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I titoli: avvisi di intertestualità

L‘universo dei titoli è estremamente variegato e a ogni tipologia corrisponde un effetto sul compratore. La loro prima e indiscussa funzione è quella di dare un nome all‘opera, di identificarla, ma, designazione a parte, i titoli svolgono altre due funzioni, individuate da Genette nel suo lavoro sulla paratestualità, Seuils114: descrivono il testo, accennando, a seconda dei casi, al

113 Ivi, pp. 145-147.

114 Cfr. G.Genette, Soglie. I dintorni del testo, Torino, Einaudi, 1989, p. 55-101. L‘edizione

44 contenuto (titoli tematici), agli aspetti formali (titoli rematici) o a entrambi gli elementi, e lo valorizzano, catturando l‘attenzione del lettore.

Dopo essersi concentrato sulle modalità in cui i titoli descrivono l‘opera, Genette ritiene di aver trascurato gli effetti semantici secondari che si aggiungono «indifferentemente al carattere tematico o rematico della descrizione primaria. Sono degli effetti che potremmo definire connotativi, perché riguardano la maniera in cui il titolo, tematico o rematico, realizza la sua denotazione»115. Segue una carrellata di dimostrazioni, conclusa con l‘accenno agli effetti connotativi dal carattere più sfuggente: i «riferimenti culturali dei titoli-citazioni». Questa categoria riguarda da vicino i titoli shakespeariani dei romanzi di Marías e Faulkner presi in esame, tanto che il critico, fra le esemplificazioni, menziona proprio The Sound and the Fury.

In questo caso, l‘effetto secondario sarebbe quello di conferire «al testo la cauzione indiretta di un altro testo e il prestigio di una filiazione culturale»116. Lo stesso compito, ovviamente, è assolto da Corazón tan blanco, titolazione coadiuvata da un‘epigrafe contenente versi shakespeariani. Nell‘ottica di un‘intertestualità che consacri il proprio lavoro, è utile ricordare le osservazioni dedicate a questa ulteriore e possibile ―soglia‖ da varcare prima di accedere al cuore del testo:

L‘epigrafe è in sé un segnale (che vuole essere indice) di cultura, una parola d‘ordine di intellettualità. In attesa di ipotetici resoconti nelle gazzette, premi letterari e altre consacrazioni ufficiali, essa è già un po‘ la consacrazione dello scrittore, che per mezzo di essa sceglie i suoi pari, e dunque il suo posto nel Pantheon117.

C‘è sempre una tradizione alla quale rispondere; ve n‘è un‘altra da cui, contemporaneamente, si prendono le distanze. E il titolo, sia per Faulkner che per Marías, viene esibito come il segno di un‘eredità letteraria di cui si vuole fieramente partecipare.

115 Ivi, p. 88.

116 Ivi, p. 90. 117 Ivi, p. 157.

45 Il breve accenno di Genette all‘analisi dei titoli-citazioni è dovuto alla complessità delle implicazioni semantiche che essi determinano caso per caso, una difficoltà che non ne rende possibile la trattazione approfondita in uno studio che comprende tutti gli elementi paratestuali. Dato che gli aspetti connotativi dei titoli vanno analizzati a fondo, essendo «i più densi di intenzioni, ma probabilmente anche i più densi di effetti involontari, tracce eventuali di inconscio, individuale e collettivo»118, sarà interessante risalire alle condizioni

particolari che hanno portato alla loro genesi nei romanzi The Sound and the Fury e Corazón tan blanco. L‘inconscio, tuttavia, gioca un ruolo poco significativo durante le fase della loro scrittura: l‘intenzione è, in entrambi i casi, di porre in rilievo l‘intertesto, premettendo così all‘opera una specifica chiave di lettura.

Al di là di una primigenia comunanza d‘intenti, lo studio dei due titoli shakespeariani rivela l‘esistenza di importanti analogie, essendo simile sia il percorso che ha portato alla loro selezione che la forma finale in cui sono stati presentati al lettore. L‘analisi inizia dalla prima affinità menzionata: il momento in cui è stato conferito il ―nome‖ a entrambe le opere. A illuminare il confronto è, ancora una volta, la strumentazione critica offerta da Seuils, in cui alcune pagine sono dedicate al percorso opposto che determina la genesi dei titoli: da una parte troviamo una scelta ardua e insicura a testo concluso, il raccordo di idee a posteriori; dall‘altra, il pungolo iniziale della scrittura, l‘irresistibile forza centripeta che precede l‘intera opera e ne è nucleo fondante.

