastro o da un altro tipo di situazione di emergenza. Durante questa fase, i piani che sono stati sviluppati e provati nell’ambito della fase di preparazione vengono messi in atto consentendo un coordinamento efficiente degli sforzi di salvataggio. Generalmente, sono progettati attività per fornire assistenza di emergenza per i feriti come per esempio, ricerca e soccorso, riparo di emergenza, cure mediche, alimentazione di massa, creazione di

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insediamenti semi-permanenti nei campi e in altri luoghi. L'attenzione nella fase di risposta è quella di soddisfare i bisogni primari delle persone fino a trovare soluzioni permanenti e sostenibili. Questa fase del ciclo di gestione delle catastrofi necessita di prevedere un coordinamento dei servizi di emergenza di base, come ad esempio vigili del fuoco, polizia e servizi di primo soccorso che saranno affiancati e supportati da un certo numero di servizi di emergenza secondari, come le squadre di soccorso specializzate che sono chiamate ad intervenire immediatamente dopo l’evento. Si tratta di una fase delicata perché in un lasso di tempo ristretto devono essere prese delle decisioni anche in situazioni in cui vi è la mancanza di informazioni o queste sono insufficienti per ridurre il numero delle vittime. La necessità di prendere delle decisioni in tempi brevi è dettata dalla consapevolezza che la maggior parte delle persone colpite da una catastrofe morirà entro 72 ore dopo il disastro.

2.5.3 Recupero

La terza fase di gestione delle emergenze è il recupero o ripristino. Lo scopo di questa fase è di ripristinare tutti gli aspetti dell'impatto del disastro su una comunità e il ritorno dell'economia locale a un senso di normalità o persino migliore. La fase di recupero del disastro può essere suddivisa in due periodi, la fase a breve termine, di riabilitazione, della durata di qualche mese e una seconda fase a lungo termine, di ricostruzione, che inizia in genere dopo sei mesi dal disastro. La prima tende a ristabilire i servizi di base essenziali, la seconda è orientata verso una soluzione permanente, che cerca di ripristinare le normali condizioni di vita della comunità colpita. Le misure di recupero, sia a breve che a lungo termine, includono il ritorno dei sistemi vitali di supporto a standard operativi minimi; alloggi temporanei; informazione pubblica; educazione alla salute e alla sicurezza; ricostruzione delle abitazioni e delle altre strutture che sono state danneggiate; ripristino

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recupero ci saranno opportunità per migliorare la prevenzione e aumentare la preparazione, riducendo così la vulnerabilità. Questa fase, che a volte può richiedere anni, necessita di ingenti sforzi per una ricostruzione migliore, al fine di ridurre i rischi insiti nel territorio e nelle infrastrutture che hanno determinato l’evento. Gli sforzi sono sostenibili solo con il partenariato tra comunità e governo, mentre le ONG e il ruolo delle organizzazioni internazionali si riducono dopo un certo periodo. La fase di recupero è dunque l’occasione per un superamento del livello di sviluppo preesistente al disastro.

2.5.4 Mitigazione

La mitigazione comprende tutte le attività che impediscono un'emergenza, che riducono la probabilità di accadimento o riducono gli effetti dannosi di pericoli inevitabili, che migliorano le capacità e la qualità del ripristino della situazione. Le attività di mitigazione dovrebbero essere considerate molto prima di un disastro o emergenza. Questa fase comprende la percezione del rischio da parte degli individui e l’attitudine all’adozione di adeguamenti, cioè di azioni volte a modificare le cause del rischio, diminuire la vulnerabilità della collettività e aumentare la resilienza. La mitigazione dipenderà dall’incorporazione di misure appropriate nella pianificazione dello sviluppo nazionale e regionale. Le misure da adottare prevedono di ridurre la vulnerabilità a impatti disastrosi quali infortuni e perdita di vite umane e proprietà. Ciò potrebbe comportare a cambiamenti nei codici di costruzione locale per fortificare gli edifici; zonizzazione e gestione del territorio; regolamenti di utilizzo degli edifici e codici di sicurezza; assistenza sanitaria preventiva; e istruzione pubblica. La fase di mitigazione, e in effetti l'intero ciclo di gestione delle catastrofi, comprende la definizione di politiche e piani pubblici che modificano le cause dei disastri o mitigano i loro effetti su persone, proprietà e infrastrutture.

