La proposta americana di riarmo tedesco e la reazione francese
2. Tesi storiografiche anglosassoni a confronto: monografie sull’esercito europeo e il riarmo della Germania
Sembra sicuramente più articolata la descrizione degli stessi fatti da parte della letteratura di stampo anglosassone, sia monografica che sulle riviste scientifiche, per un duplice ordine di fattori: da una parte la maggiore disponibilità di fondi archivistici USA sul tema, consultabili già dagli anni Ottanta; dall’altra il dibattito tra gli storici americani e tra gli scienziati politici, interessati in particolare alle origini della guerra fredda, che videro nel periodo immediatamente successivo allo scoppio della guerra di Corea un punto di snodo fondamentale da investigare anche in chiave metodologica, con una disputa tra diverse scuole teoriche delle relazioni internazionali in merito alle concettualizzazioni alternative della struttura del sistema internazionale nel secondo dopoguerra. Il resoconto sintetico di queste tesi, che s’intende presentare in questa seconda parte del capitolo, può servire a fornire un sostrato, anche metodologico, al successivo confronto di fonti primarie francesi e americane che si svilupperà successivamente, con l’intento di ricostruire i due contrapposti progetti di riarmo della Germania occidentale e rispondere ad alcune questioni che sembrano ancora controverse o comunque non definitivamente risolte ad opera della letteratura esistente.
Per quanto riguarda la presentazione della storiografia anglosassone, s’intende seguire un criterio cronologico a partire dalle principali opere monografiche sulla CED e sul riarmo della Germania occidentale, passando poi nel capitolo seguente a esaminare alcuni articoli significativi pubblicati sulle riviste scientifiche. Nella prima monografia in lingua inglese sulla CED24, basata essenzialmente su fonti aperte quali resoconti dei dibattiti parlamentari e articoli di stampa, sui libri (in gran parte raccolte di memorie) già pubblicati da personalità politiche che parteciparono alla vicenda e con l’ausilio di fonti orali quali le interviste condotte dall’autore con alcune figure chiave dell’epoca, Fursdon nel 1980 partiva rammentando che fino al 1950 non vi era alcuna possibilità di riarmo della Germania e riportava un passaggio alla camera bassa del parlamento britannico, la Camera dei Comuni, del 26 luglio 1950: “il Governo di Sua Maestà ha ripetutamente, anche congiuntamente con i suoi alleati, dichiarato la sua opposizione al riarmo della Germania. Ogni cambiamento in questa politica deve
24 E. Fursdon, The European Defence Community, cit..
necessariamente essere il risultato di una decisione congiunta alleata”25: questa posizione di chiusura era confermata anche per le altre due potenze alleate26. Nel paragrafo interamente dedicato alle trattative negli Stati Uniti del settembre 1950, Fursdon descriveva le posizioni iniziali nel trilaterale fra i ministri degli Esteri che ebbe luogo al Waldorf Astoria di New York dal 12 al 14 settembre 1950, in preparazione del Consiglio del patto atlantico27 del 15 settembre: Bevin si era espresso pubblicamente contro il riarmo tedesco come anche Schuman, che era stato avvisato, secondo l’autore, da Jean Monnet della volontà americana di sollevare la questione del contributo tedesco al dispositivo occidentale; nonostante questo preavviso la reazione del ministro francese fu notevole, a detta di Fursdon:
alla conferenza, nonostante egli fosse stato preavvisato da Monnet, Robert Schuman rimase scioccato nell’udire da Dean Acheson delle proposte americane di un contributo militare tedesco di circa 10 divisioni. […] La proposta, che anche Bevin stava sentendo per la prima volta, era inaccettabile ai francesi, che in quel periodo stavano ancora pensando di risolvere il problema tedesco attraverso misure economiche e col piano Schuman. Comunque, le istruzioni ufficiali di Schuman dal governo francese erano state molto semplici: non ci sarebbe stata assolutamente nessuna questione di riarmare la Germania. […] Cosa rese la situazione peggiore per Schuman fu che egli poteva vedere che Bevin, sull’appoggio del quale avrebbe potuto contare, era caduto nelle argomentazioni di Acheson. Egli vide che velocemente la posizione della Francia diveniva isolata28.
