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Virginia Woolf: la narrazione di sé come terapia del trauma

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUE E LETTERATURE

MODERNE EUROAMERICANE

TESI DI LAUREA

Virginia Woolf: la narrazione del sé come terapia del trauma

CANDIDATO

RELATORE

Valeria Iacopino

Chiar.mo Prof. Fausto Ciompi

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INDICE

CAPITOLO I ... 1

1.1 Contesto storico e sociale: il Modernismo ... 1

1.2 Virginia Woolf: cenni biografici ... 5

1.3 In bilico tra creazione letteraria e instabilità psichica ... 8

1.4 Le opere di Virginia Woolf ... 14

CAPITOLO II: MRS DALLOWAY ... 24

2.1 L’evoluzione del concetto di trauma e la nascita dei Trauma Studies ... 24

2.2 Introduzione alla nascita di Mrs Dalloway: da The Hours al romanzo definitivo ... 31

2.3 Viaggio nelle caverne dell’interiorità ... 36

2.4 L’espressione del tempo oggettivo: il Big Ben ... 39

2.5 Clarissa e Septimus: gli opposti complementari ... 42

2.6 Mrs Dalloway e l’analisi della società contemporanea ... 47

2.7 Il rapporto tra medico e paziente: la malattia secondo Holmes e Bradshaw ... 49

2.8 Influenze e riferimenti letterari ... 51

CAPITOLO III: TO THE LIGHTHOUSE ... 54

3.1 Il potere della scrittura: la narrazione del sé come terapia del dolore ... 54

3.2 Dal disegno al romanzo definitivo di To the Lighthouse ... 57

3.3 Personaggi, tempo, immagini: To the Lighthouse e Mrs Dalloway ... 65

3.4 To the Lighthouse: opposizioni complementari ... 68

3.5 Tecnica narrativa e simbolismo in To the Lighthouse ... 71

3.6 Allusioni letterarie, filosofiche e mitologiche: To the Lighthouse in prospettiva intertestuale... 76

CAPITOLO VI: THE WAVES ... 80

4.1 Un lungo periodo di incubazione: l’evoluzione di The Waves ... 80

4.2 La struttura del romanzo ... 83

4.3 La vita di Virginia Woolf attraverso i personaggi di The Waves ... 85

4.4 The Waves: una tecnica narrativa innovativa ... 95

4.5 Similitudini e differenze tra The Waves, Mrs Dalloway e To the Lighthouse... 101

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CONCLUSIONI ... 104 BIBLIOGRAFIA ... 107

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CAPITOLO I

1.1 Contesto storico e sociale: il Modernismo.

L’Inghilterra del primo Novecento è segnata da un periodo di dura polemica contro le ipocrisie e convenzioni dell’era vittoriana e da un nuovo modo di percepire la realtà che porta a un profondo cambiamento in tutti gli aspetti, da quello storico, sociale a quello personale. Le cause di questi mutamenti sono da ricercare nella situazione di preoccupazione e scontento generale provocato dai due conflitti mondiali e dalla successiva crisi economica, dal crollo dei canoni tradizionali, dagli studi di Einstein, Nietzsche, Freud e Bergson e dall’espansione dell’istruzione con il conseguente incremento di scrittori che chiedono nuove forme di espressione.

Sul piano culturale prende avvio il periodo del Modernismo, movimento contraddistinto dalla comparsa di una serie di avanguardie che investono ogni campo, dalla letteratura, all’arte, alla musica, al cinema, il cui scopo comune è il rinnovamento e la modernità. La data di inizio del Modernismo viene da alcuni fissata al 1900, anno della pubblicazione de L’Interpretazione dei sogni di Freud, mentre al 1901, anno della morte della regina Vittoria, segue ufficialmente la conclusione di un’epoca. Con la scomparsa della regina viene meno quel sistema di valori convenzionali e tradizionali specchio di un’intera società. Il Modernismo è soprattutto un’epoca di smarrimento, caratterizzata dalla sensazione che quanto prima era solido adesso non lo è più. La presa di coscienza della labilità dell’individuo è alla base della rivoluzione delle forme iniziata a Londra nella pittura. Le grandi esposizioni postimpressioniste organizzate da Roger Fry insieme ad altri esponenti del Bloomsbury Group nel 1910 e 1912 nascono proprio con lo scopo di mostrare un nuovo modo di cogliere la realtà, che rifiuta la rappresentazione mimetica a favore di immagini frammentate, sovrapposte e deformate, espressione non del visibile bensì del percettibile. La pittura postimpressionista, e poi quella futurista e cubista, scatenano la provocazione attraverso l’utilizzo di forme di rappresentazioni alternative, conseguenza di una cultura ormai completamente in crisi.

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In questa situazione di disorientamento a dare ulteriore instabilità c’è il conflitto mondiale che se, da un lato, porta ad una crescita nello sviluppo industriale con il conseguente incremento della richiesta di lavoro, la scomparsa della disoccupazione e l’aumento dei salari, dall’altro lato sottolinea la fragilità degli uomini che, impegnati al fronte, iniziano a sviluppare i sintomi comuni a volte all’isteria femminile. Esattamente come le isteriche, i soldati sono considerati dei simulatori e per questo sottoposti a quelle procedure già utilizzate per la cura delle donne, tra cui l’isolamento, l’ipnosi, le diete forzate e l’elettroshock, una pratica violenta che doveva spingerli a tornare in trincea.

Superata la fase di queste pratiche, si comincia a introdurre un trattamento rivoluzionario e soprattutto non violento: la terapia psicoanalitica di Freud. La psicoanalisi è una pratica che consiste nell’indagare gli elementi che sono stati rimossi dalla coscienza dell’individuo, elementi che devono essere affrontati ed elaborati dando libero sfogo alla parola e al flusso dei pensieri, per poi arrivare all’origine del trauma. Viene così scoperto l’inconscio, in cui si conservano le rappresentazioni mentali che, vissute come inaccettabili, vengono allontanate dalla coscienza. Con l’esplorazione dell’inconscio il genere umano si rende conto di essere guidato da istinti e pulsioni razionalmente non controllabili.

Alla debolezza degli uomini immobilizzati dal disturbo da stress post-traumatico1

si contrappone la forza delle donne: la mancanza del sesso forte costringe le signore a sostituire l’uomo in ogni campo, dimostrando di non essere soltanto donne di casa e accelerando così il processo di emancipazione. Grazie anche alle cosiddette Suffragette, esponenti del movimento di emancipazione femminile, nel 1918 viene approvato il diritto di voto per le donne che abbiano compiuto i 30 anni, e nel 1928 a tutte le donne con età superiore a 21 anni.

A tutte queste novità segue inevitabilmente un cambiamento nella forma e nei contenuti dei generi letterari, innovazione che trova spazio soprattutto nel romanzo

1 Il termine originario per indicare questa patologia è shell-shock, coniato dagli stessi soldati per indicare lo shock da esplosione e utilizzato per la prima volta nella letteratura scientifica tra la fine del 1915 e l’inizio del 1916. All’inizio si pensava che la patologia fosse dovuta ad una lesione cerebrale provocata dall’urto. Successivamente, aumentando il numero di soldati con gli stessi sintomi pur non avendo lesioni alla testa, si intuisce l’origine psicologica fino a considerarla nevrosi traumatica. Come osserva F. Reid, in Broken Men: Shell Shock, Treatment and Recovery in Britain 1914-30, London, Bloomsbury, 2011, all’inizio la comunità medica britannica sottovalutò lo sviluppo di questa patologia sconosciuta, finché tra l’aprile 1915 e l’aprile 1916 non si contarono 1300 ufficiali e 10000 soldati di vario grado negli ospedali della Gran Bretagna.

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che, allontanandosi dalla rappresentazione del sistema di valori tipico della realtà borghese, assume lineamenti completamente nuovi. Fra gli elementi distintivi del romanzo moderno ricordiamo la dissoluzione della sovranità del narratore, dell’intreccio lineare, dell’oggettività e della concezione tradizionale di tempo e spazio.