Partendo dall‘ultima costatazione, è facilmente verificabile come per molti autori il titolo costituisca una sapiente bussola che guida l‘ispirazione, un magnete che attira a sé ogni parte del testo conferendo unità e necessità di esistenza. Non è questo, comunque, il caso di Faulkner e di Marías. Il primo, infatti, nel romanzo del 1929 aveva inizialmente optato per un altro titolo, facendo ricadere la propria preferenza su The Sound and the Fury solo in un secondo momento. A tal proposito, Michael Millgate sottolinea l‘elemento di sorpresa: «Perhaps the single most arresting fact about the manuscript of The Sound and the Fury is that the

46 first page bears the undeleted title ―Twilight‖»119. Ogni artista, in fondo, procede per tentativi e Millgate ha interpretato questo titolo come un esperimento: una scelta legata alla presenza di una storia breve, ―Twilight‖, embrione del romanzo che tutti conosciamo120. Fernanda Pivano riassume le linee essenziali di questo

progetto iniziale, in cui i caratteri di alcuni dei futuri protagonisti erano già ben delineati:

La nonna si chiamava Damuddy, come la nonna materna di Faulkner, […], e una delle bambine si chiamava Candace o Caddy, personaggio femminile del tutto inventato che restò sempre il più caro al cuore di Faulkner. Caddy era circondata dai fratelli: Quentin, incestuosamente innamorato di lei già nell‘infanzia, e Jason, già da bambino prepotente e pedante; e stava con loro l‘altro fratello, il povero Benjy nato idiota, chiamato Maury e ribattezzato Benjy quando la madre si rassegnò alla sua menomazione e non volle più chiamarlo col nome del fratello Maury121.

Sempre Pivano svela gli interessanti retroscena alla base della modifica del primo titolo:

Il titolo Twilight era cambiato quando Faulkner si accorse che il racconto originario sarebbe diventato un romanzo. Quando venne deciso The Sound and

the Fury cominciarono le discussioni tra Phil Stone, mentore di Faulkner negli

anni giovanili, e Faulkner sempre più insofferente delle interferenze del vecchio avvocato. Stone sostenne di avere suggerito lui il titolo shakespeariano perché il libro era «un racconto narrato da un idiota» e dunque sembrava giusto rifarsi alla definizione della vita dell‘atto V del Macbeth: «It is a tale told by an idiot, full of sound and fury, signifying nothing»; invece Faulkner sostenne che il titolo gli venne suggerito dall‘inconscio e che l‘adottò perché gli pareva adatto a questa «cupa storia di follia e di odio»122.

Il titolo che ha reso celebre il romanzo, dunque, è stato il frutto di successive riflessioni, dei ragionamenti che hanno portato Faulkner a considerare la titolazione di matrice shakespeariana più adatta a rappresentare il contenuto e lo stile caotico dell‘opera. Infatti, se da una parte l‘evocativo termine ―crepuscolo‖,

119 M. Millgate, ―The Sound and the Fury‖, in Faulkner. A collection of Critical Essays, cit., p. 94. 120 Ibidem. Millgate si interroga sul significato di―Twilight‖ in base alla sua collocazione come

titolo esclusivamente della prima sezione, quella dedicata a Benjy, oppure come titolo per rappresentare l‘opera nella sua totalità. Nel primo caso, il termine si riferirebbe al mondo sospeso fra luci e oscurità, chiaroveggenza e confusione, in cui è intrappolato Benjy; nel secondo, al concetto di decadenza associato alle vicende dei Compson.

121 Fernanda Pivano, «Introduzione», in W. Faulkner, L’urlo e il furore, trad. it. di Vincenzo

Mantovani, Trento, Mondadori, 1989, p. V.

47 con l‘immagine dell‘atmosfera rarefatta che dipinge, sapeva suggerire appieno l‘idea del declino della famiglia Compson, dall‘altra difettava dell‘allusione alla dimensione angosciante e ossessiva caratteristica di buona parte del libro.

La tempistica della scelta del titolo è lo medesima per Marías: svelando le motivazioni che lo hanno indotto a selezionare il sintagma Corazón tan blanco, lo scrittore afferma di aver preso l‘importante decisione solo dopo aver terminato il romanzo.

Estas dos frases no parecen encerrar ningún problema de comprensión ni de entendimiento. Cualquier lector o espectador las admitirá sin más y no percibirá dificultad ninguna, ni en el sentido ni en los vocablos. «My hands are of your colour; but I shame to wear a heart so white», dice el texto en inglés. Al terminar mi novela y pensar en un título para ella que aún no había decidido, consideré la posibilidad de llamarla Corazón tan blanco (que, en efecto, ha resultado el título definitivo), pese a lo gastada que está la palabra inicial. Si vencí esa resistencia y otras dudas fue porque entonces, precisamente al aislar esas tres palabras, me di cuenta de que en realidad no sabía, no entendía cabalmente lo que significaban123.

L‘elemento paratestuale per eccellenza non è visto da Marías come una dolce figura materna che durante la composizione richiami a sé, figli persi tremanti e timorosi, i fili torti dell‘intreccio. Questa ipotesi è suffragata da un‘intervista rilasciata alla prestigiosa rivista The Paris review, in cui l‘autore descrive il proprio particolare modo di procedere nella scrittura: «Yo trabajo sin mapa, sólo con brújula, es decir, que sé más o menos hacia dónde voy. No es como si vagara sin sentido, de forma totalmente caprichosa. […]. Me gusta no saberlo todo»124.

