I L DIBATTITO SUL PROCESSO DI REVISIONE : LE PRINCIPALI POSIZION
3.4 Una rassegna dei recenti contributi alla discussione sulla riforma del bilancio e della spesa agricola
3.4.3 Gli studi indipendent
Al dibattito istituzionale sulla riforma del bilancio si sono aggiunti numerosi contributi di studiosi che, oltre ad arricchire il quadro teorico di riferimento, hanno formulato proposte concre- te sugli obiettivi, gli strumenti e le modalità di finanziamento della PAC dopo il 2013. Nelle pagi- ne seguenti viene proposta una breve rassegna di tali studi.
La riforma di bilancio e la PAC - Secondo Matthews (2009), il fatto stesso che la maggior parte del bilancio comunitario sia concentrato sulle voci di spesa più tradizionali (PAC e Coesio- ne) mostra la sua incapacità di fare fronte in modo efficace alle nuove sfide. Dal lato delle entra- te, lo stesso autore evidenzia una preoccupazione per la dipendenza del bilancio dal PIL dei pae- si membri, nel senso che le entrate sono considerate più un contributo dei singoli Stati membri che “risorse proprie” in senso stretto. Di conseguenza, i saldi netti diventano i veri parametri di ana- lisi del bilancio e prevale una logica “top-down” con cui prima si stabilisce il livello della spesa e poi si decide come ripartirla tra le politiche. In questo quadro, Matthews, individua quattro opzio- ni per affrontare il problema degli squilibri finanziari tra paesi: la prima è il tentativo di riequili- brare i saldi attraverso aggiustamenti successivi dal lato della spesa, in modo da ridurre le dispa- rità e la necessità di correttivi ad hoc. La seconda è la sostituzione del finanziamento via PIL con tasse stabilite a livello europeo, in modo che i saldi netti riflettano non più le posizioni dei singo- li Stati membri ma la distribuzione geografica dei contribuenti europei. La terza ipotesi mette in re- lazione il saldo netto con il livello di prosperità, individuando un meccanismo di rebate adeguato
a ciascun paese, in linea con quanto già avviene per il Regno Unito10. Infine, l’ultima opzione spin-
ge il principio del “giusto ritorno” alle sue estreme conseguenze, stabilendo prima il livello di con- tributo al bilancio di ogni paese, per poi aprire un negoziato sulle politiche da finanziare, in mo-
do che attraverso scambi orizzontali tra Stati si trovi un equilibrio politicamente accettabile11.
Sul tema rapporto tra “quote di bilancio” e “quote di potere” dei paesi membri un’interes- sante analisi viene condotta da Kauppi e Widgrén (2009). Nella maggior parte dei casi queste quo- te sono positivamente correlate, tuttavia alcuni paesi ricevono più risorse di quanto sia la loro quo- ta di potere interna all’UE calcolata sui voti in Consiglio (es. la Francia), mentre per altri (Finlan- dia, Svezia, Austria) si verifica il contrario. Vi è poi il caso della Spagna, che con un contributo re- lativamente modesto al bilancio riceve molto di più sia sul fronte delle spese “obbligatorie” che di
quelle “non obbligatorie”12. Gli autori evidenziano come in generale le quote di potere (political
economy) spieghino meglio dei bisogni (approccio solidaristico) la distribuzione della spesa, ma vi sono dei comportamenti sistematici che non seguono questa regola. Una possibile spiegazione è che i meccanismi negoziati inizialmente, una volta instauratisi, cambiano con molta difficoltà. Il bilancio continua a favorire la Francia grazie al fatto che le regole della PAC sono state scritte trenta anni fa, in un momento in cui la Francia aveva un peso notevole nella UE a sei. Allo stesso modo, la Spagna gode della posizione acquisita al momento del suo ingresso, che sostanzialmen- te coincideva con l’avvio della riforma dei fondi strutturali, con i quali la Spagna catturava molte risorse. Dunque, secondo gli autori i cambiamenti sono molto difficili e possono essere innescati solo da maggioranze in grado di scardinare meccanismi consolidati, frutto di decisioni passate (contractual rules).
