LA SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE: Le regole di giudizio ex art 425
3.3 Il nuovo criterio di giudizio introdotto dalla riforma Carotti
3.3.2 La teoria dell’Utilità del dibattimento
In base alla teoria dell'utilità del dibattimento, il rinvio a giudizio non richiederebbe necessariamente una prognosi di probabilità della condanna, ma il passaggio sarebbe consentito anche in caso di prova dubbia, a condizione che il contraddittorio dibattimentale appaia in grado di fornire elementi decisivi ai fini della soluzione dell'incertezza. Questa teoria sembra collegarsi alla sentenza costituzionale n. 88 del 1991, dal momento che nelle parole della Corte Costituzionale leggiamo che la regola di giudizio dell’udienza peliminare impone “una valutazione degli elementi acquisiti non più nella chiave dell’esito finale del processo, bensì nella chiave della loro attitudine a giustificare il rinvio a giudizio. Il quadro acquisito viene, cioè, valutato non nell'ottica del risultato dell'azione, ma in quella della superfluità o no dell'accertamento giudiziale, che è l'autentica prospettiva di un pubblico ministero il quale è, nel sistema, la parte pubblica incaricata di instaurare il processo (...) così come è formulata, la norma è, in definitiva, la traduzione in chiave accusatoria del principio di non superfluità del processo”.
La corte ha ribadito questa impostazione nella successiva sentenza n. 71 del 1996, affermando chiaramente che il provvedimento di rinvio a giudizio, anziché trovare il proprio fondamento in una previsione di probabile condanna, deriva dalla necessità di consentire nella dialettica del dibattimento lo
sviluppo degli elementi ancora non chiariti. 92
Secondo Daniele la teoria dell'utilità del dibattimento riporta il problema della prova insufficiente o contraddittoria alla sua corretta dimensione: quando si presenta una situazione simile non si tratta solo di verificare in una prospettiva statica se si debba prosciogliere o meno, ma si tratta di accertare anche, in una prospettiva il più possibile dinamica, se l'incertezza circa la commissione del fatto da parte dell'imputato sia tale da poter essere superata nel contesto di un eventuale dibattimento. La complessità della valutazione prognostica postulata dalla teoria dell'utilità varia a seconda della situazione e, soprattutto, dipende dalla tipologia del materiale a disposizione del giudice.
Pur non potendo tracciare una precisa linea di demarcazione tra le varie ipotesi che possono configurarsi in concreto, possiamo affermare che quando il materiale utilizzabile in udienza preliminare consista in atti di indagine irripetibili, in prove precostituite, in prove assunte con le forme dell'incidente probatorio , la prognosi sulla utilità del dibattimento risulta93 più agevole. In tal caso infatti gli strumenti conoscitivi a disposizione del g.u.p. coincidono con quelli di cui potrà usufruire il giudice del dibattimento, con la conseguenza che la
92 Corte Costituzionale 15 marzo 1996, numero 71 in cui si è anche detto che “ ove la
prova risulti insufficiente o contraddittoria, l'adozione della sentenza di non luogo a procedere potrà dirsi imposta soltanto nei casi in cui sia palese la superficialità del giudizio, vale a dire nelle sole ipotesi in cui è fondato prevedere che l'eventuale istruzione dibattimentale non possa fornire utili apporti per superare il quadro di insufficienza o contraddittorietà
93 La possibilità di esperire l'incidente probatorio nella fase dell'udienza preliminare è
prognosi appare in grado di condurre ad un risultato certo (ad esempio, in presenza di una serie di intercettazioni contrastanti tra loro il giudice potrebbe facilmente formulare una prognosi di inutilità del giudizio: sono prove dalla intrinseca irripetibilità e il contraddittorio dibattimentale non sarebbe idoneo a modificare i termini della valutazione ). 94
Viceversa in presenza di prove costituende o di atti di indagini ripetibili la situazione si complica, poiché la prognosi deve basarsi su elementi che non potranno essere utilizzati in giudizio.
Appare chiaro che questa teoria non implica necessariamente una prognosi di probabilità della condanna e quindi non postula nessuna regola di convertibilità in prova del materiale di indagine. Questa teoria è quella che meglio riesce a conciliare le esigenze di deflazione con le esigenze cognitive sottese al giudizio, riuscendo anche a bilanciare la funzione di garanzia soggettiva con la funzione di garanzia oggettiva e di economia processuale della sentenza di non luogo a procedere, pur tenendo conto del diritto dell'imputato innocente di non essere sottoposto a processo. Essa porta alla previsione di un filtro sufficientemente stretto perché si tuteli anche l'interesse della collettività alla punizione dei colpevoli e alla destinazione delle risorse ordinamentali ai soli processi che necessitano del contraddittorio per la loro conclusione . 95
94 F Caprioli insufficienza o contraddittorietà della prova e sentenza di non luogo a
procedere pagina 309
Daniele sostiene che la regola di giudizio ex art. 425 comma 3, sia stata costruita dal legislatore sulla base delle indicazioni derivanti dalla teoria dell'utilità del dibattimento, dal momento che, esaminando la disposizione, si vede come le formule di proscioglimento non siano collegate tutte sullo stesso piano poichè la formula delineata nella seconda parte del comma 3 è introdotta dalla disgiunzione “o”. Se la teoria della condanna probabile riteneva che questa formula operasse su un livello distinto e autonomo, al contrario proprio la presenza di quel “comunque” mette in luce come in realtà tra quelle due formule di cui si compone il comma 3, non ricorra un rapporto di disgiunzione bensì da specie a genus . La formula dell' 96 inidoneità probatoria, cioè, nel significato che le viene dato dalla teoria dell'utilità del dibattimento appare come una vera e propria formula di genere, da utilizzare nell'interpretazione della formula dell' insufficienza o contraddittorietà della prova, nonché delle formule di proscioglimento previste dagli altri commi dell'art 425 c.p.p . 97
Anche De Robbio non manca di notare che “La prospettiva più interessante offerta attualmente dall'art. 425 c.p.c. nell'interpretazione estensiva che sta cominciando ad affermarsi nella giurisprudenza, soprattutto di merito, è quella di evitare il dibattimento inutile, non da un punto di vista formale ma sostanziale, affiancando il concetto di inutilità in
96 Così in particolare, A. Molari, l'udienza preliminare, pag. 392 97 M. Daniele, op. cit., pag. 69
senso stretto a quello di opportunità della celebrazione del dibattimento. In questo modo si esalta al massimo grado possibile la funzione deflattiva del dibattimento assegnando al giudice per l'udienza preliminare la delicata funzione di verificare, nel merito, i casi in cui la celebrazione del processo porterebbe ad un risultato comunque non proficuo non solo per l'imputato ma anche soprattutto per la parte pubblica. Un processo merita di essere celebrato se ha una ragionevole speranza di giungere ad un esito di condanna, mentre in caso contrario è opportuno non procedere al rinvio a giudizio. Si apre la strada, ad esempio, a procedimenti in presenza di reati non prescritti ma prossimi alla prescrizione, laddove sia è evidente che non sarebbe comunque possibile portare a termine il processo prima dell'estinzione del reato, perché la prescrizione maturerà comunque in un lasso di tempo incompatibile con la celebrazione del dibattimento” . 98
CAPITOLO QUARTO
LA SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE