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Considerazioni per una riforma dell’assicurazione infortuni sul lavoro fra razionalizzazione ed evoluzione

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QUADERNI DELLA

Considerazioni per una riforma dell’assicurazione infortuni

sul lavoro fra razionalizzazione ed evoluzione

R I V I S T A

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Considerazioni per una riforma dell’assicurazione infortuni

sul lavoro fra razionalizzazione ed evoluzione

Edizione 2009

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1 2 3

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8 10

11 14 15 19 21 24 26 27 28

32 35 36 40 40 1. L’assicurazione infortuni nel consolidamento del 1965

2. Gli sviluppi: arricchimento di tutele, degrado della sistematicità 3. L’idea di un nuovo Testo Unico: apprezzata ma mai considerata

4. Ritardo del riordino e crescente attenzione per le varie tipologie di danno alla persona

5. Possibili motivazioni di scenario della mancata riforma

6. Una riforma necessaria che riconsideri l’impianto del T.U. alla luce del Decreto 81/08 e dell’evoluzione del Welfare

7. Tendenziale affievolirsi della differenza fra i due commi art. 38 Cost.

8. Un quadro in movimento per una riflessione a partire dal Libro Bianco:

motore di opportunità, fonte di preoccupazioni 9. Una rilettura storica della tutela e delle sue fondamenta 10. La storia: le origini della tutela nel dibattito sui principi

11. La storia: le tappe successive di sviluppo nella continuità/discontinuità 12. La storia: dal sistema del 1935 al Testo Unico del 1965

13 Il Testo Unico del 1965 e la legge delega del 1963

14. Il Decreto 38/2000: le realizzazioni e le prospettive irrisolte

15. Una riflessione sul ruolo della Costituzione: fonte primaria del sistema 16. Specificità e malattie professionali

17. Specificità alla verifica dell’esonero dalla responsabilità civile e della rilevanza dei comportamenti del lavoratore

18 Criticità del sistema e tutela dei lavoratori italiani all’estero

19. La rilettura del sistema alla luce del decreto 81/08 e del decreto 106/09 20. Una considerazione di sintesi

20.1 ll disagio interpretativo di un mix di T.U., leggi, giurisprudenza

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bisogni legati a lesioni permanenti dello stato di salute

20.4. Circolarità del percorso di sviluppo delle tutele: garanzie e welfare contrattuale per la costruzione della “vita buona” del Libro Verde 21. Dalle riflessioni alla ricostruzione del sistema: punti fermi e opzioni

per un’ipotesi ricostruttiva globale A) Punti fermi e opzioni ipotizzabili p.

B) La ’insofferenza per il “pubblico”e l’assicurazione “casalinghe”

C) Ruolo dell’assicurazione e ruolo dell’INAIL

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48

50 50 55 57

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cennale evoluzione e punto di partenza per uno sviluppo della tutela sociale per i rischi del lavoro di cui si intravedevano, nello stesso Testo Unico, significativi salti di qualità. Si confermava, infatti, l’impianto di una tutela - in forma assicu- rativa - distinta in due gestioni (“industria” e “agricoltura”)1di:

• lavoratori subordinati, individuati in base ad un duplice requisito (oggettivo, la pericolosità della lavorazione; soggettivo, la manualità della prestazione lavo- rativa2, successivamente letto quale punto di saldatura fra la fonte del rischio e la persona del lavoratore);

• soggetti accomunati, con espressa previsione (“sono altresì assicurati”) ai lavoratori dipendenti, in quanto esposti ai medesimi rischi, ma privi di alcuni degli elementi definitori della nozione di lavoratore subordinato;

• lavoratori autonomi e titolari di azienda, con la conferma di quelli agricoli e l’innovativa estensione dell’obbligo assicurativo agli artigiani.

Sul piano oggettivo, la tutela restava riferita all’infortunio (nella sua consolidata definizione sintesi di causa violenta, occasione di lavoro, lesione ed invalidità) ed alle malattie professionali elencate nel tipico sistema a lista rigida.

Per le prestazioni si confermava - con aggiustamenti vari - la tipologia di quelle economiche, con progressivo allineamento fra i settori agricoltura ed industria, e si poneva l’accento su quelle sanitarie ed assistenziali, complessivamente consi- derate da norme che prevedevano il diritto a tutte le cure necessarie ed utili per il recupero della capacità lavorativa (artt. 86 e 89, poi integrati e rivisitati dall’art.95 della Legge 388/2000 in relazione al decreto 38/2000), con l’arricchimento del- l’obbligo, per l’assicuratore, di prevedere forme di assistenza e di servizio socia- le (art.126) e con una speciale Gestione per l’assistenza ai grandi invalidi.

In questo quadro l’impostazione di una tutela preoccupata, alle origini, essenzial- mente del ristoro economico traspare dall’impianto del Testo Unico che, nel- l’elencare le prestazioni, continua a collocare le cure mediche e chirurgiche al

1 La denominazione “industria” ha perso nel tempo il significato identificativo, all’epoca, di un settore produt- tivo giacché riguardava in effetti tutti i settori cui si svolgessero le attività pericolose dell’”industria”. Solo con la riforma del T.U. n. 1124, per l’agricoltura, e del decreto 38/2000 per la ripartizione in tre distinte gestioni/tariffe, si è ricomposta una certa identità fra settore produttivo e settore assicurativo che riguarda, per inciso, anche il settore marittimo, già nel decreto 1124 tenuto distinto dagli altri.

2 La manualità alle origini era criterio identificativo della categoria dei lavoratori assicurati, gli “operai dell’in- dustria”, trasformatosi in sinonimo della “esposizione al rischio della lavorazione pericolosa”. Sul punto v. DE MATTEIS-GIUBBONI, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano, 2005, per l’ampia introduzione (pagg.

33-106). V. anche FERRARI G.RO-FERRARI GIU., Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Padova 2004, 3 ed

ACCONCIA P., I soggetti nell’assicurazione infortuni e malattie professionali, in Il Sistema di tutela degli infor- tuni sul lavoro e le malattie professionali, a cura di F. FACELLO, Milano 2005 e Assicurazione infortuni sul lavo- ro e malattie professionali, in Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, a cura di Giuseppe Santoro Passarelli, Milano 2009.

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quinto posto nell’articolo 663, contribuendo così ad “affievolire” la distinzione, nei requisiti della nozione di infortunio a fini assicurativi, fra lesione ed invalidi- tà, a nostro avviso fondamentale4.

Il meccanismo contributivo, infine, restava, per il settore industriale, la tariffa con gestione mista (capitalizzazione e ripartizione) ed oneri: differenziati in base alla rischiosità della lavorazione ed all’andamento infortunistico della azienda;

posti a totale carico del datore di lavoro, esonerato dalla responsabilità civile salvo ipotesi di rilevanza penale disciplinate dallo stesso Testo Unico.

Per la gestione agricola, il Testo Unico recepiva norme minuziose nel disciplina- re varie opzioni di “contribuzione”, mai tradotte in pratica5e poi superate dalla norma che ha equiparato il sistema a quello industriale, senza prevedere mecca- nismi di bonus-malus.

Nel complesso, quindi, si trattava di un riordino che lasciava presagire, con razio- nalizzazioni e la tutela degli artigiani, l’avvio di un percorso di riforma generale che avrebbe dovuto toccare, senza soluzione di continuità, i punti già all’epoca critici. Un avvio che avrebbe richiesto maggiore coraggio del legislatore nel codi- ficare più radicali innovazioni, poi realizzate dalla evoluzione giurisprudenziale e da una frammentata iniziativa legislativa.

2. Gli sviluppi: arricchimento di tutele, degrado della sistematicità

Nei successivi quaranta anni, infatti, si sono susseguiti interventi parziali, anche di notevole spessore come il decreto 38 del 2000, che ha sicuramente introdotto miglioramenti nella qualità e nei livelli di tutela6. Ha aggravato, però, l’inadegua- tezza dell’impianto complessivo del Testo Unico dal 1965, rimasto formalmente immutato quasi che fosse superfluo un nuovo riordino.

3 L’espresso richiamo, fra le prestazioni mediche, degli accertamenti clinici conferma che dal momento dell’in- fortunio l’assicuratore si occupa di tutto ciò che occorra all’interessato per far valere il suo diritto. In questa logica l’istituzione dei Patronati, è un arricchimento non obbligatorio del sistema pubblicistico, presa d’atto della “normalità” di momenti contenziosi che, senza i Patronati, costringerebbero il lavoratore a sopportare spese non indifferenti.

