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Il dibattito sul bilancio UE e il ruolo della PAC : funzionamento, evoluzione e prospettive

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IL DIBATTITO SUL BILANCIO UE

E IL RUOLO DELLA PAC

Funzionamento, evoluzione e prospettive

a cura di

Fabrizio De Filippis e Roberta Sardone

giugno 2010

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Il volume è il risultato di un’attività di ricerca condotta nell’ambito dell’Osservatorio sulle Politi-che Agricole dell’UE dell’INEA*. Al gruppo di lavoro hanno partecipato: Fabrizio De Filippis (Università di RomaTre), Antonello Di Pardo, Roberto Henke (INEA), Luca Salvatici (Università del Molise), Roberta Sardone (INEA; responsabile del progetto INEA).

La stesura delle singole parti si deve a: Introduzione: Fabrizio De Filippis Capitolo 1: Roberta Sardone Capitolo 2: Roberta Sardone

Capitolo 3: Roberto Henke, Roberta Sardone, Francesco Vanni Capitolo 4: Luca Salvatici, Roberta Sardone

All’elaborazione dei dati presentati nel volume ha collaborato Antonello Di Pardo, cui vanno i ringraziamenti del gruppo di lavoro.

La segreteria del gruppo di lavoro è stata curata da: Paola Franzelli, Barbara Grisafi, Roberta Ioiò.

Coordinamento editoriale: Benedetto Venuto Segreteria di redazione: Alexia Giovannetti Grafica e impaginazione: Fabio Lapiana

* La ricerca, i cui risultati sono presentati in questo volume, ha beneficiato del sostegno finanziario del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca -Programma di Ricerca scientifica di rilevante interesse nazionale 2007 su “Politiche dell’Unione Europea, processi di integrazione economica e com-merciale ed esiti del negoziato WTO”.

Gli autori desiderano ringraziare Margherita Scoppola e gli altri partecipanti al III Workshop del PRIN 2007 “Politiche dell’Unione Europea, processi di integrazione economica e commerciale ed esiti del negoziato WTO”, tenutosi a Treia (MC) il 3 e 4 febbraio 2010, per gli utili commenti che hanno contribuito a migliorare la stesura definitiva del lavoro.

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P

RESENTAZIONE

Il lavoro presentato in queste pagine si focalizza su uno dei temi nodali che l’Unione euro-pea dovrà affrontare nei prossimi mesi: la revisione del bilancio comunitario. La questione, posta a partire dal termine del 2007 sulla base di un calendario già concordato, sta di recente acquisendo vigore, sull’onda dell’avvicinarsi della scadenza delle attuali prospettive finanziarie, valide fino al termine del 2013.

Come emerge con chiarezza dalla ricostruzione storica presentata nel Volume, le decisioni in merito alle prospettive finanziarie sono state nel tempo influenzate da diversi fattori. Innanzi-tutto sono stati determinanti i contenuti in termini di visione strategica complessiva perseguita tramite l’azione politica comunitaria, poi le implicazioni derivanti dalla composizione delle risorse proprie dell’UE e dalla conseguente “diversa” partecipazione finanziaria dei paesi mem-bri, e infine le regole finalizzate ad attenuare situazioni di particolare criticità per i singoli par-tner in relazione alla loro posizione relativa nei confronti del bilancio comune. Tutto ciò ha deter-minato una progressiva dilatazione dei tempi necessari alla definizione degli ultimi due quadri finanziari (2000-2006 e 2007-2013), all’interno dei quali è giunto a compimento il più ampio processo di ampliamento dell’Unione, che conta ormai la partecipazione di 27 Stati membri.

Il processo della budget review, originariamente pensato distaccato ed autonomo da quel-lo relativo al rinnovamento del prossimo quadro finanziario, sta invece finendo con il coincidere temporalmente con l’avvio del negoziato sul futuro periodo di programmazione pluriennale. In conseguenza, le scelte di fondo sul rinnovamento dell’attuale sistema delle risorse proprie, le decisioni in merito al riordino delle diverse forme di attenuazione degli squilibri finanziari nazio-nali, la ridefinizione delle priorità da assegnare alle diverse linee di intervento finanziate tramite il bilancio comune – tra cui certamente anche la politica agricola comune (PAC) – finiranno ine-vitabilmente con l’intrecciarsi, rendendo molto più labili i confini di distinzione tra il processo di revisione di bilancio, il processo di approvazione del futuro quadro finanziario e, conseguente-mente, il necessario processo di riforma della PAC.

Sulle decisioni future in merito ai tre indicati processi di revisione incideranno almeno tre distinti ordini di questioni comuni: l’ampliamento, o il rinnovamento, delle priorità perseguite all’interno degli obiettivi politici dell’UE; l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che con le sue nuove procedure e regole per le decisioni inerenti sia i singoli ambiti di intervento (politi-che), che soprattutto il bilancio stesso, assegna poteri decisionali di strategica importanza a sog-getti istituzionali diversi dal passato; la perdita di reputazione che stanno attraversando alcune forme di intervento realizzate dall’UE, acutizzata dalla fase di crisi economica generale che sta attraversando una parte importante dei paesi dell’area europea in questi anni.

All’interno di questo contesto, l’intervento a favore del settore agricolo europeo, la PAC nelle sue due componenti del primo e del secondo pilastro, finisce inevitabilmente sotto i rifletto-ri. La rilevanza dell’attenzione dedicata alla PAC trova la sua più semplicistica giustificazione nell’elevato peso storicamente assunto da questa componente della spesa totale; tuttavia, molte altre sono le ragioni di questa attenzione. La PAC, nella sua complessa articolazione di misure a sostegno dei redditi, dei mercati e dello sviluppo rurale, si rivolge sì ad un settore di modesto peso economico, ma che opera interessando una porzione molto consistente del territorio comu-nitario, fornendo prodotti di primaria importanza per la collettività, in termini quantitativi e qua-litativi, nelle molteplici accezioni che il termine è andato acquisendo per i cittadini comunitari. È altresì, ormai, opinione diffusa che l’agricoltura, oltre al ruolo essenziale per la produzione degli

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alimenti, possa fornire un contributo strategico nella produzione dei cosiddetti beni pubblici europei, ovvero di quei beni e servizi che presentano caratteristiche tali da giustificare il loro sostegno con interventi finanziati tramite il bilancio comune, giacché rispondono pienamente al rispetto dei principi fondamentali che lo governano, ovvero i principi di: sussidiarietà, proporzio-nalità, addizionalità e valore aggiunto dell’azione europea.

Il presente Rapporto fornisce un utile, quanto essenziale, riferimento informativo per colo-ro che nei pcolo-rossimi mesi verranno, a vario titolo, chiamati a partecipare a quest’ampia e com-plessa discussione. In particolare, nel capitolo 1 si ricostruisce l’evoluzione del bilancio comuni-tario, in relazione tanto alle regole di formazione delle entrate, quanto in relazione alle modifiche emerse nelle priorità di spesa; nel capitolo 2 si fornisce un quadro sintetico e di facile compren-sione sulle regole che governano i documenti finanziari annuali (bilanci) e pluriennali (quadri finanziari), tenuto conto delle profonde innovazioni determinate dall’entrata in vigore del Tratta-to di Lisbona; nel capiTratta-tolo 3 si presenta un’attenta e ampia disamina delle diverse posizioni, isti-tuzionali e non, fin qui emerse all’interno del dibattito, con uno specifico approfondimento dedi-cato alla PAC; infine, tramite un accorto uso dello strumento del “saldo netto” di bilancio, si pro-pongono valutazioni specifiche in relazione ad alcune possibili modifiche alle priorità di spesa assegnate alle varie componenti del bilancio dell’UE, a parità di regole di gestione e formazione. Infine, merita di essere sottolineato il fatto che i risultati presentati in questo contributo sono il risultato di un gruppo di ricerca, costituito presso l’Osservatorio sulle politiche agricole dell’UE dell’INEA, in sinergia con la partecipazione dell’Istituto al Programma di ricerca scien-tifica di rilevante interesse nazionale 2007 su “Politiche dell’Unione Europea, processi di inte-grazione economica e commerciale ed esiti del negoziato WTO”. La possibilità di realizzare un lavoro di ricerca congiuntamente con rappresentati del mondo accademico, esperti della materia, testimonia ancora una volta la forte volontà dell’INEA di aprirsi al confronto e alla collaborazio-ne costruttiva con referenti esterni di grande autorevolezza, pocollaborazio-nendo così le attività svolte dalla struttura di ricerca interna in un contesto di riferimento di prestigio e di grande soddisfazione professionale.