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2.6 Resilienza

Fino ad adesso abbiamo visto che all’interno della gestione del rischio di catastrofi sono legati i concetti di pericolosità, vulnerabilità, esposizione e rischio ma negli ultimi anni si è diffuso il concetto di resilienza. La resilienza, dal verbo latino “resilio”, cioè rimbalzare, nelle scienze dei materiali e nell’ingegneria, è la proprietà fisica di un materiale di tornare alla propria forma o posizione originale dopo una deformazione non eccedente i suoi limiti elastici. La resilienza fu originariamente introdotta da Holling (1973) nel campo dell'ecologia come la capacità di un sistema ecologico di assorbire il cambiamento e il disturbo, mantenendo comunque le stesse relazioni che controllano il comportamento del sistema. Timmerman (1981) fu probabilmente il primo a descrivere il concetto di pericoli naturali e disastri in cui descriveva la resilienza come la misura della capacità di un sistema sociale, o parte di un sistema, di assorbire gli impatti o di riprendersi da eventi dannosi. L'UNISDR (2011) ha definito la resilienza come la capacità di un sistema, una comunità o una società esposta ai rischi di resistere, assorbire, adattarsi e riprendersi dagli effetti di un pericolo in modo tempestivo ed efficiente. Pelling (2003) è del parere che la resilienza sia una componente della vulnerabilità o la capacità di un attore di affrontare o adattarsi allo stress. Un altro tentativo di interpretazione è stato fatto da Maneyena (2006b) che definisce la resilienza come la capacità di preparare, rispondere e riprendersi dagli impatti dei disastri. Tra i professionisti e gli studiosi del settore, la resilienza ai disastri è intesa come la capacità di assorbire lo stress o la capacità di adattamento da gestire durante un fenomeno imprevisto estremo e di riprendersi o riprendersi dopo un disastro. Vi sono quattro dimensioni interconnesse di resilienza ai disastri, tra cui tecniche, istituzionali, sociali ed economiche (Chang et al., 2004). La resilienza tecnica è la performance dei sistemi fisici quando sono esposti a situazioni di disastro (Zobel 2011), mentre la resilienza istituzionale è la capacità di un'organizzazione consolidata di capire come reagire a un

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evento estremo. Le dimensioni tecniche e istituzionali sono i protagonisti principali delle performance e della costruzione della resilienza dei disastri. La resilienza tecnica può essere misurata dalla forza delle strutture fisiche contro le forze del disastro. Le strutture critiche potrebbero essere il sistema di approvvigionamento idrico, le linee di trasmissione di elettricità e gas, le strutture industriali, commerciali, residenziali, istituzionali ecc. Tuttavia, la capacità di minimizzare le conseguenze avverse delle perdite nel sistema sociale è una forma di dimensione sociale. La stima della resilienza sociale potrebbe essere ottenuta dalla propensione di una famiglia a cercare rifugio temporaneo durante l'evento estremo. La capacità di ridurre al minimo le perdite monetarie dirette e indirette da un evento imprevisto, invece, è la dimensione economica della resilienza alle catastrofi. I ricercatori che hanno studiato la risposta dei sistemi resilienti ai disastri scoprono che tendono ad essere

• Ridondanti - con un numero di componenti funzionalmente simili che permette che l'intero sistema non collassi quando un componente non funziona.

• Diversificati: con un numero di componenti con funzionalità diverse tali da proteggere il sistema contro diverse situazioni potenzialmente pericolose.

• Efficienti: è disponibile una grande quantità di energia prodotta da un sistema che quindi deve essere dinamico.

• Autonomi: con la capacità di operare indipendentemente dal controllo esterno. • Forti: con la capacità di resistere all'attacco o ad altre forze esterne.

• Interdipendenti: con le componenti dei diversi sotto-sistemi connessi in modo da supportarsi vicendevolmente.

• Adattabili: possiede la capacità di imparare dalle esperienze e la necessaria flessibilità di cambiare.

