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Anche da questa prospettiva, peraltro, il continuo sviluppo frammentato della normativa assicurativa, pur doveroso per adeguare la tutela delle condizioni di bisogno connesse a fattori di rischio professionale, finisce per inserire continua-mente ulteriori fattori di disarmonia nel quadro dei principi base dell’assicurazio-ne per come nata e per come confermata dal legislatore del 1965, confermando, così, l’idea che sia urgente un intervento di riordino dalle fondamenta del siste-ma di tutela.

Particolarmente significativa è la vicenda delle malattie professionali, anch’essa sviluppatasi in modo da superare progressivamente il legame fra lavoro, rischio ed eventi che già agli albori della tutela era estremamente problematico.

Il primo dato è nel saldo legame della tutela in questione con quella infortuni-stica, quale addendo di quest’ultima rimasto immutato dalla legge istitutiva della tutela nel settore industriale (r.d. 928/1929) che ne delimitava l’ambito a sei malattie (cinque intossicazioni da… e l’anchilostomiasi)45. Si trattava di una presa di posizione di avanguardia per l’epoca - in molti Stati le malattie professionali erano equiparate a quelle generiche a fini previdenziali - poiché a fronte della rigidità della lista era assoluta la presunzione dell’origine profes-sionale con prestazioni e regime contributivo nel complesso omologhi a quello per infortunio.

Un’ulteriore delimitazione scaturiva dalla complessità della tabella: malattia -lavorazione nella quale doveva essere contratta - periodo massimo di indennizza-bilità. Non era (né è) previsto un periodo minimo di esposizione - unico reale riscontro normativo della lentezza della causa della nozione scientifica di

malat-45 L’inserimento della anchilostomiasi è l’unica ipotesi di inquadramento fra le malattie professionali di un evento che deve considerarsi di per sè un infortunio da causa virale al pari ad esempio dell’AIDS. Il tema negli ultimi tempi è oggetto di un serrato confronto fra quanti - chi scrive e fra loro - ritengono che detta impostazio-ne vada rispettata e quanti invece tendono a ricondurre le “malattie” intese come eventi non (apparentemente) traumatici fra le malattie professionali. Le motivazioni di quest’ipotesi sono condivisibili dal punto di vista epi-demiologico e della medicina del lavoro ma non possono mettere in discussione un criterio assicurativo collau-dato e che consente una agevole tutela dei lavoratori interessati.

tia professionale - e con la legge 1967/1952 fu compiuto un decisivo passo ampliando la tutela con: l’incremento del numero di malattie professionali; -l’arricchimento della nozione stessa delle varie voci nel senso che ad intossica-zione fu sostituito il termine malattia mentre per lavoraintossica-zione di intendeva “lavo-razioni che espongono all’azione di…” ; - l’eliminazione del meccanismo restrit-tivo della normativa del 1935 che prevedeva anche specifiche e tassative moda-lità di manifestazione.

Senza soluzione di continuità, quindi, proseguì la battaglia per il superamento della rigidità della lista (e per l’autonomia della tutela, molto sentita in un’epoca in cui il campo di applicazione soggettivo era delimitato) con una azione propo-sitiva della Corte costituzionale46che, dopo decenni di “sollecitazioni”, è inter-venuta con una sentenza che, senza mettere in discussione il sistema della lista rigida, ha sancito il diritto dei lavoratori a dimostrare l’origine professionale di malattie non tabellate.

Quella che sul piano scientifico, normativo e politico, era una grossa conquista, nella pratica risultò una via irta di ostacoli poiché la dimostrazione era comples-sa, tanto che, con un sistema ridisegnato dal Decreto 38 del 2000:

- si è continuato ad arricchire la lista rigida, con il dpr 336/1994 e, da ultimo, con il D.M. 9.4.2009 adottato sulla base della revisione periodica effettuata dalla apposita Commissione scientifica prevista dall’articolo 10 del Decreto;

- si è riordinato il meccanismo di preselezione, selezione e tabellazione delle malattie potenzialmente professionali previsto dall’articolo 139 del T.U.

n.1124 del 1965 con il richiamato articolo 10 che ha affidato alla Commissione il compito di aggiornare le liste di malattie per le quali è obbli-gatoria la denuncia ai sensi dell’art.139, la cui ultima edizione è stata adottata con D.M. 14.1.2008 sulla base del parere della Commissione47.

Queste innovazioni normative sono state arricchite dall’INAIL che, consapevole della complessità dell’iter di dimostrazione della professionalità, ha creato una procedura di “sostegno” per il lavoratore nell’ iter di dimostrazione, anticipando in alcuni casi sul piano amministrativo la riconoscibilità di alcune malattie sulla base di parametri predeterminati.

Già questi richiami mostrano la complessità del raccordo fra rischio professiona-le, e malattia per due indicazioni difficilmente coniugabili fra loro.

La prima riguarda la nozione stessa di malattia professionale nella parte in cui il legislatore precisa che deve essere contratta nell’esercizio ed a causa della lavo-razione, con ciò creando un nesso di “normalità” della tecnopatia come naturale e diretta conseguenza di una determinata lavorazione. Lo stesso concetto di

46 Per la quale v., per tutti DE MATTEIS-GIUBBONI, op. cit., p. 467.

47 In tema v. DE MATTEIS A., La nuova tabella delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura, in Riv. Inf. Mal. Prof., 2008, 443.

rischio assume, così, un connotato particolare ed il fondamento della assicurazio-ne deve rinvenirsi assicurazio-nella circostanza che la potenzialità lesiva è immaassicurazio-nente assicurazio-nel lavoro - o meglio nella lavorazione, come vedremo poi - sicché chi ne trae gio-vamento deve sostenere altresì il costo dell’indennizzo per il lavoratore colpito.

In questo modo, l’estensione della tutela alle malattie non tabellate è stata pro-gressivamente affinata, col crescere della consapevolezza che la complessità del-l’accertamento è tale che è difficile definire l’indennizzabilità; stabilire quale sia il modo più corretto per la distribuzione del relativo onere; verificare il livello di responsabilità del datore di lavoro a fini penali, risarcitori ed indennitari.

Infatti, per la maggior parte delle malattie lavoro correlate che non abbiano una manifestazione tipica (come il mesotelioma pleurico), è difficile definire con sicu-rezza il collegamento fra lavoro, agente morbigeno e malattia. Il problema si com-plica per le malattie multifattoriali per le quali vari fattori concorrono alla lesione invalidante, professionali e non professionali, con l’ulteriore incertezza, per i primi, derivante dalla intuibile difficoltà di definire quale sia la lavorazione prevalente od esclusiva alla quale attribuire poi l’onere delle prestazioni a fine contributivi.48 Proprio in ragione di questa criticità, non a caso nella costruzione delle Tariffe dei premi e dei meccanismi conseguenti di oscillazione dei tassi le malattie pro-fessionali sono valutate con modalità particolari al pari di quanto accade per l’in-fortunio in itinere, i cui oneri rientrano fra quelli indiretti non attribuibili intera-mente all’azienda datrice di lavoro del lavoratore infortunato.

A questo oggettivo riconoscimento della difficoltà di riferire un evento come la malattia professionale alla “responsabilità di una singola azienda” (nelle ipotesi ovviamente di molteplicità di rapporti di lavoro nel tempo49) va aggiunta, poi, la posizione concordemente assunta dalla Magistratura circa la efficienza della causa ai fini della individuazione della professionalità rilevante a fini assicurativi.

Il problema, ovviamente, si è acuito con la introduzione del sistema misto e con l’am-pliarsi del ventaglio delle condizioni di multifattorialità. Si ripropone, così, il proble-ma di una nozione di proble-malattia professionale di riferimento con una valenza giuridica specifica rispetto a quella del mondo scientifico riferito alla lentezza della causa.