Lino Carlo Rava Presidente INEA

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I

NDICE

Introduzione 1

CAPITOLO 1

L’

EVOLUZIONE STORICA DEL BILANCIO COMUNITARIO

1.1 Dalla fondazione della CE al primo quadro finanziario 5

1.2 Il primo quadro finanziario: 1988-1992 7

1.3 Il secondo quadro finanziario: 1993-1999 10

1.4 Il terzo quadro finanziario: 2000-2006 10

1.5 Il quarto quadro finanziario: 2007-2013 11

CAPITOLO 2

I

L QUADRO ATTUALE DEL BILANCIO COMUNITARIO

2.1 Le risorse proprie 13

2.2 Il quadro finanziario in vigore 14

2.3 Le clausole di correzione 16

2.4 I principi di governance 18

2.5 Le novità introdotte dal Trattato di Lisbona 20

CAPITOLO 3

I

L DIBATTITO SUL PROCESSO DI REVISIONE

:

LE PRINCIPALI POSIZIONI

3.1 Gli elementi di discussione proposti dalla Commissione 23

3.2 Gli esiti della consultazione pubblica 24

3.3 La posizione della Commissione 25

3.4 Una rassegna dei recenti contributi alla discussione sulla riforma del bilancio

e della spesa agricola 27

3.4.1 Lo studio della Commissione 27

3.4.2 Le principali posizioni degli Stati membri 29

3.4.3 Gli studi indipendenti 31

3.4.4 Le posizioni espresse dagli stakeholders 37

CAPITOLO 4

L

A MISURA DELLE POSIZIONI RELATIVE

:

UN

ANALISI ATTRAVERSO LO STRUMENTO DEL SALDO NETTO

4.1 Il concetto di saldo netto: il meccanismo di calcolo 41

4.2 I saldi netti parziali 43

4.3 Alcune osservazioni critiche: limiti e potenzialità del saldo netto 47

4.4 Alcune ipotesi di riforma 48

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I

NTRODUZIONE

Il dibattito sul bilancio dell’Unione europea (UE), in particolare sulla sua dimensione e sulle regole che lo governano, appare strettamente e strutturalmente collegato a quello sulla rifor-ma della politica agricola comune (PAC). Ciò si spiega con la rilevanza politica e finanziaria che ha sempre avuto l’intervento a sostegno dell’agricoltura, che ha alimentato la prima e più impor-tante politica realizzata dall’Unione e per molti anni la principale componente di spesa.

Nel corso degli ultimi decenni la questione è stata ripresa più volte, con dei picchi di inte-resse che a livello politico si sono acutizzati nell’imminenza delle decisioni sulle prospettive finanziarie (Pietras, 2008). Così, in vista della definizione delle prospettive finanziarie per il periodo 2000-2006, nell’ambito della discussione che preparò la riforma della PAC decisa a Ber-lino nel 1999 fu presa in considerazione l’adozione di strumenti di contenimento della spesa a favore del settore agricolo: in particolare, per ridurre gli squilibri finanziari associati alla spesa agricola, si propose di introdurre una percentuale di co-finanziamento dei pagamenti diretti della PAC e, in subordine, un meccanismo di degressività del loro ammontare annuo (INEA, 1999; De Filippis, Henke, Pupo D’Andrea e Salvatici, 1999). Analogamente, in occasione della definizione delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013, l’impossibilità di rivedere la dotazione finanziaria della PAC, “blindata” dal compromesso di Bruxelles dell’autunno 2002 e dalla succes-siva riforma Fischler del 2003, ha pesantemente condizionato la trattativa, contribuendo a rende-re impossibile il raggiungimento di un accordo sul quadro finanziario originariamente proposto dalla Commissione.

Anche in occasione del dibattito attuale, innescato nel 2007-08 dal processo di Consulta-zione pubblica sulla revisione del bilancio e destinato ad entrare nel vivo nel 2011, la PAC ha un ruolo centrale. In questo quadro, gli interventi del cosiddetto primo pilastro – e in particolare i pagamenti diretti – sono quelli più esposti alle critiche e alla richieste di profonda revisione, in ragione sia del loro alto peso finanziario che delle modalità con cui sono erogati. Le politiche di sviluppo rurale, ovvero quelle che fanno capo al cosiddetto secondo pilastro, sembrano godere di migliore reputazione, connessa alla maggiore attenzione da esse riservata alla dimensione territo-riale e ambientale. Anche su questo fronte, tuttavia, non mancano le critiche: in particolare, quel-le che si rivolgono alla crescente complicazione delquel-le procedure di programmazione e gestione delle politiche di sviluppo rurale ed alla loro non sempre verificata capacità di tradursi in azioni efficienti ed efficaci nel perseguimento degli obiettivi dichiarati. In questo senso, si può afferma-re che la politica di sviluppo rurale sia assimilabile, nel bene e nel male, a quella di coesione, del-la quale condivide pregi e difetti, sia in redel-lazione alle finalità che alle modalità di funzionamento

e finanziamento1.

Il dibattito sulle implicazioni di bilancio della spesa agricola si sviluppa su tre filoni prin-cipali:

• il costo opportunità (in termini di bilancio) della PAC, ovvero la necessità di interrogarsi sul fatto che la spesa che oggi alimenta l’intervento in agricoltura potrebbe risultare più produttiva se destinata ad altre politiche;

• la giustificazione della spesa agricola e del livello territoriale a cui essa viene decisa ed

1 Si può infatti osservare come anche le politiche di coesione siano state oggetto di una approfondita analisi critica e come anche

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erogata, non solo sul terreno dell’efficienza (vedi punto precedente), ma anche rispetto al principio di sussidiarietà;

• la distribuzione dei costi e dei benefici derivanti dalla PAC, da sempre fonte di contenzio-si fra gli Stati membri dell’UE.

Con riferimento al primo punto, nell’ambito del bilancio comunitario la PAC è stata spesso dipinta come un ostacolo alla realizzazione di altre politiche. Tale giudizio è abbastanza ingenero-so se applicato al passato, in quanto per molti anni, come si è detto, la PAC è stata non ingenero-solo la più importante ma anche sostanzialmente l’unica politica comunitaria, svolgendo in questa veste un ruolo fondante della intera costruzione europea. Oggi la situazione è indubbiamente diversa, ma va sottolineato che le nuove politiche da finanziare sono spesso indicate in maniera alquanto vaga, in molti casi facendo semplicemente riferimento ad obiettivi generali e generici, come quello di assicurare sostegno alla produzione di “beni pubblici europei”. Questa genericità rende quanto meno problematica una valutazione dei benefici attesi dalle politiche che dovrebbero sostituire la PAC e di conseguenza non è affatto facile quantificare il suo reale costo opportunità.

Rispetto al secondo punto, non è azzardato affermare che in una prospettiva storica la stessa nascita della PAC può essere spiegata facendo ricorso ai principi del federalismo fiscale (De Filippis, Henke, Pupo D'Andrea e Salvatici, 1999). Infatti, a seguito degli effetti dell’unione doganale europea in termini di abbattimento delle barriere al commercio intra-comunitario, i sei paesi che diedero origine al Mercato Comune Europeo si trovarono nell’impossibilità di mante-nere su scala nazionale le politiche agrarie di sostegno accoppiato, allora affidate all’intervento sui prezzi, che tutti avevano in piedi. Una volta avviato un mercato unico dei prodotti agricoli a livello comunitario, infatti, non vi era alcuna possibilità di perseguire politiche di prezzi minimi garantiti differenziate da paese a paese, in quanto ciò avrebbe generato flussi commerciali spe-culativi verso il paese con la politica più generosa. Da questo punto di vista, quindi, la creazione della PAC ed il suo sviluppo come politica centralizzata a livello sovranazionale era una necessi-tà e risultava coerente con il principio di sussidiarienecessi-tà.

Rimanendo su questa linea di ragionamento, la sostituzione dei vecchi meccanismi di sostegno dei prezzi con politiche che mirano ad essere neutrali dal punto di vista delle scelte pro-duttive (uno degli obiettivi dichiarati per il disaccoppiamento del sostegno agli agricoltori), in linea di principio fa sì che il processo di integrazione non rappresenti più un ostacolo per una loro gestione decentrata (a livello nazionale e/o regionale). In altre parole, il fatto che i pagamenti diretti introdotti nella PAC a partire dal 1992 e poi istituzionalizzati con la riforma Fischler del 2003 siano commisurati ad un fattore per definizione fisso come la terra e disaccoppiati dalla quantità prodotta, comporta che essi, almeno in teoria, non dovrebbero generare distorsioni sul piano allocativo e, dunque, nessuna esternalità sui produttori esteri. Dunque, una volta abbando-nato il modello di sostegno accoppiato, in particolare quello basato su un sistema amministrato di prezzi comuni, in teoria viene a mancare la necessità di una sua gestione a livello centrale: è infat-ti difficile immaginare interveninfat-ti “comuni” che possano andar bene dal Circolo polare Arinfat-tico al mare Egeo e, anche se esistessero, non è detto che la scelta più efficiente sia quella di gestirli e finanziarli dal “centro” dell’UE.