Il ͗900 si apre con una nuova concezione del tempo grazie alle teorie del filosofo francese Henri Bergson. Bergson distingue il tempo fisico, dato dalla scansione dell’orologio e da una successione di attimi lineari, omogenei e ripetibili, e il tempo della coscienza che al contrario è soggettivo e disomogeneo. Pertanto, all’oggettività del Naturalismo si sostituisce una visione soggettiva in cui nessuno può essere interprete attendibile della realtà. Si sviluppa così una narrativa che descrive scene di vita quotidiana nelle quali non succede quasi nulla, quel nulla che però può avere effetto sull’interiorità e sulla psiche dei personaggi. Esprimere l’interiorità e i suoi meccanismi irrazionali significa riprodurre i pensieri senza alcun nesso logico-cronologico con la conseguente descrizione di dati frammentari e caotici, come accade nel monologo interiore o nello stream of consciousness.

Virginia Woolf si forma in questo ambiente di novità, di profondo cambiamento e di insoddisfazione nei confronti della letteratura del passato. A tal proposito scrive due saggi, “Modern Fiction” del 1919 e “Mr. Bennet and Mrs. Brown”2 del 1924, in

cui mostra un atteggiamento rivoluzionario nei confronti del romanzo tradizionale. La scrittrice sostiene che “on or about December 1910 human character changed”,3 un

cambiamento che riguarda ogni campo, dalla religione, ai costumi, alla politica e alla letteratura. Per spiegare in maniera pratica il contesto letterario in cui vive prende come spunto un viaggio in treno da Richmond a Waterloo di due personaggi chiamati Mr. Smith e Mrs. Brown. Secondo la Woolf questa scena, descritta da scrittori di nazionalità diverse, avrebbe diverse versioni: un narratore inglese si concentrerebbe sulle stranezze e gli artifici, sui bottoni, fiocchi e verruche della signora facendole dominare la scena; uno scrittore francese darebbe una visione più universale della natura umana sacrificando la figura della signora; un romanziere russo mostrerebbe l’anima di Mrs. Brown, un’anima solitaria con terribili domande sulla vita. La

2 “Mr Bennett and Mrs Brown” nasce come risposta a “Is the Novel Decaying?”, articolo di Bennett pubblicato sul Cassell’s Weekly il 28 marzo 1923, in cui lo scrittore dichiara che la base di un buon romanzo è la creazione di personaggi reali, personaggi che, secondo lui, non sopravvivono nella mente di chi legge Jacob’s Room di Virginia.

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descrizione della signora cambia ancora, oltre che in base alla nazionalità, anche a seconda del carattere e dell’età dell’autore.

Virginia Woolf non condivide il pensiero di Arnold Bennett, rappresentante degli autori edoardiani, secondo il quale il compito di uno scrittore è quello di rendere i personaggi più reali possibile. Quello che lei vede in queste narrazioni è soltanto un insieme di descrizioni minuziose e materialiste di dettagli esteriori, come nel caso di Hilda Lessways, che in realtà non dicono nulla dell’anima e dell’essenza dei personaggi. Gli edoardiani (H.G. Wells, J. Galsworthy e A. Bennett) rimproverano ai georgiani la mancanza di personaggi realisti; al contrario, i georgiani (E.M. Forster, D.H. Lawrence, L. Strachey, J. Joyce, T.S. Eliot) accusano gli edoardiani di non parlare mai dei personaggi.

Il viaggio da Richmond a Waterloo può allora essere interpretato non come un semplice viaggio in treno, ma come il passaggio da un’era letteraria a un’altra. L’era vissuta da Virginia Woolf mette in evidenza la psicologia e la soggettività dei personaggi e tutte quelle impressioni che fluiscono in maniera disordinata e frammentaria:

Examine for a moment an ordinary mind on an ordinary day. The mind receives a myriad impressions ̶ trivial, fantastic, evanescent, or engraved with the sharpness of steel. From all sides they come, an incessant shower of innumerable atoms; and as they fall, as they shape themselves into the life of Monday or Tuesday, the accent falls differently from of old; the moment of importance came not here but there; so that, if a writer were a free man and not a slave, if he could write what he chose, not what he must, if he could base his work upon his own feeling and not upon convention, there would be not plot, no comedy, no tragedy, no love interest or catastrophe in the accepted style (…). Life is not a series of gig lamps symmetrically arranged; life is a luminous halo, a semi-transparent envelope surrounding us from the beginning of consciousness to the end.4

L’idea di letteratura della Woolf, a differenza di scrittori come Bennett e Galsworthy, è lontana da qualsiasi tipo di realismo tradizionale o di materialismo. Non le interessano matrimoni e macchinazioni sociali, il trito tran tran della vita materiale quotidiana, ma la ricca fenomenologia della vita interiore del soggetto.

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5 1.2 Virginia Woolf: cenni biografici.

Artista affascinante quanto fragile e complessa, Virginia Woolf è una delle figure più significative del ͗900. Scrittrice, saggista e icona del movimento femminista, Adeline Virginia Stephen nasce a Londra il 25 gennaio 1882 da Leslie Stephen, celebre critico letterario, storiografo e autore del Dictionary of National Biography, e Julia Princep Jackson, modella per pittori. Dalla loro unione nascono anche Vanessa, Thoby e Adrian, ai quali si aggiungono i figli avuti dai rispettivi matrimoni precedenti: George, Stella, Gerald e Laura; quest’ultima, figlia di Leslie, viene presto ricoverata in clinica a causa dei problemi mentali.

Come da tradizione vittoriana, le due sorelle vengono educate in casa e fin da subito immerse in un ambiente ricco di libri e di scrittori, critici e intellettuali. Leslie stimola i figli raccontando storie avventurose, recitando poesie e leggendo romanzi ad alta voce per poi chiedere la loro opinione. Lo studio e lo svago sono attività che alle sorelle sono concesse durante la mattinata, mentre il pomeriggio e la sera devono dedicarsi alla casa, a preparare il tè e intrattenere gli ospiti mostrandosi sempre amabili e cortesi, buone maniere nelle quali ogni donna dell’epoca deve essere maestra.

Grazie alla biblioteca di famiglia Virginia scopre la sua passione mostrandosi sin da piccola abile con la scrittura: a soli 9 anni, insieme al fratello Thoby, inizia a scrivere l’Hyde Park Gate News,5 una piccola rivista settimanale che racconta gli

eventi quotidiani della famiglia fino all’aprile del 1895. La rivista, letta poi dai genitori, dà inizio a quell’ansia e quel turbamento che la accompagnano ad ogni pubblicazione. L’agitazione deriva anche dalla possibilità di poter sbirciare le reazioni dei lettori grazie ad una stanza fatta completamente di vetro. Nel gennaio 1896 torna a scrivervi in maniera più cosciente e adulta, evitando di esporsi troppo e occupandosi di temi più seri, concludendo i testi con la malattia della madre e la partenza dei fratelli all’estero.

La vita di Virginia è in poco tempo attraversata da una serie di sconvolgimenti: nel 1895, quando ha soli 13 anni, viene a mancare la madre, nel 1897 muore la sorellastra Stella e nel 1904 il padre. Con la perdita di Julia la situazione non è per niente facile: oltre a venir meno quel punto di riferimento per tutta la famiglia, Leslie,

5 In “Hyde Park Gate News”, in Literature Compass 4/1, 2007, pp. 243–251, G. Lowe descrive l’Hyde

Park Gate News che i fratelli Stephen scrissero dal 6 aprile 1891 ai primi mesi del 1895. Il manoscritto

è conservato alla British Library di Londra ma non sono sopravvissute copie del periodo che va dal 1893 al 1894. Quasi tutte le parti sono scritte da Vanessa, mentre Virginia è l’autrice della maggior parte della rivista con qualche passaggio scritto da Thoby.

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già insicuro malgrado il sostegno fornito dalla moglie, diventa intollerabile, possessivo e sempre bisognoso di consolazione. La difficoltà di avere accanto a sé un padre con un carattere così complesso è evidente dalle parole scritte dalla Woolf al nipote: “We made him the type of all that we hated in our lives; he was the tyrant of inconceivable selfishness”,6 un autoritario del quale riescono a liberarsi soltanto alla sua morte:

Father’s birthday. He would have been 96, 96, yes, today; and could have been 96, like other people one has known: but mercifully was not. His life would have entirely ended mine. What would have happened? No writing, no books; ̶ inconceivable.7

Rimasti orfani e volendo probabilmente prendere le distanze da un passato doloroso, Virginia e i fratelli si trasferiscono nell’autunno del 1904 in una nuova casa in città al numero 46 di Gordon Square, centro del circolo più esclusivo e anticonformista del ͗900, il cosiddetto Bloomsbury Group. Il Gruppo di Bloomsbury non fu un movimento ma una semplice comitiva di amici, tra cui Lytton Strachey, Clive Bell, Roger Fry, E.M. Forster, John Maynard Keynes, Leonard Woolf, Vanessa e Thoby, il cui scopo era quello di superare le limitazioni e costrizioni della cultura vittoriana ed edoardiana in ambito politico, religioso, artistico e morale. Gli apostoli, guidati dai Principia Ethica del filosofo G.E. Moore, sono antimonarchici, scettici nei confronti della religione e contrari a ogni tipo di discriminazione sessuale. Le diverse personalità si incontrano regolarmente nelle loro case per discutere di qualsiasi materia: attualità, letteratura, arte, politica, economia, parlando apertamente anche di argomenti tabù come il sesso. Un altro aspetto importantissimo alla base dei principi del Bloomsbury Group è la rivendicazione della scrittura femminile, portando così alla luce quelle voci per molto tempo represse. Gli incontri hanno un forte effetto positivo su Virginia, tanto da spingerla a una maggiore libertà, a superare la sua timidezza e affrontare il pubblico e il suo giudizio.

