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Soft skills e l’autogoverno dell’agire

CAPITOLO II: SOFT SKILLS COME MODALITÀ DI COSTRUZIONE E ATTIVAZIONE

II.3 Soft skills e l’autogoverno dell’agire

Prima di andare a mostrare cosa si intende per autogoverno, facciamo un piccolo passo indietro e riprendiamo l’agire identity oriented: partendo dalla definizione di razionalità sostanziale Livolsi ha evidenziato come questa, nella società contemporanea, sia individuale e sperimentale. Individualità e sperimentalità sono espressione di un’identità che, liberatasi dai forti condizionamenti e percorsi determinati da tradizioni, deve costruire il proprio progetto di vita, tracciando una linea tra le varie esperienze, tra le varie possibilità che la società dispiega. L’individuo quindi deve scegliere e spesso queste scelte comportano dei rischi, soprattutto quando si trova ad affrontare nuove esperienze, con nuove difficoltà. Per questo una narrazione del sé diviene necessaria: l’individuo deve ri-conoscersi in un processo continuo, perché solo così potrà trovare la sua strada.

Ciò che espone il soggetto ad un maggiore rischio è la perdita di sé: mancando di un’auto- riflessione, potrebbe passare da un’esperienza ad un'altra, senza tracciare quella traiettoria che è necessaria per mantenere un senso stabile della propria persona. Riflessività e processualità si intrecciano e, se l’individuo non trovasse una stabilità, un punto fermo in questo continuo fluire, finirebbe per sentirsi smarrito.

All’interno di questa parte abbiamo presentato le soft skills come quelle competenze trasversali, o meta-competenze, che garantiscono una migliore riuscita della performance di un soggetto in un dato contesto sociale. Di lì, è stato mostrato come queste trascendano la competenza stessa, in particolar modo la sua fattualità: le soft skills sono ciò che è al di sopra delle singole competenze, in quanto esse ne rappresentano l’attivazione e quindi il momento strettamente precedente. Le soft skills riguardano quindi la capacità che ha un soggetto di mobilitare, di ri- vedere i propri schemi di azione, il proprio saper fare, direzionandoli verso un saper essere che si adatti in modo efficace alle situazioni che sta affrontando e a quelle che dovrà affrontare. Esse si presentano quindi come competenza strategica in questo senso, garantendo al soggetto una maggiore adattabilità alle varie esperienze e sfide con cui si confronterà nella vita. Anche in questo caso riflessività e processualità si intrecciano e vanno a formare quelle skills che fungeranno da appoggio, da àncora per il soggetto che potrà sperimentare un nuovo senso di stabilità e sicurezza.

Le soft skills sono quindi quelle competenze che consentono di mettere in atto quell’agire

identity oriented, poco fa espresso. A tal proposito M. Cinque definisce la competenza in questo

senso: “Il concetto di competenza, quindi, non descrive uno stato bensì un processo (una realtà dinamica) in cui un particolare rilievo assume il saper agire di contro al saper fare. Mentre il secondo

78 rinvia ad una semplice competenza procedurale, ossia alla conoscenza del modo in cui le risorse possedute possono essere impiegate, il saper agire presuppone un’intenzionalità in quanto fa riferimento ad una sequenza di atti inseriti in una struttura progettuale all’interno del quale acquisiamo senso.” 72

Ed è proprio il saper agire che caratterizza l’azione nella società contemporanea, dove occorre saper impiegare le proprie conoscenze e capacità, il proprio saper essere e fare, ai fini di un’azione efficace ed efficiente in una società flessibile che richiede al soggetto una sempre maggiore capacità di adattamento. Così le soft skills, intese come meta-competenza di spinta all’azione, di presa di iniziativa, consentono al soggetto di “dirigere se stesso” verso quella traiettoria, che è il proprio progetto di vita.