Riguardo al terzo punto prima richiamato, ovvero alle conseguenze distributive tra Stati membri della spesa agricola, agli squilibri finanziari che essa determina e a come questi condizio-nano il processo di integrazione europea, ad esso è dedicato il principale contributo analitico svi-luppato in questo lavoro.

Nel prossimo capitolo ripercorreremo l’evoluzione del bilancio comunitario fino alle attua-li prospettive finanziarie 2007-13, le cui regole e principi di gestione sono illustrati nel capitolo 2, mentre il capitolo 3 è dedicato al dibattito in corso, sia sul fronte politico che accademico, sulla

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revisione dei principi che regolano il bilancio. La storia passata e il dibattito corrente dimostrano chiaramente la rilevanza delle questioni distributive, al cui approfondimento è dedicata l’analisi proposta nel capitolo 4, basata sullo strumento del “saldo netto” di bilancio. I risultati conferma-no il ruolo determinante della PAC nella distribuzione tra Stati membri dei “costi” e dei “benefi-ci” della partecipazione all’UE, ma evidenziano l’impossibilità di valutare le convenienze nazio-nali sulla base di singole politiche: infatti, pur prescindendo dalla indubbia inadeguatezza del sal-do di bilancio come indicatore per misurare i costi e i benefici di una politica comunitaria, anche i paesi che sono contributori netti al bilancio potrebbero avere convenienza a difendere il suo attuale assetto, se in termini di ritorno finanziario il mantenimento delle attuali politiche apparis-se come un “male minore” rispetto all’attivazione di nuovi interventi.

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CAPITOLO 1

L’

EVOLUZIONE STORICA DEL BILANCIO COMUNITARIO

1.1

Dalla fondazione della CE al primo quadro finanziario

Il funzionamento dell’Unione Europea (UE) è garantito dall’esecuzione del proprio bilan-cio, tramite il quale è assicurata la copertura delle spese necessarie alla messa in atto delle politi-che comuni e di tutte le spese amministrative e funzionali ad esse connesse.

Il primo bilancio comunitario risale al 1958, anno successivo alla fondazione della Comu-nità economica europea (CEE), per un valore pari ad appena 7,3 milioni di euro. Le sfere di com-petenza dell’allora CEE apparivano potenzialmente molto ampie – anche se per lungo tempo la politica agricola comune (PAC) ha rappresentato l’unico risultato concreto della costruzione del-la Comunità europea – ed il bidel-lancio fu concepito come uno strumento dotato di mezzi finanziari distinti da quelli dei bilanci nazionali. In effetti, in una prima fase le entrate del bilancio comuni-tario si basavano su trasferimenti nazionali regolati da quote di partecipazione predefinite, e solo dal 1971 iniziarono ad essere alimentate dal sistema delle cosiddette “risorse proprie”, successi-vamente più volte modificato. Un bilancio regolato da un sistema di risorse proprie, congiunta-mente alla creazione di un mercato unico e all’attuazione di un sistema di politiche comuni di livello sovra-nazionale, rappresentano il “valore aggiunto” dell’UE, in termini di indipendenza dagli Stati membri che ne sono parte. Le risorse proprie, infatti, una volta determinato il loro mec-canismo di formazione, confluiscono direttamente nel bilancio comune senza la necessità di nes-suna ulteriore decisione da parte dei singoli paesi.

Al crescere della dimensione geografica ed economica dell’UE, il bilancio si è progressiva-mente ampliato, anche se con fasi di rallentamento e momenti di crescita più accelerata, prevalen-temente riconducibili all’avvio di alcune politiche di intervento (fig. 1.1). Così il bilancio, dopo un periodo iniziale in cui venivano sostenute quasi esclusivamente spese di carattere amministra-tivo, subisce una prima accelerazione nel corso degli anni ’60, in corrispondenza all’avvio della PAC, e successivamente con l’inaugurazione della politica dei fondi strutturali, che inizia a pren-dere corpo nella seconda metà del decennio ’70 e si rafforza negli anni ’80, anche per effetto dei successivi allargamenti ai paesi mediterranei. Oggi, a oltre 50 anni dalla sua fondazione, l’UE conta 27 paesi membri e dispone di un bilancio di oltre 114 miliardi di euro, finalizzato all’esecu-zione di un progetto politico che ha fortemente ampliato i suoi obiettivi di intervento rispetto all’idea originaria.

Come si vedrà meglio più avanti, tuttavia, le risorse finanziarie attualmente a disposizione vengono giudicate da Parlamento europeo e Commissione insufficienti ad assicurare i nuovi obiettivi dell’Unione, alcuni dei quali sono già tecnicamente presenti all’interno delle voci (o rubriche) di bilancio, ma senza un’adeguata dotazione. Il potenziamento di specifiche sfere di azione da parte dell’UE richiederebbe, quindi, o una manovra di potenziamento della dimensione assoluta del bilancio, o un drastico ripensamento di alcune delle tradizionali politiche, cui dovreb-be seguire una redistribuzione delle risorse tra vecchi e nuovi ambiti di intervento.

D’altra parte, se si guarda alla spesa UE come percentuale del reddito nazionale lordo (RNL) dei paesi membri, si nota come la dimensione del bilancio comunitario sia aumentata in misura costante e consistente fino alla metà degli ’80, per poi andare verso una progressiva stabi-lizzazione. Ciò è avvenuto in corrispondenza del passaggio ad un formato pluriennale del bilancio dell’UE, che a partire dal 1988 ha programmato il proprio sviluppo nell’ambito delle cosiddette

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“prospettive finanziarie” (o “quadri finanziari”), ossia di periodi prima quinquennali (1988-1992) e quindi settennali (1993-1999; 2000-2006; 2007-2013). Tale programmazione pluriennale, nel cui ambito le diverse politiche comunitarie sono raggruppate in voci generiche denominate “rubriche”, rappresenta il quadro di riferimento all’interno del quale, mediante una complessa

procedura1, vengono messi a punto i documenti finanziari annuali.

Fig. 1.1 - Evoluzione del bilancio: spesa comunitaria* e incidenza sul RNL (1958-2008)

* Valori nominali

Fonte: ns. elaborazioni su dati UE (European Commission, 2009a)

Prima dell’introduzione dei quadri finanziari pluriennali, la necessità di un maggiore con-trollo sul bilancio, teso al suo contenimento, era stata affrontata già nel 1970 con il Trattato del Lussemburgo, che aveva introdotto la distinzione tra spese obbligatorie e spese non obbligatorie, cui veniva assegnato un diverso grado di priorità. Le prime rappresentavano le spese necessarie a dare esecuzione a quanto previsto dai Trattati istitutivi e pertanto indispensabili per il soddisfaci-mento degli obblighi istituzionali: la loro approvazione era prerogativa del Consiglio. Le spese non obbligatorie costituivano un residuo per differenza e la loro approvazione era prerogativa del Parlamento. Tale distinzione delle spese comunitarie nelle due grandi categorie e la separazione

1 Fino all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’iter di approvazione del bilancio prevedeva la formulazione di un progetto

pre-liminare da parte della Commissione, che veniva trasmesso al Consiglio per l’approvazione a maggioranza qualificata e, quindi inviato al Parlamento. Quest’ultimo poteva approvarlo o avanzare obiezioni, rinviando il progetto al Consiglio per una seconda let-tura. In questo caso anche il Consiglio poteva procedere all’approvazione o rinviare il progetto emendato ad una seconda lettura da parte del Parlamento. In sostanza, la procedura si basava su una doppia lettura, effettuata separatamente dalle due autorità di bilancio, anche se il parere del Parlamento non era vincolante. Attualmente, invece, è entrato in vigore il meccanismo di co-decisio-ne, per il quale si rinvia al paragrafo 2.5.

0 20.000 40.000 60.000 80.000 100.000 120.000 140.000 0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 1,2 1,4 1958 1962 1966 1970 1974 1978 1982 1986 1990 1994 1998 2002 2006 Milioni di EURO Anno Spesa % RNL

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del potere decisionale tra Consiglio e Parlamento ha creato nel corso degli anni non poche com-plicazioni e difficoltà, generando tensioni tra le istituzioni, senza peraltro assicurare un adeguato controllo alla crescita delle due componenti. La polemica istituzionale relativa ai ruoli decisiona-li ed alla dimensione delle due componenti delle spese è stata una costante nello sviluppo del-l’UE e la questione è stata affrontata più volte in occasione della definizione delle prospettive finanziarie, fornendo progressivamente maggiori garanzie al ruolo del Parlamento e prevedendo clausole di protezione allo sviluppo delle spese non obbligatorie, che altrimenti avrebbero

rischia-to di rimanere relegate ad un ruolo meramente subalterno e residuale2.

