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Spesa per investimenti procapite per settori e livelli di governo, valori %, media 1996-

Nel documento Il mercato del lavoro (pagine 149-161)

Amm. Centrali Amm. Regionali Amm.

Locali IPN IPL

Amministrazione Generale 10,19 6,34 16,12 0,00 0,08 Difesa 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 Sicurezza pubblica 5,74 0,34 0,24 0,00 0,00 Giustizia 2,90 0,00 0,43 0,00 0,00 Istruzione 0,47 2,87 10,78 0,00 0,12 Formazione 0,00 0,02 0,03 0,00 0,00

Ricerca e Sviluppo (R. & S.) 1,98 0,18 0,63 0,00 0,51 Cultura e servizi ricreativi 2,57 1,38 8,11 0,00 0,07 Edilizia abitativa e urbanistica 1,77 0,42 11,25 0,24 11,26

Sanita' 0,10 20,49 0,03 0,00 0,00

Interventi in campo sociale (assist. e benef.) 0,69 0,00 2,30 0,00 0,00

Acqua 0,84 18,93 0,10 0,00 5,97

Fognature e depurazione Acque 1,13 0,03 11,07 0,00 0,00

Ambiente 6,07 33,50 6,63 0,00 0,86

Smaltimento dei Rifiuti 0,01 0,00 0,63 0,00 0,03

Altri interventi igienico sanitari 0,00 0,00 1,89 0,00 0,00

Lavoro 0,01 1,08 0,00 0,00 0,00

Previdenza e Integrazioni Salariali 6,09 0,00 0,00 0,00 0,00

Altri trasporti 5,51 1,29 0,74 19,51 12,27

Viabilita' 50,11 6,70 19,75 0,03 0,00

Telecomunicazioni 0,04 0,61 0,00 10,56 0,00

Agricoltura 2,19 2,44 0,25 0,00 32,94

Pesca marittima e Acquicoltura 0,00 0,11 0,00 0,00 0,00

Turismo 0,00 0,43 4,07 0,00 0,00

Commercio 0,01 0,00 0,12 0,00 0,00

Industria e Artigianato 0,01 0,93 1,00 9,46 34,07

Energia 0,00 0,37 0,00 57,76 0,00

Altre opere pubbliche 0,00 0,24 0,00 0,00 0,00

Altre in campo economico 1,57 0,00 3,82 2,44 1,84

Oneri non ripartibili 0,00 1,28 0,00 0,00 0,00

Proprio partendo da questi assunti i documenti di programmazione dell’ultimo quin- quennio hanno puntato sull’integrazione delle risorse umane, materiali e immateriali. In primo luogo, l’integrazione delle risorse a disposizione, che provengono da canali diversi (comunitario, statale e regionale) ma mirate a finanziare un unico programma di svilup- po. In secondo luogo, il superamento delle logiche settoriali a favore di un approccio territoriale (place-based), ovvero una politica rivolta ai luoghi che si fonda su un princi- pio di ampia integrazione dei diversi ambiti territoriali della Regione, capaci di generare una fitta rete di interrelazioni tese a favorire ed alimentare rapporti di scambio produtti- vo, commerciale e culturale tra le stesse aree interne e tra queste ed il resto del mondo.

In pratica, da sola la spesa in conto capitale non svolge appieno la sua funzione per- ché necessita del contributo della persona, che è elemento principale che sta alla base dello sviluppo. Sebbene abbia sempre assunto un ruolo di rilievo, l’elemento umano ha ormai una netta prevalenza nei fattori critici del vantaggio competitivo. Le risorse mate- riali ed immateriali restano sempre necessarie ma non rivestono la stessa rilevanza stra- tegica nell’economia della conoscenza. Sta ormai maturando la consapevolezza che non si compie alcuna politica di sviluppo se non si estrae la capacità e la competenza dei cit- tadini dai territori e che, al tempo stesso, non si compie nessun intervento se il soggetto che eroga le risorse non subordina il trasferimento a priorità predefinite, chiare, alla fis- sazione di obiettivi, requisiti istituzionali per il buon utilizzo dei fondi.

Conclusioni

Giunti al termine del nostro percorso di analisi, dedichiamo le ultime pagine del presente volume ad un bilancio delle principali risultanze emerse, avventuran- doci solo occasionalmente su alcune considerazioni prospettiche. Per queste ul- time ci pare in ogni caso opportuna la considerazione che non sappiamo se le ricette che potrebbero andar bene in tempi normali possano poi risultare efficaci anche nei tempi eccezionali che stiamo vivendo; va poi aggiunto che l’entità della recessione economica che ha attraversato le economie occidentali è stata di una portata tale da mettere in discussione molte delle “certezze” economiche che hanno orientato le indicazioni di politica economica degli accademici e dei principali istituti di analisi e governo dell’economia internazionale71.