Quanto emerge da questo brano può essere così riassunto: non c’era stata, prima del
meeting del 12 settembre 1950, una comunicazione preventiva dagli USA verso i due alleati, se
non un’avvisaglia al suo ministro da parte di Monnet, preoccupato per il sorgere di eventuali ostacoli sul cammino del piano Schuman; inoltre, la posizione francese di aperta ostilità alla proposta non era più affiancata da quella britannica che, inizialmente contraria al riarmo tedesco, si avvicinava alle posizioni americane. La situazione francese, ormai isolata, apriva un dilemma29 che il governo doveva risolvere velocemente, perché con il mantenimento di un 25 Ivi, p. 70. La citazione è tratta dagli Archivi dei dibattiti alla Camera dei Comuni, Hansard (House of
Commons), serie V, vol. 478, 26 luglio 1950, paragrafo (col.) 470, consultabile in rete all’indirizzo
http://hansard.millbanksystems.com/commons/1950/jul/26/defence (ultima consultazione il 14 febbraio 2015).
26 “There had been American and other statements at the end of 1949 that the United States was not considering German rearmament, and a resolution in similar terms had been passed by the French National Assembly”: E. Fursdon, The European Defence Community, cit., p. 70.
27 Era consuetudine dei ‘Big Three’, Stati Uniti, Regno Unito e Francia, riunirsi in pre-seduta plenaria per discutere preventivamente dei temi all’ordine del giorno del Consiglio atlantico.
28 E. Fursdon, The European Defence Community, cit., p. 78.
29 Questa la descrizione, ad opera di Fursdon, del piano che venne formalizzato dopo due settimane di trattative tra i paesi NATO e del dilemma francese: “the Council reconvened on 26 September after a hectic two weeks of inter-government, national governmental and Council Deputies’ activity. It quickly
ostinato rifiuto avrebbe messo a repentaglio non solo il ricorso agli aiuti finanziari e militari americani, ma anche il difficile cammino di leadership europea che era stato avviato con la proposta di Robert Schuman, rischiando così un controproducente isolazionismo.
L’opera di Ruane30 sulla CED presentava un profilo diverso dalle monografie sin qui descritte: di stampo anglo-centrico, utilizzava ampiamente sia fondi d’archivio britannici sia americani come anche dava conto della ormai vasta letteratura scientifica sulla materia31; enfatizzava l’opera della diplomazia britannica e del segretario agli Esteri Anthony Eden che era ritenuto dall’autore, insieme alla compagine governativa conservatrice, molto più a favore della CED e dell’unità europea di quanto comunemente descritto dalla letteratura; analizzava la CED come un preludio alla crisi che sarebbe scoppiata con il voto negativo del parlamento francese del 30 agosto1954, dando così un grande risalto alla soluzione britannica del settembre 1954 con la nascita della Unione Europea Occidentale (UEO)32. In particolare, riguardo alla presentazione del piano americano e alla conseguente reazione francese, Ruane indicava nella schiacciante superiorità sovietica riguardo alle forze convenzionali contrapposte nello scacchiere europeo33 la causa che spinse il presidente Truman a dare il suo assenso al agreed on the first part of the American proposal, namely that an integrated force be established under centralised command. This was to be organised under NATO, be subject to its political and strategic guidance, and come under the higher strategic direction of the Standing Group of the Military Committee of NATO. A Supreme Commander would be appointed, supported by an international staff representing all contributing nations, to be responsible for the effectiveness of the integrated force’s organisation and for its training in peace and war. [...] Of the second part of the American proposal, namely the German contribution, the basic problem remained. The French Government sent firm instructions to Schuman not to yield: faced with its dilemma, it was playing for time and was in no mood to allow Schuman to explore any European solution. It appeared to the French Government that the Americans were tending to subordinate their European defence commitments to an urgent, prior settlement of the German problem, and this it did not like”: ivi, p. 85.
30 K. Ruane, The Rise and Fall of the European Defence Community, cit..
31 In particolare sul riarmo della Germania, Ruane cita sin dall’introduzione al suo testo i seguenti lavori: S. Dockrill, Britain’s policy for West German rearmament, 1950-1955, Cambridge 1991; T.A.
Schwartz, America’s Germany: John J. McCloy and the Federal Republic of Germany, Harvard 1991; D.C. Large, Germans to the front: West German rearmament in the Adenauer era, Chapel Hill 1996; J.M. Diefendorf, A.