Stessa attenzione alla questione degli interessi nazionali nel controllare e prevenire profon- de riforme di bilancio viene posta da Mrak e Rant (2008), che si soffermano sulla prima fase del
10Si ricorda che il Regno Unito recupera una somma pari all’abbattimento del 66% del proprio contributo netto, secondo l’accordo
di Fontainebleau (cfr. par. 2.3)
11Questo aspetto viene sviluppato in due lavori di grande interesse: uno di Mrak e Rant (2008) ed un altro di de la Fuente, Doménech
e Rant (2010). In pratica, in questi lavori si discute di una opzione piuttosto “estrema” di disaccoppiamento del negoziato relativo alla distribuzione delle risorse dalle altre questioni del bilancio, collegando i saldi netti degli Stati membri ai livelli di prosperità relativi, attraverso l’introduzione di trasferimenti orizzontali compensativi tra Stati membri.
12In genere, sostengono Kauppi e Widgrén, l’allocazione della spesa obbligatoria e di quella non obbligatoria differisce molto e ten-
de a compensarsi; per la Spagna non è così. Va ricordato che, al momento in cui scrivevano gli Autori, la spesa obbligatoria veni- va stabilita dal solo Consiglio, mentre sulla spesa non obbligatoria si esprimeva anche il Parlamento europeo. Questa distinzione, come si è visto, oggi è superata dal Trattato di Lisbona.
processo di formazione di bilancio, quando si determinano le prospettive finanziarie pluriennali. Il loro lavoro analizza il processo decisionale relativo alle prospettive finanziarie 2007-2013, ini- ziato nel 2004 con la presentazione di un documento della Commissione che doveva fare i conti con l’allargamento avviato proprio in quell’anno. In quel caso si partì da un livello di spesa per la PAC pre-definito dall’accordo dell’ottobre del 2002 e dunque con un margine di manovra per una riforma del bilancio che era ridotto al minimo. Inoltre, nel 2003 sei paesi contributori netti (Fran- cia, Germania, Regno Unito, Olanda, Austria e Svezia) espressero la loro preoccupazione, rimet- tendo in discussione la dimensione del bilancio complessivo dell’UE; il tutto avveniva all’indoma- ni del Rapporto Sapir (2003), che criticava l’eccessiva spesa per la PAC. In questo quadro carat- terizzato da numerosi vincoli, Mrak e Rant evidenziano come il compromesso abbia ridotto la di- mensione del bilancio come richiesto dai sei paesi contributori senza tuttavia ridurre, almeno in ter- mini relativi, la spesa per l’agricoltura e per la coesione, a discapito della cosiddetta agenda di Li- sbona (ricerca, sviluppo, competitività, ecc.). Ciò che gli Autori vogliono evidenziare è come gli interessi nazionali abbiano prevalso su quelli comunitari ed abbiano finito con l’inibire la riforma del bilancio. In questo quadro, il sostanziale fallimento della strategia di Lisbona si spiega con la mancanza di interessi nazionali effettivamente disposti a sostenerla.
Valentin Zahrnt (2008) si sofferma sull’importanza che potrebbe avere nel dibattito sul bi- lancio la riforma della PAC, per l’ingente mobilità di risorse che da essa potrebbe generare. Secon- do l’Autore gli strumenti non selettivi, come quelli del primo pilastro, andrebbero eliminati e le mi- sure della PAC andrebbero selezionate in base alla capacità di stimolare e valorizzare la produ- zione di beni pubblici europei da parte dell’agricoltura. Tutto ciò, insieme con una revisione del co- finanziamento nazionale, potrebbe portare ad una sensibile riduzione della spesa agricola euro- pea, fino ad un livello non superiore al 10% del suo livello attuale (Zahrnt, 2008, p.9). In un altro lavoro Zahrnt (2009a) riprende il tema soffermandosi su due aspetti: il futuro del pagamento uni- co e la struttura dei due pilastri. Riguardo al primo punto, Zahrnt ribadisce la necessità del phasing out dei pagamenti diretti, non giustificabili né come sostegno dei redditi agricoli, né come incen- tivazione della produzione dei beni pubblici e derivanti della passata distribuzione degli aiuti co- munitari, senza alcun elemento che li leghi agli obiettivi enunciati della PAC. Sul secondo punto, Zahrnt valuta scenari di riforma basati su envelopes nazionali costruite con parametri diversi da quelli attuali e legate a diverse variabili: per il primo pilastro, l’ampiezza delle attuali envelopes, la superficie agricola, il PIL pro capite; per il secondo pilastro, la superficie agricola, l’area a fo- reste, le aree interessate da Natura 2000, la superficie ad agricoltura biologica. Combinando i due pilastri emergono tre scenari: uno “conservativo”, uno “area-focused” ed un terzo “multifunziona- le”; rispetto ad essi, il lavoro evidenzia come i tradizionali sostenitori dell’attuale PAC (es. Fran- cia, Irlanda) perdono tanto più quanto ci si sposta verso scenari “non conservatori”, mentre altri paesi, quali Italia e Spagna, si troverebbero a guadagnare relativamente da scenari innovatori rispet- to allo status quo. Interessante è l’effetto di tali scenari sui nuovi Stati membri: molti di essi (es. i Paesi baltici) guadagnerebbero risorse sotto ognuno degli scenari ed in particolare sotto quello della multifunzionalità; in generale, come anche evidenziato dai documenti comunitari, i nuovi Stati membri avrebbero interesse a vedere ridimensionata la spesa agricola a favore di quella re- lativa ai fondi strutturali, rispetto ai quali la loro posizione è molto più favorevole.