Nell’immediato, le previsioni economiche più recenti lasciano intravedere per l’anno il consolidamento di un’inversione di tendenza ma non una vera e propria ripresa. Per l’Italia le previsioni di primavera della Commissione Europea preve- dono una variazione positiva del PIL dello 0,8% nel 2010 e, a politiche invaria- te, dell'1,4% nel 2011. Faranno meglio le due “locomotive” dell’area euro Fran- cia e Germania (+1,3% e +1,2%). Per la Sardegna, data la scarsa capacità di ag- ganciarsi agli andamenti dei mercati esteri, sarà molto difficile fare meglio della media nazionale. Sul fronte occupazionale, l’arrivo a scadenza di parte degli in- terventi di cassa integrazione guadagni straordinaria e il tradizionale ritardo con cui i mercati del lavoro incorporano gli effetti delle recessioni, fanno purtroppo prevedere un aumento dal tasso di disoccupazione per tutto l’anno in corso.

Nel procedere con il riepilogo delle principali evidenze empiriche emerse nei capitoli precedenti, partiamo dalla considerazione che in un arco di tempo suffi- cientemente lungo, quale può considerarsi il periodo 1995-2007, la crescita dell’economia della Sardegna si mostra in linea con le altre regioni italiane, ma di molto inferiore alla media europea delle regioni con un reddito comparabile. Nel confronto del reddito procapite a livello di Europa a 27 paesi, calcolato alla parità dei poteri d’acquisto, passiamo dall’89,4% della media europea nel 1995 al 78,4% nel 2007. Il fatto che questa dinamica ci veda in compagnia del resto del Paese rende ancor più problematiche le possibilità di recupero nel breve-

71

Qualche eco del dibattito sulla crisi della teoria economica “mainstream” alla luce della crisi finan- ziaria del 2008 è giunta anche nel nostro Paese, ma è soprattutto negli Stati Uniti che la controversia si è fatta aspra e stimolante. Si vedano ad esempio gli ultimi numeri de The Economists' Voice (http://www.bepress.com/ev/).

medio periodo, non essendo in tale contesto ragionevolmente ipotizzabili “effet- ti di trascinamento” sull’economia regionale da parte di un aggregato nazionale caratterizzato da maggiore dinamicità.

Preoccupa in particolar modo la performance negativa che si è registrata ne- gli anni immediatamente a ridosso della crisi mondiale, che ha visto la Sardegna fare peggio del Mezzogiorno e dell’Italia nel suo complesso. La scomposizione del PIL regionale tra le sue varie componenti ci ha permesso di individuare una probabile spiegazione di breve periodo per questa decrescita, vale a dire la ridu- zione della spesa pubblica che ha contraddistinto la nostra economia regionale dalle altre macroaree di riferimento. Se confermata nel medio periodo, questa incapacità dell’economia sarda di emanciparsi da flussi non decrescenti di risor- se pubbliche desta ulteriori motivi di preoccupazione, in considerazione del fat- to che sono destinati a non riaumentare non solo i fondi di origine europea, ma anche le risorse di provenienza nazionale, stante il processo di realizzazione dei progetti di federalismo fiscale.

Per trovare qualche segnale positivo fra i dati macroeconomici presentati nel primo capitolo, bisogna arrivare al dettaglio delle compenti della spesa pubblica regionale: diminuisce quella complessiva, ma aumenta quella per investimenti (come evidenziato dall’analisi dei Conti Pubblici Territoriali). Naturalmente questo indicatore potrà diventare una “vera buona notizia” solo nella misura in cui tale riqualificazione della spesa riesca a mostrare nel medio-lungo periodo quell’efficacia non manifestata nel breve termine.