Questo periodo di tranquillità viene però ben presto sconvolto da due eventi rilevanti: la morte di Thoby, dolore da cui è molto difficile riprendersi, e il matrimonio di Vanessa. Sopraffatta dalla solitudine, dalla gelosia e da un attaccamento morboso nei confronti della sorella, Virginia vuole a tutti i costi entrare a far parte del nucleo familiare e, per sentirsi in qualche modo più vicina, inizia un flirt con il cognato Clive

6 V. Woolf, Moments of Being, St Albans, Panther Books, 1978, p. 65.

7 V. Woolf, A Writer’s Diary:Being Extracts from the Diary of Virginia Woolf, edited by Leonard Woolf, London, Hogarth Press, 1953, p. 138.

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Bell. Malgrado le rivalità, i rancori e le invidie, le due sorelle saranno per sempre legate da un amore sconfinato e non smetteranno mai di essere l’una il punto di riferimento dell’altra.

Tra i primi a essere invitato alle riunioni del Bloomsbury c’è Leonard Woolf, il quale vi si reca una sera per salutare gli amici prima di trasferirsi nello Sri Lanka come funzionario dell’Impero britannico. È il suo primo incontro con Virginia e ne rimane particolarmente affascinato. Rientrato per un congedo dopo sette anni, se ne innamora e decide di non partire più. Nel 1912 Virginia sposa Leonard pur non provando una forte passione, come traspare dalla lettera a lui indirizzata:

I sometimes think that if I married you, I could have everything ̶ and then ̶ is it the sexual side of it that comes between us? As I told you brutally the other day, I feel no physical attraction in you. There are moments ̶ when you kissed me the other day was one ̶ when I feel no more than a rock.8

Già di ritorno dalla luna di miele, Leonard si rende conto che la moglie è particolarmente inquieta e, su consiglio del medico, arriva alla conclusione che è troppo pericoloso per lei avere dei figli. Virginia accetta passivamente questa decisione che, col tempo, le provoca molta sofferenza e invidia nei confronti della maternità della sorella.

È il 1917 quando i coniugi fondano la Hogarth Press, la casa editrice che nasce con l’intenzione di impegnare la Woolf in un lavoro manuale, così da poter riposare la mente ed eliminare le ansie causate dal dover sottoporre ad altri i suoi scritti. La grande fortuna di Virginia è proprio suo marito: Leonard è un uomo sensibile, paziente, pieno di attenzioni per la sua fragile donna, sempre pronto ad aiutarla nei momenti più difficili della malattia e a incoraggiarla a scrivere e pubblicare. Il riconoscimento nei confronti di quest’uomo arriva, però, soltanto nella lettera scritta prima di togliersi la vita:

Dearest,

I feel certain that I am going mad again. I feel we can’t go through another of those terrible times. And I shan’t recover this time. I begin to hear voices, and I can’t concentrate. So I am doing what seems the best thing to do. You have given me the greatest possible happiness. You have been in every way all that anyone could be. I don’t think two people could have been happier until this terrible disease

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came. I can’t fight any longer. I know that I am spoiling your life, that without me you could work. And you will I know. You see I can’t even write this properly. I can’t read. What I want to say is that I owe all the happiness of my life to you. You have been entirely patient with me and incredibly good. I want to say that everybody knows it. If anybody could have saved me it would have been you. Everything has gone from me but the certainty of your goodness. I can't go on spoiling your life any longer.

I don't think two people could have been happier than we have been.9

Il 28 marzo 1941, dopo essersi riempita le tasche di pietre, Virginia muore lasciandosi annegare nel fiume Ouse, nei pressi di Rodmell.

1.3 In bilico tra creazione letteraria e instabilità psichica.

Gran parte della personalità di Virginia traspare dai suoi diari, scritti dal 1915 fino a pochi giorni prima della sua morte, che lo stesso Leonard Woolf decide di pubblicare nel 1953 con il titolo di A Writer’s Diary. Dalle annotazioni giornaliere viene fuori il resoconto di una vita piena: dalle visite degli amici ai nuovi incontri, dalle opere scritte all’ansia per le recensioni e alla paura di essere giudicata, dalle pagine colme di parole a quelle vuote della malattia.

La famiglia Stephen ha da sempre un forte legame con la malattia psichica: Laura, sorellastra di Virginia, soffre di tic nervosi, atteggiamenti violenti e problemi di linguaggio; il cugino James Kenneth Stephen inizia a dare segni di instabilità dopo un incidente, importunando continuamente Stella; Vanessa, incline alla depressione, ha un periodo di malattia dopo un aborto che la porta all’inerzia psicomotoria; Thoby ha due attacchi di delirio in cui tenta di buttarsi dalla finestra; Leslie Stephen è spesso in preda a eccitazioni nervose, esaurimenti e attacchi di panico; e per ultima Virginia.10

9 H.Lee, Virginia Woolf, London, Chatto & Windus, 1996, p. 311.

10 Alcuni critici sostengono che, essendoci in famiglia numerosi casi di problemi psichici, la malattia di Virginia fosse ereditaria. In realtà, approfondimenti recenti hanno dimostrato che il disturbo maniaco-depressivo nasce dall’interazione di eventi traumatici e fattori biologici, psicologici e sociali. Il fattore genetico crea solo una predisposizione che, in mancanza di altri fattori, non sviluppa necessariamente la patologia. Altri studi letterari e psicoanalitici si sono occupati dell’indagine dei traumi infantili della Woolf, spiegando la nevrosi come conseguenza della morte prematura della madre, di Stella e Thoby e degli abusi sessuali subiti dai fratellastri. Al contrario, Caramagno in “Manic-Depressive Psychosis and Critical Approaches to Virginia Woolf’s Life and Work”, in PMLA, vol. 103, no. 1, 1988, pp. 10–

23, sostiene che gli esaurimenti nervosi fossero provocati da uno squilibrio neuro-ormonale con variazioni nelle funzioni dei neurotrasmettitori, negando così la causa psicologica.

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Virginia soffre di uno stato di profonda depressione che la porta a due gravi esaurimenti nervosi nel maggio 1895 e nel febbraio 1904, causati quasi certamente dalla perdita dei genitori. Con la scomparsa della madre vengono a mancare il senso di sicurezza e di protezione e tutto ciò che rimane è un padre con un carattere particolarmente difficile. Da questo momento in poi, e per tutta la vita, ha spesso emicranie, palpitazioni nervose e sente voci che la spingono ad atti di follia.