Il prodotto finito cela le fasi del processo creativo: ciò che sembra imprescindibile, un passo memorabile, per imprevedibili coincidenze poteva non farne parte: «Cuando uno lee Corazón tan blanco, parece que la cita de Macbeth que le da título es la clave, o como dijo Nabokov, ―el primer latido‖. Pero yo sé

123 J. Marías, «Shakespeare indeciso», in Literatura y fantama, cit., p. 334.

124 Fay, S., Una entrevista: the Paris review (2006), in Id., Aquella mitad de mi tiempo. Al mirar

48 cómo surgió»125. Marías precisa che la presenza dell‘intertestualità shakespeariana nel romanzo è stata mediata da un elemento fortuito:

La observación de la frase de Shakespeare «Mis manos son de tu color; pero me avergüenzo de llevar un corazón tan blanco», […], proviene en primera estancia no de una relectura de Macbeth, sino de la visión del Macbeth de Welles una noche en que, en vez de salir, me quedé en casa viendo la televisión126.

L‘opera conclusa, evidentemente, intorpidisce e abitua l‘occhio a una realtà percepita come necessaria. Eppure bisogna ricordare che l‘inserimento della parte dedicata al Macbeth è sopraggiunto inaspettatamente a lavoro inoltrato, quando l‘autore poteva già contare su un‘ottantina di pagine scritte. Dopo aver sfogliato le edizioni shakespeariane in cerca di chiarificazioni sui misteriosi versi della tragedia, la constatazione di un vuoto interpretativo è diventata un inatteso sinonimo di ispirazione. Così, la scena in cui Lady Macbeth parla col marito dopo l‘uccisione di Duncan si è trasformata in un leitmotiv di Corazón tan blanco.

Giungiamo all‘esame della seconda somiglianza fra i titoli di Marías e Faulkner concentrandoci sull‘aspetto formale. La forza di molti titoli dell‘autore spagnolo risiede nella totale mancanza di elementi utili alla contestualizzazione, nell‘indecisione che generano al momento di una più attenta interpretazione. Quelli di filiazione shakespeariana, come Corazón tan blanco o Mañana en la batalla piensa en mí, pur sembrando inizialmente comprensibili, difettano di qualsiasi linea guida interpretativa. Il lettore, ignaro della loro provenienza letteraria, viene automaticamente invitato a completarne il senso, a percepirvi da subito un‘assenza. Ad esempio, non potrà fare a meno di domandarsi qual è il termine di paragone nell‘accostare il colore bianco al cuore, o, nel secondo caso, non mancherà di interrogarsi da subito su chi siano l‘emittente e il destinatario di ciò che, a prima vista, sembra uno straziante invito al ricordo. Ciò avviene perché la copertina, regno incontrastato del titolo, è uno spazio senza passato né futuro, il luogo dell‘ipotetico e del possibile.

125 Ivi, p. 395.

49 Le parole che costituiscono il titolo Corazón tan blanco, estrapolate da versi intrisi di enigmaticità alla fonte, sono solo una parte ridotta di un discorso più ampio e, per loro natura, riconducono a un contesto preciso a cui tornare per ottenere delle risposte. Lo sguardo è rapido: da una macchia di vino al contenitore in cui era conservato, da una goccia di sangue alla ferita che lo ha generato. Così, il titolo-frammento viene a dipendere fortemente dalla porzione di testo che lo precede e segue nella tragedia. Ed è proprio ai versi taciuti e inespressi che Marías rimanda fin dall‘epigrafe, il secondo indizio d‘intertestualità per ordine di comparsa. Lo scrittore ora apre leggermente le dita di quelle mani immaginarie che manteneva chiuse sugli occhi del lettore. Infatti, il nuovo elemento paratestuale non specifica da subito il Macbeth come intertesto privilegiato, ma indica solo il nome di Shakespeare di seguito alla citazione «My hands are of your colour;/ but I shame to wear a heart so white». Spetterà al narratore, a romanzo già inoltrato, il compito di attribuire i versi al dramma sull‘ambizioso re di Scozia.

Versi shakespeariani estratti dal proprio contesto sono anche quelli che danno vita al titolo The Sound and the Fury. Eppure, mentre in Marías questa scelta è finalizzata a una intertestualità esplicita, nel caso di Faulkner il titolo riproduce primariamente l‘atmosfera caotica che dominerà nell‘opera. Sia in Marías che in Faulkner, tuttavia, si può facilmente affermare che il titolo-citazione rappresenti solo la punta dell‘iceberg di una fitta rete di legami intertestuali, una sineddoche che lascia intravedere solo una piccolissima parte degli intertesti.

8. Dalla tragedia al romanzo: le allusioni faulkneriane all’opera di