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The Waves: una tecnica narrativa innovativa

CAPITOLO VI: THE WAVES

4.4 The Waves: una tecnica narrativa innovativa

The Waves è un romanzo sperimentale che abbandona la struttura e la trama tradizionali per concentrarsi sull’interiorità dei personaggi, mostrando i loro pensieri e le loro sensazioni attraverso l’utilizzo di uno stile frammentario, ritmico e poetico. L’innovazione di questo romanzo riguarda ogni aspetto, dalla struttura, alla lingua, ai personaggi, al tipo di composizione, al narratore. The Waves è realizzato seguendo non la logica della trama ma quella del ritmo, ed è come se la narrazione si facesse trasportare da una musica in cui ogni soliloquio inizia con un movimento di Bernard che poi scorre attraverso i discorsi degli altri finché egli non ricomincia un nuovo movimento. Soltanto nella quinta sezione è Neville, e non Bernard, ad introdurre la notizia della morte di Percival. Dai diari emerge chiaramente che Virginia, nel periodo in cui scrive il romanzo, ascolta Beethoven:114 “I do a little work on it in the evening

when the gramophone is playing late Beethoven sonatas” (vol.III, p.139), e più tardi ancora:

It occurred to me last night while listening to a Beethoven quartet that I would merge all the interjected passages into Bernard’s final speech, & end with the words O solitude: thus making him absorb all those scenes, & having no further break. (Vol.III, p.339)

113 J. Utell, in “Meals and Mourning in Woolf's The Waves”, in College Literature ,vol. 35, no. 2, 2008, pp. 1-19, analizza la stretta relazione tra il cibo e il lutto, identificando The Waves con un’elegia. I sei personaggi dell’opera sono costretti a confrontarsi con la morte e con l’esperienza del lutto e lo fanno attraverso momenti rituali che li unisce tutti davanti ad un tavolo. Infatti, la cena finale, che avviene dopo la morte di Percival, viene interpretata da Utell come un lutto o un funerale, un momento di comunione e consolazione.

114 Diversi critici si sono occupati del legame tra la musica e The Waves: P. Jacobs in “‘The Second Violin Tuning in the Ante Room’: Virginia Woolf and Music”, in The Multiple Muses of Virginia Woolf, edited by Diane F. Gillespie, Columbia, Univ. of Missouri Press, 1993, pp. 227-260, mostra una cronologia completa degli artisti che hanno influenzato Virginia, facendo notare che i Woolf nel 1939 e 1940 ascoltavano sistematicamente i quartetti di Beethoven. Inoltre, B.K. Scott in “The Subversive Mechanics of Woolf’s Gramophone in Between the Acts”, in Virginia Woolf in the Age of Mechanical

Reproduction, edited by Pamela L. Caughie, New York, Garland Publishing, 2000, pp. 97–113, nota

che Leonard possedeva un diario musicale datato 1939-69 in cui la maggior parte delle opera musicali sono di Beethoven e Mozart.

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Inoltre, Virginia conosce J.W.N. Sullivan, citato nel diario già dal 18 dicembre 1921. Sullivan, nello studio intitolato Beethoven: His Spiritual Development (1927), presenta diversi elementi che possono essere ricollegati a The Waves, poiché i soliloqui del romanzo sono organizzati come fossero detti in simultaneità, come in un’orchestra. Oltre a ciò, come sostiene Elicia Clements,115 gli Opus 130 e 133 di Beethoven hanno

una storia importante nel collegamento con The Waves: in essi vengono aggiunti altri movimenti al quartetto d’archi, passando così da quattro a sei. In entrambi i quartetti, ognuno esegue una parte unica ma interconnessa con il tutto, la stessa interconnessione che c’è nel romanzo tra i sei personaggi. Altro elemento interessante è l’utilizzo da parte della Woolf del termine “interludio” che nella terminologia musicale identifica l’elemento di connessione, dato dalla musica suonata o cantata, tra le parti principali di un’opera. Inoltre, come nota Gerald Levin,116 nei quartetti c’è un movimento che si

irradia partendo da un’esperienza centrale, esattamente come i sei personaggi si sviluppano attorno ad un centro silenzioso che è Percival. Questo stile ritmico e musicale serve a dare l’idea di una continuità, di un qualcosa che sembra non finire mai, come le onde del mare.