4 Sul punto v. ACCONCIA, L’infortunio sul lavoro e malattie professionali, In Trattato di Previdenza Sociale, IV, La tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, Padova 1981.

5 Date le condizioni dell’agricoltura dell’epoca, nella pratica il sistema fu semplificato, riferendo l’obbligo assicurativo al “fondo” (ed al soggetto che ne usufruiva) e commisurando il contributo ad una percentuale della imposta fondiaria. Il meccanismo era interessante, come “moderne” erano le altre opzioni “testuali”, poi supe- rati non per scelta strategica ma, frettolosamente, per l’entrata in vigore della riforma fiscale che aboliva l’im- posta fondiaria. Successivamente è prevalsa la logica semplificatrice con l’unificazione dell’accertamento e riscossione dei contributi nello SCAU, prima, nell’INPS, poi, perpetuando la frattura fra contribuzione e pre- stazione che impedisce di orientare la gestione complessiva all prevenzione.

6 Per una accurata ricostruzione del sistema vigente e della evoluzione dei principi ispiratori dello stesso v.

CASALE G., MUROLO E., TRAFICANTE, Assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie pro- fessionali, Ed. Simone, 2008.

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La convinzione è stata rafforzata nel tempo dal fatto che, in parallelo agli interven- ti legislativi specifici, si è sviluppata una rivisitazione continua dei punti più con- troversi da parte della giurisprudenza ordinaria e costituzionale e della dottrina, impegnate nella creazione di una sorta di “diritto pretorio”7; con i rischi che esso comporta in termini di certezza di diritti, logoramento giudiziario delle pretese ecc.

Né può trascurarsi il rischio di un consolidamento incompiuto delle conquiste con- seguite con possibilità di ripensamenti” anche della Corte costituzionale. Per que- sto si continua ancora a “fare cause”, seppure in misura progressivamente ridotta, per stabilire se un certo lavoratore è assicurato o non, se un determinato evento è indennizzabile e le soluzioni positive finiscono spesso per apparire forzate8. La mancanza di una chiara individuazione del campo di applicazione della tute- la, poi, aggrava la scarsa “comunicazione” fra sistema pubblicistico e sistema delle tutele contrattuali volte ad arricchire, in misura direttamente proporzionale alla capacità delle categorie, i livelli di protezione dell’assicurazione sociale con obiettivi rischi di duplicazioni, vuoti di tutela effettiva per categorie con scarso potere negoziale.9

3. L’idea di un nuovo Testo Unico: apprezzata ma mai considerata

A fronte di questa situazione vi sono stati rari tentativi per sottoporre al Parlamento proposte di delega per la riforma dell’assicurazione, fra le quali si segnala l’inizia- tiva popolare promossa dall’ANMIL, mai presa in esame in due legislature.

La stessa Corte costituzionale e la Cassazione hanno sollecitato riforme organi- che, accolte da un diffuso consenso, ma mai approdate ad un primo esame parla- mentare, anche perché prive di una pur minima ricostruzione di scenario e di uno studio di fattibilità adeguato. A ciò si sono aggiunti altri fattori determinanti:

- l’ostilità espressa o latente rispetto ad un’assicurazione che assorbiva tutte le risorse disponibili per l’indennizzo, privando di mezzi la prevenzione e che,

7 Uso il termine per sottolineare la tensione evolutiva della giurisprudenza infortunistica, senza pretese defini- torie, poiché le Sezioni Unite della Cassazione, nel giudicare circa la esistenza di svariate figure di danno non patrimoniale, le ha unificate nell’unica nozione di danno non patrimoniale, pur confermandone la rilevanza risarcitoria, in considerazione del fatto che le norme del codice civile vanno interpretate con diretto inserimen- to nelle singole disposizioni di principio e norme della Costituzione.

8 Come per il c.d.. rischio zero, riferito ad apparati “elettrici” la cui pericolosità è nulla, ma che rilevano comun- que ai fini dell’obbligo assicurativo poiché la ragione della tutela non deriva dalla pericolosità dello strumento ma dalla sua causa lavorativa:uno spostamento dell’attenzione dal rischio assicurato alla attività assicurata ope- rato con un ragionamento per il quale v. DE MATTEIS-GIUBBONI, op. cit., 167.

9 L’indeterminatezza formale, ad esempio, ha comportato una grave lesione dei diritti dei marittimi per i bene- fici pensionistici per esposizione all’amianto, dai quali sono rimasti esclusi perchè la legge faceva riferimento all’assicurazione INAIL. La Corte costituzionale ha ritenuto manifestamente infondata la questione poiché la legge andava interpretata con riferimento a tutti i lavoratori, ma ciò non è stato sufficiente per riconoscere il diritto dei marittimi, considerati espressamente da successive norme per benefici di portata molto più limitata.

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per alcuni, nel concretizzare l’idea di un’“organizzazione del lavoro causa fatale di danni non prevenibili per quanto prevedibili, iniettava una “tossina paralizzante della dimensione prevenzionale della tutela”.10

- lo sbarramento, negli anni più recenti, del Ministero dell’Economia e della Finanza rispetto ad ogni proposta di integrazione anche parziale11, con una rigidità - codificata in “l’attuazione della presente normativa non deve com- portare oneri aggiuntivi per la finanza pubblica” - che non consente di risolve- re problemi contingenti e condiziona fortemente l’evoluzione del sistema.

Concorre, infatti, a ritardare la presa di coscienza dei problemi di fondo di una riforma organica, facendo ritenere, a torto, che si tratti solo di un problema finan- ziario, di occhiuta opposizione di Governo, Parlamento e forze politiche.

Di fronte a questo stato di cose ci si può unire al coro di protesta ed esortazione, nella speranza che un ennesimo scenario politico possa rimuovere gli ostacoli di fondo alla approvazione di una delega, che è ancor più essenziale alla luce del decreto 81/2008.

4. Ritardo del riordino ed attenzione per varie “figure” di danno alla persona

L’approccio esortativo, però, è sterile poiché non consente di cogliere le ragioni di fondo di una resistenza così netta per oltre quaranta anni, mentre in altri campi si sono registrati progressi significativi nelle tutele di soggetti esposti a rischi per una loro attività economicamente od anche solo socialmente rilevante12.

10 Così DE MATTEIS-GIUBBONI, op. cit. che richiama MONTUSCHI, Ambiente di lavoro, in Digesto delle Discipline privatistiche, Sez. comm., I, Torino, 1987, con considerazioni su cui tornerò più avanti per una possibile diver- sa lettura del ruolo di un assicuratore sociale e della esistenza di una specifica attenzione, già in epoca remota, per una azione positiva della “industria” per la prevenzione.

11 Durissima è stata la battaglia per far approvare poche norme che registravano nel Testo Unico i riflessi di innovazioni prodotte dal decreto 38/2000, prive di riflessi economici. Analoga sorte ha avuto quella per intro- durre nell’indennizzo per danno biologico l’adeguamento ISTAT, sulla quale torneremo.

12 Si ricordano, fra l’altro, le normative che hanno introdotto:

- l’obbligo assicurativo per la r.c.a. con un meccanismo di salvaguardia (il Fondo vittime della strada) che ne conferma la portata sociale;

- l’obbligo assicurativo per gli addetti alle attività di volontariato, con gli stessi criteri di salvaguardia del pre- cedente;

- l’obbligo assicurativo per gli sportivi dilettanti, con un meccanismo che garantisce effettività di tutela con la pregiudizialità dell’assicurazione per lo svolgimento dell’attività dilettantistica;

- l’obbligo assicurativo per i lavoratori a co.co.pro.: lavoratori inseriti nella organizzazione aziendale con con- divisione dei rischi ma con una ripartizione degli oneri infortunistici per dover “confermare” sul piano pre- videnziale che non si tratta di lavoratori subordinati;

- l’assicurazione obbligatoria per le casalinghe, costruita come assicurazione assimilata a quella del T.U.

n.1124. senza prevedere il pagamento del premio a carico dell’azienda familiare in nome forse di un’irrile- vanza dell’apporto professionale delle interessate, contraddetta, come vedremo, dalla previsione della ren- dita ai superstiti.

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Ne è derivato, per la persona un ampliamento orizzontale e verticale dei livelli di tutela, poiché, come vedremo poi, è garantita distintamente: nel momento in cui lavora, quando è utente della strada, quando fa volontariato, nei momenti sporti- vi. Ogni volta con criteri specifici, però, senza possibilità di realizzare un intero e con la necessità, poi, di costruire a valle una rete compiuta di protezione fatta di incompatibilità e distinguo.

In attesa della riforma del Welfare, così, si continua a procedere con normative di settore non comunicanti fra loro se non:

- a priori, grazie al reticolo di norme che in ciascun ambito prevedono la non cumulabilità fra prestazioni, requisiti di ammissione ai benefici ecc.

- a posteriori, per le opportunità della Innovazione Tecnologica13che, mettendo in collegamento fra loro i vari trattamenti a fini informativi, crea l’immagine, forse illusoria, di una persona sempre protetta lungo tutto l’arco delle sue atti- vità quotidiane.

5. Le possibili motivazioni di scenario della mancata riforma

Per una ricerca delle motivazioni profonde della mancata riforma, quindi, è evi- dente che nel quarantennio considerato - ricco di punte statistiche ben più clamo- rose delle attuali14 - al legislatore ed alla classe politica e sindacale non sono mancati occasione e polso per riforme di grande spessore, nel campo delle assi- curazioni sociali in senso stretto, in quello previdenziale e sanitario, in quello infine dei servizi sociali affidati alla responsabilità degli enti territoriali ai vari livelli di competenza e funzione.

C’è da chiedersi, quindi, se alla radice della mancata riforma non vi siano ragioni più profonde di quelle richiamate all’inizio: in primo luogo, le alterna- tive fra varie opzioni di intervento pubblico mai superate, come conferma il

13 Lo sviluppo delle banche dati specializzate e generalistiche rende possibile ricostruire la posizione previ- denziale e sociale del lavoratore, seguendolo poi nella posizione di pensionato, che può coesistere con la prima.

Presso l’INPS il Casellario centrale pensionati, da tempo attivo come contenitore e gestore dei raccordi fra tutte le prestazioni pensionistiche, nel 2004 è stato affiancato dal Casellario centrale delle posizione attive sul quale v. ACCONCIA, Casellario centrale delle posizioni attive e riforma degli enti previdenziali in Inserto di Diritto e pratica del lavoro, n. 46 del 2004 con richiamo al parallelo sistema della Denuncia nominativa assicurati INAIL. Si tratta, peraltro, di sistemi letti piuttosto come strumento per la lotta all’evasione ed alla elusione sul versante contributivo e delle prestazioni.

Lo conferma - con riferimento al tema degli “ammortizzatori e indennità pubbliche” - il Decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali sul “Reinserimento nel mercato del lavoro dei percettori di trat- tamenti previdenziali o di altri sussidi o indennità pubbliche” che, per rendere effettivo il collegamento fra per- cezione di assegni di sostegno e impegno a rioccuparsi, crea una banca dati presso INPS dei soggetti percetto- ri di trattamenti di sostegno del reddito, a disposizioni di chi debba promuovere l’offerta di formazione e reim- piego, rifiutando la quale il soggetto perde il trattamento.

14 Per i quali si rinvia all’apposita banca dati statistica consultabile dal sito INAIL.

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fatto che il CIV dell’INAIL in passato ha sviluppato una interessante analisi per una proposta di Testo Unico con un documento che registrava i punti di convergenza fra le parti sociali accanto a divergenze che evidenziano le ogget- tive contraddizioni in cui si muove la tutela per gli infortunati sul lavoro. Né può trascurarsi il fatto che:

- per l’assicurazione infortuni si è posto un problema di coerenza del monopo- lio INAIL con le normative sulla libera concorrenza, risolto dalla Corte di giu- stizia della UE con argomentazioni che, come vedremo, sembrano ridimensio- nare l’impronta assicurativa del sistema;

- in tema di rischi professionali la Confindustria ha contestato, con successo in sede di giustizia amministrativa, una interpretazione INAIL a suo dire “esten- siva” della tutela per malattie non tabellate (nel caso il mobbing);

- il Ministero del lavoro è intervenuto sul “potere interpretativo” dell’assicura- tore, rivendicando la preventiva lettura delle circolari interpretative e metten- do in discussione, così, non tanto l’autonomia dell’Istituto ma quella della tutela e del sistema assicurativo ad essa preposto.

Un ulteriore ostacolo deriva dal fatto che dal 1965 ad oggi la tutela è stata inces- santemente migliorata, per il campo di applicazione soggettivo ed oggettivo e per i livelli di prestazioni; sempre, però, con interventi specifici, spesso sparsi in nor- mative generali, a conferma della riluttanza del legislatore nell’affrontare il tema in una sede strutturata. Solo da poco, così, si avvertono preoccupazioni circa la tenuta complessiva dei livelli di tutela dell’assicurazione infortuni, pur a fronte di un’evoluzione finora eccellente se paragonata al progressivo degrado e smotta- mento di altre forme di tutela sociale, da quella pensionistica a quella sanitaria.15 In un quadro di questo genere, superato il positivo riscontro per il “lavoro che cambia” nei suoi riflessi assicurativi16, cominciano ad emergere preoccupazioni a fronte di primi “scricchioli” dell’impianto assicurativo per il tentativo, ricorren- te nelle ultime leggi, di spostare provvidenze dal mondo assicurativo a quello della assistenza sociale. Identica preoccupazione desta la circostanza che, negli ultimi anni, si sono moltiplicate le sollecitazioni a riconsiderare il ruolo

15 In occasione del VII Congresso Nazionale dell’ANMIL il Presidente della Associazione, nella Relazione generale, ha convenuto che la tutela infortunistica in assoluto registra una pericolosa tendenza involutiva, ma se rapportata alle vicende delle altre forme di sicurezza sociale resta all’avanguardia nel mantenere sostanzial- mente inalterati i livelli di tutela.(la Relazione è sul sito WWW.ANMIL.IT.

16 Per l’esigenza di una riconsiderazione complessiva, anche alla luce dei riflessi assicurativi del “lavoro che cambia”, v. ACCONCIA, L’assicurazione infortuni fra conferme e rinnovamento i fronte al lavoro che cambia. “Le schede di impegno”, Ed. ANMIL, Roma, 2004. Per un aspetto specifico riguardante le malattie professionali cfr. GAMBACCIANI, Il lavoro che cambia: l’INAIL e le nuove malattie professionali, in Riv. Inf. Mal. Prof., 2004, I 405; PICCININO, I nuovi lavori e l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, in Arg. Dir. Lav., 2004.

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dell’INAIL per enfatizzarne la funzione in campo prevenzionale17e ridimensio- narne la funzione indennitaria assicurativa:

- opponendosi a lungo al riconoscimento di un ruolo, tipico di ogni assicurato- re18, di garante di tutte le cure necessarie ed utili per il recupero della integri- tà fisica;

- costruendo vari fondi in favore di categorie specifiche (superstiti, vittime amianto) fuori del sistema assicurativo, pur se affidati - “dati da reggere” ver- rebbe da dire - all’INAIL per gli aspetti gestionali;

- valorizzando l’impegno finanziario ed anche consulenziale dell’Istituto sem- pre in tema di prevenzione, di formazione per la prevenzione ecc.

Come vedremo da ultimo in una riflessione conclusiva, emerge, così, un dise- gno politico che valorizza l’Istituto per la sua funzione e capacità gestionali (oltreché di serbatoio finanziario), piuttosto che per il ruolo di autonomo responsabile dell’assicurazione: in questo scenario vanno lette le affermazioni di “terzietà”, di “estraneità”, di determinate attività rispetto alla “mission” assi- curativa’ di un ente chiamato a garantire ad esse un supporto tecnico, gestiona- le e finanziario. Così è per:

- il Casellario centrale infortuni, di cui si è accentuata la separatezza rispetto all’Istituto con la previsione di un distinto Presidente;

- la Commissione per le malattie lavoro correlate;

- la stessa Assicurazione casalinghe, affidata ad un apposito Comitato di gestio- ne con proprio Presidente;

- il Sistema Informativo per la prevenzione, per il quale il decreto 81 sottolinea che è governato dal Ministero con il concorso degli altri protagonisti ed affi- dato per i profili tecnici all’INAIL.