Alla situazione già abbastanza delicata si aggiungono gli abusi sessuali subiti dal fratellastro George, ragazzo dal viso adorabile in pubblico che diventa un essere spregevole nella sfera privata, un mostro dal quale le sorelle non riescono a difendersi, come emerge dalle seguenti parole:

Sleep had almost come to me. The room was dark. The house silent. Then, creaking stealthily, the door opened; treading gingerly, someone entered. “Who?” I cried. “Don’t be frightened”, George whispered. “And don’t turn on the light, oh beloved. Beloved ̶ ” and he flung himself on my bed, and took me in his arms. Yes, the old ladies of Kensington and Belgravia never knew that George Duckworth was not only father and mother, brother and sister to those poor Stephen girls; he was either lover also.11

George e Gerald hanno un forte effetto sul carattere e sugli esaurimenti nervosi della sorella. Quell’unica, riprovevole esperienza con il mondo maschile scatena in lei la vergogna per il proprio corpo con la conseguente incapacità di guardarsi allo specchio, l’avversione nel farsi prendere le misure dalla sarta e mostrarsi in pubblico con un vestito nuovo. Sviluppa anche un rapporto conflittuale con il cibo, scaturito proprio dal luogo in cui avviene l’abuso:

There was a slab outside the dining room door for standing dishes upon. Once when I was very small Gerald Duckworth lifted me onto this, and as I sat there he began to explore my body. I can remember the feel of his hand going under my clothes; going firmly and steadily lower and lower. I remember how I hoped that he would stop; how I stiffened and wriggled as his hand approached my private parts. But it did not stop. His hand explored my private parts too.12

Come si può immaginare, i problemi col sesso complicano ogni rapporto con gli uomini al punto che l’unione fra i coniugi Woolf è molto profonda dal punto di vista spirituale più che fisico. La vita matrimoniale, apparentemente felice, continua a farle

11 V. Woolf, Moments of Being, cit., p. 180. 12 Ibidem, p. 79.

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sentire il bisogno di qualcosa di più. Da qui il legame molto stretto con il mondo femminile. La prima volta che si innamora è di Janet Case, sua insegnante di greco; successivamente rimane affascinata da Madge Vaughan, alla quale è legata da un sentimento platonico; ma forse l’attrazione più forte è per Violet Dickinson, per la quale prova una forte passione, come testimoniano le loro lettere. Più tardi incontra quella che è forse, dopo Vanessa, la donna più importante della sua vita: Vita Sackville-West, colei che è capace di darle quell’amore e soprattutto quella protezione materna di cui ha bisogno. Quando Vita parte per andare in Persia il distacco viene vissuto come un abbandono che riporta alla mente la perdita della madre e di Stella. La Woolf è così innamorata che arriva a condividerla, nonostante la sofferenza, con altre donne. Le altre figure femminili che fanno parte della sua vita sono Clara Pater, Elena Richmond, Ka Cox, Ethem Smyth, Ottoline Morrell.

In diverse occasioni Virginia viene ricoverata nella clinica di Twickenham, diretta da Jean Thomas, e tutte le volte le prescrizioni sono le stesse, vale a dire riposo, lunghe passeggiate e buona alimentazione, tutti elementi che la aiutano a guarire, almeno momentaneamente. La prima volta in cui si reca in questa clinica specializzata è nel 1910 quando, dopo giorni di tensione nervosa mentre la sorella incinta non può più occuparsi di lei, vi rimane per un mese. In questo lungo periodo di stati altalenanti, che vanno dall’assoluta euforia alla disperazione più totale, riesce a corrompere dottori e infermieri e ignorare le prescrizioni mediche. Ritorna in struttura due anni dopo a causa di una crisi di nervi provocata dalle pressioni di Leonard e l’ansia e la paura di doversi sposare. Una volta dimessa, passano svariati mesi finché riesce finalmente a fidarsi e affidarsi al suo futuro marito. Pochi mesi dopo il matrimonio la situazione peggiora ogni giorno di più e Virginia è costretta a tornare in quella prigione. Questa volta però la cura non ha effetto ed esce dalla clinica con una forte inclinazione suicida.

Nel 1913, preoccupata per l’uscita del suo primo romanzo che sta per andare in stampa,13 cade in grave stato di depressione e angoscia ed è sempre più convinta di farla finita. Di lì a poco ingerisce una dose mortale di sonniferi. Portata in ospedale si salva, ma a quel punto Leonard deve accettare la realtà e optare per il ricovero in

13 In J. Glolowski, S. Panken, R.E. Seaman, T.C. Caramagno (eds), “Virginia Woolf and Psychoanalytic Criticism”, in PMLA, vol. 103, no. 5, 1988, pp. 808-812, S. Panken sostiene di non essere d’accordo con la teoria secondo cui il tentato suicidio della Woolf sia legato all’ansia della pubblicazione del romanzo. Secondo lei il motivo è da ricercare nei problemi di scarsa considerazione di sé nel contesto delle tormentate relazioni personali.

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manicomio. Cambia idea nel momento in cui visita le strutture e accetta la spaziosa casa nel Sussex offertagli da George Duckworth.

Jean Thomas, medico psichiatra e direttrice della clinica, in una lettera a Violet scrive: “È il romanzo che l’ha fatta crollare. Lo ha terminato e aveva ricevuto le bozze per la correzione…non riusciva a dormire e pensava che tutti avrebbero riso di lei”.14

Ed è proprio quando arriva alle fasi finali della composizione dei suoi romanzi che vive i momenti più acuti del suo stato patologico, una condizione che la costringe a sopportare influenza, emicrania, insonnia, irritazione nervosa, depressione, nausea e allucinazioni.

Secondo le convinzioni vittoriane la donna era un essere emozionalmente instabile e debole. Se, per giunta, era intelligente, come nel caso della nostra scrittrice, il rischio di diventare pazza era molto alto. Il dottor Savage, medico psichiatra di famiglia, era quindi convinto che la malattia derivasse da uno stress fisico e che la soluzione consistesse in un periodo di riposo assoluto,15 lontano da tutti, con il divieto di scrivere

e leggere, convinto che l’attività intellettuale fosse premonitrice della follia. Quando Virginia è a riposo, mangia e va a letto presto, sta bene.

Il signor Woolf, il quale non era mai stato realmente informato dalla famiglia sulle condizioni di salute della sua consorte, inizia a documentarsi per cercare di comprendere la patologia, imparando così ad anticiparla dai primi sintomi e soprattutto accettandola anche quando questo significa stare accanto a lei per ore a imboccarla per farle mangiare qualcosa. Egli gestisce e controlla ogni cosa della moglie, forse anche in maniera esagerata, e decide cosa e quanto mangiare, quando può o no incontrare gli amici, quante ore dedicare alla scrittura e quando andare a letto; un atteggiamento sicuramente tanto protettivo quanto oppressivo.

La psicoanalisi è sconosciuta o poco nota all’epoca delle crisi di Virginia, perciò la patologia viene diagnosticata come nevrastenia. Il termine nevrastenia viene utilizzato per la prima volta nel 1869 da George Miller Beard, neurologo statunitense che si occupa dello studio delle malattie del sistema nervoso, per indicare una condizione di eccessiva debolezza muscolare e affaticamento mentale, una categoria

14 P. Zaccaria, Virginia Woolf. Trama e ordito di una scrittura, Bari, Dedalo Libri, 1980, p. 58. 15 La cosiddetta rest-cure, utilizzata come trattamento per l’isteria e per la nevrastenia, venne elaborata nel tardo ͗800 dal dottor Mitchell. I pazienti dovevano seguire le seguenti indicazioni: riposo assoluto, reclusione, isolamento e dieta a base di latte, per un periodo che andava dalle sei alle otto settimane.

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che comprende un insieme di sintomi tra cui depressione, cefalea, ansia, debolezza muscolare, ipereccitabilità, nevralgia ecc.16

Nel maggio del 1914 Leonard legge L’Interpretazione dei sogni e ne resta molto colpito scoprendo che sua moglie soffre di una psicosi maniaco-depressiva. Fra il 1913 e il 1915 Leonard descrive lo stato di salute della moglie come un’alternanza di stati depressivi, caratterizzati dal rifiuto del cibo, dalla sensazione di oppressione dovuta ai sensi di colpa e da tendenze suicide, e stati di sovreccitazione ed euforia, nei quali parla incessantemente per giorni e diventa violenta con le sue infermiere, percepite come esseri malvagi che la costringono a seguire le prescrizioni mediche. Questa bipolarità di comportamenti si manifesta anche nei confronti del marito: nella prima fase Virginia vuole che Leonard sia costantemente accanto a lei, mentre nel secondo stadio non vuole nemmeno che lui entri in camera. Costretta a letto e a mangiare di continuo con quattro infermiere che la controllano giorno e notte, isolata dagli amici e dalla amata vita londinese, pensa addirittura a un complotto contro di lei.

Pur trovando molti riferimenti sulla revisione delle bozze nei diari della Woolf, poiché la Hogarth Press si occupa della pubblicazione delle traduzioni delle opere di Freud, e pur avendo un fratello e una cognata psicoanalisti, i Woolf preferiscono non affidarsi alla psicoanalisi bensì alla psichiatria. Il motivo emerge forse dalle parole del saggio On Being Ill:

We do not know our own souls, let alone the souls of others. Human beings do not go hand in hand the whole stretch of the way. There is a virgin forest, tangled, pathless, in each; a snow field where even the print of birds' feet is unknown. Here we go alone, and like it better so. Always to have sympathy, always to be accompanied, always to be understood would be intolerable.17

In tal modo Virginia continua a essere curata con latte, burro, panna e riposo.