Nella figura 3.1 si mettono a confronto i saldi relativi alle spese ricadenti nella rubrica Ri- sorse naturali e quelli relativi all’obiettivo della Coesione. I paesi che si collocano al di sopra della linea che unisce gli stessi valori per i due assi sono quelli che guadagnerebbero di più da uno spostamento di risorse dalle politiche a favore delle Risorse naturali a quelle per la Coesione. Tra di essi, a conferma di quanto appena detto, troviamo i nuovi Stati membri, insieme con alcuni paesi mediterranei (Grecia, Portogallo).
Fig. 3.1 - Saldi di bilancio: Risorse naturali e Coesione
Fonte: ns. elaborazioni su dati UE (European Commission, 2009a)
Infine, va segnalato che la stessa Commissione si è interrogata di recente sul futuro dell’agri- coltura e della sua politica di sostegno. In uno studio condotto da ECNC, LEI e ZALF (2009) e commissionato dall’UE, vengono analizzati gli effetti sul settore primario di tre possibili scenari successivi al 2013. Il primo scenario (di riferimento) prevede una riduzione del 20% del bilancio comunitario ed un a riduzione del 30% dei pagamenti diretti (con un conseguente aumento dei fon- di per lo sviluppo rurale). Un secondo scenario (conservativo) prevede il mantenimento della spe- sa per il settore primario, ma una modifica del rapporto tra pilastri ed una regionalizzazione dei pagamenti diretti. Infine, nel terzo scenario (liberalizzazione), si eliminano tutti gli strumenti che influenzano gli scambi, i pagamenti diretti vengono rimossi e aumenta la spesa per lo sviluppo ru- rale. Lo studio evidenzia i possibili effetti dei diversi scenari di politica agraria sul futuro dell’agri- coltura nell’Europa a ventisette, ed in particolare sull’inevitabile declino del contributo del settore primario al reddito complessivo e all’occupazione dell’UE. Questo trend è più o meno rallentato a seconda dello scenario prevalente e può avere impatti territoriali diversi, data l’ampia eterogenei- tà della competitività e delle condizioni strutturali dell’agricoltura nel territorio comunitario. Allo stesso modo, gli effetti ambientali dei trend attesi possono variare in modo significativo a seconda della rilevanza delle politiche che accompagneranno le dinamiche esaminate nello studio.
Il futuro del primo pilastro – Nelle pagine precedenti si è visto come in relazione alla rifor- ma del bilancio ampio spazio sia dedicato al primo pilastro della PAC. Ciò avviene per due moti- vi: perché esso assorbe buona parte della spesa agricola, e di conseguenza incide fortemente sul bi- lancio comunitario; ma anche perché ad esso sono associate due questioni cruciali, una definito- ria (che cosa sono oggi i pagamenti diretti?) ed una di giustificazione della sua esistenza (perché gli agricoltori ricevono i pagamenti diretti?).