Frohn, H.-J. Rupieper (a cura di), American policy and the reconstruction of West Germany, 1945-1955,
Cambridge-New York 1993.
32 “One of the purposes of this book is to fill a gap in the literature by placing the EDC in its proper perspective, as a prelude to crisis rather than as a crisis in and of itself”: K. Ruane, The Rise and Fall of the European Defence Community, cit., p. 5.
33 Kevin Ruane indicava un rapporto tra le forze contrapposte analogo a quanto già riportato da Preda, cit. alla nota 61 del Cap. I.
piano ‘one package’, in modo da creare una dozzina di divisioni tedesche che potessero
contribuire a formare una linea di resistenza più efficace sul territorio attraversato dal fiume Elba, anziché sul Reno34: per questo il piano venne concepito come un tutt’uno, mediante la creazione di una struttura organizzativa di difesa del patto atlantico (la NATO) con la designazione di un generale americano a capo delle forze alleate in Europa (SACEUR), entrambe legate inscindibilmente all’accettazione del riarmo tedesco. Anche Ruane, come già Fursdon, parlava di questo piano come di un dilemma per le potenze europee della NATO35, che dovevano scegliere tra acconsentire alla sgradevole necessità di cedere alle richieste USA oppure inserirle in un più ampio disegno di unità europea, dilemma che fu il motore per il governo francese per giungere a una soluzione differente da quella proposta da Acheson. Va sottolineato che Ruane non si interrogava né sulle modalità di formazione del piano americano né sulla sua presentazione ai principali alleati, assumendo che il principio della necessità del riarmo tedesco fosse stato prontamente accettato dalla Gran Bretagna e dal resto della NATO36.
Altro testo che offre numerosi spunti è un’opera di James McAllister37, che si distingue nel panorama degli scritti su questo argomento per due ordini di motivi: offre numerosi spunti metodologici all’interno del dibattito tra i teorici delle relazioni internazionali in merito alla 34 La citata strategia difensiva atlantica “hold the enemy as far to the East in Germany as possible” era stata formalizzata dal comitato militare del Nord Atlantico nel documento Decision on M.C. [Military
Committee] 14, Strategic Guidance for North Atlantic Regional Planning del 28 marzo 1950, p. 11, in
aderenza a quanto deciso dal comitato dei ministri della Difesa in pari data, con il North Atlantic Treaty Organization Medium Term Plan, D.C. [Defense Committee] 13, p. 56: “the European Regions must
arrest the enemy advance as far to the East as possible”. Per un quadro sinottico della struttura organizzativa della NATO al dicembre 1949, cfr. la figura 1 in Appendice “The organization in December 1949”, tratta da Ismay, H. L., NATO, the first five years, 1949-1954, Bosch-Utrecht 1955.
L’autore ricoprì per primo l’incarico di segretario generale dell’Alleanza dal marzo 1952 al maggio 1957. Nella figura 2 dell’Appendice, un particolare dell’organizzazione militare di vertice della NATO e del suo sistema di comando, al 31 gennaio 1951, tratta da FRUS, 1951, European security and the German question, vol. III, parte I, Washington 1981, p. 459.
35 “For the European NATO powers, the American ‘package’ presented a dilemma. On the one hand, the willingness of the United States to assume a greater level of responsibility for continental security was welcomed. On the other, there was dismay that German rearmament was the price to be paid for this commitment. The French, with their bitter memories of invasion in 1914 and 1940, were particularly disturbed by a proposal which, in the name of combating the Soviet threat, risked unleashing German aggression again”: K. Ruane, The Rise and Fall of the European Defence Community, cit.,
p. 4. 36 Ivi, p. 15.
37 J. McAllister, No exit: America and the German problem, 1943-1954, Ithaca 2002.
migliore struttura per inquadrare le relazioni tra gli alleati atlantici nel secondo dopoguerra; inoltre utilizza largamente le fonti statunitensi, nella disponibilità dell’autore poiché declassificate e aperte alla consultazione, e le incrocia sia con le fonti britanniche sia, in misura minore, con quelle francesi. Quest’uso delle fonti originali è importante per rendere conto più diffusamente non solo dello scontro in atto nella primavera-estate del 1950 tra la Segreteria di Stato e la Difesa per la definizione del piano di riarmo tedesco, ma anche del tentativo di Acheson di guadagnare il favore di Schuman al piano, prima del trilaterale a New York: l’ultimo punto in particolare, supportato da fonti di provenienza americana, risulta essere un elemento originale rispetto alle monografie già esaminate.
