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Le tematiche ricorrenti nella produzione artistica trattata

5.6. Il tema del conflitto e l’evoluzione dell’immagine del soldato

A causa del perpetuarsi del conflitto arabo-israeliano, l’esercito è diventato un soggetto predominante e diffusissimo nell’immaginario mediorientale.

Da un lato paradossalmente gli israeliani e i palestinesi desidererebbero vivere una vita normale, come quella degli occidentali, sognando di entrare a far parte del villaggio globale, dall’altro però sono tutt’ora bloccati in una guerra infinita, che fa si che i soldati costituiscano una parte riconosciuta ed integrata nella loro quotidianità. L’immagine del combattente ha rappresentato, fin dagli inizi del Sionismo, la vera incarnazione del nuovo ebreo, quasi volta a rivendicare la debolezza degli ebrei della diaspora, incapaci di difendersi. Il nuovo ebreo sarebbe invece stato virile, capace di lavorare la terra e di combattere, e questo sforzo nel creare una nuova identità e nuovi miti nazionali, oltre ad essere un elemento fondamentale per la cultura emergente ha portato l’esercito ad assumere un ruolo cruciale.

Fin dalla costituzione della Ha-Shomer, La Guardia, cioè la prima organizzazione di difesa nata per proteggere gli insediamenti in Palestina, della Hagana, La Difesa, ed altre organizzazioni paramilitari, come l’esercito israeliano vero e proprio istituito nel 1948, le organizzazioni militari assolvevano innanzitutto una necessità politica, ma assumevano anche l’importante ruolo culturale e sociale di simbolo della nuova nazione. Tant’è che nei decenni appena successivi alla fondazione dello Stato di

232 Chezzi, Federica, op. cit., pp. 17, 18.

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Israele, le immagini dei soldati si ritrovavano ovunque: nei poster, nelle cartoline, nei biglietti, anche negli oggetti ornamentali. Dunque il soldato rappresentava metaforicamente la nazione e di solito era colto non in battaglia, bensì in momenti e atti indispensabili alla creazione del paese, quali l’aiutare gli immigrati, o i contadini nel lavorare la terra.

La prima immagine di soldato che si ricordi, riconosciuto come eroe nazionale dal Sionismo perché morto in battaglia, è quella di Yosef Trumpeldor234. La leggenda narra che le sue ultime parole dichiarassero di come fosse bello e indolore morire per la propria terra. Benché ci sia chi dubita che tale frase possa essere realistica, essa divenne uno dei motti del nascente movimento nazionale ebraico.

L’ideale del sacrificio in battaglia ha acquisito sempre più importanza con l’intensificarsi del conflitto arabo-israeliano, messo particolarmente in risalto nei testi letterari, nelle poesie, nelle opere d’arte, nelle canzoni popolari, nei film, ma anche nelle immagini prodotte dallo stato, come per esempio nei francobolli.

Per due paesi in crescita che affrontavano grosse difficoltà politiche ed economiche, l’esercito era anche l’unica struttura governativa in grado di fornire una certa stabilità. Ogni cittadino credeva nella forza del suo esercito e i giovani spesso intraprendevano la carriera militare, un ottimo trampolino di lancio per una vita di successo, anche nella politica. Si può ribadire che le società israeliana e palestinese fossero veramente collettiviste. Esisteva comunque lo spazio per l’opposizione della stampa, anche attraverso la satira, ma essa non colpiva mai i miti del paese e dunque nemmeno l’esercito. Gli artisti che si rifiutavano di partecipare alla creazione dei miti nazionali, avevano l’unica possibile alternativa di dedicarsi ad un’arte astratta e a tematiche più universali.

Indubbiamente nel corso dell’ultimo ventennio la situazione è profondamente mutata e anche la percezione dell’esercito in Israele e in Palestina è cambiata. Il tempo e il perpetuarsi del conflitto bellico, ad esempio l’intervento cruento dell’esercito israeliano allo scoppio dell’Intifada, hanno eroso l’immagine del guerriero buono, e

234 Fu ufficiale dell’esercito russo. Perse un braccio combattendo contro i giapponesi nel 1905. In

seguito divenne attivista del Movimento Sionista e contribuì all’attivazione di unità ebraiche nell’esercito inglese, le quali parteciparono alle battaglie contro l’Impero Ottomano.

Nel 1920 guidò un gruppo di pionieri a Tel Hai, un’area considerata molto pericolosa e situata nel nord del paese. Il gruppo venne attaccato e otto dei sui membri, Trumpeldor compreso, morirono in battaglia.

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il soldato ha perso la sua connotazione di simbolo nazionale. Con il miglioramento della situazione economica e politica poi, grazie ai vari trattati di pace, in molti hanno adottato un approccio più pacato nei confronti dei miti fondatori del passato dello stato. Gli israeliani hanno talvolta smesso infatti di considerarsi vittime ingiustamente attaccate dagli arabi e ciò ha permesso anche agli artisti di concentrarsi su di una realtà autentica, piuttosto che su di una idealizzazione di essa, quindi sull’immagine del soldato senza riferimenti al suo ruolo storico. Nonostante si tratti di un’immagine ancora molto presente nella cultura, come risulta evidente da numerose opere artistiche, essa ha in parte mutato significato, perdendo il rimando alla virilità maschile delle origini.

I soldati d’oggi sono molto differenti, tutti giovani, resistono ad ogni tentativo di classificazione e non assumono alcun significato simbolico. Si vedono chiaramente nelle fotografie di Emily Jacir, che ha spesso documentato la vita delle sue città. Mentre l’approccio di Sigalit Landau alle immagini del soldato, delle vittime e del conflitto si può definire indiretto e più criptico. Nei suoi lavori riecheggia sempre il richiamo all’inutilità della guerra, ma esso deve essere scoperto e interpretato da chi osserva. Basti pensare all’installazione The Ram in the Ticket (2013) e ai relativi video del 2012 Masik, Four Entered the Grove e A Tree Standing, dove sono presenti la quotidianità (l’attività di raccolta delle olive), i soldati con le armi (il macchinario che percuote gli ulivi), la polvere alzata dalla battaglia e le vittime cadute (le olive a terra)235.

Tali immagini focalizzano tra l’altro il dilemma della cultura israeliana e palestinese d’oggi: i simboli nazionali sono ormai screditati, ma i due paesi sono ancora prigionieri dei conflitti, e spesso i riferimenti identitari sono ancora legati a quei vecchi simboli screditati. Di conseguenza le nostre artiste sono coscienti di non credere più agli idoli del passato, ma tali idoli fanno ancora parte integrante della loro realtà quotidiana236.

235 Si vedano le pp. 58, 59, 95-97 del secondo capitolo di questa tesi. 236 Cats, Ruth, op. cit., pp. 198–203.

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