Bureau e Mahé cercano di analizzare questi due aspetti, ricostruendo il percorso di riforma della PAC a partire dal 1992 e soffermandosi sui meriti e sui limiti della riforma stessa (Bureau, Mahé, 2008 e 2009). Riferendosi al problema dei saldi di bilancio, gli Autori sostengono come il
0 -4.000 -5.000 -3.000 -2.000 -1.000 1.000 2.000 3.000 4.000 5.000 -3.000 -2.000 -1.000 0 1.000 2.000 3.000 Risorse naturali Germania Regno Unito Paesi Bassi Italia Francia Danimarca Irlanda Spagna Grecia Polonia Portogallo Ungheria Lituania Repubblica Ceca Coesione
passaggio nella PAC ad un sistema di pagamenti diretti abbia reso ancora più evidente il trasferi- mento di risorse tra paesi a favore di quelli più “agricoli” e a spese di quelli con un PIL elevato ed un settore agricolo relativamente ridotto. Anche gli Autori si soffermano sulla natura del soste- gno pubblico dei due pilastri e sul tema del co-finanziamento, sottolineando come non vi sia al- cuna sostanziale differenza che giustifica il fatto che solo il secondo pilastro sia co-finanziato. I due Autori propongono una suddivisione dei pagamenti diretti della PAC in tre categorie: un pa- gamento di base, per tutte le aziende (commerciali e non) che rispettano determinati parametri ambientali ed agronomici; un pagamento finalizzato a compensare gli svantaggi fisici e naturali, dove l’attività agricola produce prevalentemente beni pubblici sociali; infine, pagamenti “verdi”, basati su contratti finalizzati alla produzione di beni pubblici ambientali di alto valore. La discus- sione in merito a questi tre livelli di pagamenti verte attorno alla tipologia di beni pubblici prodot- ti (ed usufruibili) a livello locale o globale e alla coerenza di un possibile co-finanziamento. Sul primo aspetto, Bureau e Mahé ricordano che esempi di beni pubblici “europei” sono ricerca e svi- luppo, mercato unico e le sue economie di scala, innovazione tecnologica, gestione del rischio, qualità ambientale. Sul co-finanziamento gli Autori sottolineano come esso sia pienamente coe- rente con i pagamenti per svantaggi fisici e naturali e con i pagamenti “verdi”, mentre più contro- versa è un’ipotesi di co-finanziamento per i pagamenti di base, anche se gli Autori tendono a con- siderarla corretta.
Un approccio simile segue Alan Buckwell (2009) interrogandosi sulla capacità della PAC di produrre beni pubblici europei, rispondendo adeguatamente ai suoi obiettivi, che in estrema sinte- si sono riconducibili a due elementi: sicurezza ambientale e sicurezza alimentare. Più in dettaglio, Buckwell riassume in cinque punti gli obiettivi della PAC e i relativi strumenti messi in campo: aiu- to alla transizione (pagamenti disaccoppiati); competitività e produttività (asse 1 del secondo pila- stro); misure ambientali a più livelli; sostegno per le aree svantaggiate; sviluppo rurale in senso ampio. Seguendo tale ragionamento, l’Autore sottolinea come la tradizionale PAC organizzata in pilastri non sia stata la risposta più efficiente e come la paventata ipotesi di aumentare il numero dei pilastri sia altrettanto insoddisfacente, giacché il problema principale non sta tanto negli obiet- tivi assegnati ai due pilastri quanto nel loro funzionamento e finanziamento. Secondo Buckwell, in- fatti, non è più corretto continuare a pensare che il primo pilastro sia a supporto dell’agricoltura ed il secondo dell’ambiente e del territorio. Come è noto, infatti, la condizionalità tende a dare al pri- mo pilastro un orientamento ambientale, così come l’asse 1 del secondo pilastro è decisamente orientato allo sviluppo strutturale dell’agricoltura e alla sua competitività. Più in generale, con il proseguire delle riforme, la distinzione tra i due pilastri è andata riducendosi e le due famiglie di strumenti hanno preso sembianze sempre più simili (De Filippis, Henke, 2009). Partendo da que- sto presupposto, Buckwell conclude che vi è la tendenza a spostarsi verso un approccio “da se- condo pilastro”, sebbene gli agricoltori tendano a preferire quello “da primo pilastro” e le misure del secondo abbiano costi maggiori e comportino maggiori carichi amministrativi e burocratici.
Un’analisi dell’evoluzione del primo pilastro è stata proposta da Swinnen (2009), che sot- tolinea come l’entità dei pagamenti diretti sia prevalentemente basata sullo status passato dei be- neficiari e come questo rappresenti il loro principale limite. Infatti, se la redditività delle attività agricole è sempre più influenzata da una condizione di generale instabilità dei mercati e da una cre- scente volatilità dei prezzi, i pagamenti diretti dovrebbero essere sostituiti da pagamenti più se- lettivi, con una rete di sicurezza composta da strumenti leggeri e meno distorsivi. Inoltre, il fatto che l’entità del supporto sia determinata dai pagamenti che gli agricoltori ricevevano in passato è uno dei principali motivi della loro inefficienza nel raggiungimento dei nuovi obiettivi della PAC, ovvero sicurezza alimentare e produzione di beni pubblici, in particolare per quanto riguarda la lot- ta ai cambiamenti climatici. Swinnen evidenzia come un supporto efficace nel contrastare i cam-
biamenti climatici dovrebbe essere specificatamente legato a particolari pratiche colturali, sottoli- neando al contempo come i risultati positivi dipendano prevalentemente dallo sviluppo e dall’ado- zione di specifiche innovazioni tecnologiche, per le quali sembra più appropriato incentivare gli in- vestimenti in ricerca e sviluppo piuttosto che i pagamenti agli agricoltori. L’Autore auspica così una profonda riformulazione della struttura della PAC, con una riallocazione di una parte sostan- ziale della spesa agricola verso lo sviluppo e l’implementazione di tecnologie verdi, che possano favorire in maniera più efficace uno sviluppo sostenibile delle aree rurali.