Si tratta di un ulteriore conferma dell’esistenza di ragioni profonde del mancato adeguamento del Testo Unico. A fronte di quanti sollecitano attenzione per i livelli di tutela delle centinaia di migliaia di lavoratori che ogni anno si infortu- nano cresce la convinzione che il “problema sia un altro”, con’impegno priorita-

17 Senza riconoscergli poteri di controllo e repressivi, legati al ruolo primario delle Regioni ed a quello tecni- co scientifico dell’ISPESL, in coerenza con la scelta di enfatizzare il ruolo - più consono ad un assicuratore che punta alla riduzione del fenomeno nell’interesse diretto dell’assicurato - di formazione sostegno e consulenza.

Sul punto LA PECCERELLA, La tutela della persona nel nuovo sistema indennitario del danno di origine lavora- tiva, in Riv. Inf. Mal. Prof.; 2001, I, 368; LA PECCERELLA, Il danno alla persona fra indennizzo e risarcimento, ibidem, 2008, I, 47.

18 Con motivazioni e riflessi assicurativi su cui torneremo poi.

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rio di ridurre tendenzialmente a 0 il numero di infortuni con vari slogan ed impe- gni anche puntuali, limitando l’attenzione, per l’evento, al solo fenomeno, mediaticamente più significativo, delle morti bianche19.

Il Testo Unico del decreto 81/2008, così, è stato letto inizialmente con puntuale riferimento letterale alla sua delega priva di un esplicito riferimento alla esigen- za di un’efficace collegamento alla tutela indennitaria, diversamente da quanto previsto ad esempio dalla legge sulle casalinghe e da quella sul volontariato che invece si preoccupano di legare in qualche modo i momenti della prevenzione e della tutela assicurativa, con attenzione distribuita in due distinti capi del testo legislativo.

La carenza di attenzione non era casuale, è bene sottolinearlo, poiché le Commissioni parlamentari incaricate del parere sullo schema di decreto 81 hanno unanimemente sollecitato l’attribuzione di responsabilità sanitarie all’INAIL nel rispetto delle prerogative regionali, senza che la sollecitazione sia stata raccolta dal legislatore delegato.

Solo con il decreto correttivo dell’agosto 2009 si sono realizzate le condizioni legislative per un recupero di garanzia assicurativa piena, anche per le tutele sani- tarie, nei termini su cui torneremo da ultimo.

6. Una riforma necessaria che riconsideri l’impianto del T.U. - dalle sue radici e per le sue contraddizioni - alla luce del decreto 81/08 e dell’evoluzione del welfare

Rispetto a questo quadro di riferimento frammentato e confuso è giustificata la spinta perché si faccia ordine, riproponendo una legge delega per la riforma del- l’assicurazione infortuni. La spinta, anzi, deve essere valorizzata, pur nel quadro di incertezze che ho richiamato all’inizio, purché non si tratti di riprodurre pedis- sequamente - o con ritocchi migliorativi - l’impianto originario senza la soluzio- ne di continuità che appare, a mio avviso, doverosa.

La scelta è necessaria, oltretutto, poiché emergevano perplessità forti prima ed anche dopo l’emanazione del Testo Unico 1124, sui suoi principi; perplessità che provengono da due opposte sponde, convergenti nel guardare con diffidenza detti principi.

Nei successivi paragrafi verificheremo come lo stesso concetto di assicurazione - trasposizione nel pubblico di modelli privatistici - sia sembrato riduttivo rispet-

19 Da alcuni considerate l’unico punto di riferimento per valutare la qualità del sistema di tutela anche per raf- fronti internazionali, basati “solo” sui morti secondo alcuni perché il numero di infortuni denunciati non è dato significativo in quanto notoriamente in Italia (ma negli altri Paesi no, evidentemente) il lavoro nero “nascon- de” la reale entità del fenomeno.

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to a quello di previdenza sociale, ritenuto più coerente con il dettato costituzio- nale. Sono intuibili, poi, le preoccupazioni delle imprese per il dilatarsi dei con- fini della tutela senza una parallela riconsiderazione: - della logica in base alla quale, individuata una autonoma figura di rischio20, si era posto a carico delle aziende il costo dell’assicurazione; - delle ipotesi di permanenza della responsa- bilità civile, anch’esse dilatatesi nel tempo.

Per questo non è utile riproporre ipotesi di riforma ingessate, sollecitando inter- venti sui singoli pezzi del sistema senza metterne in discussione anche radical- mente l’intero impianto nella sua filosofia con una precisa scelta metodologica.

Occorre partire, cioè, da un percorso ricostruttivo dalle originarie radici fino alla riforma più recente del decreto 38. in modo da delineare opzioni possibili, pur se alternative, che:

- valutino la situazione dei lavoratori a fronte dell’infortunio o malattia profes- sionale, tenendo conto dell’insieme dei meccanismi di tutela contrattuali, pre- videnziali e di welfare che sono oggi azionabili, come vedremo poi, con una profonda differenza rispetto ad un mondo nel quale l’assicurazione infortuni era l’unico strumento di cui i lavoratori disponessero per fronteggiare le con- seguenze dell’infortunio;

- valorizzino, in questa prospettiva, una lettura statistica funzionale alle strate- gie di tutela per gli infortunati ed invalidi, per costruire soluzioni partendo dai dati e restituendo primaria attenzione: - al fenomeno nel suo complesso, piut- tosto che a segmenti specifici come le morti bianche; - agli altri termini del problema, quali la composizione del parco aziende italiane, la diversa rischio- sità delle varie lavorazioni, ecc.

Nessuna delle opzioni ipotizzabili potrà prescindere da:

- il fatto che il decreto 81/08 è un punto fermo per la ricostruzione dell’intero sistema di tutela per i rischi professionali e le loro conseguenze lesive;

- una rilettura proposta con il Libro Verde (poi Libro Bianco) sul futuro del modello di welfare, orientato a spostare attenzione e risorse verso il sostegno dell’occupazione e verso un’attenzione privilegiata per la “persona” piuttosto che per “il lavoratore”;

- dal fatto che detta flessibilità “stabile” è garantita anche da livelli di sicurezza che consentano a ciascuno di provvedere ai propri bisogni con il lavoro, in piena sicurezza per le condizioni di lavoro e per la garanzia di adeguata tutela per i corrispondenti rischi.

20 Per una rilettura in ottica di rischio piuttosto che di infortunio v. ACCONCIA, Il rischio e gli infortuni sul lavo- ro e le malattie professionali, in Rivista della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze, Roma, 2005, n. 2, 193.

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Per questo non possono scartarsi a priori ipotesi di evoluzione del sistema di tute- la per superare l’impostazione assicurativa che, peraltro, continua a caratterizza- re la tutela del Testo Unico 1124, pur in presenza di indicazioni e sollecitazioni di segno diverso che si sono moltiplicate negli ultimi anni a livello politico, legi- slativo, comunitario.

Sul piano giuridico, così, la Corte di giustizia della UE, nel respingere la richie- sta di dichiarare illegittimo il monopolio INAIL, ha utilizzato una lettura del sistema gestito dall’Istituto come forma di tutela previdenziale con connotati non assimilabili a quelli di una assicurazione privata.

Alla stessa conclusione sono giunti i governi ed i legislatori succedutisi negli anni, impegnati a migliorare (per un certo periodo) la qualità delle tutele e nel contem- po a svuotare di contenuto assicurativo la gestione, rimasta tale formalmente con i meccanismi di riserve, tariffe ecc. che hanno perso molto del contenuto sostan- ziale con il vincolo del versamento in Tesoreria senza interessi, il blocco degli investimenti immobiliari e mobiliari e la dismissione di quelli in essere ecc.

7. I livelli e la qualità delle prestazioni: il tendenziale affievolir- si della differenza fra 1° e 2° comma dell’articolo 38 della Costituzione

Anche per i livelli delle prestazioni da qualche tempo si registra una pericolosa involuzione, poiché si è bloccato ogni adeguamento, con la motivazione dei vin- coli finanziari che confermano che sta saltando la garanzia “assicurativa”, sosti- tuita da una garanzia previdenziale, i cui livelli, come l’esperienza insegna e la Corte costituzionale conferma, derivano da compatibilità complessive del Sistema Paese.

Ad esempio, se a fronte di crescenti avanzi di gestione non si procede all’adegua- mento Istat delle prestazioni per non modificare i “saldi di finanza pubblica” non esiste più una gestione vincolata al solo equilibrio finanziario (aumento le pre- stazioni o riduco i premi) ma risorse determinate senza un reale vincolo di scopo.

