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Tecnici Agrar

Nel documento Annuario 2016/2017 (pagine 83-87)

MARCO DAL RÌ

Dirigente del centro Istruzione Formazione della FEM

Nelle brevi note che seguono cer- cherò di esprimere alcune riflessioni rispetto alla riforma degli Istituti Tec- nici Agrari e quindi rispetto ai nuovi piani di studio previsti dalla riforma stessa. Ritengo che la mia esperien- za di ex allievo, poi di docente e ora di dirigente di un Istituto Tecnico Agrario mi consenta di esprimere un parere sufficientemente fondato e motivato.

Personalmente, credo che la cosid- detta Riforma Gelmini (DPR n.88/2010 per quanto riguarda gli istituti tecnici), nata sicuramente con lo scopo di mi- gliorare l’offerta formativa, non abbia portato al risultato atteso, almeno per quanto concerne appunto l’istruzione agraria. I motivi, probabilmente, sono molteplici e variegati ma sostanzial- mente il mio personale parere è che

questa riforma non ha minimamente tenuto conto delle reali esigenze del mondo agricolo e delle effettive com- petenze richieste ad un giovane pro- fessionista o imprenditore che intenda inserirsi in questo settore. Mi limiterò a portare alcuni esempi senza adden- trarmi in un’analisi particolarmente approfondita; tuttavia credo saranno sufficienti per comprendere le lacune della riforma e la necessità di trovare degli aggiustamenti.

In primo luogo, la proposta delle tre articolazioni che lo studente può sce- gliere dopo il primo biennio comu- ne: articolazione Produzione e Tra- sformazione, articolazione Gestione dell’Ambiente e del Territorio, arti- colazione Viticoltura ed Enologia. Da un punto di vista teorico la proposta

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se andiamo ad analizzare dettaglia- tamente il quadro orario, le discipli- ne proposte e le relative linee guida, possiamo constatare che le differen- ze sono minime e, probabilmente, per un “non addetto ai lavori” nem- meno percettibili. La conseguenza principale di tale prima incongruen- za è la grossa difficoltà che gli Istituti Tecnici Agrari incontrano nel fare l’o- rientamento: in base a quali sostan- ziali differenze è possibile consigliare ad uno studente un percorso rispet- to agli altri? Dalla denominazione sembrerebbe evidente che, mentre l’articolazione Produzione e Trasfor- mazione dovrebbe avere come focus l’impresa agricola quale unità produt- tiva ed i suoi prodotti (anche in ter- mini di trasformati) come risultato di un processo, l’articolazione Gestione ambiente e territorio dovrebbe inve- ce avere come riferimento l’ambien- te, il territorio nel quale non sono inserite solo le aziende agricole; que- ste ultime infatti convivono con una realtà economica produttiva molto più ampia, con tutte le conseguenti ripercussioni ambientali, sociali ed economiche facilmente immaginabi- li. La terza articolazione invece, come dice il nome stesso, dovrebbe avere in anima l’azienda viticola e la canti- na come luogo della trasformazione dell’uva in vino. A questo punto, se noi andiamo a quantificare le ore to- tali dedicate alla specificità di ciascu- na articolazione, ci rendiamo conto che le differenze sono quasi solamen- te nella denominazione dell’articola- zione stessa. Se poi andiamo anche ad analizzare il PECUP (profilo educa- tivo, culturale e professionale) gene- rale del diplomato e quello specifico delle singole articolazioni constatere- mo innanzitutto la sproporzione tra quello che è scritto e ciò che realmen- te i piani di studio consentono di rea- lizzare; e ciò è ancor più vero rispetto al PECUP delle articolazioni.

Volendo analizzare più dettagliata- mente alcuni incongruenze presenti nei piani di studio, ritengo che siano sufficienti pochi esempi ma assai si- gnificativi. In primo luogo il rapporto tra le discipline dell’area comune ri-

spetto a quelle di indirizzo è probabil- mente sproporzionato a favore delle prime: è ben vero che un giovane diplomato deve avere ampie compe- tenze di base, culturali e trasversali quali, tra tutte, la capacità di comu- nicare usando le nuove tecnologie e padroneggiare almeno una seconda lingua comunitaria. Personalmente però ritengo che ciò si potrebbe otte- nere lasciando comunque un po’ più di spazio alle discipline di indirizzo ed utilizzando altre strategie didattiche che favoriscono comunque di rag- giungere alcune competenze di base (ad esempio, i soggiorni all’estero, la metodologia CLIL, l’applicazione delle tecnologie nelle discipline di indirizzo ...). Osservando infatti la distribuzio- ne oraria delle discipline nei nuovi piani di studio si potrebbe dedurre che questi siano stati proposti esclu- sivamente per favorire l’accesso dei giovani diplomati degli Istituti Tecnici all’Università: ora io mi chiedo se è proprio questo l’obiettivo principale degli Istituti Tecnici Agrari; per rag- giungere tale scopo era sufficiente trasformare gli Istituti Tecnici in Licei delle Scienze applicate. Ritengo che il diplomato degli Istituti Agrari dovreb- be rappresentare ancora una risorsa umana indispensabile per permet- tere lo sviluppo dei diversi comparti del settore agricolo e agroalimen- tare nazionale, inserendovisi ad un livello intermedio, soprattutto come imprenditore agricolo competente e competitivo con gli altri settore pro- duttivi. Teniamo presente che gli Isti- tuti Tecnici Agrari hanno un’azienda agraria annessa alla scuola che rap- presenta uno stupendo laboratorio all’aperto dove gli studenti possono affinare la loro formazione e le loro competenze professionali.