16 In “Death of Neurasthenia and its Psychological Reincarnation”, in British Journal of Psychiatry, 2001, vol. 179, no. 6, pp. 550-557, R. E. Taylor riporta alcuni miti legati alla patologia della nevrastenia. Alcuni studiosi, tra cui E. Showalter, sostengono che la patologia scaturisce nelle donne come forma di protesta alle loro vite vuote; secondo altri invece si tratta di una malattia tipica degli uomini, specie se professionisti e intellettuali; altri ancora sostengono che è tipica della classe benestante. In realtà, il National Hospital che nel 1860 aveva dieci posti al Queen Square di Londra e si occupava di trattamenti per i poveri sia uomini che donne, arrivò ad avere cento posti nel 1871 e duecento alla fine del secolo, fino a creare un ospedale speciale per gli uomini affetti da nevrastenia sviluppatasi in guerra.

17 V. Woolf, “On Being Ill”, https://thenewcriterion1926.files.wordpress.com/2014/12/woolf-on-being-ill.pdf (consultato il 02/07/2018).

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Il giorno precedente la pubblicazione del suo primo romanzo, The Voyage Out, in preda a una crisi ritorna in clinica. Questa volta è soltanto grazie alle opinioni positive del pubblico e della critica che cresce in lei la sicurezza di cui ha bisogno e quella spinta verso la via della guarigione. Le viene concessa così la possibilità di riprendere a scrivere anche se sotto rigido controllo. Da questo momento in poi, ogni volta che aspetta la pubblicazione di un’opera, cade di uno stato di profonda angoscia.

Il 15 settembre 1926 nel suo diario scrive:

Woke up perhaps at 3. Oh its beginning its coming̶ ̶ the horror ̶ physically like a painful wave swelling about the heart ̶ tossing me up. I’m unhappy unhappy! Down ̶ God, I wish I were dead. Pause. But why am I feeling this? Let me watch the wave rise. I watch. Vanessa. Children. Failure. Yes; I detect that. Failure failure. (The wave rises). Oh they laughed at my taste in green paint! Wave crashes. I wish I were dead! I’ve only a few years to live I hope. I cant face this horror anymore ̶ (this is the wave spreading out over me).

This goes on; several times, with varieties of horror. Then, at the crisis, instead of the pain remaining intense, it becomes rather vague. I doze. I wake with a start. The wave again! The irrational pain: the sense of failure; generally some specific incident, as for example my taste in green paint, or buying a new dress, or asking Dadie for the week end tacked on.18

Ai momenti di depressione seguono periodi di creatività ed è proprio attraverso questa sua condizione di fragilità e di patologia psichica che nasce la scrittura di Virginia Woolf.

L’approssimarsi della guerra le toglie quel briciolo di stabilità rimasto: gli ultimi momenti della sua vita sono caratterizzati dalla paura di perdere completamente la testa e dall’ossessiva annotazione di quello che succede, dal suono degli aerei ai bombardamenti, all’impossibilità di visitare la sua amata Londra, al crollo della Hogarth Press e della casa di Mecklenburg Square. La guerra cambia le loro vite anche nelle piccole cose di ogni giorno con la mancanza di beni di prima necessità come latte, burro, farina e zucchero. Vengono meno gli inviti a casa per la mancanza di cibo, la benzina che inizia a scarseggiare e per la carenza di carbone per riscaldare le case. Proprio a causa del freddo e dell’agitazione Virginia inizia ad avere difficoltà a tenere la penna in mano. Inoltre, essendo Leonard ebreo, si preparano all’eventualità

18 A.O.Bell, Q. Bell, A. McNeille (eds), The Diary of Virginia Woolf, vol. III, San Diego, Hartcourt Brace & Co, 1981, p. 110.

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dell’arrivo di Hitler procurandosi da Adrian una dose mortale di morfina e mettendo da parte la benzina in garage per suicidarsi con il gas di scarico.

Le condizioni di salute di questa donna così fragile continuano a peggiorare, è sempre più vulnerabile e visitata da istinti suicidi finché si fa ingoiare dall’acqua.19

1.4 Le opere di Virginia Woolf.

Virginia Woolf comincia a scrivere professionalmente durante un soggiorno nello Yorkshire, dove trova l’ispirazione per scrivere un articolo sulla canonica di Haworth, pezzo che invia al quotidiano londinese The Guardian. Collabora al giornale con articoli e recensioni occupandosi di ogni argomento, ma presto si rende conto che quello è anche il momento in cui comincia a scontrarsi con la critica.

Nel 1905 intraprende una collaborazione con il Times Literary Supplement, esordendo con la Literary Geography, una rubrica letteraria in cui si occupa di commentare Catherine de’ Medici and the French Reformation di Edith Sichel, recensione che viene respinta perché non affidabile sul piano storico.

Per tutto il 1908 e 1909 il suo principale impiego è al TLS e al Cornhill Magazine, dove può dare sfogo alla sua originalità con articoli di tipo assolutamente nuovo, che lei chiama Memoirs of a Novelist, un mix tra scrittura narrativa e critica letteraria. Molti dei saggi sono poi raccolti nel volume The Common Reader, pubblicato nel 1925 e successivamente nel 1932.

I primi anni di lavoro della Woolf sono di apprendistato, di sperimentazione e di presa di coscienza della crisi della tradizione letteraria e non solo. Nel marzo del 1915 viene pubblicato The Voyage Out, il suo primo romanzo, iniziato dopo la morte del fratello Thoby, probabilmente per cercare di superare la tragedia. Il romanzo esce dopo anni di revisioni, riscritture e soprattutto insicurezze e sconforto.20 Un’opera ancora molto convenzionale, con una trama riconoscibile, dei personaggi ben delineati, un tempo e un luogo, anche se si iniziano a vedere i primi elementi di novità. Il testo

19 Molti critici sostengono che Virginia si sia fatta morire in acqua per il desiderio di fondersi con la madre, di tornare alle origini, al grembo materno.

20 L. DeSalvo in “Melymbrosia: An Early Version of The Voyage Out”, in Contemporary Literature, vol. 23, no. 1, 1982, pp. 100–104, si occupa della ricostruzione di The Voyage Out mostrando moltissime modifiche, revisioni e nuove stesure, contando addirittura undici o dodici bozze. Inoltre, fa vedere che, ogni volta che Virginia rivede il romanzo con l’idea di pubblicarlo, taglia e rende più oscuro il materiale riguardante gli abusi sessuali, il lesbismo, la critica femminista e le parti autobiografiche.

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racconta di un viaggio interiore che Rachel fa per scoprire se stessa, un percorso di maturazione, di scoperta dell’amore e della morte, una narrazione in cui non sono importanti gli eventi interiori, ma l’analisi dei sentimenti, dei pensieri e delle sensazioni di quel mondo che non è mai statico. In Rachel troviamo forse l’origine della tecnica woolfiana: scopriamo la personalità della protagonista attraverso le sensazioni che produce in noi, poiché di lei non ci viene raccontato quasi nulla direttamente. Durante il viaggio la protagonista incontra i signori Dalloway, una coppia che incarna quella stessa realtà tardovittoriana che aveva vissuto la Woolf con i suoi genitori, un rapporto in cui la donna si dedica alla vita domestica e l’uomo prende le decisioni. Il romanzo si conclude con la morte di Rachel come a significare l’impossibilità della donna a sottrarsi a una condizione ancora troppo ancorata nella società. La fatica della scrittura viene ben presto ripagata da una ricezione positiva, con ottime recensioni sia dagli amici che dalla stampa, al punto che inizia a diffondersi la parola “genio” in relazione a Virginia.

Nel 1917 i coniugi Woolf fondano la Hogarth Press e in pochissimo tempo danno alla stampa il loro primo libro: Two Stories, formato da “The Mark on the Wall” di Virginia e “Three Jews” di Leonard, accolto positivamente anche se da un pubblico ristretto viste le non molte copie stampate.