Andando per ordine, analogamente a come procedeva lo stesso McAllister nel suo testo, sembra funzionale introdurre qui l’elemento metodologico, importante per fornire un quadro di riferimento non solo per questo periodo iniziale, ma per l’intera vicenda dell’esercito europeo fino al 1954: un impianto metodologico complessivo che possa non solo inquadrare le relazioni internazionali del secondo dopoguerra, ma che sia anche in grado di spiegare adeguatamente l’atteggiamento degli Stati Uniti verso i tradizionali alleati europei. In particolare, i seguenti punti appaiono problematici al riguardo nel periodo dal 1949 al 1955:
- nella crescente contrapposizione verso l’URSS, gli USA decisero di investire in modo considerevole sulla crescita della potenza degli alleati continentali, nei modi già esaminati, piuttosto che solamente sui mezzi “interni”, nazionali;
- la Germania occupata cessò di essere considerata un pericolo da controllare e divenne un fulcro decisivo, almeno nella sua parte occidentale, da legare alla complessiva strategia alleata, al punto da suscitare la ferma reazione sovietica. I timori dell’acuirsi della contrapposizione fra le due potenze non impedì però ai decisori pubblici americani di inseguire fermamente questo obiettivo strategico, in un aperto dibattito anche con l’alleato francese;
- in particolare la posizione francese al riguardo costrinse gli americani a un estenuante lavoro diplomatico, che si concluse solo alla fine del 1954: nell’ottica del confronto fra le potenze, anche con la necessaria ricerca del consenso tra nazioni alleate, risulta difficile giustificare una così lunga attesa da parte del Paese che sopportava il peso e i costi maggiori all’interno dell’Alleanza;
- infine, il quadro metodologico dovrebbe anche aiutare a motivare il convinto appoggio americano all’assetto istituzionale sovranazionale dell’esercito europeo attraverso la
CED, tanto più che questo tipo di soluzione era più convintamente ricercata dagli USA piuttosto che dai paesi europei aderenti.
Nel testo di McAllister38 alcuni di questi punti venivano trattati in relazione a diversi approcci sistemici alla teoria delle relazioni internazionali e la loro citazione in questo paragrafo è funzionale al successivo confronto, in chiave storiografica, delle fonti archivistiche francesi e americane al riguardo dei due contrapposti piani di riarmo tedesco, il piano formulato da Acheson a New York e il piano Pleven. Un primo contributo teorico in merito all’assetto post-bellico e al ruolo della Germania veniva fornito già dal 1944 da William T. R. Fox39, che non riteneva possibile la nascita di un vero e proprio sistema tripolare e quindi vedeva come nodo centrale la capacità delle due superpotenze di collaborare al riguardo del destino della Germania sconfitta, resistendo alla tentazione di includere il paese in un’alleanza diretta contro l’altro, per non incappare nel pericolo che una competizione portasse al riemergere della Germania come autonomo centro di potere40. Un allievo di Fox e uno dei principali esponenti della scuola neorealista41 delle relazioni internazionali, Kenneth Waltz, partendo dal principio di ‘equilibrio di potenza’ (‘balance of power’) rafforzò la costruzione
teorica del bipolarismo42, ritenendola più stabile di un sistema multipolare fondamentalmente per due ragioni:
38 Ivi, pp. 2-25.
39 William T. R. Fox, The Superpowers: the United States, Britain and the Soviet Union – Their responsibility for
peace, Harcourt Brace 1944. Proprio a Fox venne attribuito il conio dell’espressione ‘superpotenza’, in
riferimento agli USA e all’URSS del secondo dopoguerra.
40 “As between the risk of acting as if the Soviet Union will be a trustworthy partner in maintaining peace and the risk of acting as if it will not, the lesser risk is clearly that based on the expectation of Soviet good faith. Otherwise, United States policy will facilitate the reconstitution of German power and the rebuilding of Festung Europa which we are just now laboriously and painfully dismantling”: ivi.
p. 106.