Altro elemento di novità del romanzo è costituito dal punto di vista della narrazione, argomento su cui la Woolf si interroga per ben tre anni e mezzo. Le domande e riflessioni sul tema emergono chiaramente dal diario:

Yesterday morning I made another start on The Moths, but that wont be its title. & several problems cry out at once to be solved. Who thinks it? And am I outside the thinker? One wants some device which is not a trick. (vol.III, p.257)

Domande che trovano risposta il 20 agosto dell’anno seguente:

The Waves is I think resolving itself (I am at page 100) into a series of dramatic soliloquies. The thing is to keep them running homogeneously in & out, in the rhythm of the waves. Can they be read consecutively? (vol.III, p.312)

Il romanzo, così chiamato per convenzione ma in realtà più vicino per la sua musicalità ad un’opera poetica,117 è formato da nove capitoli, ognuno dei quali preceduto da un

115 E. Clements, “Transforming Musical Sounds into Words: Narrative Method in Virginia Woolf’s The

Waves, in Narrative, vol. 13, no. 2, 2005, pp. 160-181.

116 G. Levin, “The Musical Style of The Waves”, in The Journal of Narrative Technique, vol. 13, no. 3, 1983, pp. 164–171.

117 La stessa Virginia il 7 novembre 1928 nel suo diario definisce The Waves “a playpoem” (vol. III, p.203).

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interludio in cui viene descritto l’ambiente da narratore onnisciente, quindi in un stile impersonale in cui egli non interviene, seguito da una narrazione in prima persona dei personaggi. La Woolf sembra qui utilizzare la forma tradizionale del discorso diretto utilizzando le virgolette e l’espressione “said” per indicare chi sta parlando. In realtà, questa forma tradizionale non registra un dialogo tra i protagonisti, come ci aspetteremmo, e non può essere nemmeno individuato il flusso di coscienza, poiché non c’è la sintassi convenzionale ed il modo di parlare dei personaggi, il vocabolario e il ritmo118 utilizzati non cambiano da quando i personaggi sono bambini a quando invece sono adulti. I soliloqui presentano i protagonisti direttamente al lettore e il punto di vista rimane sempre il loro, senza l’intermediazione dell’autore o del narratore. Il soliloquio, a differenza del monologo interiore, sembra essere più coerente, poiché presuppone la presenza di un pubblico al quale comunicare sensazioni e idee legate all’azione, mentre nel monologo interiore viene presentato tutto in maniera disordinata e senza nessi perché si segue il flusso dell’interiorità e i personaggi si rivolgono a se stessi. Il nono soliloquio si lega al primo tramite la stessa immagine, il sole che non si era ancora levato nel primo interludio, nel nono è tramontato, ma si differenzia dagli altri per alcuni aspetti: mentre i primi otto interludi si aprono sempre con l’espressione “The sun”, nel nono viene introdotto “Now” prima di “the sun”, come a voler esprimere l’idea di conclusione; si caratterizza per una narrazione onnisciente al passato, a differenza degli altri che vengono narrati al presente indicativo e in prima persona; inoltre l’ultimo episodio è concentrato su un’unica figura, Bernard, che riassume la storia dall’inizio con un racconto al passato per poi commentarlo al presente.

A proposito del punto di vista narrativo è interessante notare l’immagine di una donna misteriosa e senza nome seduta alla finestra a scrivere. Chi è questa figura? Il narratore onnisciente? La “Lonely Mind”? O la “mind thinking”? Nel maggio 1929 Virginia, riflettendo sulla “mind thinking”, si domanda: “But who is she? I am very anxious that she should have no name. I dont want a Lavinia or a Penelope: I want ‘She’” (vol. III, p.229). Sembrerebbe allora che la donna sia o ciò che è rimasto del

118 J. F. Stewart, in “Existence and Symbol in The Waves”, in Modern Fiction Studies, vol. 18, no. 3, 1972, pp. 433-447, individua quattro tipi di ritmi: il ritmo delle parole che “fall and rise, and fall and raise again” (p.247), il ritmo che segue “opening, shutting; shutting, opening” (p.218), il ritmo del susseguirsi delle generazioni in cui “we come up differently, for ever and ever” (p.94), e il ritmo del processo della vita in cui ogni giorno “spreads the same ripple of well-being, repeats the same curve of rhythm” (p.218-219).

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narratore onnisciente delle prime stesure o l’autrice, o meglio un doppio dell’autrice che sta scrivendo The Waves.119 La conferma che la donna è l’autrice sembra arrivare

dal collegamento che esiste tra le parole di Bernard “At Elvedon the gardeners swept and swept, and the woman sat at a table writing” (p.12) e le parole del diario, in cui Woolf sostiene che scrivere questo romanzo “is like sweeping over an entire canvas with a wet brush” (vol.IV, p.25).