Sempre nei primi anni ’70, a seguito dell’ingresso del Regno Unito nella Comunità euro-pea, emerse con evidenza l’ulteriore questione della posizione dei singoli paesi rispetto al bilancio comune, impostata fin dal principio in base al concetto di “saldo netto”, ovvero valutata come differenza tra il contributo nazionale (stimato) alla formazione del bilancio comunitario e quanto “ricevuto indietro”, sotto forma di flussi di spesa associati alle politiche dell’Unione (cfr. par. 4.1). In un tale contesto, la politica agricola, in ragione del suo peso (allora schiacciante) sul com-plesso delle spese, divenne immediatamente il principale oggetto del contendere (Laschi, 2005); infatti, lo sbilanciamento della posizione contributiva del Regno Unito derivava direttamente dal-lo scarso ritorno di una politica settoriale strutturalmente poco significativa per il sistema produt-tivo britannico, in cui l’agricoltura ha un peso marginale. La dimensione molto ampia del saldo negativo britannico, insieme all’impossibilità di riformare in modo profondo la PAC o di ridurre in misura significativa la spesa agricola, innescarono una serrata trattativa che trovò una soluzio-ne definitiva solo un decennio dopo, con l’Accordo di Fontainbleau (1984). Con tale accordo fu stabilito il principio generale del cosiddetto “giusto ritorno”, per cui nessun paese può essere chiamato a sostenere un peso “eccessivo” nel finanziamento del bilancio comune, a prescindere dalla politiche che lo generano (European Commission, 2008). Nello specifico, per riequilibrare il proprio deficit strutturale, il Regno Unito ottenne la concessione di un rimborso permanente

(rebate) del proprio contributo al finanziamento del bilancio comunitario3. Da allora, il rebate a

favore del Regno Unito è stato più volte rivisto nel tempo, senza tuttavia essere mai modificato in maniera sostanziale e continuando a rappresentare un tema sensibile ed un punto strategico irri-nunciabile della posizione britannica rispetto al bilancio comune.

1.2

Il primo quadro finanziario: 1998-1992

Prescindendo dalla questione del rebate al Regno Unito, l’inizio della vera fase di revisio-ne e stabilizzaziorevisio-ne del bilancio va ricondotta alla definiziorevisio-ne delle prime prospettive finanziarie pluriennali (1988-1992), corrispondente all’attuazione del cosiddetto I Pacchetto Delors, i cui obiettivi trovavano la loro legittimazione nelle modifiche ai Trattati istitutivi, introdotte pochi mesi prima con l’entrata in vigore dell’Atto unico del 1987. Quest’ultimo determinava un notevo-le ampliamento del campo delnotevo-le politiche comuni, tra cui il compnotevo-letamento del mercato unico, il rafforzamento dei fondi strutturali per la coesione economica e sociale, l’organizzazione della politica per la ricerca all’interno di un programma quadro, l’avvio di una politica ambientale

2 Il tema delle competenze istituzionali sul bilancio e del limitato ruolo del Parlamento per il potenziamento di alcune nuove linee di

azione della politica comunitaria dovrebbe trovare soluzione con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

3 Sulla base dell’Accordo, la dimensione della restituzione britannica venne posta pari ai 2/3 del suo saldo negativo, calcolato a

priori. I costi della restituzione vengono sostenuti da tutti gli altri paesi membri, tramite versamenti nazionali ad hoc in misura pro-porzionale al loro RNL, sebbene con alcune eccezioni particolari (cfr. par. 2.3).

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comune, una più complessa e consistente politica internazionale. Ciò rendeva necessaria un’adeguata disponibilità finanziaria, che fu resa possibile grazie ad alcune modifiche delle rego-le sulrego-le entrate del bilancio comunitario ed alla definizione di un quadro di riferimento più preci-so e vincolante per la sua esecuzione. Con la decisione del Consiglio del 1988 sulla disciplina di bilancio e sulla base di un accordo interistituzionale tra Consiglio, Parlamento e Commissione, venne quindi profondamente modificato il sistema delle risorse proprie e vennero introdotti nuo-vi meccanismi di controllo delle spese tesi a bilanciare le disponibilità finanziarie delle diverse

politiche comuni4.

Sul fronte delle entrate venne creato un nuovo sistema con cui si integrava il meccanismo precedente, basato sulle tre componenti delle “risorse proprie tradizionali” (RPT), del prelievo sull’IVA e dei trasferimenti nazionali, questi ultimi già ormai ridotti ad un ruolo decisamente marginale (fig. 1.2). Più in particolare, la componente delle RPT, costituite dai dazi doganali e dai prelievi agricoli derivanti dall’esistenza di un sistema doganale comune, pur garantendo una por-zione consistente delle risorse necessarie, era già allora in declino, segno della difficoltà a far fronte alle esigenze di sviluppo del bilancio tramite la politica di protezione commerciale. Al con-tempo, la componente legata all'Imposta sul valore aggiunto (IVA), introdotta alla fine del decen-nio ’70 con un tasso fisso di prelievo (1,4%) sulla base imponibile uniforme calcolata a livello nazionale, veniva posta sotto controllo con l’introduzione di un tetto massimo, fissato come rap-porto tra base imponibile e PIL di ciascuno Stato membro (55%). La necessità di contenere la risorsa IVA derivava dal suo peso crescente, ma soprattutto dall’esigenza di attenuarne gli effetti regressivi sui paesi a più basso reddito, dove i consumi a cui si applica l’imposta di base rappre-sentano quote relativamente più elevate del reddito totale. Ma la principale novità introdotta con il primo quadro finanziario riguardava l’introduzione di una quarta componente, rappresentata da un versamento nazionale commisurato alla dimensione del PIL di ciascuno Stato membro, scelto come il migliore indicatore del peso economico del singolo paese e, quindi, della sua capacità di sostenere il bilancio comune. Tale componente basata sul PIL venne definita come “risorsa resi-duale”, nel senso che il suo ammontare, in presenza del vincolo di pareggio che caratterizza il bilancio comune, sarebbe stato di volta in volta quello necessario a far fronte alle necessità finan-ziarie previste dai bilanci annuali e non coperte dalle altre fonti di entrata.

Dal lato delle uscite, la nuova disciplina di bilancio introduceva all’interno di ciascun periodo di programmazione un tetto massimo ai pagamenti annualmente consentiti, espresso

come percentuale del PIL dell’UE5. La sostanziale stabilità di tale tetto in termini percentuali ha

fatto sì che la crescita del bilancio abbia sostanzialmente ricalcato quella del PIL comunitario (fig. 1.1) rendendo disponibili poche risorse aggiuntive per l'avvio di nuove politiche. Cionono-stante la figura 1.3 evidenzia come la struttura della spesa sia cambiata significativamente nel tempo.

4 Nell’ambito delle decisioni sul quadro finanziario 1988-1992 venne, ad esempio, stabilito un meccanismo di controllo delle spese

connesse all’attuazione della politica agricola, la cosiddetta “linea direttrice”: con essa si stabilì che la spesa del FEOGA-Garan-zia, il Fondo agricolo preposto al sostengo della componente mercati della PAC, non potesse crescere annualmente, rispetto a quella sostenuta nel 1998, più del 74% del tasso di variazione del PIL dell’UE.

(17)

Fig. 1.2 - Evoluzione delle entrate per la formazione del bilancio comune (%)

Fonte: ns. elaborazioni su dati UE (European Commission, 2009a)

Fig. 1.3 - Evoluzione delle spese UE per linea di intervento, 1970-2000/06 (%)

Fonte: ns. elaborazioni su dati UE (European Commission, 2009a)

0% 20% 40% 60% 80% 100% 1970 1975 1980 1988/92 1993/99 2000/06 2007/08 Anno/Periodo finanziario

IVA RNL Risorse proprie trad. Altro

0% 20% 40% 60% 80% 100% 1970 1975 1980 1988/92 1993/99 2000/06 Anno/Periodo finanziario

Altro Ammistrazione Azioni esterne Ricerca Azioni strutturali Agricoltura - sviluppo rurale Agricoltura - mercati

(18)

1.3

Il secondo quadro finanziario: 1993-1999

Il secondo quadro finanziario, relativo al periodo 1993-99, derivava dalle linee di azione individuate con il II pacchetto Delors, che perseguiva gli obiettivi formalizzati all’interno della revisione ai Trattati istitutivi decisa nel 1992 a Maastricht e necessitava di maggiori disponibilità di bilancio. In particolare, il Trattato di Maastricht dava priorità al potenziamento della politica di coesione per una maggiore convergenza economica tra le regioni della Comunità, soprattutto tra-mite il rafforzamento degli interventi dei fondi strutturali (trasporti e infrastrutture) a vantaggio dei paesi di più recente adesione; oltre che al rafforzamento delle competenze della Comunità in alcuni ambiti di azione nuovi rispetto al passato (reti europee, cultura, educazione, politica este-ra, cooperazione). Il quadro finanziario 1993-1999 fu deciso alla fine del 1992 ad Edimburgo e, di per sé, non portò a modifiche sostanziali né al sistema delle entrate, né a quello delle uscite; tuttavia, anche i soli “affinamenti” rispetto alle decisioni assunte nel periodo precedente determi-narono mutamenti non marginali. Inoltre, a metà dell’operatività del periodo finanziario, la Comunità vide concretizzarsi il suo terzo allargamento, con l’ingresso nel 1995 di Austria, Fin-landia e Svezia, le cui trattative furono caratterizzate proprio dalla preoccupazione sulle implica-zioni finanziarie. Per questo motivo, l’allargamento determinò la necessità di rivedere le prospet-tive finanziarie allora in corso, insieme al ruolo del Parlamento nella definizione del bilancio, con l’introduzione di una parziale procedura di co-decisione anche per alcuni ambiti delle spese obbligatorie.