Il ruolo del settore pubblico su scala regionale e locale è stato più puntual- mente approfondito nel secondo capitolo, dedicato quest’anno specificamente ai servizi pubblici. Sono diversi gli ambiti di intervento in cui il livello dei servizi offerti si pone al di sopra del resto del Mezzogiorno. Ciò emerge in particolare dall’analisi del funzionamento del Sistema Regionale Sardo sardo: sicuramente in termini di contenimento della spesa, e in parte in termini di performance. Sul primo fronte, sono evidenti gli effetti delle politiche di contenimento, che per- mettono alla Sardegna di collocarsi nel periodo 2004-2008 tra le regioni più parsimoniose in termini di spesa procapite nonostante una forte inversione di tendenza nel 2008. Da segnalare che in tale anno, con il precipitare della crisi economica, risulta nuovamente in crescita l’incidenza della spesa sanitaria sul PIL, la cui stabilizzazione nel lungo periodo rappresenta un obiettivo impre- scindibile, dato che a partire dal corrente anno diventa operativo l’accordo Sta- to-Regione in base al quale per la Sardegna non sono più previsti trasferimenti a carico del Bilancio dello Stato a titolo di Fondo Sanitario Nazionale. Sul secon- do fronte, assumono particolare rilievo gli indicatori di dotazione ospedaliera, mobilità sanitaria, efficienza ed efficacia. Si evidenzia una riduzione dell’offerta

di posti letto ancora insufficiente, accompagnata ad una scarsa efficacia e ap- propriatezza delle cure per quanto riguarda il ricorso a procedure chirurgiche per pazienti ricoverati con DRG medici (in linea con il resto del Mezzogiorno). Nel medio periodo, il dato più preoccupante riguarda la crescita, a ritmi superio- ri rispetto ad ogni altra regione, dei ricoveri extraregionali.

Poche luci e molte ombre emergono anche dall’analisi dei servizi pubblici locali. I comuni sardi hanno una spesa corrente procapite tra le più elevate del Paese, principalmente incentrata sull’assistenza sociale per le quali si evidenzia un differenziale nei valori procapite del 16% rispetto alla media nazionale e del 24% rispetto al Mezzogiorno, a cui non corrisponde tuttavia un significativo in- cremento di efficacia. Sul fronte dei servizi per la mobilità si riscontra un preoc- cupante ritardo. Risultati invece più incoraggianti emergono per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche e dei rifiuti solidi urbani, dove nell’ultimo quin- quennio la Sardegna ha fatto grandi progressi.

Anche nel biennio 2008-2009 non sono mancate le buone notizie dal com- parto turistico, confermando un trend incominciato nel 2006. Abbiamo infatti riscontrato che, almeno fino a tutto il 2009, l’appeal della Sardegna è stato più forte della crisi, e l’Isola è stata capace di differenziarsi positivamente rispetto agli andamenti internazionali e alla media italiana e del Mezzogiorno. Se nel 2008 è stato il mercato interno a mostrarsi particolarmente dinamico, nell’anno appena trascorso a crescere di più sono stati il comparto extralberghiero ed i flussi di provenienza internazionale. Viene ribadita inoltre l’importanza dei col- legamenti internazionali a basso costo. All’apertura di nuovi collegamenti low

cost è da attribuire parte del boom di presenze spagnole (+93%); nell’ordine del

+50% anche l’incremento di turisti provenienti dai Paesi Bassi e dal Belgio. Per il 2010, le nostre previsioni effettuate mediante una metodologia par- zialmente rinnovata prevedono una crescita debole (inferiore all’1%), ed una conferma della dinamicità del settore extralberghiero.

Segnali sempre più preoccupanti e negativi emergono invece dalla nostra a- nalisi del mercato del lavoro, che oltre ai consueti andamenti nel tempo del tas- so di attività, di disoccupazione e di occupazione ha studiato in dettaglio l’anda- mento delle non forze di lavoro, la durata della ricerca di lavoro e le probabilità di transizione tra occupati, disoccupati e inattivi. Gli andamenti negativi degli ultimi due anni più che compensano gli importanti passi in avanti che emerge- vano dall’analisi negli anni passati. È vero che la Sardegna è in una posizione relativamente più favorevole rispetto al Mezzogiorno per quanto riguarda alcuni indicatori fondamentali (partecipazione femminile al mercato del lavoro, tasso di attività e ruolo relativamente limitato degli effetti di scoraggiamento nel de- terminare il tasso di inattività); d’altra parte la scarsa qualità dell’occupazione

creata nel settore dei servizi, il recente incremento della disoccupazione e le persi- stenti difficoltà di reinserimento nel mercato del lavoro di alcuni gruppi di indivi- dui indicano sia difficoltà strutturali che preoccupanti segnali congiunturali.

