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2. Tecniche diagnostiche nel carcinoma squamo-cellulare orale

2.4 Tecniche di imaging

2.4.1 Tomografia computerizzata

La tomografia computerizzata (CT) è una metodica di diagnostica per immagini che sfrutta i raggi X nata nel 1971 grazie agli studi dell’ingegnere Godfrey N. Hounsfield e del fisico Allan M. Cormack. Inizialmente tale definizione era affiancata dall’aggettivo assiale (TAC, tomografia assiale computerizzata) per indicare che le immagini erano generate solo sul piano assiale, mentre oggi, grazie all’avanzamento tecnologico avvenuto, è possibile l’estrapolazione di un volume e non più solo di sezioni assiali permettendo la visualizzazione delle immagini nelle tre dimensioni (trasversale, frontale e sagittale).

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Figura 6: carcinoma linguale in visione assiale, coronale, sagittale108.

La CT corrisponde ad una tecnica tomografica, in quanto consente di ottenere una sezione del corpo umano, differenziandosi pertanto dalle immagini di sommazione impiegate dalla radiologia convenzionale. Il termine “computerizzata” indica che per la produzione dell’immagine è necessario l’intervento del computer109 e sottolinea come questa tecnica sia stata la prima nella quale è avvenuta la digitalizzazione.

Il tomografo computerizzato è un’apparecchiatura composta essenzialmente dalla sorgente di raggi X e dal sistema di rilevazione. La sorgente di raggi X, localizzata all’interno del gantry, ovvero del corpo macchina attraverso il quale transita il paziente, si compone di un tubo radiogeno formato da un anodo e da un catodo. All’interno del tubo radiogeno sono prodotte le radiazioni elettromagnetiche per mezzo di un effetto termo-ionico che si sviluppa tramite l’applicazione di una differenza di potenziale. A livello del tubo radiogeno, oppure alternativamente al livello del sistema di rilevazione, ritroviamo la presenza di un collimatore la cui funzione è quella di ridurre le dimensioni del fascio di raggi X a quelle desiderate.

Vi è poi un sistema di rilevazione e acquisizione dei dati, che si localizza anch’esso nel contesto del gantry in posizione speculare rispetto al tubo radiogeno

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ed è costituito dai detettori, ovvero rilevatori in grado di raccogliere i fotoni che sono riusciti ad attraversare i diversi tessuti. I detettori pertanto registrano l’attenuazione subita dal fascio radiante generato dal tubo radiogeno nell’attraversamento dell’organismo del paziente. Questa attenuazione viene trasformata in un segnale elettrico trasmesso infine al sistema di elaborazione e visualizzazione dei dati, ovvero il computer.

Altro elemento fondamentale è il sistema di posizionamento e avanzamento del paziente, ovvero il lettino sul quale esso è disteso e che si muove durante l’acquisizione. Tale movimento nella CT di vecchia generazione consentiva l’acquisizione di sezioni diverse del corpo tra loro consecutive, mentre nella CT moderna consente l’acquisizione di volumi.

Dal punto di vista funzionale, la CT prevede che il soggetto posto sul lettino porta-paziente entri all’interno del gantry nella cui struttura sono localizzati il tubo radiogeno e il sistema di detezione composto dalla matrice; tali strutture risultano speculari tra loro e si muovono in modo contestuale in modo tale da risultare perfettamente collimati: il lettino si muove con velocità costante e ridotta all’interno della macchina mentre nello stesso tempo la sorgente e il detettore ruotano rapidamente attorno al paziente (0,5-0,7 s/giro) consentendo, in ultima analisi, l’acquisizione di un volume e non di una sezione trasversale. L’entità della traslazione definisce il volume acquisito che può variare da una CT-total body fino alla visualizzazione specifica di un singolo distretto. Questa modalità di acquisizione caratterizza la cosiddetta CT spirale in quanto il movimento disegnato virtualmente dal fascio radiante sul paziente corrisponde ad una vera e propria spirale e non più ad un cerchio come avveniva nella vecchia TAC.

Quindi il fascio di raggi X attraversando il corpo verrà attenuato in maniera diversa a seconda della tipologia di tessuto, permettendo al detettore di rilevare le diverse informazioni per poi permettere la formazione dell’immagine radiografica corrispondente, che, trattandosi di una metodica digitale, è possibile grazie al computer che funziona da sistema di elaborazione dei dati raccolti dal detettore

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stesso. Nella CT, così come nelle altre metodiche digitali, il detettore è in grado di convertire la radiazione X in corrente elettrica di intensità proporzionale.