Nel 1919 appare Night and Day, scritto in uno dei periodi più difficili, in quell’unica ora al giorno che le è consentito scrivere durante il ricovero in clinica. Scrivere questo romanzo le permette di incanalare i pensieri in qualcosa di positivo e leggero e non pensare costantemente alle allucinazioni. È per questo motivo che Virginia non si occupa di tematiche delicate e spigolose. L’elemento autobiografico è da ricercare nella figura della protagonista, Katharine Hilbery, che ricorda molto la sorella Vanessa, alla quale è peraltro dedicato il romanzo, ma anche nella presentazione della famiglia, dominata da un padre scontroso che si oppone alla vivacità della madre, dedita alle questioni domestiche; una famiglia in cui non mancano momenti da dedicare alla letteratura come in casa Stephen.21 Katharine si

21 Come osservato in R. McCail, “A Family Matter: Night and Day and Old Kensington”, in The Review

of English Studies, vol. 38, no. 149, 1987, pp. 23–39, altro elemento autobiografico è rappresentato da

Mrs Hilbery, madre dell’eroina del romanzo, che ricorda Lady Ritchie, figlia di W. M. Thackeray e della cognata di Leslie. Per evitare di arrecare offese, Virginia Woolf fece leggere il manoscritto all’anziana signora che non ne rimase entusiasta. Il romanzo doveva contenere alcuni episodi privati della vita del padre di Lady Ritchie che alla fine furono modificati: rimane soltanto la desolazione della vita matrimoniale mentre Thackeray diventa un poeta di nome Alardyce e la pazzia della moglie non viene descritta. Visto che Lady Ritchie si era rifiutata di autorizzare la biografia di suo padre, molti

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occupa della casa e della famiglia, come tipico in quel periodo, ma ha interesse per la matematica, alla quale deve dedicarsi di nascosto perché consapevole che il suo compito non consiste nel realizzare le sue passioni. L’opera è dominata dall’opposizione di visioni della vita con conflitti tra due coppie di personaggi: Katharine Hilbery-Ralph Denham e Mary Datchet-William Rodney, conflitti che vengono tutti risolti in un lieto fine in cui il contrasto tra la realtà esterna e l’interiorità dei personaggi, l’alternanza tra il giorno e la notte, la luce e il buio non ci sono più. Clive, Vanessa, Violet e Lytton rimangono subito molto entusiasti, al contrario di Katherine Mansfield che invece si esprime in maniera molto dura. La presenza del realismo del romanzo tradizionale e l’assenza di innovazioni formali, la lunghezza e ridondanza, lo stile monotono e soprattutto la mancanza di un tema così attuale e importante come la guerra, porta la critica a non esprimersi favorevolmente.

Nello stesso anno pubblica “Kew Gardens”, un racconto che inizialmente riscuote così poco successo che, alla fine del mese, ne sono vendute solo 49 copie, avvenimento che la fa cadere in un nuovo stato di depressione. Poco tempo dopo, grazie ad una recensione positiva sul Times Literary Supplement, aprendo la porta della casa editrice i Woolf trovano moltissime lettere di ordinazione. Con tante richieste di “Kew Gardens”, la Hogarth Press diventa un’attività editoriale a tutti gli effetti.

Nel 1921 è la volta dei racconti di Monday or Tuesday, una raccolta di pezzi in prosa nei quali la Woolf porta alla luce le sensazioni caotiche e disordinate date dalla mancanza di connessioni spaziali e temporali. In essa troviamo i seguenti racconti: “A Haunted House”, “A Society, Monday or Tuesday”, “An Unwritten Novel”, “The String Quartet”, “Blue & Green”, “Kew Gardens”, “The Mark on the Wall”, questi ultimi due apparsi già precedentemente. Poiché la raccolta passa inosservata, la Woolf si dedica alla scrittura di un romanzo, che vede la luce nel 1922. Si tratta di Jacob’s Room, una svolta importante rispetto ai romanzi precedenti, risultato del compimento della prima stagione sperimentale della nuova poetica woolfiana. L’innovazione consiste principalmente nell’eliminazione dell’intreccio, uno degli elementi caratteristici della tradizione. Non vi è più la registrazione di una realtà univoca, frutto di una connessione di causa ed effetto, ma una verità molteplice, incerta e irrazionale. A ciò si aggiunge la presentazione di un unico personaggio attraverso flash cronologicamente non lineari in forma frammentaria. Il protagonista è Jacob, un

eventi non erano ancora noti al pubblico e quando la famiglia lesse Night and Day si offese sentendo probabilmente che la loro privacy era stata violata.

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ragazzo che, come tanti all’epoca, è costretto ad affrontare la tragica esperienza della guerra per poi perdere la vita in Grecia, esattamente come Thoby. Significativo è il cognome, Flanders, che richiama la seconda battaglia delle Fiandre avvenuta durante la prima guerra mondiale. Più che Jacob, protagonista è la sua stanza22 che prende vita

proprio quando lui non c’è. Il ragazzo non parla mai e la sua vita, da quando è bambino fino a quando muore in guerra, la conosciamo attraverso il punto di vista degli altri personaggi, senza che lui sia direttamente descritto. Quello che viene fuori è la percezione di una realtà non più oggettiva ma soggettiva e mobile: il personaggio viene raccontato da diversi punti di vista guidati ognuno dalla propria interiorità. Interessante è la descrizione che la scrittrice fa del rapporto tra paziente e psichiatra: Sir William Bradshaw ricorda molto quei medici che, incapaci di capire il trauma psichico alla base della sofferenza, sottovalutano la situazione e costringono la Woolf al riposo assoluto e all’isolamento. Il romanzo viene accolto positivamente dal lettore comune e, in soli tre giorni, vende 650 copie. Morgan, Lytton, Violet sono soddisfatti e ottimisti e lo stesso Leonard la definisce una scrittura di sorprendente bellezza e un lavoro di genio. Per quanto riguarda le recensioni, invece, non è un successo completo.

Segue nel 1925 Mrs Dalloway, considerato uno dei capisaldi della letteratura modernista. Quest’opera permette a Virginia di affrontare il tema della malattia, una delle problematiche più importanti della sua vita, attraverso un personaggio che soffre di disturbo da stress post-traumatico dopo aver visto morire un amico in guerra. La figura di Septimus le dà la possibilità di esternare tutte quelle sofferenze che deve subire, oltre che per la malattia stessa, per l’incapacità dei medici che non tentano neanche di ascoltarla, minimizzando la gravità della situazione e facendola stare a riposo a bere latte. Mrs Dalloway è caratterizzato dal flusso di coscienza di due personaggi, Clarissa Dalloway e Septimus Warren Smith, il cui nesso è difficile da capire all’inizio. I due vivono una vita parallela a Londra senza mai incontrarsi fino alla fine del romanzo quando Clarissa, alla quale viene raccontata la fine di Septimus, si immedesima in lui. Septimus rappresenta qualcosa che è già presente nella coscienza della signora Dalloway. Septimus e Clarissa sono legati tra di loro come due facce della stessa medaglia: uno possiede gli elementi dell’altro in modo da renderli

22 In “The Shaping of Jacob's Room: Woolf's Manuscript Revisions”, in Twentieth Century Literature, vol. 32, no. 1, 1986, pp. 115–135, Bishop, analizzando il manoscritto di Jacob’s Room, sostiene che la presenza di tre stanze importanti (quella di Jacob, di Angela e di Mrs. Pascoe) nelle prime cinquanta pagine porta a pensare che l’intento iniziale della Woolf fosse quello di strutturare il romanzo attorno alle stanze di diversi personaggi, e non solo quella di Jacob.

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complementari. Il tempo non è quello scandito dell’orologio ma quello della loro interiorità, sono le emozioni a guidare gli attori in scena. Per questo romanzo, Virginia riceve molte lodi e vende tantissimo, facendo registrare vendite maggiori di Mrs Dalloway in un mese che di Jacob’s Room in un anno. Da questo momento Virginia alterna romanzi impegnativi ad altri più leggeri scrivendo To the Lighthouse, Orlando, A Room of One’s own, Flush, The Waves, Three Guineas, The Years.