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• Collaborativo: con molteplici opportunità e incentivi che consentano un'ampia partecipazione delle attori coinvolti. (Godschalk, 2003)

Negli ultimi anni, la resilienza ha avuto un ruolo centrale nel dibattito su eventi estremi. L'attuazione della strategia di resilienza alle catastrofi da parte Strategia delle Nazioni Unite per la riduzione dei rischi di catastrofi (2005-2015) "Dichiarazione di Hyogo", sottolinea come promuovere la capacità di resistenza della comunità colpita e come rafforzare ulteriormente la resilienza della comunità per rispondere efficacemente e recuperare autonomamente (World Disaster Report 2004). E’ indispensabile nella costruzione di una comunità resilienti ai disastri il ruolo delle autorità locali nelle attività di pianificazione e piani di gestione delle catastrofi ma occorre anche una cooperazione reciproca tra i principali soggetti interessati, compresi gli individui, le famiglie, la comunità, il governo locale e centrale, le ONG e la comunità scientifica. Essendo vicini alle pressioni della comunità, le autorità locali sono più appropriati nella progettazione di soluzioni a lungo termine per i disastri e altri problemi che generano nelle loro aree di competenza (Manyena 2006b). La resilienza del disastro varia da comunità a comunità a seconda del loro esposizione, vulnerabilità e pericolosità. Questo è ciò che chiamiamo rischio di disastro, che richiede conoscenze e comprensioni sull'assetto fisico, economico, socio-politico ed ecologico. In un modo più semplice, la resilienza ai disastri è la forza di una comunità o di un sistema, e quanto questa efficacemente può resistere, adattarsi o riprendersi da un'emergenza. Ciò implica di conoscere fino a che punto una comunità ha la capacità di costruire la resilienza del disastro contro il disastro futuro. Il miglioramento della resilienza alle catastrofi sottolinea la necessità di ridurre al minimo le vulnerabilità fisiche, ecologiche, economiche e sociali e di mitigare i potenziali impatti dei disastri e creare le capacità di risposta da parte degli individui, comunità e istituzioni. La costruzione della capacità di recupero dei disastri migliora la capacità di ridurre l'impatto di eventi

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imprevisti su singoli, famiglie, comunità, economia e sistema fisico. La resilienza del disastro fornisce anche un riscontro sul modo in cui l'impatto dei disastri può essere minimizzato in modo efficace. Può essere riassunto come maggiore è la capacità di coping di una comunità, di un individuo e di un'istituzione maggiore sarebbe la resilienza del disastro e viceversa. Si può dedurre come le resilienze di un bene possono essere aumentate cambiando la natura della risorsa o la riparazione o sostituzione significativa con un'attività più resiliente. Generalmente, la costruzione di nuove strutture come edifici, strade e ponti su uno standard più resistente ai disastri è un modo per iniziare da zero. Allo stesso modo, dopo uno scenario di calamità, ricostruire meglio la situazione pre-disastro è un'altra forma di rafforzamento della resistenza contro l'evento estremo. Ciò a sua volta migliora la capacità di recupero degli impatti degli eventi estremi futuri. La costruzione della resistenza alle catastrofi non è limitata alle mere infrastrutture, ma deve essere accelerata e ampiamente applicata ai tessuti economici e socioculturali di una società. Dovrebbe essere il motivo nazionale per costruire ogni comunità più forte e più resistente alle conseguenze negative di eventi estremi.

2.7 Costi dei disastri

Oggi c'è una comprensione più profonda che mai dei fattori sottostanti che aumentano la probabilità di un futuro evento disastroso. Sempre più paesi si stanno muovendo per mettere in atto strategie nazionali e locali per la riduzione del rischio da disastro entro il 2020, in linea con gli obiettivi del Framework di Sendai. In un momento in cui i cambiamenti climatici stanno aumentando la frequenza e la gravità degli eventi meteorologici estremi, i disastri continuano ad essere i principali ostacoli allo sviluppo sostenibile causato anche dallo sviluppo economico in aree pericolose come pianure alluvionali, coste vulnerabili e zone sismiche. L’Ufficio per la riduzione del rischio da disastri delle Nazioni Unite e i suoi partner stanno collaborando con i governi per stabilire

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solidi database nazionali per le perdite da disastri come parte del Framework Sendai per la riduzione dei rischi da disastri 2015-2030. Una migliore tenuta dei registri e degli indicatori standardizzati delle perdite aiutano i pianificatori a migliorare il modo in cui gestiscono il rischio da disastri su piccola scala e su larga scala, frequenti e rari, improvvisi e lenti causati da pericoli naturali o provocati dall'uomo. Tra il 1998 e il 2017 disastri climatici e geofisici hanno ucciso 1,3 milioni di persone e lasciato altri 4,4 miliardi di feriti, senzatetto, sfollati o che hanno avuto bisogno di assistenza all’emergenza. Mentre la maggior parte dei decessi è dovuta a eventi geofisici, principalmente terremoti e tsunami, il 91% di tutti i disastri sono stati causati da inondazioni, tempeste, siccità, ondate di caldo e altri eventi meteorologici estremi. In questo lasso di tempo, i paesi colpiti da disastri hanno riportato perdite dirette economiche per un valore di $ 2,908 miliardi di dollari (Tutte le perdite economiche e il PIL sono aggiustate al valore di dollari USA del 2017), di cui 2,245 miliardi di dollari o il 77% dei disastri sono legati totalmente al clima. Ciò è dovuto al 68% (895 miliardi di $) di perdite (1,313 miliardi di $) riportate tra il 1978 e il 1997. Nel complesso, le perdite riportate dagli eventi meteorologici estremi, in questi vent’anni, sono aumentate del 151%. In termini monetari assoluti, negli ultimi 20 anni, gli Stati Uniti hanno registrato le perdite maggiori (945 miliardi di $), riflettendo alti valori patrimoniali e frequenti eventi (CRED, 2017). La Cina, al confronto, ha subito un numero significativamente più alto di disastri rispetto agli Stati Uniti (577 contro 482), ma ha ridotto le perdite totali (492 miliardi di $). Tali perdite sono solo una parte della storia, dal momento che la maggior parte delle segnalazioni di calamità da EM-DAT (63%) non contiene dati economici. La Banca Mondiale ha calcolato che il costo reale per l'economia globale è di 520 miliardi di dollari l'anno, con disastri che spingono 26 milioni di persone in povertà ogni anno (World Bank, 2017). Tra le dieci maggiori catastrofi, nel 2016, in termini di impatto economico vi è il terremoto del centro Italia, con quasi 300 vittime e

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perdite valutate complessivamente in 5 miliardi di dollari, di cui solo 100 milioni assicurati, il 2%. Nonostante si siano verificati tre gravi terremoti in Equador, Giappone e Italia, le inondazioni sono state il disastro più costoso con 62 miliardi di danni, il 30% del totale; e sono il disastro più costoso per il quarto anno consecutivo. Gli eventi alluvionali più significativi hanno colpito il bacino del fiume Yangtze in Cina, il Fiume Azzurro, che ha fatto tra 28 e 33 miliardi di dollari di danni in estate, ai quali si sono aggiunti i 4,7 miliardi di dollari di danni prodotti dalle esondazioni nel nord est dello stesso paese; eventi che hanno colpito anche la Corea del Nord e la Russia. E nel solo stato americano della Louisiana, le perdite da alluvione sono state stimate tra 10 e 15 miliardi di dollari. Solo il 2% dei danni cinesi sulle rive del Fiume Azzurro era coperta da assicurazione. Le economie emergenti dell’Asia-Pacifico sono quelle più vulnerabili a seguito di una grande catastrofe. Ciò è dovuto alla crescita della popolazione, alla rapida urbanizzazione, e alla concentrazione di rischi ad alto valore aggiunto, spesso localizzati senza tenere conto della pericolosità naturale. Anche paesi avanzati come l’Italia, significativamente a rischio sia da terremoto sia da alluvione e frana, coprono una quota infinitesima del rischio tramite gli strumenti assicurativi, il cui sviluppo è limitato da lustri di mancate politiche di resilienza. Senza un contenimento dell’esposizione e, soprattutto, una diminuzione della vulnerabilità, la condivisione del rischio tramite lo strumento assicurativo diventa una utopia del tutto irrealizzabile. Mentre le perdite economiche assolute potrebbero essere concentrate nei paesi ad alto reddito, il costo umano dei disastri ricade in modo schiacciante sui paesi a basso e medio reddito, la vulnerabilità al rischio e i livelli di sofferenza sono determinati dai livelli di sviluppo economico, piuttosto che semplice esposizione a pericoli naturali di per sé. La forte crescita della popolazione, i cambiamenti delle condizioni climatiche e la rapida urbanizzazione sono indici che più di tutti vanno monitorati per provare a contenere nuovi disastri.

