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Tipologie di marchio

Il marchio registrato nella disciplina giuridica e contabile.

2.1 Normativa italiana: definizione, natura e tutela.

2.1.4 Tipologie di marchio

La prassi e la normativa italiana hanno fornito una serie di distinzioni del marchio, sia esso registrato o meno, in base ad alcuni criteri che desumibili dalle finalità del marchi stesso, dalle finalità dell’imprenditore che ne vanta il diritto d’uso e dalla modalità con cui viene generato il segno distintivo. Tali criteri sono riassumibili in:

- natura dell’attività svolta dal titolare; - composizione del marchio.

Il titolare del marchio può svolgere un tipo di attività differente che può spaziare dalla produzione di un bene, alla sua commercializzazione o alla fornitura di un servizio. In base alla natura dell’attività potremmo quindi avere:

- marchi di fabbrica: trattasi di marchi generalmente apposti sul prodotto o sui suoi

componenti che possono essere anche differenti a seconda della fase di lavorazione del prodotto;

- marchi di commercio: trattasi di marchi che possono essere apposti nella fase di

commercializzazione, e quindi dal soggetto che si occupa della distribuzione, o nelle fasi intermedie, come nel caso dei marchi apposti da grossisti.

77 La Convenzione di Parigi è stata stipula e firmata per la prima volta nel 1883 e rappresenta la prima stesura in

assoluto di un codice di tutela della proprietà industriale, che peraltro, successivamente modificato più volte, risulta tuttora in vigore.

Il nostro ordinamento civilistico, pur contemplando la possibilità che più soggetti utilizzino marchi distintivi sul medesimo prodotto, pongono un limite a tale coesistenza prevedendo che in ogni caso il rivenditore o il grossista non possano per nessuna ragione sopprimere il marchio di fabbrica in favore del marchio commerciale, all’art. 2572 c.c. stabilisce infatti che “Il rivenditore può apporre il proprio marchio ai prodotti che mette in vendita, ma non può

sopprimere il marchio del produttore.”

Nel caso invece che il marchio si apposto o comunque usato come segno distintivo per determinati servizi, si parla di marchio di sevizio, ossia di un marchio che ha come forma tipica quella pubblicitaria come per esempio i materiali promozionali, i depliant, le divise del personale e riguarda imprese che operano nel campo dei servizi quali le imprese di trasporto, bancarie, assicurative, le società di spettacolo o ancora le società pubblicitarie stesse.

A seconda che lo stesso marchio sia poi usato per tutti i prodotti dell’azienda o solo per una parte di essi potremo distinguere tra:

- marchio generale: usato per ogni tipo di prodotto fabbricato o distribuito dall’impresa in modo generico, come nel caso del logo Apple;

- marchio specifico: in questo caso la medesima impresa apporrà marchi diversi al fine di distinguere la linea di prodotti con determinate caratteristiche qualitative in modo da renderne immediata la differenziazione agli occhi del consumatore. Si tratta per esempio dei casi di molte case automobilistiche o di cosmesi che associano un logo differente a seconda del tipo di autovettura o della linea di prodotti (corpo, viso, profumeria).

Va da sè che ad ogni titolare di marchio è permesso l’uso contemporaneo di marchio generico e specifico in modo da evidenziare sia la peculiarità del prodotto che la sua appartenenza ad una impresa con una storia ed una immagine già ampiamente riconoscibile.

Il legislatore europeo e, in sede di recepimento della normativa comunitaria, quello italiano, hanno fornito indicazioni utili sull’oggetto della registrazione e sui suoi confini sostanziali individuando i requisiti di novità, carattere distintivo e liceità, quali elementi essenziali per la validità della registrazione e quindi per l’insorgere del diritto esclusivo all’uso del marchio registrato. Sul piano meramente formale invece, si è stabilito che possono essere registrati come marchi “tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente”78 ovvero:

- le parole; - i disegni; - le lettere;

- le cifre; - i suoni;

- la forma del prodotto o della confezione di esso; - le combinazioni o le tonalità cromatiche.

Il marchio costituisce un riferimento di base per le scelte dei consumatori poiché è in grado di comunicare loro una determinata qualità, conoscenza e determinati valori oltre ad informazioni aggiuntive collegate al prodotto o all’azienda; le aspettative che si creano in merito in capo alla clientela su un determinato prodotto contraddistinto da un marchio riconosciuto, permettono di superare la fase di indagine del consumatore. L’efficacia del marchio dipende quindi dal suo collegamento, diretto o indiretto, col prodotto e di seguito fornirò un elenco della tipologia di segni distintivi utilizzati nella prassi; le aziende ed i creativi di marchi e loghi tendono a distinguerli in base al loro aspetto ed alla tipologia di strumenti che li compongono. I segni possono quindi essere classificato come:

- denominativi. Si tratta di tutti i segno che sono composti da nomi di persona, nomi

geografici, lettere, numeri o parole di comune linguaggio, parole inventate, abbreviazioni, errori ortografici o combinazioni dei precedenti segni. In genere questo tipo di marchio è il più utilizzato. Nel campo della moda si può pensare a casi come Gucci, che unisce le lettere iniziali e il nome del creatore del brand o il marchio Luis Vuitton che utilizza segni grafici di identica tipologia.;

- figurativi. Si tratta di marchio composti da parole di fantasia, da disegni o modelli o

combinazioni di essi. Un esempio calzante sempre nel campo della moda, è quello di LaCoste che la clientela associa inevitabilmente all’immagine di un coccodrillo;

- tridimensionali. Si tratta di un marchio particolare che si sostanzia nell’utilizzo di una

particolare forma o packaging del prodotto, si pensi per esempio al packaging di determinate bottiglie di profumo (come la bottiglia a forma di sagoma di donna di J.P. Gaultier) o ancora il tubo in cui vengono venduti i Baci Perugina.;