Il Testo Unico, peraltro, parla di “malattie professionali contratte nell’esercizio ed a causa delle lavorazioni specificate in tabella” con una definizione che nulla aggiunge alla individuazione di una nozione di malattia da lavoro a fini assicu-rativi50dovendo così continuare a farsi riferimento:

- alle indicazioni scientifiche ed epidemiologiche, con tutte le difficoltà connes-se con la permanente commistione e sovrapposizione fra letture epidemiologi-che prevenzionali e letture assicurative;

48 Sul tema v. GAMBACCIANI, Il lavoro che cambia e le nuove malattie professionali, in Riv. Inf. Mal. Prof., 2001, I, 405.

49 La situazione deve considerarsi ormai istituzionalizzata con le nuove modalità di lavoro.

50 A fini assicurativi e non prevenzionali.

- all’insegnamento della Corte costituzionale che ha ridimensionato il forte intento delimitativo di “nell’esercizio ed a causa”, riconoscendo il diritto all’indennizzo anche per lavorazioni complementari ed accessorie a fronte di una identica esposizione a rischio ambientale;

- al principio generale della equivalenza della causa, mutuato dal diritto penale secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito anche in maniera indiretta e remota alla produzione del-l’evento, salvo che non sopravvenga un fattore che da solo sia sufficiente a produrre l’evento, sicché gli antecedenti restano delle mere occasioni;

- alla “mediazione scientifica” della Commissione di cui all’articolo 10 del Decreto 38/2000, che distingue per le malattie con obbligo di denuncia fra quelle di possibile e quelle di probabile origine professionale, con una opera-zione che desta perplessità poichè rischia di anticipare il giudizio assicurativo in un momento in cui per il medico è essenziale unicamente l’impegno di comunicare di aver rilevato una delle malattie elencate.51

Questi sparsi spunti confermano il leit motiv della nostra riflessione riguardante la criticità di un sistema fondato, alle origini, su valori di responsabilità del siste-ma produttivo a fronte di siste-malattie che solo in piccola percentuale sono oggi determinate da fattori lavorativi. Le fondamenta si sgretolano, così, e gli istituti giuridici restano liberi di “oscillare” con l’aggravante derivante dal fatto che l’evoluzione del “diritto vivente” non è stata scandita da periodici interventi di sistematizzazione normativa, sicchè la tutela per le malattie professionali resta, in conclusione, legata sul piano formale:

- a quella per gli infortuni sul lavoro che sostanzialmente riguarda tutti i lavora-tori, ma con potenzialità esclusive spesso inespresse;

- ad una lavorazione e non al lavoro in quanto tale sicché resta problematica la tute-la nel caso - certo teorico in apparenza - in cui non sia possibile individuare una specifica lavorazione sulla quale “appoggiare” per così dire la indennizzabilità.52 Resta, d’altra parte, il fatto che la soluzione giuridica per le malattie multifatto-riali (e non solo), pur ineccepibile sul piano dei principi, non supera sul piano

51 Questo aspetto testimonia l’incertezza con cui il legislatore continua a muoversi, ponendo al centro del siste-ma una Commissione scientifica (forsiste-mata da rappresentanti degli enti assicuratori e dell’INPS con una presen-za pressoché simbolica di soggetti espressi dal SSN), che ha ritenuto di distinguere fra le malattie “sospette”, con una ricostruzione che doveva restare all’interno del sistema di valutazione senza interessare direttamente i medici e senza creare attese negli interessati con una lista di “probabili malattie professionali” rispetto alla quale l’assicuratore potrebbe essere costretto a dimostrare la non probabilità

52 È il caso, quest’ultimo, della tutela del c.d. mobbing, legata dall’Istituto al rilievo della costrittività organiz-zativa in termini che il TAR, prima, ed il Consiglio di Stato, poi, hanno ritenuto non corretta sulla base di un ragionamento sul quale torneremo poi per una riflessione conclusiva.

pratico e dell’equilibrio fra posizioni giuridiche, le perplessità e contrarietà delle aziende di vedersi addebitare in vario modo il costo di eventi determinati solo in misura spesso marginale dall’occupazione presso di esse del lavoratore interes-sato. Da ciò un’ulteriore conferma della necessità di una riconsiderazione com-plessiva dell’intero assetto assicurativo.

17. Criticità alla verifica dell’esonero dalla responsabilità civile