Una posizione più estrema rispetto a tutte quelle analizzate finora è quella sostenuta da Zahrnt (2009b) e che coinvolge non solo il futuro del primo pilastro, rispetto al quale la conclusio- ne è sempre la stessa (phasing out in un arco di tempo ragionevole), ma anche quello del secon- do. L’Autore, infatti, estende il ragionamento della capacità della PAC di favorire la produzione di beni pubblici europei anche al secondo pilastro, ed in particolare all’asse 2. Se si scorpora la par- te di risorse che finanzia le zone svantaggiate (che non sono – sottolinea giustamente l’Autore – propriamente misure ambientali) resta solo una quota di poco superiore al 5% delle totali risorse del secondo pilastro per misure squisitamente ambientali. È vero che anche nell’asse 1 e nel 2 vi
sono misure atte alla valorizzazione di beni pubblici europei13, ma secondo Zahrnt, si possono ad-
durre molte considerazioni che tendono, complessivamente, a ridurne il valore: ad esempio, la scarsa selettività di misure quali quelle a favore del benessere degli animali, degli investimenti, dell’uso dell’acqua, ecc. Se si considera anche il condizionamento delle misure non esplicitamen- te a favore dell’ambiente (come ad esempio il primo pilastro sotto condizionalità, o una parte del- le indennità compensative), si può quantificare un livello di risorse tali per cui sarebbe lecito atten- dersi risultati molto più evidenti ed efficaci. Una riforma della PAC in direzione della produzione di esternalità positive ambientali dovrebbe confrontarsi anche con questo aspetto, troppo spesso trascurato in considerazione di una naturale “predisposizione” alla produzione di beni pubblici che viene attribuita alle misure contenute nel secondo pilastro.
In uno studio commissionato dal Parlamento europeo, Bureau e Witzke (2010), pur ricono- scendo la necessità di condizionare maggiormente i pagamenti del primo pilastro alla produzione di beni pubblici, hanno formulato una proposta meno radicale ma per questo forse più realistica, suggerendo graduali modifiche all’attuale impianto del primo pilastro. La proposta si basa infatti sul mantenimento di una parte del pagamento unico aziendale da erogare su base regionale per la produzione di beni pubblici mentre la parte rimanente andrebbe eliminata gradualmente. Nella fa- se transitoria i pagamenti per ettaro potrebbero essere modulati sulla base dell’intensità di lavoro aziendale, ma si prevede una certa flessibilità di applicazione del PUA a livello degli Stati mem- bri ed una graduale estensione del co-finanziamento nazionale al primo pilastro.
In conclusione di questa rassegna di lavori sulla riforma del bilancio comunitario e della spe- sa agricola, vale la pena ricordare la posizione alquanto radicale assunta da un gruppo di economi- sti agrari europei a proposito della finalizzazione della PAC alla produzione di beni pubblici euro- pei (Anania et al., 2009). Per andare in questa direzione, il primo pilastro andrebbe progressiva- mente eliminato, trasferendo ai bilanci nazionali alcune politiche per la valorizzazione di beni pub- blici prevalentemente locali, e concentrandosi su un unico pilastro di natura prevalentemente am- bientale. In questo quadro, le questioni di cui si dovrebbe occupare la PAC del futuro si limitereb- bero alla lotta al cambiamento climatico, alla salvaguardia della biodiversità, alla gestione delle ri- sorse idriche. Un pilastro “ambientale” che assicuri la produzione di beni pubblici europei, insieme
13L’Autore si riferisce a misure quali il sostegno a produzioni di qualità, ma si possono immaginare altri esempi, come le misure a
favore della diversificazione, che contribuiscono indirettamente ad un minore impatto ambientale dell’agricoltura (es. agriturismo, agricoltura biologica, ecc.).
con una rete di sicurezza che comporti la gestione del rischio, contribuirebbero alla definitiva scom-