La Woolf durante la scrittura del romanzo sostiene diverse volte di volersi concentrare sull’essenziale, tralasciando gli elementi esteriori e facendo risaltare l’interiorità dei personaggi. Proprio per questo, in The Waves cambia il modo di rappresentare i personaggi: se tradizionalmente essi vengono presentati attraverso una descrizione fisica e psicologica e inseriti in una serie di eventi che ci permette di capire e avere una visione completa della loro personalità, nel romanzo della Woolf gli interludi mostrano soltanto una descrizione del paesaggio circostante che però non aggiunge altro su aspetti e particolarità dei personaggi. Il luogo in cui avviene l’azione non viene mai descritto o menzionato, c’è solo una descrizione del paesaggio e del sole negli interludi. Infatti, se in Mrs Dalloway e To the Lighthouse è possibile ancora individuare degli aspetti legati al mondo fisico, esteriore, in The Waves il mondo materiale è ridotto al minimo e tutto è rivolto all’interiorità. Nelle opere precedenti della Woolf viene ancora mostrato un personaggio complesso, vario e multiforme, al contrario in The Waves ogni personaggio rappresenta un unico aspetto, un’unica sfaccettatura e un unico punto di vista. Anzi, non sono nemmeno dei veri e propri personaggi, come lei stessa afferma nel diario ma piuttosto delle entità, delle figure: “Odd, that they (The Times) praise my chacarters when I meant to have none” (vol.IV, p.47). Conosciamo le vite dei personaggi in una successione di soliloqui che sono

119 J. W. Graham, in “Point of View in The Waves: Some Services of the Style”, in University of Toronto

Quarterly, vol. 39, no. 3, 1970, pp. 193-211, si occupa del tipo di narrazione adottato nelle versioni

avantestuali di The Waves. Analizzando la prima stesura, le prime pagine sono scritte attraverso il punto di vista di un narratore onnisciente che parla in prima persona anche se la narrazione è impersonale e potrebbe essere quella del narratore o dell’autore. Ad un certo punto si passa dal narratore al punto di vista dell’autore, e la figura del narratore diventa sempre più debole man mano che si va avanti, anche se Virginia continua a parlare di una “mente” anonima che rende ancor più difficile capire se la Woolf sia separata dalla figura che parla nel romanzo. Nel primo manoscritto i personaggi non si esprimono quasi in prima persona e, quando lo fanno è solo un breve momento introdotto da espressioni come “told” o “thought”. Quando la Woolf inizia a scrivere l’episodio della cena di addio, il modo di esprimersi dei personaggi cambia per avvicinarsi alla versione definitiva, anche se all’inizio c’è ancora una narrazione in terza persona e quando ci sono delle conversazioni si tratta di dialoghi e non di una narrazione che avviene nella mente. Soltanto durante la seconda stesura Virginia scrive nel diario di aver risolto in una serie di soliloqui drammatici.

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rivolti soltanto verso il lettore, non ci sono dialoghi o conversazioni tra di loro ma si esprimono su esperienze condivise.

La volontà di Virginia di creare dei personaggi mostrando soltanto i loro tratti essenziali la spinge, per concentrare la narrazione, ad utilizzare similitudini, riferimenti mitologici e metafore. Molto spesso i personaggi sono arricchiti di significati metaforici che ci danno un’idea più precisa della loro personalità:

I see Louis, stone-carved, sculpturesque; Neville, scissor-cutting, exact; Susan with eyes like lumps of crystal; Jinny dancing like a flame, febrile, hot, over dry earth; and Rhoda the nymph of the fountain always wet. (p.96)

La Woolf utilizza diverse immagini legate all’Egitto, soprattutto con Louis e Rhoda. Louis sostiene di essersi reincarnato e di aver avuto diverse vite precedenti nella Grecia classica, nell’Inghilterra elisabettiana, nella Francia di Luigi XIV e nell’antico Egitto. Infatti, vede se stesso come una statua di pietra nel deserto egiziano; dice di aver trovato le sue reliquie “in the sand that women made thousands of years ago, when I heard the songs by the Nile” (p.104), vede donne con anfore rosse andare al fiume, cammelli, uomini con il turbante e assume le caratteristiche di un albero, come Osiride, dio delle vegetazione:

I hold a stalk in my hand. I am the stalk. My roots go down to the depths of the world, through earth dry with brick, and damp earth, through veins of lead and silver. I am all fibre. All tremors shake me, and the weight of the earth is pressed to my ribs. Up here my eyes are green leaves, unseeing. (p.7)

I am green as a yew tree in the shade of the hedge. My hair is made of leaves. I am rooted to the middle of the earth. My body is a stalk. I press the stalk. A drop oozes from the hole at the mouth and slowly, thickly, grows larger and larger. (p.8)

Per quanto riguarda Rhoda, invece, mentre è a scuola, durante una lezione di matematica, immagina il deserto dell’Egitto:

The figures mean nothing now. Meaning has gone. The clock ticks. The two hands are convoys marching through a desert. The black bars on the clock face are green oases. The long hand has marched ahead to find water. The other, painfully stumbles among hot stones in the desert. It will die in the desert. (p.15)

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Viene anche identificata con “the nymph of the fountain always wet” (p.96),120

possibile riferimento ad Iside, dea del mare, le cui lacrime provocarono un’inondazione del Nilo. Altro riferimento all’Egitto si ha attraverso le parole “Pools lie on the other side of the world reflecting marble columns. The swallow dips her wing in dark pools” (p.85). Inoltre, Rhoda si fidanza con Louis, ricordando l’unione di Iside e Osiride. Attraverso queste immagini la Woolf mostra le sensazioni di Louis di essere legato al passato, di non riuscire a liberarsene, infatti spesso dice “I hear something stamping”, “I hear something stamping. A great beast’s foot is chained” (p.5), metafora del suo essere incatenato al passato.