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2.7.1 Panoramica dei disastri dal 1998-2017

L'incremento della cooperazione internazionale sulla riduzione del rischio da disastri, il numero crescente di banche dati nazionali per la perdita da disastri e gli sforzi per accelerare l'attuazione del quadro di Sendai, hanno migliorato negli ultimi anni le informazioni sull’incidenza e la gravità dei disastri. Negli ultimi 20 anni i disastri legati al clima hanno dominato la panoramica mondiale rappresentando il 91 % di tutti i 7255 eventi registrati tra il 1998 e il 2017, contro il 9% legati a eventi geofisici (CRED, 2017). Il 43% degli eventi registrati è rappresentato dalle inondazioni che sono il tipo di disastro più frequente, seguito dalle tempeste con il 28,2%, terremoti 7,8%, ondate di calore 5,6%, frane 5,2%, siccità 4,8%, incendi 3,5%, attività vulcaniche 1,4%, aridità 0,2%.

Figura 2: Numero dei disastri per tipo dal 1998 - 2017

Fonte CRED, 2017

Le inondazioni, nel periodo tra il 1998-2017, non rappresentano solo il disastro più frequente ma anche quello che ha colpito il maggior numero di persone, oltre più di 2 miliardi, seguito dalla siccità che ha colpito altri 1,5 miliardi, le tempeste 725 milioni, i terremoti 125 milioni, le ondate di calore 97 milioni, gli incendi, le attività vulcaniche e l’aridità altri 62 milione ed infine le frane con 4,8 milioni. I dati più preoccupanti sono le

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vittime dei disastri, tra il 1998 e il 2017 hanno perso la vita 1,3 milioni di persone. Le tempeste, compresi i cicloni tropicali e gli uragani, furono seconde solo ai terremoti, 747.234, in termini di vittime, uccidendo 232.680. Il resto dei disastri nonostante colpiscano maggiori persone hanno un impatto minore in termini di morte, le ondate di calore hanno ucciso 166.346 persone, le inondazioni 142.088, la siccità 21.563, le frane 18.414, gli incendi, le attività vulcaniche e l’aridità 2.398 (EM-DAT, 2017). I terremoti rappresentano una serie di problemi per i paesi in aree sismicamente attive perché i tempi di ritorno sono lunghi e imprevedibili, invece le popolazioni vulnerabili agli eventi meteorologici estremi sono distribuite in modo uniforme in tutto il mondo senza nessuna esclusione. La panoramica continentale mostra che le Americhe e l’Oceania sono complite da tempeste, l’Asia è soggetta ad alluvioni e tempeste, l’Europa da ondate di calore e l’Africa dalla siccità. Tra gli eventi metereologici la siccità spesso infligge perdite significativamente maggiori alle economie nazionali rispetto ad altri disastri, questo avviene perché i periodi di siccità sono in genere eventi ad insorgenze lenta, con una lunga durata ed un’elevata copertura spaziale. Secondo l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) l'agricoltura è il primo settore colpito dalla siccità e anche il settore più colpito, assorbendo circa l'80% di tutti gli impatti diretti, con molteplici effetti sulla produzione, sulla sicurezza alimentare e sui mezzi di sussistenza rurali (FAO, 2018). In termini di perdite economiche il primato lo hanno gli Stati Uniti con 944.8 miliardi di dollari, che ha subito negli ultimi gravi danni a causa dei tre uragani, Harvey, Irma e Maria. Il continente asiatico vede, la Cina con danni economici pari a 492.2 miliardi di dollari, è un territorio colpito principalmente dalle inondazioni ma che nel 2008 è stato colpito da un forte terremoto a Sichuan; il Giappone, che nel 2011 ha subito un immenso danno causato dal grande terremoto e dallo tsunami con il conseguente danno alla centrale nucleare di Fukushima, negli anni ha subito perdite economiche per 376.3 miliardi di

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dollari; altro paese che ha subito enormi perdite è l’India con 79.5 miliardi di dollari. In Europa la situazione non cambia, le perdite economiche subite vedono la Germania con 57.9 miliardi di dollari a causa delle inondazioni, l’Italia con 56.6 miliardi di dollari dovute ai terremoti e la Francia con 43.3 miliardi di dollari causate dalle tempeste.