41 Per un quadro d’insieme sul neorealismo o realismo strutturale nelle relazioni internazionali e sulle principali critiche a questa scuola, cfr. R. Keohane (a cura di), Neorealism and its critics, New York 1986;
D. Baldwin (a cura di), Neorealism and neoliberalism: the contemporary debate, New York 1993; G. Rose, Neoclassical realism and theories of foreign policy, in «World Politics», 1988, vol. 51, n. 1, pp. 144-172; M.
Mastanduno, D. Lake e J. Ikenberry, Toward a realist theory of state action, in «International studies
quarterly», 1989, vol. 33, n. 4, pp. 457-474; G. H. Snyder, Process variables in neorealist theory, in «Security
studies», 1996, vol. 5, n. 3, pp. 167-192.
42 In merito agli argomenti di Waltz sul bipolarismo, cfr. K. Waltz, Theory of International politics, New York 1979; K. Waltz, The stability of a bipolar world, in «Dædalus», 1964, vol. 93, n. 3, pp. 881-909.
- le grandi potenze di un sistema bipolare si confrontavano e si bilanciavano più con mezzi ‘interni’, quali la capacità militare delle proprie forze armate, piuttosto che con mezzi ‘esterni’, quali le alleanze43. L’enfasi sui mezzi ‘interni’ rendeva il sistema bipolare meno incline alla guerra perché lo sforzo di accrescimento della potenza propria era un processo meno incerto e più efficace, se comparato con gli aiuti agli alleati44;
- il secondo ordine di ragioni a sostegno, Waltz lo individuava nel rapporto tra polarità e libertà d’azione fra i paesi egemoni nelle alleanze: nel sistema bipolare i decisori politici dei paesi egemoni possono perseguire la propria strategia senza tener conto delle posizioni alleate, o quanto meno evitando di dover fare concessioni. A supporto di questa tesi, l’autore citava il caso della crisi di Suez del 1956, con le decise pressioni americane sugli alleati. Viceversa, nel sistema multipolare, le necessità degli alleati vanno seriamente prese in considerazione, per prevenire eventuali defezioni.
La vicenda del secondo dopoguerra non sembra però prestarsi a essere spiegata in una cornice bipolare con queste caratteristiche, perché in più occasioni gli Stati Uniti dimostrarono concretamente la loro volontà di rafforzare gli alleati europei, investendo molte risorse proprio all’esterno, non solo all’interno dello stato federale, come con il piano Marshall, con l’alleanza atlantica e con lo sforzo di riarmo della Germania. La scelta dell’amministrazione Truman fu quindi di raggiungere un equilibrio di potenza con l’URSS attraverso i mezzi esterni piuttosto che solo con le capacità interne. Inoltre, prima le trattative per la firma del patto atlantico e poi tutta la vicenda dell’esercito europeo, dai convulsi negoziati del settembre 1950 per i piani di riarmo della Germania sino alla soluzione finale dell’autunno 1954, documentano che la volontà dei decisori politici americani era di cercare il consenso degli alleati britannici, francesi e poi anche dei vertici tedeschi, senza agire mai in modo unilaterale45. Per superare i limiti di questa costruzione teorica di tipo bipolare di Waltz, James McAllister suggeriva di considerare
43 Waltz definiva gli sforzi di equilibrio interno (internal balancing efforts) come “moves to increase economic capability, to increase military strength”, mentre quelli esterni (external balancing efforts) erano visti come “moves to strengthen and enlarge one’s own alliance or to weaken and shrink an opposing one”: K. Waltz, Theory of International politics, cit., p. 118.
44 Ivi, pp. 168-169.
45 Sulle concessioni americane agli alleati durante le trattative NATO, cfr. A. K. Henrikson, The creation
of North Atlantic Alliance, in «Naval war college review», 1980, vol. 33, pp. 4-39.
l’importanza della Germania nel rapporto di forza tra le due superpotenze46, per delineare così “la struttura del sistema internazionale dell’immediato dopoguerra come un sistema tripolare latente”47. In questo modo la costruzione teorica si attaglia meglio agli avvenimenti del periodo e sembra poter fornire una base adeguata allo spoglio e all’analisi delle fonti d’archivio relative a tutta la vicenda CED perché, afferma ancora McAllister, “quello che era cruciale per