Dirigere se stessi, nei termini di Michele Pellerey, vuol dire per l’individuo far interagire tra loro due processi fondamentali quali autodeterminazione e autoregolazione. Con il primo termine l’autore sottolinea la dimensione della scelta, del controllo di senso e di valore, dell’intenzionalità dell’azione: è il bacino della motivazione, della decisione, del progetto di vita. Con il termine autoregolazione, invece, egli fa riferimento al monitoraggio, alla valutazione di un sistema d’azione, facendo maggiormente attenzione al controllo strumentale dell’azione. Così è nel primo livello, nell’autodeterminazione, che si sviluppa quel senso di finalità, di scopo, di progetto insito nella propria azione, che fa di quest’ultima non una mera procedura, ma un’azione strategica, fortemente motivata e dotata di senso e valore. Nel secondo livello invece è il “fare” che prevale, stando attenti alle procedure, alla loro coerenza e funzionamento. 73

È da questa definizione di autodeterminazione che si apre la possibilità per il soggetto di un autogoverno del proprio agire, cioè la possibilità di scrivere il proprio destino, di essere scultori di se stessi, di trovare in sé un nuovo appiglio stabile per confrontarsi con la propria vita. È dalle soft skills, come meta-competenze, che l’individuo, consapevole di se stesso, impara passo dopo passo a confrontarsi con le varie sfide e difficoltà che la vita gli pone dinanzi.

“La competenza delle competenze- l’autogoverno dell’agire- sta dunque nel saper condurre, in

maniera coerente e valida, la propria vita nel contesto delle vicende che la sollecitano e spesso la sfidano in maniera particolarmente viva”74.

Dove coerenza e validità sono l’ombra di quella retta tracciata dal proprio percorso di vita, l’uomo diviene libero, ma soprattutto consapevole di sé, dei propri abiti, delle proprie esperienze, della propria biografia. Così si apre una possibilità per recuperare quel senso di

72Cit, ivi, pp. 208-209 73Crf, ibidem. 74Cit, ivi., p. 312.

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sicurezza che il disincanto dalle vecchie pratiche e dogmi tradizionali aveva portato con sé. Questa possibilità va colta nello sviluppo delle soft skills, ossia delle meta-competenze: l’individuo, consapevole di sé, impara ad imparare, a mobilitare se stesso, il proprio fare ed il proprio essere, impara a confrontarsi con le differenti esperienze di vita, con quelle nuove e destabilizzanti, trovando in sé una nuova àncora.

Cosi, le soft skills divengono quello che, all’inizio di tale capitolo, è stato definito come meta-

valore: quest’ultimo supera il valore, perché non è il valore in sé, ma l’attivazione di esso. È la

volontà, la motivazione che l’individuo trova nel vivere attivamente la propria vita. È liberandosi dai vincoli che l’individuo trova in sé un senso di pace, di conforto che al di fuori non troverebbe. Il soggetto nella società contemporanea deve imparare a confrontarsi con se stesso ovvero con la realtà che lo circonda, ri-guardandosi e ri-guardandola (la società), sarà in grado di muoversi all’interno di essa.

Le soft skills nascono nell’interazione sociale e, una volta sviluppate, guidano il soggetto all’interno della stessa. Va da sé che, data la loro origine, non essendo innate, esse vengano apprese. Così negli ultimi anni si è iniziato a parlare di “educare alle soft skills”75, ovvero

stimolare il soggetto ad assumere quegli atteggiamenti riflessivi, proattivi che ne sono espressione, inserendoli in contesti dove possano praticare quella capacità di attivazione di sé di cui abbiamo precedentemente parlato.

Nell’ultima parte di tale elaborato di tesi verranno mostrati i risultati di un’analisi qualitativa effettuata su giovani laureandi presso l’ateneo dell’Università di Pisa, il cui intento è quello di mostrare come le soft skills si siano inserite nel processo della loro formazione identitaria. Partendo da momenti chiave per tale sviluppo, come la scelta (o mancata scelta) del proprio percorso di studi e della propria professione futura, per poi dirigersi verso esperienze personali, sogni, progetti e vita quotidiana, è stato possibile notare come le soft skills svolgano allo stesso modo un ruolo decisivo anche in tali successivi passaggi.

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PARTE III: PROFILI E MODALITÀ EMERSI DA UNA BREVE