Nello stesso periodo è stata ridimensionata, come meglio vedremo poi, la sfera di esonero dalla responsabilità civile, con confini sempre più “grigi” ed intuibi- le necessità di integrare la copertura della responsabilità pubblicistica, accresciu- ta dall’emergere di nuove figure di “danno non patrimoniale” non considerate dall’assicurazione sociale, sicché “se non si fa luogo alla prestazione previden- ziale non vi è assicurazione e se non vi è assicurazione cade l’esonero”21.

21 Sul punto, con chiara ricostruzione del dibattito dottrinario in tema di danno differenziale cfr. DE MAT-

TEIS-GIUBBONI, op. cit., p. 990 che richiama, fra l’altro la pacifica giurisprudenza della Suprema Corte con riferimento, per tutte, alla sentenza n. 356 del 1991.

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A queste considerazioni si aggiunge, infine, quella - di grande spessore econo- mico - riguardante il deficit della gestione agricola posto di fatto a carico delle altre gestioni con un meccanismo, solo formale, che salvaguarda il rispetto delle regole assicurative e consente di non affrontare il problema della inadeguata capacità di certe categorie per l’ammortamento del debito pregresso.

È intuitivo, quindi, che di un nuovo Testo Unico non si potesse e non si possa par- lare finché non si trovi una soluzione anche traumatica al problema in questione, da ultimo ridimensionato per la parte corrente, e fino a quando non sia possibile superare tabù radicati come l’impossibilità di prevedere prestazioni differenziate rispetto alle diverse esigenze delle categorie interessate.

A quest’ultimo proposito, la omologa categoria dell’”industria” - gli artigiani - ha sollecitato e sollecita una considerazione specifica del rapporto fra oneri e prestazioni con reiterate richieste di uscire dal monopolio INAIL per forme più duttili di assicurazione privata obbligatoria che considerino, ad esempio, la scar- sa rilevanza dell’ammontare della indennità di temporanea a fronte del danno economico derivante dal fermo dell’azienda.

L’Istituto, d’intesa con le associazioni degli artigiani, ha tentato di dare una rispo- sta convincente a tale esigenza con una soluzione bloccata dal Ministero per non introdurre differenziazioni nei trattamenti per gli infortunati. È un rigore forma- le che coniuga il massimo di giustizia con il massimo di iniquità; un tabù che le forze politiche e sociali superano nei fatti, valorizzando forme complementari contrattuali, prime fra tutte quelle destinate a consolidare un secondo pilastro anche in campo sanitario oltreché in quello previdenziale.

8. Un quadro di criticità che impongono una riflessione genera- le a partire dal Libro Bianco sul Welfare: motore di opportu- nità, fonte di preoccupazioni

Queste indicazioni mostrano un quadro aggrovigliato di indirizzi strategici ine- spressi ma spesso collidenti, di esigenze tattiche fini a se stesse, con sullo sfon- do le scelte imposte dall’onda lunga della recessione. Oggi, quindi, occorrereb- be intervenire con la massima cautela limitando le iniziative al prioritario obiet- tivo di restituire dignità alle prestazioni sanitarie assicurative e di arginare la deri- va assistenzialistica di una tutela ancora soddisfacente a paragone dei restanti set- tori del welfare.

A questa linea di prudente attesa si contrappongono, peraltro, le sollecitazioni derivanti dalle criticità emergenti nel sistema economico e sociale che, se non affrontate in modo organico, rischiano di alimentare anche nella infortunistica interventi fini a se stessi, dettati da esigenze di fare cassa o da impostazioni ideo- logiche. Lo sconsigliano, del resto, le idee guida del Libro Verde e del Libro

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Bianco sulla riforma del welfare che, ponendo al centro del sistema la capacità dell’individuo di provvedere a se con il proprio lavoro, dovrebbero dare massima priorità ad interventi per un pronto reinserimento dell’infortunato nel circuito lavorativo22.

È urgente, quindi, l’apertura di una riflessione generale, di un confronto e dibat- tito sul tema dei rischi professionali: come prevenirli, e se ne parla fin troppo;

come fronteggiarne le conseguenze lesive per il lavoratore e la sua famiglia.

Conseguenze patrimoniali e fisiche ma anche di ordine morale nella misura in cui un infortunio anche lieve possa togliere al lavoratore la fidelizzazione con il suo mestiere, parte integrante della sua dignità di persona.

Lo scenario è complesso e tuttora in corso di definizione a livello politico e legislativo ove è suggestivo un collegamento con una lettura evoluta del prin- cipio di sussidiarietà che trova ampio spazio nel Libro Verde e nel Libro Bianco. Esso lascia intravedere una linea strategica precisa (valorizzare la persona rispetto al lavoratore) con cui occorrerà fare i conti nella legislatura in corso.

Detta linea, al momento solo enunciata, non ha ancora superato una pur somma- ria verifica politica nella maggioranza parlamentare; appare oltretutto datata nel contingente per l’impatto dirompente della crisi economica internazionale che ha messo in discussione certezze liberiste e di opposta tendenza.

L’impegno per lo Stato di fare un passo indietro, così, si scontra con l’estrema urgenza di politiche attive, di intervento nel sociale ed in economia.

Quest’estrema urgenza non supera la necessità impellente di ridimensionare la spesa per i servizi pubblici e sociali: un obiettivo che, data la anelasticità dei costi del personale e della dispersività istituzionale, si tradurrebbe oggi in un ripensa- mento drammatico del sistema pubblico di sicurezza sociale23.

Del resto, l’intero modello dei due “libri” appare a molti insidioso in quanto si proietta sul piano culturale per valorizzare la persona rispetto al lavoratore ed al cittadino con una “ sfida che non è solamente economica ma, prima di tutto, pro- gettuale e culturale per un welfare sostenibile ed attivo nella tutela anche delle fasce deboli della società, da aiutare nella ricerca dell’autosufficienza e, in subor- dine, nella garanzia di mezzi di vita sufficienti quanto meno a superare la soglia di povertà nel suo continuo dinamismo. È un modello compiuto, ove parla sem- pre più di povertà, di poveri, di sussidi una tantum, piuttosto che di diritti di cit-

22CINELLI, Il Welfare delle opportunità. A proposito del Libro verde sul futuro del modello sociale, in Riv. Dir.

Sic. Soc., 2008, 2, 353.

23 Avvisaglie della crisi sono già presenti ed immanenti: dalla necessità di innalzare l’età pensionabile delle donne, alla strisciante, ma esplosiva, crisi dell’INPDAP con crescita della platea di pensionati a fronte di un’ac- celerata riduzione di contribuenti:una tendenza di cui non si intravede l’inversione e che conferma la miopia di una riforma che ha escluso - e continua ad escludere - un’unificazione dei trattamenti pensionistici dei dipen- denti pubblici e di quelli privati.

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tadinanza, di lavoratori e pensionati, considerati come poveri piuttosto che come lavoratori a riposo. Da ciò svariate conseguenze in termini di:

- valorizzazione delle forme “complementari” di tutela che la persona con il suo lavoro dovrà attivare per garantirsi, in ottica di autosufficienza, di cui già si intravedono, come si è detto, segnali nella sanità con la crescente attenzione e incentivazione per fondi integrativi destinati a fare da pendant alla previdenza complementare nel settore pensionistico;

- deregolamentazione nei rapporti di lavoro, per agevolare l’autonomia della persona che lavora e deve trasformarsi in un collaboratore dell’impresa nella ricerca dell’equilibrio di interessi meglio funzionale alla sua personale ricerca della vita “buona”;

- diversa attenzione per la sicurezza e salute della persona anche sul posto di lavoro, essenziali per consentire al soggetto di realizzare la “vita buona” con il proprio lavoro;

- coinvolgimento - andando oltre la posizione del singolo - delle forze sociali in un modello di più ampio respiro, incentrato sul ruolo degli enti bilaterali che trova significativi riconoscimenti nel decreto 81/08 e con la gestione di forme di tutela complementari nel campo della salute.

Lo scenario è suggestivo laddove esalta lo spirito di intrapresa del singolo, l’auto- nomia della persona nel costruirsi la posizione di cittadino, di lavoratore, di pen- sionato ecc. Con una più realistica lettura, è però, inquietante - non sbagliato - per- ché non è chiara la sorte di chi non possa costruirsi o mantenersi la vita buona con un lavoro che, con i diversi connotati di flessibilità, difficilmente lascia prevedere percorsi di arricchimento progressivo, professionale ed economico.