Figura 3: Perdite economiche dei principali Stati 1997-2017

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3 Iniziative internazionali per la gestione e la riduzione dei disastri

3.1 Hyogo For Action

I disastri continuano a minacciare sempre più l'economia mondiale, la sua popolazione e lo sviluppo sostenibile dei paesi. A livello globale c’è sempre più preoccupazione dei rischi derivanti dai disastri, anche perché il loro impatto e azioni in una regione possono avere un impatto sui rischi in un'altra, e viceversa. Occorre affrontare le sfide derivanti dai disastri, aggravati, sempre più, dall'aumento della vulnerabilità legata al cambiamento delle condizioni demografiche, tecnologiche e socio-economiche, dall’urbanizzazione non pianificata, dallo sviluppo nelle zone ad alto rischio, dal sottosviluppo, dal degrado ambientale, dalla variabilità climatica, dai cambiamenti climatici, dai rischi geologici e diventa indispensabile compiere sforzi accelerati per creare le capacità necessarie a livello comunitario e nazionale per gestire e ridurre i rischi. L'importanza di promuovere gli sforzi di riduzione del rischio di disastri, lo sviluppo sostenibile, la riduzione della povertà, la buona governance a livello internazionale e regionale, nonché a livello nazionale e locale, è stata riconosciuta negli ultimi anni in un due framework, lo Hyogo e il Sendai. La seconda Conferenza mondiale sulla riduzione dei disastri tenutasi il 18-22 gennaio 2005 a Kobe, Hyogo, in Giappone, è stata organizzata per valutare i progressi compiuti in merito alla gestione e alla riduzione del rischio di catastrofi dopo la Conferenza di Yokohama del 1994. Il risultato principale della conferenza è stato quello di adottare un quadro d’azione per il periodo 2005-2015, lo “Hyogo Framework for Action, Costruire la resilienza delle nazioni e delle comunità ai disastri”. Lo Hyogo Framework for Action è stato formulato come una risposta completa e orientata all'azione al crescente impatto dei disastri sugli individui, sulle comunità e sullo sviluppo nazionale. Il quadro è stato adottato da 168 governi e approvato all'unanimità da tutti gli Stati membri, rappresentando un forte impegno da parte della comunità internazionale ad affrontare la riduzione dei disastri e ad

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impegnarsi in un piano d'azione determinato e basato sui risultati. I paesi e le organizzazioni regionali d'Europa che hanno riferito sull'attuazione dello Hyogo Framework for Action sono: Albania, Armenia, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Italia, ex Repubblica iugoslava di Macedonia, Moldavia, Monaco, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Serbia, Spagna, Svezia, Svizzera e Turchia. Le organizzazioni e le iniziative regionali sono: il Consiglio d'Europa (accordo EUROPA per i grandi rischi), la Commissione europea, l'Iniziativa per la prevenzione delle calamità per l'Europa sudorientale, il Consiglio di cooperazione regionale per l'Europa sudorientale, il Forum europeo per la riduzione del rischio di disastri e una rete europea di piattaforme nazionali. La Conferenza di Hyogo ha offerto un'opportunità unica per promuovere un approccio strategico e sistematico alla riduzione delle vulnerabilità e dei rischi da disastri. Come evidenzia l’UNISDR i rischi da disastro, sono rappresentati come conseguenze dell'interazione dei pericoli con la vulnerabilità di carattere fisico, sociale, economico e ambientale (UNISDR, 2005). Questi fattori possono essere attribuiti a effetti collaterali dannosi della politica, all’ incuria, o addirittura alla negligenza, e quindi le loro cause possono essere sia involontarie che intenzionali. Nella conferenza, inoltre, si sottolineava la necessità e l’identificazione dei modi per costruire la resilienza, delle nazioni e delle comunità, ai disastri causati da pericoli di origine naturale, e non solo, e i relativi pericoli e rischi ambientali e tecnologici. Il framework riflette un approccio olistico e multiforme nella gestione del rischio dei disastri e al rapporto che può avere un impatto significativo sui sistemi sociali, economici, culturali e ambientali, come era stato sottolineato nella Strategia di Yokohama. Per raggiungere questo risultato atteso, la Conferenza decise di adottare i seguenti 3 obiettivi strategici (HFA 2005-2015):

• l'integrazione più efficace delle considerazioni sul rischio di disastri in politiche di sviluppo sostenibile, pianificazione e programmazione a tutti i livelli, con particolare

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