Dal lato delle entrate, si determinarono le condizioni per una rilevante crescita del peso della quarta componente “residuale”, legata al PIL. Ciò avvenne, in primo luogo, attraverso la decisione di proseguire sulla via del depotenziamento progressivo del tasso di prelievo IVA (che fu ridotto all’1%) e di abbassare ulteriormente il tetto alla base imponibile in rapporto al PIL (posto al 50%), a vantaggio però dei soli paesi con il minor livello di prosperità economica. In secondo luogo, poiché il più ambizioso programma politico richiedeva comunque una maggiore disponibilità di risorse, soprattutto per il rafforzamento della politica strutturale, il tetto alle risor-se proprie venne elevato rispetto al periodo precedente, prevedendo una crescita progressiva dall’1,20% del PIL del primo anno all’1,27% del 1999, il che implicava l’ulteriore aumento della risorsa “residuale” legata al PIL dei singoli paesi membri.

Dal lato dell’esecuzione del bilancio, gli effetti delle modifiche apportante all’impianto generale delle politiche sono bene evidenziati dall’evoluzione del peso relativo delle diverse rubriche di spesa. In particolare, il progressivo contenimento del peso della componente “merca-ti” della PAC - a fronte di un consolidamento di quella destinata invece allo sviluppo rurale - ma soprattutto la crescita dell’impegno finanziario a sostegno delle azioni dei fondi strutturali.

1.4

Il terzo quadro finanziario: 2000-2006

Le difficoltà riscontrate in occasione dell’allargamento del 1995 spinsero il Consiglio ad avviare, già in quello stesso anno, le riflessioni che avrebbero dovuto portare alla definizione del successivo periodo finanziario, durante il quale era prevista la realizzazione del più importante processo di allargamento – quello essenzialmente rivolto ai paesi dell’Europa centro-orientale – con l’ingresso nell’Unione europea di 10 nuovi Stati membri. Il quadro di riferimento complessi-vo si presentava decisamente più complesso rispetto al passato, giacché erano evidenti le tensioni che il processo di allargamento avrebbe determinato sulla dimensione complessiva del bilancio e sull’impianto complessivo delle politiche comuni.

(19)

In questo contesto di profondo cambiamento geopolitico, la Commissione diede avvio al dibattito sul futuro delle politiche comunitarie e sulle nuove prospettive finanziarie con la Comu-nicazione Agenda 2000 del 1997. In tale comuComu-nicazione una particolare attenzione fu riservata alla PAC che rimaneva la linea di spesa più consistente e visibile e alla cui riforma era in larga parte legata la possibilità di condurre in porto il processo di allargamento. Inoltre, alcuni paesi ini-ziarono a porre in modo formale la questione della loro posizione relativa di forti contributori net-ti rispetto al bilancio comune. Non sorprende, quindi, che il negoziato sulle prospetnet-tive finanzia-rie 2000-2006 fu molto complesso e richiese circa due anni di trattative, fino al raggiungimento dell’accordo siglato a Berlino nel marzo del 1999; e solo nel 2000 il Consiglio riuscì a varare la nuova disciplina di bilancio e a definire il nuovo sistema delle risorse proprie.

I principali punti fermi del compromesso di Berlino erano la stabilizzazione della spesa e il non aggravamento degli squilibri finanziari negativi di alcuni paesi (Germania, Paesi Bassi, Austria e Svezia). Così il tetto alle risorse proprie fu lasciato fermo, per tutto il periodo, al livello raggiunto al termine di quello precedente (1,27% del PIL, corrispondente all’1,24 del reddito nazionale lordo), mentre sul fronte della dotazione alle singole rubriche, tutte le linee di spesa vennero ridimensionate rispetto a quanto inizialmente proposto dalla Commissione. In particolare, la necessità di tenere sotto controllo il livello della spesa agricola contribuì a ridurre

pesantemen-te la carica innovativa del pacchetto di riforma della PAC inizialmenpesantemen-te previsto da Agenda 20006.

In merito alla formazione delle risorse proprie, il Consiglio prese le seguenti decisioni: • procedere ad un ulteriore ridimensionamento del contributo IVA, con una nuova fase di

progressiva riduzione del tasso di prelievo tra il 2002 (0,75%) e il 2004 (0,50%);

• innalzare, dal 10% al 25%, la trattenuta sulle “risorse proprie tradizionali” riconosciuta ai singoli paesi come rimborso ai costi di raccolta;

• apportare alcuni correttivi al meccanismo di rimborso britannico, tra cui la riduzione dei contributi richiesti per il suo finanziamento agli altri quattro paesi maggiori deficitari netti. Nel 2003, al fine di procedere agli adeguamenti tecnici necessari all’ingresso dei nuovi 10 paesi membri, nel frattempo slittato al maggio 2004, le prospettive finanziarie furono riviste, sen-za che però si determinassero novità sostanziali.

1.5

Il quarto quadro finanziario: 2007-2013

Il processo di definizione del quarto ed ultimo quadro finanziario (2007-2013), attualmen-te in vigore, prese avvio già all’inizio del 2004, giungendo a conclusione nel dicembre dell’anno successivo, per poi essere formalizzato nell’accordo interistituzionale sulla disciplina di bilancio e

la sana gestione finanziaria del giugno 20067, cui è seguita anche una nuova Decisione del

Consi-glio relativa al sistema delle risorse proprie8. Anche le trattative sulle attuali prospettive

finanzia-rie furono assai complesse da molti punti di vista. L’allargamento aveva determinato un notevole

ampliamento di territorio e popolazione, oltre che amplificato le disparità regionali9, a fronte di un

incremento del PIL (e, quindi, delle potenziali entrate di bilancio) di appena il 5%. Dal canto suo

6 In sostanza, il contenimento del valore assoluto della spesa e alcuni aggiustamenti ai flussi in uscita rappresentarono gli unici

margini di manovra per rispondere sia alle istanze avanzate da alcuni paesi che alle proposte della Commissione (De Filippis, Henke, Pupo D’Andrea, 1999).

7 GUCE, C 139/1 del 14.06.2006. 8 GUCE, L 163/17 del 23.06.2007.

(20)

la PAC che, ancora una volta, rappresentava la linea di spesa più consistente e al tempo stesso più contestata, poteva contare su una dotazione finanziaria già definita e “blindata” dal compro-messo franco-tedesco del 2002, che condizionava una porzione consistente del bilancio (De Filip-pis, 2003). In tale contesto, da un lato, vi era la Commissione che sperava di poter dare avvio a un ambizioso e innovativo programma politico, rivolto a perseguire gli obiettivi della Strategia di Lisbona, che necessitava però di un’ampia dotazione finanziaria; dall’altro, alcuni paesi contribu-tori netti del bilancio (Germania, Regno Unito, Francia, Paesi Bassi, Svezia ed Austria) portavano avanti una rigida posizione di contenimento della spesa, formalizzata nella richiesta di mantenere il tetto delle risorse proprie entro l’1% del RNL dell’UE, che li portò ad essere soprannominati i “sei del rigore” (INEA, 2006). In sostanza, il dibattito per la definizione delle ultime prospettive finanziarie richiese oltre tre anni di trattative e fu governato principalmente dalle questioni con-nesse alle posizioni relative dei singoli paesi membri, ovvero dai conflitti tra paesi in termini di convenienza relativa al mantenimento di linee di intervento tradizionali, piuttosto che all’attiva-zione o al potenziamento di politiche innovative.

Sul fronte delle regole di raccolta delle risorse proprie furono decisi ulteriori aggiustamen-ti ad hoc, molaggiustamen-ti dei quali a beneficio di singoli paesi, che finirono con il rendere il meccanismo di contribuzione al bilancio comune ancora più complicato ed opaco. Dal lato delle spese, invece, venne definita una nuova classificazione delle rubriche in cui è suddiviso il bilancio comune, anche se, rispetto a quanto proposto originariamente dalla Commissione, i tagli più consistenti alle risorse finanziarie furono imposti proprio alle nuove linee di intervento, cui veniva affidato il compito di dare impulso alla realizzazione dell’Agenda di Lisbona.