Non solo, ma il continuo rinvio alla responsabilità del singolo ne lascia intravede- re insidiose chiamate in causa rispetto alla violazione di obblighi di fare o non fare per garantirsi la tutela prevenzionale, per “avere cura di sé” quale soggetto poten- zialmente dannoso per la collettività sul piano sanitario, economico e sociale.

Per questo, è chiaro che in tema di infortuni professionali lo scenario è diverso da quello degli inizi della assicurazione ed anche degli anni in cui si sono conso- lidati i più significativi sviluppi; sembra riportarci, anzi, indietro nel tempo alla situazione della tutela sociale alla vigilia del dibattito e della battaglia, come vedremo, per l’assicurazione obbligatoria. Al tempo stesso, lo scenario apre pro- spettive ambivalenti ai nostri fini.

In primo luogo, seguendo il ragionamento del Libro Bianco, dovrebbe profilarsi una diversa attenzione per la tutela sanitaria non solo dei lavoratori esposti ai rischi ma anche degli infortunati, in termini di recupero pieno e tempestivo della salute e della capacità di lavorare; per continuare ad essere autonomi artefici del proprio benessere e della propria vita buona.

Per altro verso, però, si accelera - di là dalle intenzioni del proponente - il pro-

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cesso in atto di riduzione della tutela specifica per gli invalidi del lavoro entro i confini della assistenza garantita, della sostenibilità destinata a variare con il variare delle condizioni generali del sistema Paese.

La preoccupazione può apparire accademica come appariva, nella riforma sanitaria del 1978, quella per l’affievolimento della tutela “privilegiata” per le cure e la rie- ducazione garantita dall’INAIL e poi trasferita nel SSN. Accademica, poiché il SSN era tenuto solennemente a garantire a tutti i cittadini tutte le cure necessarie ed utili.

A distanza di pochi decenni la situazione si è modificata fino a consolidare il fatto che il SSN avrebbe garantito il livello di servizi compatibile con fonti di finanziamento predeterminate, con riflessi anche sulla tutela specifica per gli infortunati del lavoro. Né la battaglia attorno alle riserve dell’assicurazione è accademica, poiché altro è la garanzia di meccanismi assicurativi e riserve, ed altro è quella dello Stato, arbitro dei livelli di tutela.

Tutti questi elementi di criticità sono ancora inavvertiti rispetto alle emergenze del momento e della lentezza con la quale “presenteranno il conto” ai lavoratori: non è imminente l’impatto di pensioni di livello assistenziale sulle nuove generazioni;

non è imminente l’impatto dei rischi che corrono i fondi pensioni nell’agire, pur con tutte le cautele, sul mercato; non è imminente, ma prossimo, l’impatto a cate- na sulla possibilità e capacità di curarsi per vecchie e nuove generazioni.

9. Una riconsiderazione politica della tutela sfondo per riforme generali o di settore a partire dalla rilettura storica delle fon- damenta della tutela

Di fronte a questa situazione, e pur in assenza di un quadro di riferimento strate- gico definito resta, dunque, urgente una riconsiderazione complessiva del siste- ma di tutela per i rischi professionali che si impone:

- da tempo, per il mutamento intervenuto nei fondamenti stessi del sistema assi- curativo, a partire dalla Costituzione del 1948;

- ancor più oggi, in parallelo con quanto si sta verificando per le restanti forme di tutela pubblicistica e sociale e con serena consapevolezza della oggettività delle condizioni e situazioni che la sollecitano.

Si tratta, peraltro, di operazione complessa attorno alla quale mobilitare, oltretut- to, la partecipazione di forze politiche e sociali e l’attenzione del mondo scienti- fico e della giurisprudenza in una logica di continuità/discontinua con il mecca- nismo introdotto oltre cento anni fa e poi sviluppatosi negli anni. Questa lunga sedimentazione di conquiste, riflessioni, confronti anche aspri a livello dottrina- rio e giurisprudenziale, richiede una ricostruzione storica meno rituale di quella che di solito leggiamo e che si faccia chiarezza su alcuni punti.

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Il primo riguarda l’esigenza che a livello legislativo si accetti l’idea che l’assicu- razione infortuni si cambia anche radicalmente ma in un discorso organico, cosicché nell’attesa occorre astenersi da interventi legislativi che spostino risor- se e provvidenze fuori dal sistema assicurativo (come nel caso dei fondi recente- mente introdotti) ovvero rompano il ritmo ordinario del sistema, come per l’ ade- guamento ISTAT dell’indennizzo del danno biologico.

Un altro punto riguarda il fatto che la coscienza sociale continua a considerare la situazione dell’infortunato, dell’invalido, del morto sul lavoro, ben più inammis- sibile di quanto non lo siano tragedie di più ampia portata come quella dell’infor- tunistica stradale. Alla base di questo comune sentire vi sono motivazioni profon- de, che si sono sviluppate con l’evolversi della società in cui viviamo e che vanno recuperate, restituendo alla piattezza degli enunciati legislativi (chi ha diritto, che cosa spetta, è o non è infortunio sul lavoro,ecc) lo spessore della storia.

Non intendo certo riprendere analisi che affondano le radici della tutela nell’anti- chità o nel medio evo: è però sintomatico il modo in cui gli ordinamenti giuridici nelle varie epoche hanno reagito rispetto al fatto che uomini liberi, persone, sono esposte a rischi per la salute e la vita nello svolgimento di un’attività lavorativa.

Con l’irrompere sullo scenario della rivoluzione industriale - coeva alla rivolu- zione della coltivazione delle terre24con grandi spostamenti di masse contadine verso l’industria - cresce però la gravità (e il livello di percezione sociale) del fenomeno infortunistico e cresce la presa di coscienza generale e del mondo pro- duttivo del grave disagio derivante per i lavoratori e le loro famiglie.25

10. La storia: le origini della tutela infortunistica nel dibattito sui principi

Coerente con questo modello fu, dunque, il primo tentativo di affrontare il proble- ma dei rischi del lavoro con la Legge n.1473/1883, istitutiva della Cassa naziona- le di assicurazione per gli infortuni sul lavoro degli operai, disciplinata secondo regole privatistiche con: - riferimento esclusivo alla responsabilità per colpa; - non obbligatorietà della assicurazione; - modeste agevolazioni fiscali e tariffarie ricor- date da DE MATTEIS-GIUBBONInella Introduzione più volte richiamata.

24 Legata all’abbandono della tecnica del maggese resa possibile dall’utilizzo di concimi e disinfettanti “indu- striali” che migliorarono il rendimento a parità di lavoro dei fondi coltivabili, agevolando così lo spostamento di masse contadine verso le attività “industriali”.

25 Non a caso, ancora alla fine dell’’800 il panorama era dominato da modello di intervento dello Stato a tute- la dei cittadini bisognosi fatto di carità legale con tendenziale indifferenza dell’ordinamento nei confronti delle condizioni esistenziali dei singoli, temperata da controlli, a tutela della pubblica fede, delle forme di organiz- zazione della libera attività di assistenza. Al centro della attenzione restava la salute pubblica, da difendere da epidemie e contagi anche attraverso la cura di ammalati bisognosi, e dell’ordine pubblico ed interventi di “cari- tà pubblica”, che si affiancavano a quelli delle organizzazioni spontanee e delle autorità religiose.

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Pur priva dei caratteri innovativi della successiva legislazione, la legge del 1883 segna un passaggio essenziale nella presa di coscienza della esistenza di un pro- blema fino ad allora, ed ancora dopo, confinato nel novero delle “disgrazie”.

Si trattava di un segnale di inversione di “coscienza” tanto che subito dopo, nel 1884, nasceva la Associazione industriali d’Italia per prevenire gli infortuni sul lavoro (API) con l’avvio di un percorso parallelo e che dovrebbe far riflettere quanti sostengono che l’assicurazione è stata la “tossina paralizzante” della pre- venzione, comunque avvertita come esigenza dallo stesso mondo padronale, pur con limiti poi superati dalle lotte sociali e politiche nel corso degli anni.26 Dopo quindici anni si concretizzò l’obbligatorietà di una forma di assicurazione, quale accollo ad un soggetto di un obbligo col fine di realizzare un beneficio con- creto per un altro soggetto legato al primo per un rapporto specifico, in questo caso di lavoro. (Legge 411/98 seguita nel 1899 da leggi sulla prevenzione).