Entrare nel dettaglio delle statistiche conduce a risultati interessanti: abbia- mo evidenziato ad esempio che la componente femminile della forza lavoro ha un ruolo chiave nel determinare gli esiti occupazionali a livello regionale, e che le probabilità di transizione dalla disoccupazione verso l’inattività sono per for- tuna più basse di altre realtà del Mezzogiorno. Tale probabilità aumenta però tantissimo per la classe di popolazione fra i 45 e i 54 anni, segnalando l’inca- pacità dell’economia di riassorbire i lavoratori più frequentemente espulsi dal sistema produttivo in occasione dei processi di ristrutturazione aziendale, e de- terminando in tal modo dei tassi di attività particolarmente bassi per la classe di età fra i 55 e i 54 anni. Gli approfondimenti presentati alla fine del quarto capi- tolo mostrano infine come il dato aggregato possa nascondere delle dinamiche più articolate. Seguendo l’approccio adottato di recente dalla Banca d’Italia per la stima del lavoro disponibile inutilizzato – e basato sui criteri individuati dal- l’International Labour Organization, in base ai quali è disoccupato chi è senza lavoro, è alla ricerca di un impiego ed è immediatamente disponibile a lavorare – il lavoro disponibile inutilizzato arriva in Sardegna a circa il 16%; tale dato risulta però molto migliore di quello relativo al Mezzogiorno.

Completiamo il riepilogo di quanto emerso in questa edizione del Rapporto chiedendoci se e quanto il sistema economico sardo si stia attrezzando per quando la crisi mondiale sarà riassorbita. Data la piccola dimensione della no- stra economia, continuiamo a ritenere che nel medio-lungo periodo saranno al- cuni elementi dal lato dell’offerta a fare la differenza. Questo spiega la scelta degli indicatori che abbiamo scelto di monitorare nella nostra analisi dei fattori di crescita e sviluppo.

In alcuni casi, emerge con forza un divario rispetto al resto della Penisola: è il caso della dotazione infrastrutturale, con riferimento alla quale preoccupa so- prattutto la distanza che separa la Sardegna dallo stesso Mezzogiorno. Nell’ana- lisi degli indicatori prescelti abbiamo tuttavia spesso confrontato la Sardegna con i paesi e le regioni europee piuttosto che riferirci all’andamento della media nazionale. Il punto è che, anche se per alcuni indicatori la Sardegna sembra muoversi sostanzialmente in linea con il resto del Paese, questa evidenza cessa di avere una valenza positiva nel momento in cui essa semplicemente riflette il preoccupante e progressivo allontanamento dagli standard europei del sistema innovativo italiano considerato nella sua globalità. È quello che accade ad e- sempio per alcuni indicatori relativi alla ricerca e all’innovazione. In questi casi non solo la nostra regione manifesta dei livelli di gran lunga inferiori alla media europea, ma nella maggior parte dei casi (e contrariamente a gran parte delle re-

gioni dell’Est Europeo interessate dall’allargamento) risulta negativo anche il trend degli ultimi anni. Proprio in quanto il fenomeno interessa l’intero Paese, appare ancora più difficile un’inversione di tendenza per la nostra regione. L’unica eccezione positiva a tale riguardo è la rilevante crescita dal 2003 al 2008 dell’occupazione sarda nei settori a più alta intensità tecnologica, aumento che risulta ampiamente sopra la media europea, sebbene sarebbe utile poter de- purare tale dato dagli occupati nei call center.

Per concludere, segnali contradditori sembrano emergere in relazione ai pro- cessi di accumulazione di capitale umano. Nel nostro monitoraggio degli Obiet- tivi di Lisbona notiamo ad esempio che la Sardegna mostra di aver fatto bene nel medio periodo per quanto riguarda la riduzione della dispersione scolastica, con tuttavia una preoccupante inversione di tendenza nel 2008. È in migliora- mento anche il dato sulla quota di adulti coinvolti permanentemente in pro- grammi di formazione, ma il livello raggiunto dall’indicatore, sebbene superiore alla media italiana, rimane comunque molto inferiore rispetto alla media euro- pea. Negativo infine il dato riguardante la quota di laureati rispetto alla popola- zione in età da lavoro, per il quale nel medio periodo la Sardegna mostra una tasso di crescita nettamente inferiore a quello medio nazionale, e quindi tenden- zialmente non capace di recuperare il gap rispetto alla media europea.

L’insistenza con cui in questi anni gli investimenti in conoscenza sono stati messi al centro dell’agenda europea deve spronare la Sardegna ad un maggiore impegno nel ridurre il divario con le regioni virtuose dell’Unione Europea. È chiaro che investimenti in istruzione, formazione permanente, ricerca e innova- zione tecnologica non pagano nel breve periodo (ma d’altra parte poco possono fare i governi locali in chiave anticongiunturale); tuttavia essi potranno tradursi in una maggiore produttività del sistema economico nel medio-lungo termine, proprio quando la bufera che ha investito i sistemi economici occidentali si sarà sperabilmente e definitivamente placata.

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