Ci sono poi diversi riferimenti metaforici:121 Rhoda è identificata con un uccello solitario, infatti riesce a sentire “the birds sang in chorus. But one sings by the bedroom alone” (p.6), metafora della sua timidezza e solitudine, mentre il suo viso viene descritto da Jinny come “mooning, vacant, completed like those white petals she used to swim in the bowl” (p.31). Inoltre, la sua fine è anticipata già dalle parole “Unless I can stretch and touch something hard, I shall be blown down the eternal corridors forever” (p.130), “life emerges heaving its dark crests from the sea” (p.50) che alludono alla morte. L’essere di Jinny emerge invece chiaramente dalle seguenti parole di Bernard:

There was no past, no future, merely the moment in its ring of light and our bodies; the inevitable climax, the ecstasy. She was like a crinkled poppy, febrile, thirsty of the desert to drink dust. Darting. Angular, not the least impulsive, she came prepared. So little flames zigzag over the cracks of the earth. (p.211)

Per Jinny non ci sono passato e futuro, per lei esiste solo il presente, vive giorno per giorno una vita di sensazioni esagerate legate completamente al suo corpo, ha bisogno di essere al centro dell’attenzione, di essere ammirata e desiderata da tutti. Vive quasi un’esistenza animalesca, in cui a prelevare è l’istinto. Altri significati vengono utilizzati con il personaggio di Susan: la sua prima esperienza del sentimento

120 La ninfa della fontana ricorda anche Aretusa, dea di cui il Alfeo si era innamorato guardandola fare il bagno. Per sfuggirgli, Aretusa scappa sull’isola di Ortigia dove Artemide la trasforma in una fontana. Di conseguenza Zeus trasforma Alfeo in fiume per potersi unire alla sua amata.

121 G. Beer nell’introduzione a V. Woolf, The Waves, Oxford, Oxford University Press, 1992, analizza le allusioni letterarie presenti nel romanzo. L’immagine iniziale del braccio disteso all’orizzonte richiama il Tennyson di “The Passing of Arthur”: “an arm/Clothed in white samite, mystic, eonderful”; altro riferimento è ad Arnold, la cui elegia per l’amico Clough, “Thyrsis”, è concentrata sulla ricerca di un albero che in The Waves diventa l’“immitigable tree”; la poesia di Shelley “The Indian Serenade” diventa parte dell’espressione fisica di Rhoda; Catullo viene evocato più volte attraverso l’espressione “Odi et amo” di Susan; inoltre ci sono diversi riferimenti a “The Triumph of Life” di Shelley.

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dell’invidia avviene quando Jinny bacia Louis, emozione che emerge chiaramente dalle parole “the yellow warmth in my side, turned to stone when I saw Jinny kiss Louis” (p.10). È chiara anche l’immagine del fazzoletto appallottolato come metafora della soppressione dei sentimenti: “Now I will wrap my agony inside my pocket handkerchief. It shall be screwed tight into a ball” (p.9), un mix di odio e amore nei confronti del mondo e delle persone che la accompagneranno per tutta la vita. Neville viene invece indentificato col coltello, simbolo che spesso viene utilizzato dalla Woolf come sinonimo di intelletto. Neville è intelligente, è un intellettuale, trascorre molto tempo sui libri e cerca di dare ordine al caos attraverso l’arte. Bernard è il narratore, il personaggio principale, colui che tiene uniti i personaggi come in una ragnatela, come l’immagine che si presenta ai suoi occhi all’inizio del romanzo: “Look at the spider’s web on the corner of the balcony. It has beads of water on it, drops of white light” (p.5). Bernard non crede nella separazione, si vede come un tutt’uno con gli altri, infatti l’idea di unione compare diverse volte nel testo: “But when we sit together, close…we melt into each other with phrases. We are edged with mist. We make an unsubstantial territory”, (p.17) “I do not believe in separation. We are not single”. Bernard è un “many-sided self”, non è uno soltanto, è molte persone, è tutti i personaggi, confermato dall’immagine del fiore a sette petali: “a seven-sided flower, many-petalled, red puce, purple-shaded, stiff with silver-tinted leaves- a whole flower to which every eye brings its own contribution” (p.104).