Il risultato, giunto a conclusione di tentativi anche appassionati di risoluzione del problema nell’ambito degli ordinari criteri di responsabilità civilistica, fu possibi- le grazie all’affermarsi del principio del rischio professionale che, superando il dibattito sulla responsabilità civile, trovò sicura collocazione nel campo della assi- curazione obbligatoria, fondamento teorico e normativo inscindibile da essa27. Non è questa la sede per una illustrazione di dettaglio, essendo ai nostri fini suf- ficiente il rinvio alla sintetica ma esaustiva ricostruzione di De Matteis - Giubboni28. Due elementi meritano, peraltro, di essere sottolineati in questa rico- struzione per quanto riguarda lo studioso - il Fusinato - che del principio può considerarsi teorizzatore.

Il primo riguarda il fatto che lo stesso A. dà per scontato che “al padrone spetta di sopportare le eventualità dannose dell’impresa e fra queste anche le conse- guenze economiche degli infortuni avvenuti senza colpa di alcuno, i quali non potendo dalla preveggenza umana venire evitati è più equo che fra i due contra- enti gravino sul padrone piuttosto che sull’operaio”. Meglio ancora “giustizia vuole che... i rischi per i danni che fortuitamente, in causa o in occasione dell’in- dustria, possono colpire gli operai”.

Se preso alla lettera, può comprendersi come il principio abbia potuto essere letto come “tossina paralizzante”. Sarebbe, però, conclusione frettolosa per una affer- mazione che intendeva superare la diatriba della colpevolezza o meno quale requisito per l’assicurazione, tanto che lo stesso Fusinato proponeva un articolo

26 In un successivo paragrafo riprenderemo il tema della prevenzione per il suo il percorso di sviluppo paral- lelo a quello della assicurazione. Fin da ora è da sottolineare come la stessa coscienza prevenzionale, a livello di opinione pubblica, di mondo produttivo e del lavoro abbia trovato impulso, sviluppo e radicamento proprio dal funzionamento del meccanismo assicurativo, dal suo far emergere - già in termini statistici - le dimensioni complessive del fenomeno, la drammaticità delle situazioni di bisogno non più lette una ad una per interventi umanitari ma nella complessità propria del fenomeno sociale.

27 Così DE MATTEIS-GIUBBONI, op. cit., pag. 35 che riprende affermazioni dell’epoca nel dibattito per l’appro- vazione della legge.

28DE MATTEIS-GIUBBONI, op. cit., 37 e seguenti.

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del codice civile secondo il quale “tutti i capi di intrapresa industriali, agricole, commerciali sono obbligati a risarcire i danni provenienti si propri operai da un infortunio che li colpisca durante il lavoro. Si liberano di tale obbligo provando che l’infortunio avvenne per causa di forza maggiore o per colpa grave della stessa vittima..” affermando così una regola generale di imputazione all’impren- ditore dei danni derivanti da fatti che lui sa già che sono inseparabili dall’attivi- tà imprenditoriale.

Il principio non fu assunto dalla legge con il doppio passaggio - codificazione, prima, obbligo assicurativo poi - ma si preferì passare direttamente all’assicura- zione obbligatoria con la legge del 1998 poiché era forte la resistenza ad inseri- re nel codice civile un principio così oggettivamente eversivo.

In questo modo il principio e l’assicurazione divennero come ho già detto “una cosa sola” con una soluzione sociale e, quindi transattiva che consentiva di deli- mitare l’ambito della responsabilità imprenditoriale: “gli infortuni sono accesso- ri inevitabili dell’industria che inevitabilmente si producono tanto che può affer- marsi che l’industria racchiude in sé una causa perenne di pericolo” e tanto che

“l’imprenditore è colpevole per il sol fatto di essere tale ed alla sua colpa non si può più dare la figura giuridica che ha nel diritto comune; essendo inseparabile dalla qualità di imprenditore, così, essa diviene cosa del tutto normale e non ha più senso parlare di vera e propria responsabilità civile29.

Si spiega così come l’idea di una organizzazione della produzione causa fatale di danni non prevenibili per quanto prevedibili potrebbe aver contribuito a ritarda- re, come tossina paralizzante, l’affermarsi della prevenzione. Questa conclusio- ne, però, pur comprensibile:

- non contestualizza la vicenda, giudicando a posteriori una posizione per l’epo- ca d’avanguardia; trascura di verificate se ed in quale modo si sarebbe potuto ottenere un identico risultato di tutela efficace con una rigida impostazione di responsabilità civile, pur ampliata; non valorizza la portata dinamica del con- cetto di “normalità” assunto dagli autori;

- enfatizza l’ostacolo alla prevenzione svolto dalle nozioni giuridiche a fronte dei determinanti argomenti economici che trovano riscontro nella vicenda della tutela dell’emissioni di gas nocivi. Nessuno pone in dubbio le norme, nessuno nega la tossicità, industria e Governo ritengono, però, che le norme siano insostenibili sul piano economico e sono pronti allo scontro per afferma- re il “diritto ad inquinare di più” per garantire la sopravvivenza del sistema produttivo, altrimenti non competitivo. Obiettivo comprensibile, smentito, poi, con un’inversione radicale dalla scelta di puntare sulla ecologia, sulle tecnolo- gie pulite ecc. per la sopravvivenza dell’attuale sistema di mercato;

29 Così DE MATTEIS-GIUBBONIin una lettura combinata dell’opera di Fusinato e Ferraris.

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- non considera la forza del rifiuto - assoluto a lungo - delle imprese di discute- re, anche in termini di consultazione con le OO.SS., la materia della organiz- zazione produttiva e, quindi, del lavoro in azienda, punto di partenza per una efficace opera di prevenzione già in termini di costrittività organizzativa.

Resta, quindi, la motivazione di fondo di privilegiare la soluzione assicurativa - di automatica certezza dell’intervento - come strumento più adeguato per rea- lizzare la socializzazione del rischio senza la quale non sarebbe stato possibile garantire la tutela. In questi termini30, si è affermata la soluzione transattiva31 giunta nelle formule legislative fino ai giorni nostri con arricchimenti delle tutele sostanziali e senza impedire il parallelo sviluppo della prevenzione che, ribaltando l’idea della “tossina”, ha trovato una sponda efficace proprio nel- l’assicurazione con la sua capacità di mostrare il progressivo restringersi del- l’area della “fatalità”.

D’altra parte, fin dall’inizio la soluzione transattivi prevedeva - è bene sottoline- arlo per tornare alla sostanza delle cose - a fronte del circoscritto esonero sul ver- sante del lavoratore:

- il diritto al risarcimento a prescindere dalla sua stessa colpa;

- la determinazione del risarcimento in forma di indennizzo forfetario in misura certa, anche se minore (ma è da dimostrare) di quello ordinario ex codice civile: una specificazione indennitaria che, a mio avviso, non supera la funzione risarcitoria;

- la semplicità del percorso indennitario e la certezza del risultato senza dover ricorrere all’opera di costosi intermediari.

Certamente la soluzione aveva all’epoca insito in sé un criterio selettivo legato alla particolare posizione dei lavoratori o rischiosità della lavorazione considera- ta, criterio che si era concordi nel ritenere fosse:

- interpretato, nella sua operatività, dal meccanismo proprio dell’assicurazione;

- immanente alla teoria del rischio professionale come rischio dell’imprendito- re da circoscrivere, per questo, alle ipotesi in cui per la particolare entità del pericolo generato dall’organizzazione produttiva il rischio di infortunio fosse a lui sicuramente imputabile32.

Non solo, ma grazie all’assicurazione, con il tipico meccanismo compromis-

31 Comune alla codificazione del principio sia in forma assicurativa sia in forma di responsabilità civile.

32 Sul punto v. DE MATTEIS-GIUBBONI, op. loc. cit. anche per il richiamo alla successiva costruzione del Barassi che considera la legge del 1998 quale normativa volta a tutelare il lavoratore in quella forma che rappresentas- se un vantaggio per l’industria e per quella via un vantaggio per l’intera società”.

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sorio, il rischio da individuale - del lavoratore o del datore di lavoro poco importa - si socializzava a livello di rapporti fra le aziende nel loro comples- so, fra lavoratori ed aziende e, più oltre con le possibilità offerte dalla prede- terminazione dei costi assicurativi a livello di consumatori e società nel suo complesso.