Infine, nell’ambito del dibattito che ha condotto alla definizione dell’ultimo quadro finan-ziario, meritano di essere sottolineate due proposte avanzate dalla Commissione in relazione alla formazione delle risorse proprie, riportate all’interno di un Rapporto di valutazione sul loro fun-zionamento (Commissione Europea, 2004):

• la possibilità di introdurre una nuova risorsa propria costituita da un tassa basata alterna-tivamente o sul consumo di energia, o sull’applicazione di una quota UE all’interno del prelievo IVA, o sul reddito delle società;

• l’opportunità di affrontare la questione degli squilibri finanziari tra paesi membri in maniera da non determinare condizioni di sperequazione, in armonia con quanto disposto dall’Accordo di Fontainebleau del 1984. In merito a quest’ultimo punto, la Commissione proponeva di ricorrere ad un meccanismo di ”rimborso generalizzato”, basato su regole valide per tutti i paesi, posto che il rebate britannico e le ulteriori formule di correzione a vantaggio di altri paesi avevano finito con produrre situazioni di ulteriore squilibrio.

(21)

CAPITOLO 2

I

L QUADRO ATTUALE DEL BILANCIO COMUNITARIO

2.1

Le risorse proprie

L’ultima Decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee, varata il 7 giugno 2007, stabilisce che il bilancio comune è alimentato tramite due prin-cipali categorie di entrate:

• le risorse proprie, composte da tre diverse componenti (RPT, IVA e RNL);

• le altre entrate, che rappresentano una porzione marginale del bilancio, somma di diverse voci di modesto rilievo (surplus derivanti da esercizi precedenti, vendite di proprietà, rica-vi derivanti da erogazioni di serrica-vizi ecc.).

Sono quindi le risorse proprie l’elemento centrale delle entrate di bilancio, sia in termini di dimensione assoluta, sia in termini riconoscimento formale, posto che l’articolo 311 del Trattato sull’Unione europea (Lisbona) dispone che “L’Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche. Il bilancio, fatte salve le altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie”. Queste rappresentano quindi uno degli elemen-ti diselemen-tinelemen-tivi e di maggiore originalità dell’integrazione europea.

La Decisione del 2007 conferma la dimensione delle risorse proprie attribuite al bilancio UE per gli stanziamenti annuali per pagamenti ad un livello non superiore all’1,24% del totale de-gli RNL dei singoli paesi membri; mentre, de-gli stanziamenti annuali per impegni non possono su-perare l’1,31% degli RNL. La decisione ribadisce, inoltre, che le entrate di bilancio sono utilizza-te indistintamenutilizza-te per finanziare tututilizza-te le spese previsutilizza-te (principio di universalità; cfr. par. 2.4).

Più in particolare, le tre componenti delle risorse proprie possono essere schematizzate nei seguenti punti:

1. le “risorse proprie tradizionali” (RPT), rappresentate dalle entrate provenienti dai pre-lievi e dai dazi, derivanti dall’esistenza di un sistema doganale comune. Le RPT, introdot-te alla fine degli anni ’70, sono versaintrodot-te al bilancio comune dai paesi che procedono alla loro riscossione, previa trattenuta di una quota, posta in passato pari al 10% e successi-vamente elevata al 25% nel 2001, riconosciuta come copertura delle spese amministrati-ve sostenute. Nei riepiloghi finanziari prodotti dall’UE sull’esecuzione dei bilanci an-nuali si dà conto di queste entrate, che vengono formalmente ricondotte ai paesi di ri-scossione, sebbene sotto il profilo sostanziale non possano essere attribuite ad un singo-lo paese membro, a meno di non poter stabilire con precisione la destinazione finale del-le merci cui i dazi e i prelievi vengono applicati. Questa componente deldel-le risorse proprie è andata riducendosi nel tempo - anche per effetto della liberalizzazione commerciale at-tuata dall’UE a seguito degli accordi sottoscritti in sede WTO - passando da un peso di ol-tre il 25% nell’ambito del primo quadro finanziario (1988-1992), a circa il 14% dei pri-mi due anni di applicazione di quello in vigore;

2. il prelievo uniforme derivante dall’applicazione di un’aliquota IVA ad una base imponi-bile statistica armonizzata. La base imponiimponi-bile calcolata da ciascun paese membro, al ter-mine degli anni ’80, fu sottoposta a un tetto massimo pari al 55% del RNL di ciascun partner, successivamente il tetto è stato ridotto al 50%, al fine di contenere gli effetti re-gressivi conseguenti all’imposizione di un prelievo sui consumi, che colpisce

(22)

maggior-mente i paesi membri con il RNL più basso. Analogamaggior-mente, il tasso di prelievo, inizial-mente pari all’1% e successivainizial-mente elevato all’1,14%, è stato poi progressivainizial-mente ri-toccato a ribasso, fino all’attuale 0,3%. Con riferimento al quadro finanziario in vigore, nei primi due anni di attuazione a tale risorsa si deve poco più del 16% del totale delle en-trate del bilancio comune, mentre nell’ambito del primo quadro finanziario il suo peso sfiorava il 59%;

3. la risorsa basata sul reddito nazionale lordo, ovvero il versamento di un contributo na-zionale calcolato sulla base di un tasso di prelievo, variabile di anno in anno, sul RNL di ciascun paese membro. Questa risorsa non viene limitata a priori in quanto agisce come componente integrativa per il raggiungimento del fabbisogno finanziario complessivo dell’Unione, in presenza della regola di pareggio di bilancio (principio di equilibrio; cfr. par. 2.4). La risorsa sul RNL, introdotta nel 1988, si è andata notevolmente rafforzando nel tempo, in conseguenza del costante assottigliamento delle altre entrate; infatti, nella media del biennio 2007-2008, tale risorsa ha soddisfatto oltre il 62% del fabbisogno di bi-lancio, mentre nella fase della sua prima introduzione rappresentava una quota inferiore al 10%.

In sintesi, a seguito dei progressivi processi di adeguamento subiti dai meccanismi di pre-lievo delle diverse entrate, mentre nel passato le RPT e il prepre-lievo IVA rappresentavano, congiun-tamente, la parte preponderante delle entrate, nell’attuale sistema di finanziamento del bilancio dell’UE i pesi si sono ribaltati a favore della componente basata sul RNL. Questa, di fatto, costi-tuisce la pietra angolare delle entrate di bilancio, poiché in virtù del suo ruolo di completamento delle risorse necessarie – con un’entità limitata solo dal tetto posto alla dimensione assoluta del bi-lancio stesso – rappresenta la fonte finanziaria che meglio è in grado di assicurare la congruità delle risorse necessarie alla realizzazione del progetto politico dell’UE.

Ad oggi, infatti, nonostante le proposte avanzate nel 2004 in vista della definizione dell’at-tuale quadro finanziario 2007-2013, che prevedevano la sostituzione della risorsa IVA con una ri-sorsa fiscale UE e nonostante le enunciazioni di principio formalizzate dalla prima Commissione Barroso nel 2007 con l’avvio della prevista procedura di revisione di bilancio (cfr. cap. 3), una profonda e radicale riforma del sistema di risorse proprie appare ancora lontana.

2.2

Il quadro finanziario in vigore

Come già accennato nel capitolo 1, in occasione della definizione delle attuali prospettive finanziarie è stata approvata una riclassificazione delle rubriche di spesa in cui si articolano i bi-lanci comunitari. La necessità di una nuova classificazione prendeva le mosse dalla ridefinizione delle priorità politiche perseguite in base all’Agenda di Lisbona: un’economia dinamica basata sulla conoscenza, una crescita economica sostenibile ed una maggiore coesione sociale. Al rinno-vamento delle priorità politiche si accompagnava anche l’esigenza di elaborare le nuove prospet-tive finanziarie in una forma che consentisse una razionalizzazione degli interventi. Inoltre, la vec-chia articolazione basata su otto voci di spesa veniva giudicata troppo rigida, non consentendo di realizzare gli adattamenti necessari nel corso del tempo; mentre la semplificazione delle rubriche avrebbe contribuito a garantire una maggiore elasticità nella distribuzione della spesa tra i diversi interventi.

L’articolazione delle attuali prospettive finanziarie 2007-2013 si presenta, quindi, profonda-mente rinnovata rispetto a quella passata, con la riduzione a sei delle voci di spesa (8 consideran-do anche le sottovoci):

(23)

1. Crescita sostenibile, ripartita nelle due sottovoci:

1a. Competitività per la crescita e l’occupazione, che comprende la spesa per la ricerca e l’innovazione; l’istruzione e la formazione; la sicurezza e la sostenibilità sul piano am-bientale delle reti UE; il sostegno al mercato unico e le politiche di accompagnamento all’integrazione; l’attuazione della politica sociale.