To the Lighthouse, uscito nel 1927, è da molti considerato il suo capolavoro e anche l’opera più autobiografica. Nasce dalla necessità di raccontare momenti nostalgici della sua infanzia, ma ciò comporta riportare a galla tanti traumi non superati, tant’è che Virginia vive un lungo momento di cedimento. Il richiamo autobiografico di quest’opera è esplicitato anche nel suo diario:

I used to think of him and mother daily; but writing the Lighthouse laid them in my mind. And now he comes back sometimes, but differently. (I believe this to be true ̶ that I was obsessed by them both, unhealthily; and writing of them was a necessary act.)23

Il romanzo prende spunto da un ricordo delle estati trascorse da Virginia con la famiglia a Talland House, in Cornovaglia, e in particolare dalla tristezza di Adrian per non essere potuto andare a una gita al faro di Godrevy nel 1892. Allo stesso modo, To the Lighthouse racconta le vacanze della famiglia Ramsay nella casa estiva nell’isola di Skye, durante un lasso di tempo di dieci anni. Dieci è anche il numero di estati che la famiglia Stephen trascorre in quel paradiso, fino a che nel 1893 sono costretti a vendere a causa di un hotel che si stava costruendo proprio davanti la loro casa. Quando muoiono Julia e Leslie, i figli ci ritornano trovando ormai il luogo completamente cambiato. Il testo si apre con l’idea di una gita al faro che, rimandata a causa del maltempo, si realizza solamente alla fine del romanzo quando ormai il Signor Ramsay, distrutto dal dolore per la perdita della moglie, è rimasto solo con i figli. Solo in quel momento Lily Briscoe, in un attimo di rivelazione, riesce a trovare quell’intuizione che le permette di completare il quadro iniziato molti anni prima. Nonostante la sua scomparsa a metà dell’opera, la signora Ramsay continua a esercitare la sua forza: è l’esempio della capacità della donna di permanere come figura immortale dentro e fuori la famiglia. Con la sua morte vengono a galla tutte le sensazioni, tra cui il senso di vuoto, il trambusto interiore, l’astio nei confronti di un

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padre tiranno ed egocentrico, che la stessa Virginia vive alla morte della madre. Il punto di riferimento per tutti è il faro, la luce intermittente che indica la fugacità del momento ma è anche fisso e certo, un gioco di luci e ombre che guida la loro coscienza. Vanessa, molto entusiasta, in una lettera a Virginia scrive: “A me sembra che tu abbia tracciato un ritratto della mamma che le somiglia più di quanto avrei creduto possibile. È quasi doloroso vedersela resuscitare davanti”.24

Orlando: A Biography,25 pubblicato nel 1928, viene scritto come distrazione dopo la fatica di To the Lighthouse e per riposarsi prima di cominciare The Waves. Nasce come biografia di Vita Sackville-West, la donna, eccentrica e “malefica”, che fa scoprire a Virginia l’amore e la passione. Attraverso l’incontro tra Orlando e la principessa russa Sasha, Virginia racconta la storia d’amore di Vita e Violet Trefusis. Il testo è giocato sull’ambiguità sessuale: Orlando è un giovane che, dopo un sonno profondo durato diversi giorni, si ritrova nel corpo di una donna. La figura di Orlando26 permette a Virginia di affrontare il tema dell’androgino e raccontare le esperienze della vita attraverso il punto di vista sia maschile che femminile. La trasformazione viene vissuta dal protagonista come un qualcosa per nulla sconvolgente; egli si abitua facilmente alla nuova vita esplorando la sua condizione e trascorrendo del tempo nel deserto con gli zingari, di cui apprezza la libertà concessa alle donne. Il momento in cui si rende conto che qualcosa è cambiato è quando indossa abiti femminili, poiché nota una reazione diversa delle persone nei suoi confronti che provoca un cambiamento nel suo atteggiamento. Orlando si adatta facilmente a qualsiasi era ad eccezione del XX secolo, epoca in cui preferisce seguire la propria interiorità piuttosto che conformarsi alla società. Con quest’opera la Woolf vuole dimostrare che le

24 V. Woolf, lettera dell’11 maggio 1927, cit. in N. Fusini, Possiedo la mia anima, Milano, Mondadori, 2006, p. 176.

25 S.E. Knopp, “‘If I Saw You Would You Kiss Me?": Sapphism and the Subversiveness of Virginia Woolf's Orlando”, in PMLA, vol. 103, no. 1, 1988, pp. 24–34, viene ripreso il pensiero di Wilson, il quale ha notato come Orlando sia stata frequentemente considerato un’opera minore, tanto da non essere presente in molti studi importanti. Spesso infatti il romanzo è stato trascurato e giudicato come un intervallo, un diversivo, esattamente come lo è stata Vita nella relazione di Virginia e Leonard. 26 In “L'Orlando di Virginia Woolf: un nome dalle risonanze ariostesche”, in Italianistica: Rivista di

letteratura italiana, vol. 29, no. 3, 2000 pp. 425-431, A. Bologna analizza l’importanza del poema Orlando Furioso di Ludovico Ariosto nella realizzazione del personaggio di Orlando di Virginia. In

Inghilterra l’opera di Ariosto ebbe grande successo già dalla fine del XVI secolo in autori come Edmund Spenser, uno degli scrittori più cari della Woolf, Robert Greene, autore di The Historie of Orlando

Furioso, al quale Virginia dedica un importante capitolo nel romanzo utilizzando il nome Nick Greene,

poeta italiano invitato a passare alcuni giorni con Orlando. Inoltre, Woolf cita più volte Shakespeare il cui collegamento con l’Orlando di Ariosto e di Greene è già stato dimostrato dai critici.

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differenze sono sociali e non biologiche e che la sessualità è imposta dalla società, per questo Orlando continua ad indossare abiti sia femminili che maschili indipendentemente dal sesso.

La carriera di Virginia prende sempre più il volo: se con To the Lighthouse vende 3873 copie nel primo anno, Orlando arriva a 8104 e The Waves addirittura a 10.000 nei primi sei mesi.

A Room of One’s Own, pubblicato nel 1929, è l’opera che nasce da due conferenze sulle donne e la narrativa tenute a Cambridge. Nel saggio la scrittrice prende in esame diversi temi: la disparità sessuale, la difficoltà per le donne di accedere all’istruzione, la scrittura femminile e la mancanza di una tradizione, ma anche la condanna nei confronti dell’eccessiva reazione del movimento femminista. Virginia, partendo dall’esperienza personale della diversità di riconoscimento fra uomini e donne, si occupa dell’esigenza di una donna di avere una stanza tutta per sé, uno spazio in cui poter rimanere sola a dedicarsi alle sue passioni. È una critica nei confronti della cultura contemporanea che vede la donna soltanto come moglie e madre, sempre a disposizione di tutti con l’impossibilità di avere uno spazio che non sia la cucina o il soggiorno. La donna infatti, non potendosi mantenere da sola, è costretta a sposarsi e occuparsi unicamente della casa e della famiglia. Secondo Virginia la donna deve poter avere le stesse possibilità economiche e sociali che le permettono di avere un’indipendenza sia economica sia soprattutto mentale: solo in quel caso sarà in grado di creare opere d’arte alla pari, se non migliori, di quelle dell’uomo. A Room of One’s Own non è soltanto un saggio, è un manifesto politico che viene preso come punto di riferimento dal movimento femminista.

The Waves, pubblicato nel 1931, nasce da una lettera inviata da Vanessa nella quale racconta di una falena che, entrata in casa, viene subito attratta da ciò che rischia di bruciarla. Da questo momento Virginia sente arrivare diverse onde: quella stessa notte sente arrivare l’onda della depressione che la farà sprofondare di nuovo, poi arriva un’onda dall’infanzia che le ricorda quell’attimo in cui da bambina si ritrova davanti ad una pozzanghera incapace di superarla, segue l’onda dell’eclissi solare vista insieme a Vita, e infine l’onda della creazione. È il romanzo più sperimentale della Woolf: i sei personaggi sono coscienze che non raccontano una storia, ma si esprimono in una sorta di monologo. Queste entità si sviluppano in maniera individuale rimanendo però legate tra di loro a partire dall’infanzia condivisa. Forse le sei figure non sono altro che proiezioni della stessa persona, Virginia Woolf, ma la diversità dei

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personaggi permette di affrontare diverse tematiche care alla scrittrice: la critica delle convenzioni sociali, la maternità negata, l’incapacità di relazionarsi con gli altri, il rapporto tra sanità e malattia, la mente androgina e le funzioni dell’arte. Non mancarono le critiche per quanto riguarda la tecnica, considerata eccessivamente sperimentale, mentre mancano storia, veri e propri personaggi e un vero dialogo.