Questi, sommariamente, i connotati della iniziale impostazione dell’assicurazio- ne obbligatoria nella quale principio del rischio professionale e assicurazione si fondevano. Senza entrare nel merito del dibattito sviluppatosi da quel momento in poi, è certo, però, che “il contenuto del compromesso originario avrebbe ine- sorabilmente segnato gli sviluppi della legislazione antinfortunistica praticamen- te fino ai giorni nostri”, finendo per delimitare non solo l’area dei soggetti pro- tetti come abbiamo visto, ma anche quella dell’oggetto della assicurazione e dei contenuti delle obbligazioni. O meglio, “costringendo” legislatori, giudici ed interpreti a superarne i limiti nel concreto, utilizzando le stesse “armi” del siste- ma assicurativo.

11. La storia: la tappe di sviluppo nella continuità/discontinuità

Per sommi capi i successivi sviluppi possono ricondursi, per il nostro ragio- namento a tappe essenziali e “progressive” - il 1904, 1917, il 1935, il 1948, il 1965, il 2000 - di un percorso ultracentenario che si è caratterizzato per un eccezionale ricchezza di fermenti giurisprudenziali e dottrinari ed un dibatti- to politico in alcuni momenti appassionato, ai quali si è contrapposto un dina- mismo legislativo singolarmente “sordo” al dibattito sui valori portanti del- l’assicurazione in una logica, è stato rilevato, “sostanzialmente autoreferen- ziale” di continuità strutturale dell’impianto normativo caratterizzato da

“perdurante fissità”33.

Il legislatore, cioè, “veleggiando”sul mare tempestoso del dibattito dottrinario, politico e giurisprudenziale, ha fatto sempre riferimento all’impianto iniziale: il frutto più compiuto è nel Testo Unico del 1965, la cui consultazione credo con- tinui a sconcertare il lettore con la “misteriosa” differenziazione fra attività pro- tette e persone assicurate con cui il Testo stesso si apre.

Le varie tappe si caratterizzano per elementi di interesse attuale ai nostri fini, a partire dal R.D. 51 del 1904 che, nel confermare la obbligatorietà della assicura- zione, consentiva che i datori di lavoro ottemperassero all’obbligo: costituendo una Cassa privata, assicurandosi presso una compagnia privata, associandosi ad

33 Così PONTRANDOLFI, Prospettive di riforma del T.U. n.1124 del 1965 anche alla luce della elaborazione giu- risprudenziale, in Riv. inf. mal. prof., 1993, I, 127.

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un Sindacato di assicurazione mutua riconosciuto, assicurandosi presso la Cassa nazionale infortuni34.

La soluzione è interessante perché evidenzia un percorso “naturale” di sviluppo dal privato al pubblico, conclusosi nei modi che oggi registriamo per il prevale- re dell’interesse alla tutela di soggetti “deboli”: lavoratori e lo stesso tessuto aziendale del Paese, privi di quelle garanzie che sono apparse, invece, sufficien- ti per non completare in modo analogo il percorso di sviluppo dell’assicurazione r.c.a., caratterizzata dalla compresenza di danni alla persona e danni alle cose, nonché l’analogo sviluppo dell’assicurazione degli operatori del volontariato di cui dirò più avanti.

Il richiamo è utile, altresì, per confermare quanto forti e ramificate siano le radici di situazioni, l’autonomia delle casse marittime ad esempio, che trova- no fondamento e giustificazione nella tipicità del settore produttivo e dei rela- tivi rischi, diversamente da situazioni nelle quali la presenza di organismi spe- cifici, come il sindacato per i lavoratori delle zolfatare (poi assorbito dall’Istituto), derivi dalla necessità di anticipare provvidenze per categorie di lavoratori esposte a particolari rischi35.

Il 1917 si segnala per la tutela dei lavoratori agricoli, caratterizzata per:

a) l’introduzione del principio della automaticità dell’assicurazione il cui inizio coincideva con l’inizio della esposizione al rischio riducendo gli adempimenti successivi da atto costitutivo a mero adempimento interno al rapporto assicurativo, oltretutto superfluo per il particolare meccanismo contributivo;

b) l’estensione della tutela a chiunque venisse a contatto con il fondo rustico, protagonista della assicurazione, per lo svolgimento di una delle attività lavo- rative - e per questo rischiosa - per il fondo stesso;

c) il meccanismo di gestione finanziaria - a ripartizione - con contribuzione rife- rita alle dimensioni e caratteristiche del terreno, senza alcun rilievo della peri- colosità della lavorazione e senza alcun rilievo del “datore di lavoro”, nemme- no obbligato alla denuncia di infortunio.

34 La norma prevedeva l’eccezione riguardante l’ipotesi che per un settore industriale si fosse costituito un Sindacato obbligatorio di assicurazione mutua, facoltà prevista dallo stesso regio decreto ed utilizzata solo per Il Sindacato per i lavoratori delle zolfatare ed i Sindacati per la gente di mare poi trasformatisi nelle Casse marittime, da ultimo confluite nell’IPSEMA. Sul punto v. il volume di CATALDI, L’INAIL (testimonianze di un secolo), ed. INAIL, Roma 1983. Anche per il richiamo all’assalto alla diligenza verificatosi in quegli anni da parte di minoranze di avvocati, medici, consulenti in genere, con controversie con gli assicuratori, per arginare il quale fu poi imposto, a detta dell’A., il divieto di intermediazione in siffatte controversie.

35 Il richiamo è utile per rendere cauti quanti, con ricorrente approssimazione, propongono accorpamenti di enti previdenziali in base a valutazioni economiche. trascurando di ricostruire le motivazioni di fondo delle

“diversità”. È ancora attuale, così, il Progetto SUPERINPS che, nato per accorpare tutti gli enti, si è via via esaurito, come una sorta di tornado, riducendosi alla fine all’idea di sinergie e cooperazione.

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Si trattava di novità essenziali sul piano dei principi36, motivate da ragioni essenzialmente pratiche per lo stato gestionale e culturale dell’agricoltura del- l’epoca che rendeva improponibile meccanismi “raffinati” come quelli del set- tore industriale.

Il punto a), infatti, rappresentò una rivoluzionaria soluzione di continuità nel per- corso di migrazione dell’assicurazione nel campo sociale, con l’affermazione del primato della sostanza delle cose, della esposizione al rischio rispetto alla dispo- nibilità dell’azienda ad onorare la sua obbligazione a contrattare.

Il punto b) contiene due elementi di novità, riferiti:

- alla presenza fra i soggetti tutelati di coloro che fossero in qualche modo al servizio, in modo “professionale” del fondo rustico, compresi i proprietari nel- l’esercizio delle attività agricole fonte di esposizione a rischio;

- alla prevalenza del fondo come “soggetto” rispetto alla vasta gamma di posizioni giuridiche danti titolo alla utilizzazione del fondo, identificate per il legame con il fondo e con la disponibilità, fiscalmente rilevante, del fondo stesso.

Una terza caratteristica incrinava la logica assicurativa (ma non del meccanismo di tipo assicurativo) con la scelta del sistema a ripartizione - arricchito dalla previsio- ne dell’accantonamento di parte delle entrate in un fondo di garanzia - ed il man- cato riferimento alla rischiosità dell’azienda. Il mancato riferimento era solo for- male, però, poiché la legge del 1917 tutelava i lavoratori agricoli esposti a rischi diversi da quelli industriali, sicchè si trattava di soggetti considerati per il momen- to in cui erano esposti ad un rischio sostanzialmente uniforme, non utilizzando, appunto, “macchine” e non operando in ambienti ove sussistesse diversità di rischio per una diversa costrittività organizzativa. Non solo, ma il rinvio alle carat- teristiche del fondo per determinare la contribuzione poteva consentire un richia- mo pur sottile alla diversità di impegno di manodopera nella gestione dello stesso.

12. Dal sistema del 1935 al Testo Unico del 1965

Con i provvedimenti del 1933/1935 il sistema trova un nuovo assetto, sul versan- te delle tutele e su quello organizzativo/gestionale.

Sul piano organizzativo, con il R.D.L. n. 264 la gestione dell’assicurazione obbli- gatoria fu unificata nella Cassa nazionale - con la denominazione di Istituto nazionale - che assorbiva, come Sezione speciale, poi soppressa, il Sindacato per

36 Sulla assicurazione infortuni in agricoltura con particolare riguardo ai soggetti del rapporto v. ACCONCIA, I soggetti assicurati in agricoltura, in Trattato di Previdenza sociale, cit, p. 68.

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