1b. Coesione per la crescita e l’occupazione, che comprende la spesa per la convergenza de-gli Stati membri e delle regioni in ritardo di sviluppo, lo sviluppo sostenibile nelle regio-ni meno prospere, la cooperazione interregionale.

2. Gestione sostenibile e protezione delle risorse naturali, che comprende la spesa per la politica agricola, la politica della pesca e la politica legata all’ambiente.

3. Cittadinanza, libertà, sicurezza e giustizia, ripartita nelle due sottovoci:

3.a Libertà sicurezza e giustizia, che comprendere le politiche per la migrazione, le politi-che per la tutela delle libertà e dei diritti fondamentali.

3.b Cittadinanza, che comprende l’accesso ai beni pubblici, le politiche per la cultura, la gioventù, la salute e la tutela dei consumatori, l’informazione.

4. L’Unione europea quale partner globale, che comprende tutte le azioni esterne, compre-si gli strumenti di preadecompre-sione.

5. Amministrazione. 6. Compensazioni.

In particolare, riguardo alla rubrica 2, va sottolineato che al suo interno si colloca la dota-zione per la PAC, sia componente mercato che sviluppo rurale, congiuntamente a quella per la pe-sca e l’ambiente. Tuttavia, l’unica linea di spesa messa in evidenza corrisponde alla dotazione assegnata alle misure della PAC per il sostegno al mercato e per i pagamenti diretti (il cosiddet-to primo pilastro). Il rafforzamencosiddet-to dell’impegno politico comune sulla gestione sostenibile del-le risorse naturali ha reso significativa la creazione di un’apposita voce di spesa, che include del-le po-litiche settoriali caratterizzate dall’impatto più diretto e dalla maggiore contiguità fisica con l’ambiente naturale. Inoltre, il trasferimento della politica agricola all’interno della rubrica inti-tolata alla conservazione e gestione delle risorse naturali pone in maggiore evidenza la necessi-tà di assicurare una piena integrazione degli obiettivi di carattere ambientale nella gestione ope-rativa della PAC.

La nuova classificazione, sebbene più snella, rende difficile effettuare confronti intertempo-rali di lungo periodo, poiché non è possibile ricondurre con precisione le dotazioni assegnate alle precedenti rubriche, adottate fino al periodo 2000-2006, a quelle attualmente in vigore. La stessa Commissione si limita a produrre una riclassificazione di transizione tra terzo e quarto periodo fi-nanziario (fig. 2.1), sulla base della quale si possono effettuare alcune considerazioni sulle modi-fiche recentemente apportate alle politiche comunitarie.

Nel complesso, dal confronto tra i due periodi emerge innanzitutto il ridimensionamento del peso della componente mercati della PAC, a fronte di una crescita delle altre azioni della ru-brica 2: sviluppo rurale, pesca e ambiente. Al contempo, si assiste soprattutto alla notevole cre-scita della politica di coesione (rubrica 1.b), in larga misura coincidente con le politiche struttu-rali dei periodi precedenti, cui si accompagna il rafforzamento della politica di competitività (ru-brica 1.a), in cui confluisce la precedente politica per la ricerca, potenziata e ampliata a ulterio-ri temi, quali l’innovazione, la creazione di reti, l’istruzione e la formazione, le politiche per la globalizzazione.

(24)

Fig. 2.1 - Evoluzione delle spese UE per linea di intervento, 2000/06 - 2007/13 (%)

* Comprende: Agricoltura-sviluppo rurale, pesca e ambiente Fonte: ns. elaborazioni su dati UE (European Commission, 2009a)

2.3

Le clausole di correzione

La progressiva rilevanza assunta tra le entrate del bilancio comune dalle componenti diver-se dalle risordiver-se proprie tradizionali – e in particolare dalle contribuzioni basate sul RNL – ha fini-to con il determinare delle posizioni di eccessivo svantaggio per i paesi più ricchi che, in presen-za della crescita della propria contribuzione al bilancio, hanno visto pesantemente messo in di-scussione il rispetto del cosiddetto principio del “giusto ritorno”. Come si è ricordato, questo è un principio generale dell’UE, riconosciuto sulla base dell’Accordo di Fontainebleau del 1984, che at-testa il diritto di ogni Stato membro che sostiene un onere di bilancio eccessivo in relazione alla sua prosperità relativa a beneficiare di una correzione, qualora tale onere divenga “eccessivo”.

Come pure si è detto, la prima e più rilevante applicazione del principio del giusto ritorno è rappresentata dalla cosiddetta correzione (o rebate) a favore del Regno Unito, la cui posizione di contributore netto del bilancio comune è stata evidente fin dal momento della sua adesione all’al-lora CE. Ciò ha determinato un’immediata e reiterata posizione di criticità da parte del Regno Uni-to, che nelle fasi più acute ha messo a rischio la stessa partecipazione all’UE. La fuoriuscita dal-le tensioni tra i diversi governi britannici e dal-le istituzioni europee fu trovata dopo circa un decen-nio, proprio grazie all’Accordo di Fontainebleau del 1984 (Greganti, 2009), che riconobbe al Re-gno Unito il diritto a una specifica correzione di bilancio.

La presenza di un principio di carattere generale, tuttavia, ha aperto la strada a tutta una se-rie di legittime richieste di ulteriori correzioni; così, numerosi altri paesi nel tempo hanno

ottenu-0% 20% 40% 60% 80% 100% 2000/2006 2007/2013 Periodo finanziario

Cittadinanza, libertà, sicurezza e giustizia Altro Ammistrazione Azione esterne Competitività Coesione

(25)

to analoghi, seppure meno rilevanti, sistemi di aggiustamento, temporanei o permanenti, a cui si aggiungono numerose clausole speciali a favore di altrettanti paesi. In sostanza, oggi si conta un numero molto ampio di meccanismi, clausole, eccezioni, deroghe e regime particolari, di cui go-dono, in misura più o meno ampia, molti paesi, che in varie circostanze sono riusciti a far pesare un ingiusto sbilanciamento in relazione a singole componenti del bilancio comune.

Nello specifico, il meccanismo del rebate prevede la restituzione al Regno Unito di un im-porto corrispondente al 66% del suo saldo negativo di bilancio, per un ammontare derivante da un meccanismo di calcolo particolarmente complesso che prevede:

- il calcolo della differenza tra la quota percentuale del Regno Unito sulla somma degli im-ponibili IVA non ridotti e la sua quota percentuale sul totale della spesa ripartita;

- la differenza tra le due quote, così ottenuta, viene successivamente moltiplicata per il to-tale della spesa ripartita;

- quindi, il risultato viene moltiplicato per 0,66, giungendo ad un ammontare che viene de-finito “importo originario” della correzione.

Successivamente, il meccanismo di calcolo ha subito ulteriori affinamenti, per tenere con-to dell’introduzione della risorsa basata sul RNL, oltre che per l’introduzione di un tetcon-to massimo all’imponibile IVA. Quindi, a seguito delle novità introdotte nel 1988, all’ammontare originario viene sottratto un ulteriore valore, definito “vantaggio britannico”, a sua volta ottenuto come dif-ferenza tra quanto il Regno Unito avrebbe versato in assenza della quarta risorsa (RNL) e del tet-to all’imponibile IVA e quantet-to effettivamente versatet-to in attuazione delle nuove regole sulle risor-se proprie. Il risultato di questo ulteriore passaggio determina un valore definito “la riduzione di base” (core) britannica.

Ulteriori fattori di aggiustamento concorrono a determinare il valore finale della correzio-ne. In particolare, al core viene sottratto il guadagno netto derivante al Regno Unito dall’aumen-to al 25% dell’impordall’aumen-to trattenudall’aumen-to come copertura dei costi amministrativi sostenuti per la raccol-ta delle RPT. L’innalzamento dei costi amministrativi, infatti, ha determinato una riduzione della contribuzione derivante da questa risorsa, compensata da un incremento dei versamenti basati sul RNL, le cui quote nazionali differiscono da quelle relative alle RPT.

Un ultimo elemento di correzione è determinato dalla necessità di neutralizzare gli effetti de-rivanti dai costi sostenuti per i processi di allargamento dell’UE. A tal fine, nel periodo 2004-13, le spese di pre-adesione sostenute nell’ultimo anno prima dell’ingresso nell’UE dei nuovi paesi membri vengono escluse dalle spese ripartite impiegate come base di calcolo per il conteggio

ini-ziale della correzione1. Il valore cumulato dell’adeguamento della correzione, derivante da questa

esclusione, non può superare il massimale di 10,5 miliardi di euro, caso in cui la correzione britan-nica verrebbe aumentata di un importo corrispondente. In sostanza, il meccanismo consente di as-sicurare la partecipazione del Regno Unito al finanziamento dei processi di allargamento, tranne che per le spese agricole.

Il finanziamento della compensazione versata al Regno Unito in applicazione del sistema so-pradescritto viene ripartito tra tutti gli altri Stati membri, in funzione della loro quota sul RNL complessivo dell’UE. Tuttavia, come anticipato, ci sono paesi che beneficiano di una ulteriore clausola di correzione al loro contributo al rebate. In particolare, Germania, Paesi Bassi, Austria e Svezia godono di una riduzione pari ai 3/4 della loro parte di contribuzione. L’ammontare di ri-sorse necessarie a finanziarie questa parte della restituzione britannica viene quindi, a sua volta, re-distribuita tra i restanti paesi membri, compresi quelli più poveri. La correzione è assicurata al

Re-1 A partire dal 2009, si darà avvio alla riduzione della spesa ripartita, in modo progressivo nell’arco di tre anni, fatta eccezione per

(26)

gno Unito mediante una riduzione del proprio versamento basato sull’IVA; qualora questa sia in-sufficiente viene accordata una riduzione ulteriore dei versamenti basati sul RNL.

La partecipazione finanziaria dei singoli paesi partner alla restituzione britannica assume un valore simbolico tale da essere espressamente evidenziata all’interno delle relazioni finanzia-rie sul bilancio comune. Infatti, tra le voci di entrata vengono contabilizzate a parte, anche i ver-samenti che ciascun paese garantisce per la copertura finanziaria del rebate. Questi, in sostanza, rappresentano un onere finanziario aggiuntivo, basato sul rispettivo RNL, sostenuto dai singoli paesi, che si aggiunge al loro contributo alla formazione delle risorse proprie.

Ulteriori fattori di correzione a vantaggio di singoli paesi membri sono stati a più riprese as-sicurati anche in relazione alle modalità di prelievo fissate per le determinazione delle restanti com-ponenti le risorse proprie, derivanti in particolare dal prelievo IVA e dai versamenti basati sul RNL. In dettaglio, la Decisione del 2007 sul sistema delle risorse proprie, con riferimento all’at-tuale quadro finanziario, fissa una riduzione all’aliquota di prelievo della risorsa IVA a beneficio di Austria (0,225%), Germania (0,15%), Paesi Bassi e Svezia (0,10%).

Analogamente, nello stesso periodo, il versamento annuale basato sul RNL è stato ridotto di 605 milioni di euro a favore dei Paesi Bassi e di 150 milioni per la Svezia (a prezzi 2004), riduzio-ni applicate successivamente ai conteggi necessari alla determinazione della correzione a favore del Regno Unito, non avendo alcun impatto sulla stessa.

2.4

I principi di governance

Il processo di costituzione e gestione del bilancio comune si basa sul rispetto di una serie di principi, alcuni dei quali già precedentemente richiamati, che costituiscono la cornice di riferi-mento in cui vengono assunte le decisioni sul sistema di formazione delle risorse proprie, defini-te le prospettive finanziarie e, quindi, formulati ed eseguiti i documenti finanziari annuali.

I principi di governance del bilancio comune possono essere suddivisi in tre grandi catego-rie: i) i principi di carattere “istituzionale”, definiti all’interno dei Trattati istitutivi, dei regolamen-ti finanziari o delle decisioni sulle risorse proprie, nel tempo più volte modificaregolamen-ti, che sono stretta-mente finalizzati a regolare la formazione e la gestione del bilancio; ii) i principi che governano l’attuazione delle politiche comuni, ovvero delle linee di spesa previste all’interno del bilancio; iii) i principi di carattere “generale”, ovvero quelli che comunemente appartengono alla sana e corret-ta gestione finanziaria e concorret-tabile, usualmente presi a riferimento dalle Pubbliche amministrazioni.

Tra i principi di carattere istituzionale, meritano di essere ricordati i seguenti:

- il principio di equilibrio rappresenta uno degli elementi maggiormente caratterizzanti il bi-lancio comune che, fin dal momento della fondazione della CEE, è stato sottoposto ad un rigido e preciso vincolo di pareggio. Questo elemento ha condizionato sia le regole e i principi di funzionamento del bilancio stesso, sia soprattutto lo sviluppo complessivo del-le diverse aree di intervento in cui si è articolata nel tempo la politica comunitaria. Il rispet-to del vincolo di pareggio viene certamente osservarispet-to nella fase di definizione e aurispet-toriz- autoriz-zazione dei bilanci annuali, mentre nella fase di applicazione emergono inevitabili diver-genze che vengono corrette in parte nell’annualità in cui si manifestano, in parte in quel-le successive;

- il principio di accuratezza prevede che la Comunità non spenda più del necessario. Ciò im-plica che anche la formazione delle entrate debba essere strettamente commisurata alla dimensione delle spese previste e approvate;

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- il principio di unità prevede che tutte le entrate e tutte le spese relative ad un determinato anno siano inserite nel bilancio, al fine di individuare come legittime le sole voci inserite

all’interno del documento finanziario approvato2;

- il principio di universalità, che discende da quello di unità, prevede che non vi sia una corrispondenza diretta tra singole voci di entrata e voci di uscita, pertanto l’autorizzazione di una linea di spesa non deve dipendere dall’individuazione di una specifica copertura fi-nanziaria, e viceversa (regola di non assegnazione);

- il principio di annualità, che consente di monitorare la gestione del bilancio, prevede che le entrate e le spese siano ricondotte ad uno specifico anno di riferimento, con le dovute eccezioni necessarie ad alcune operazioni di carattere pluriennale, oltre che per assicura-re una certa flessibilità di gestione;

- il principio di specificazione, che prevede che ogni stanziamento sia assegnato ad un obiet-tivo specifico, senza rischio di confusione tra impegni di spesa:

- il principio di trasparenza, che prevede l’obbligo per l’Unione di fornire informazioni pubbliche sul bilancio, le sue eventuali correzioni e la sua esecuzione. Nel 2006, il nuovo regolamento finanziario, in attuazione di questo principio, ha previsto l’obbligo di dare informazioni sui beneficiari dei fondi provenienti dal bilancio comune.

Un’ulteriore serie di principi governa l’applicazione delle politiche comuni, da un punto di vi-sta sia gestionale che finanziario. Tra questi principi guida i più significativi sono rappresentati dai seguenti quattro:

- il principio di sussidiarietà, introdotto nel 1992 con il Trattato di Maastricht, che prevede la messa in campo di un’azione comune nelle materie di non esclusiva competenza del-l’UE solo nel caso in cui un intervento condotto ad un livello amministrativo più basso non possa essere considerato più efficiente;

- il principio di proporzionalità, formalizzato in via definitiva con il Trattato di Lisbona, che limita l’azione comune a quanto strettamente necessario al raggiungimento degli obiet-tivi prefissati, ovvero vincola alla scelta dello strumento più appropriato a disposizione per la realizzazione di un determinato obiettivo;

- il principio di addizionalità, che agisce solo su alcune line di azione del bilancio comune, pur essendo estendibile anche ad altri campi di intervento, in base al quale l’intervento fi-nanziario dell’UE non può essere considerato sostitutivo dell’intervento nazionale laddo-ve necessario;

- il principio del valore aggiunto dell’azione europea, spesso richiamato come uno dei prin-cipi guida delle politiche di spesa europee. In realtà, di questo prinprin-cipio non esiste una de-finizione chiara, anche se nella sostanza sembra coincidere con il rispetto congiunto dei due principi di sussidiarietà e di proporzionalità.

In ultimo, molti atti varati dalle istituzioni europee richiamano in più sedi il rispetto del principio della sana gestione finanziaria, basata sul rispetto dei principi di economia, efficienza, ef-ficacia, proporzionalità dei costi amministrativi, trasparenza, diffusione delle informazioni, faci-lità di comprensione e di applicazione delle procedure previste.

2 In realtà, il rispetto di questo principio ha visto nel passato diverse eccezioni, tra cui: la presenza fino al 1970 di più bilanci,

sosti-tuiti successivamente da un documento unico, contenente circa il 95% delle spese effettive; alcune spese connesse alla politica estera e di sicurezza; le attività svolte dalla Banca europea degli investimenti.

Figura

Fig. 1.1 - Evoluzione del bilancio: spesa comunitaria* e incidenza sul RNL (1958-2008)
Fig. 1.2 - Evoluzione delle entrate per la formazione del bilancio comune (%)
Fig. 2.1 - Evoluzione delle spese UE per linea di intervento, 2000/06 - 2007/13 (%)
Tab. 3.1 - Classificazione dei paesi in base alla posizione sulla riforma del bilancio e segno del saldo netto
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