- colore. Si tratta di combinazione di colori o colori singoli che diventano simbolo e

segno distintivo per un determinato prodotto o servizio. Il termine rosso Valentino, per esempio, non è solo divenuto di linguaggio comune, ha anche un’accezione visiva ricollegabile direttamente a quell’azienda e, la clientela tenderà ad associare quella particolare tonalità di rosso agli abiti di alta moda italiana. Un altro esempio di uso del colore può essere il caso Tiffany & Co. con il suo packaging verde acqua; nel corso dei decenni quel colore viene addirittura definito verde Tiffany e viene usato anche per decorazioni dei prodotti della gioielleria.;

- sonori e olfattivi. Sono marchi di minor utilizzo per le difficoltà di identificazione,

anche se, con lo sviluppo delle tecnologie si è assistito ad un aumento dell’uso del suono come marchio distinguibile, si pensi per esempio al suono di avvio del processore supportato da Windows o delle suonerie tipiche del marchio Nokia o i- phone per i telefoni cellulari che, rendono riconoscibile la tipologia di telefono a prescindere dalla possibilità di vedere l’apparecchio dal quale quel suono proviene. Nel nostro ordinamento assume una particolare rilevanza il concetto di marchio di forma (o tridimensionale), che il legislatore ha voluto trattare autonomamente ponendo un limite all’uso di determinate forme di prodotto, egli infatti stabilisce che non possono essere registrate come marchi le forme imposte dalla natura del prodotto o quelle che ne attribuiscono un valore sostanziale. 79

La tipologia di marchi fin qui trattata può essere definita come marchio d’impresa, vi è tuttavia un altro tipo di marchio definito collettivo, che assume una valenza differente in quanto finalizzato a fungere da garante sulla origine, qualità o natura del prodotto o servizio ma privo di capacità distintiva per il singolo prodotto del singolo imprenditore. Si tratta, nella sostanza di un marchio che, pur tutelato e tutelabile, non assolve alla funzione d’impresa e quindi non può essere registrato autonomamente da un singolo titolare come contrassegno del proprio prodotto. Il marchio collettivo è disciplinato sia in ambito civilistico che attraverso il recepimento delle direttive europee con il Codice della Proprietà Intellettuale. Il titolare di tale marchio non è quindi un’impresa bensì un ente garante del prodotto e delle sue caratteristiche che, pur non usandolo, ha il diritto di concederlo in uso ai suoi associati. 80 In via

esemplificativa possiamo riferirci a tutte quelle diciture che contraddistinguono l’origine e la qualità del prodotto come ad esempio “Pura Lana Vergine” e che vengono apposte sul prodotto contemporaneamente al marchio d’impresa. Questo tipo di marchio non va però confuso con le denominazioni d’origine geografica che godono di tutela giuridica a

79 “Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni costituiti esclusivamente

dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, o dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto.” Art. 9, c.p.i.

80 L’art. 2570 c.c. stabilisce che “I soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità

di determinati prodotti o servizi possono ottenere la registrazione di marchi collettivi per concederne l’uso , secondo le norme dei rispettivi regolamenti, a produttori o commercianti.” L’attuale contenuto dell’articolo

risulta modificato rispetto al testo previgente in cui venivano usati termini meno generici per individuare chi potesse richiedere la registrazione del marchio collettivo “gli enti e le associazioni legalmente riconosciuti

possono ottenere la registrazione [...]”; questa prima versione, sostituito con d.lgs n. 480/1992, forniva una

prescindere dalla loro registrazione; esse sono in uso anteriormente alla registrazione al solo fine di sottolineare la stretta relazione tra prodotto e area geografica. Il marchio collettivo, a differenza della Denominazione d’Origine, assume rilevanza giuridica solo successivamente alla registrazione e sarà tutelabile secondo gli stessi precetti previsti per il marchio d’impresa usato dalla singola azienda. In questo contesto rileva il Regolamento CEE n. 2081/92 che ha creato i seguenti marchi:

- DOP - Denominazione di Origine Protetta; questa denominazione identifica prodotti che sono trasformati, elaborati e preparati in una determinata area geografica, come è il caso di alcuni prodotti alimentari quali il pecorino sardo, il prosciutto San Daniele o la cipolla di Tropea;

- IGP - Indicazione Geografica Protetta; identifica prodotti di cui almeno uno degli stadi di produzione, trasformazione o elaborazione avviene in una determinata area geografica, in Italia per esempio questa denominazione è usata per i pomodori Pachino;

- STG - Specialità Tradizionale Garantita; identifica prodotti senza collegamento con uno specifico luogo d’origine, ma caratterizzati da una composizione tradizionale del prodotto o da un metodo di produzione tradizionale, come nel caso della produzione di mozzarelle di bufala;

In Italia, prima del Regolamento CEE sopra menzionato, erano già in vigore delle norme poste a tutela delle specificità agroalimentari. Successivamente il sistema di certificazione nazionale viene utilizzato esclusivamente per i vini.

Il marchio collettivo assume quindi valenza di eccezione rispetto ai requisiti essenziali per l’ottenimento di diritto esclusivo all’uso, si tratta di una previsione che permette l’ottenimento degli stessi effetti ai fini di legge anche in mancanza di requisiti. Il marchio collettivo, in quanto deroga alle norme esistenti, prevede un’ulteriore possibilità vietata dal legislatore italiano: esso può “consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per

designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi.” 81

81 Art. 11, comma 4, c.p.i. Allo stesso comma si prevede poi la possibilità per l’autorità di rifiutare la

registrazione del marchio collettivo, previa motivazione scritta, nei casi in cui questa possa creare vantaggi ingiustificati o pregiudicare analoghe iniziative regionali.