Flush,27 uscito nell’ottobre 1933, è sicuramente un’opera minore, leggera e divertente. Ispirata a Pinka, il cocker spaniel che Vita aveva regalato a Virginia, racconta la vita di Elizabeth Barrett Browning attraverso la visione canina. Il cane viene regalato a Elizabeth da un’amica per rendere la malattia e la costrizione a letto un po’ meno pesanti. Testimone della storia d’amore tra la poetessa e lo scrittore Robert Browning, Flush scapperà con loro a Firenze quando il padre di lei si oppone alle nozze. Qui può sperimentare nuovi odori, sapori e soprattutto ritrovare quella libertà che aveva perso costretto in casa. Le recensioni non sono entusiasmanti, ma Flush continua a vendere sia in Inghilterra e in America.

Nel 1937 è la volta di The Years che, alquanto inferiore rispetto agli altri romanzi, nasce negli anni della seconda guerra mondiale, in un clima di sfiducia e inquietudine. Virginia sente ormai di essere arrivata alla fine della sua carriera e della sua vita. Attraverso quest’opera, ritorna alla forma di espressione iniziale con un narratore e un’ambientazione tradizionale per raccontare la vita di tre generazioni della famiglia Partiger, il tè nella sala da pranzo della casa di Londra, un padre patriarca rappresentato dal colonnello. Il libro ha un grande successo: The Years, in testa alla classifica dell’Herald Tribune, diventa uno dei libri più venduti negli USA. Con 25.000 copie vendute, il record di Virginia. La critica rimane divisa e ciò che lascia perplessi è l’improvviso cambiamento di tecnica e il ricorrere al realismo, alla storia, all’intreccio. Sembra che Virginia abbia la necessità di riprendere i ricordi della sua infanzia e tornare alla tecnica utilizzata all’inizio della sua carriera come per chiudere un cerchio. In questo periodo travagliato, tra la depressione per non aver avuto successo con il suo ultimo scritto e l’avvento della seconda guerra mondiale, Virginia scrive un saggio probabilmente per mettere ordine nei pensieri che le affollano la mente: Three

27 In “Bloomsbury's Beasts: The Presence of Animals in the Texts and Lives of Bloomsbury”, in The

Yearbook of English Studies, vol. 37, no. 1, 2007, pp. 107–125, W. B. Faris analizza le funzioni degli

animali nelle vite e nei testi del Bloomsbury. Queste funzioni sono principalmente tre: essi incarnano emozioni represse o problemi sociali irrisolti, rappresentano sentimenti di connessione con il cosmo e una fuga dal proprio ego. A proposito di sentimenti di connessione, Faris ricorda una foto in cui Virginia e Vita non si guardano direttamente ma esprimono un legame emotivo e sessuale nascosto attraverso il ginocchio di Virginia che tocca la gamba di Vita e la presenza di due cani identici.

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Guineas, pubblicato nel giugno 1938, che può essere visto come una continuazione dei temi di A Room of One’s Own. Virginia torna ad analizzare la cultura di un mondo tipicamente maschile e l’ingiustizia nei confronti delle donne che, considerate inferiori, sono escluse dalle università e dalla scrittura letteraria. Il testo è strutturato sotto forma di risposta a tre lettere immaginarie, una inviata da un uomo e due scritte da donne, nelle quali viene chiesto cosa fare per prevenire la guerra, il ripristino di un college femminile e il supporto per le donne in cerca di occupazione. Ad ogni richiesta corrisponde la donazione di una ghinea, da qui il titolo. Per rispondere alla prima lettera Virginia esamina la condizione femminile e arriva alla conclusione che le donne non siano all’altezza di occuparsi della guerra, proprio per la situazione di inferiorità in cui sono cresciute rispetto agli uomini. Prevenire la guerra vuol dire eliminare questa condizione di appartenenza della guerra al genere maschile e di estraneità e diversità delle donne. Prevenire la guerra significa che la donna deve avere la possibilità di accedere all’istruzione e alle libere professioni per essere libera e autonoma di scegliere. Il romanzo non è accettato positivamente. Virginia viene attaccata da tutti, compresa Vita, mentre tutti gli altri amici rimangono in silenzio. Il motivo probabilmente è da ricercare nel difficile periodo storico che si stava vivendo: dare attenzione al tema dei diritti delle donne piuttosto che quello più importante e attuale della guerra, viene considerato inopportuno.

In questo stesso periodo muore Roger Fry e la sorella Margery chiede a Virginia di scriverne la biografia.28 La Woolf, molto legata all’amico, accetta e nel 1940, nel

pieno del conflitto mondiale, la biografia viene pubblicata. Fry, ricordato soprattutto per l’organizzazione della mostra post-impressionista che aveva provocato grande scandalo, era stato un personaggio molto attivo e aveva investito il gruppo di Bloomsbury di una grande ventata di novità e rivoluzione.

Between the Acts, scritto negli anni più critici della guerra, viene lasciato sul tavolo insieme alla lettera per Leonard quando Virginia decide di togliersi la vita. La scrittrice sembra qui allontanarsi da tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento e torna alla realtà, nell’intervallo della finzione. Il romanzo racconta la storia di un gruppo di persone che, per combattere la noia, organizza uno spettacolo teatrale sulla

28 Scrivere la biografia di Roger Fry fu un compito molto difficile per la Woolf prima di tutto perché si trattava di presentare la vita di una persona reale e di uscire dalla quasi finzione della biografia di Orlando. Altro problema fu che dovette tener conto che molti membri della famiglia di Roger erano amici di Virginia e la sorella Vanessa aveva avuto un flirt con lui.

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storia dell’Inghilterra. Come mostra il titolo, siamo in un intervallo fra un atto e l’altro, in una fase di transizione, e, quando il teatro finisce, si torna alla cruda realtà della guerra. Il romanzo viene pubblicato nel 1941, un anno dopo la morte di Virginia.

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CAPITOLO II

MRS DALLOWAY

2.1 L’evoluzione del concetto di trauma e la nascita dei Trauma Studies.

Che le esperienze traumatiche avessero un ruolo nelle malattie mentali e che fossero causa dell’alterazione dell’equilibrio del soggetto è una teoria che nel corso degli anni è stata condivisa da molti studiosi, seppur con sviluppi diversi. Il trauma, originariamente considerato un malessere fisico, ossia come un’alterazione dello stato anatomico e funzionale che provoca un danno all’integrità dell’individuo, con l’avvento del primo vero trauma di massa, causato dalla prima guerra mondiale, comincia ad acquistare un’eziologia sempre più psicologica. Tra i primi a formulare una teoria sulla nevrosi traumatica ci sono due neurologi: Herbert Page, che nel 1883, in un articolo sugli incidenti ferroviari, parla di shock nervoso identificando la paura come causa dei sintomi nervosi, e Hermann Oppenheim, che nel 1889, studiando vari pazienti appartenenti alla classe lavoratrice di Berlino, identifica il trauma con un problema psichico.29 L’idea di trauma come malattia fisica inizia, perciò, a vacillare e

a mostrare diverse problematiche, tra cui la manifestazione della patologia in individui che non erano stati esposti direttamente alle guerre. Il termine acquista allora un significato psicologico ed emozionale, soprattutto grazie agli studi di Charcot, Janet, Breuer e Freud. Jean-Martin Charcot è il primo ad occuparsi della relazione della malattia psichiatrica con il trauma e già nel 1887 si interessa allo studio dello shock nervoso. I suoi studi, che avevano già escluso l’idea della simulazione da parte delle isteriche e portato alla luce problemi di dissociazione dovuti a esperienze intollerabili, vengono ignorati per molto tempo. Così, la patologia psichica continua ad essere considerata una suggestione o simulazione con il conseguente utilizzo di tecniche

29 Come ricorda C. Bonomi in “Breve storia del trauma dalle origini a Ferenczi (1880-1930ca)”, in C. Bonomi, F. Borgogno, La catastrofe e i suoi simboli. Il contributo di Sándor Ferenczi alla storia del

trauma, Torino, UTET Libreria, 2001, Oppenheim basa il suo studio sul lavoro di Charcot e su cinque

anni di osservazioni che vanno dal 1883 al 1888 alla Charité di Berlino. Egli analizza quarantuno casi comprendenti lavoratori delle ferrovie, delle fabbriche e dei cantieri, arrivando alla conclusione che si trattasse di disturbi funzionali cerebrali causati dall’urto fisico e da un trauma psichico secondario dovuto allo spavento. Page si occupa, invece, dei disturbi conseguiti a incidenti ferroviari, concludendo che anche solo la paura può essere causa dei sintomi nervosi.

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