Vorrei ora entrare un po’ più nel det- taglio delle discipline di indirizzo e provare a fare alcuni considerazioni: un primo appunto riguarda il confina- mento della Chimica solo nel primo biennio dove, oltretutto, la disciplina è stata notevolmente ridotta rispetto al monte ore del vecchio ordinamen- to. Non è pensabile che alcuni aspetti basilari della Chimica siano affrontati

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I PROTAGONISTI DELLA SCUOLA

solo nel primo biennio (periodo an- cora di obbligo scolastico) quando gli alunni non hanno ancora competen- ze matematiche e fisiche adeguate per comprendere determinati pro- cessi o risolvere alcuni problemi. Inol- tre, tutti coloro che hanno fatto studi agronomici sanno quanto fondamen- tali siano le basi di chimica per com- prendere tutta una serie di fenomeni biologici, biochimici, pedologici: do- vremmo forse concludere che coloro che hanno proposto i nuovi piani di studio forse non ne erano al corrente. Altro grosso neo della riforma è la “scomparsa” della Biologia applicata (la vecchia e affascinante Botanica), normalmente prevista al terzo anno con annesse esercitazioni di labora- torio di microscopia. La Biologia ap- plicata al mondo vegetale consente di ottenere una serie di conoscenze e competenze che poi trovano svi- luppo in quasi tutte le discipline pro- fessionalizzanti (Produzioni vegetali, Biotecnologie, Fitopatologia ecc). Per- sonalmente ritengo questa carenza, assieme a quelle in ambito chimico, un enorme punto di debolezza della riforma.

Vorrei infine citare altre incongruen- ze rilevabili nei nuovi piani di studio degli Istituti Tecnici Agrari: in tutte le articolazioni c’è la disciplina Genio Rurale (sostanzialmente Topografia e Costruzioni). Ora mi chiedo se per un giovane tecnico agrario, in un contesto agricolo come quello attua- le (si pensi solo alle nuove tendenze dell’agricoltura di precisione), siano più utili le  competenze di meccaniz- zazione agricola o quelle connesse al genio rurale.

Qualche altro esempio: nell’artico- lazione Viticoltura ed Enologia sono presenti 9 ore settimanali di Produ- zioni animali contro le 4 ore di Viti- coltura e 4 di Enologia e l’aggravante dell’assenza totale della Chimica eno- logica! Ogni ulteriore considerazione sarebbe superflua: la cosa si com- menta da sé.

Infine, un breve cenno al problema della difesa delle colture (fitoiatria, fitopatologia ed entomologia): per un giovane che opera in agricoltura

(come tecnico della consulenza, come imprenditore et similia) le competen- ze in questo ambito sono essenziali e molto richieste dal mondo opera- tivo. Si pensi, tanto per fare qualche esempio, alle problematiche della sostenibilità ambientale, alla conti- nua introduzione sul territorio na- zionale di nuove patologie e di nuovi fitofagi, alle nuove norme introdotte dal PAN, al controllo delle macchine per i trattamenti, alle problematiche dei trattamenti fitosanitari nelle zone abitate, all’introduzione di nuove tec- niche alternative all’uso dei prodotti fitosanitari. Orbene, tutto questo nei nuovi piani di studio è considerato un’appendice alla materia Produzio- ni vegetali.

Concludo per questioni di spazio, anche se molto ancora ci sarebbe da scrivere. Un cenno al problema delle docenza negli Istituti Agrari: le nuove classi di concorso considerano i do- centi come dei tuttologi in grado di in- segnare qualsiasi disciplina di settore (con il paradosso che in alcuni casi  i docenti non hanno nemmeno soste- nuto l’esame in una o più di quelle discipline nel corso della loro carrie- ra universitaria); è vero che la figura dell’insegnate sta cambiando e sta assumendo nuove sfaccettature, ma credo comunque che presupposto imprescindibile di un bravo docente rimanga sempre una profonda cono- scenza della disciplina che insegna. 

Festa dell’uva a Verla di Giovo foto di Mauro Bragagna

CANTUCCIO

Nel documento Annuario 2016/2017 (pagine 83-87)