Nella CT l’immagine è costruita con un procedimento in cui inizialmente viene misurata l’attenuazione di un fascio di raggi X in innumerevoli traiettorie attraverso lo strato corporeo in studio, successivamente, tramite il calcolo del computer, viene determinata la componente di attenuazione nei singoli voxel ed infine l’immagine viene visualizzata sul display.

La CT spirale è stata introdotta negli anni ’90 e la possibilità di garantire la rotazione del sistema sorgente-detettore attorno al paziente in continuo movimento si è resa possibile grazie al trasporto della corrente tramite contatti striscianti, in parte già esistente nei radar, in modo tale che i cavi di alimentazione non si attorcigliassero come avveniva invece nella TAC.

Nel tempo la stessa CT spirale ha subito un’ulteriore modificazione, in particolare nella sua prima versione si componeva di un anello di detettori posti su un’unica fila, cosicché il campionamento volumetrico attuabile con una rotazione era limitato ad una ristretta regione corporea la cui estensione si basava su un parametro importante quale il pitch o passo della spirale, ovvero la distanza tra una rotazione e l’altra proiettate sul corpo del paziente. In presenza di una rotazione a velocità costante del tubo radiogeno, il passo della spirale varia in funzione della velocità con cui si muove il lettino, infatti all’aumentare di quest’ultimo parametro incrementa il pitch. Questo comporta che in passato per acquisire un volume il più ampio possibile in una certa quantità di tempo, avendo a disposizione una sola fila di detettori, si ricorreva ad un incremento del passo dell’elica, condizione che tuttavia determinava una riduzione della risoluzione dell’immagine ottenuta.

Nel modello attuale si è assistito all’incrementando delle file di detettori con un doppio vantaggio, da una parte il sistema di rilevazione ha subito un’estensione in lunghezza così da poter garantire una copertura più ampia del volume corporeo ad ogni rotazione, dall’altra è incrementato anche il numero dei detettori stessi

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che parallelamente riducono le proprie dimensioni così da consentire una miglior risoluzione spaziale e la possibilità di studiare anche i più minuziosi dettagli anatomici. Nasce quindi la cosiddetta CT multistrato (MSCT) che, con una singola rotazione e in una frazione di secondo, è in grado di acquisire volumi estesi senza la necessità di variare il pitch. Questo fenomeno è garantito da matrici composte anche da 128, 256 o anche 300 file di detettori.

Lo sviluppo tecnologico ha portato anche all’aumento progressivo dei canali di uscita dei dati, ad ognuno dei quali afferiscono una o più filiere di detettori, dai 4 iniziali ai 256 delle macchine di ultima generazione.

Qualsiasi sia la tecnica utilizzata, le immagini ottenute con la CT, analogamente a tutte le figure radiologiche, vengono rappresentare con una scala di grigi la cui tonalità corrisponde alla densità delle strutture scansionate. La densità è proporzionale al numero atomico degli atomi costituenti il tessuto e, quindi, al profilo di attenuazione dei raggi X che ne consegue. Per questo motivo, ad esempio, l’osso per la sua densità e l’elevato numero atomico assorbe maggiormente le radiazioni rispetto a quanto possa avvenire per l’aria. Le immagini ottenute corrispondono alla rielaborazione matematica dei profili di attenuazione del fascio radiante ad ogni momento angolare, si tratta quindi di un imaging quantitativo che permette di quantificare, ad esempio, la composizione dei tessuti in base alla loro densità. La ricostruzione computerizzata porta alla costruzione di un’immagine digitale composta da voxel (Volume Element), ovvero l’espansione volumetrica del pixel che corrisponde ad una rappresentazione bidimensionale. La qualità dell’immagine è direttamente proporzionale alle dimensioni dei pixel/voxel, mentre la risoluzione è direttamente proporzionale al loro numero.

La quantificazione della densità dell’immagine consente la definizione delle diverse strutture anatomiche, in particolare le strutture a più alta densità, dette iperdense, si caratterizzano per una forte profilo di attenuazione e un aspetto

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tendenzialmente bianco-grigio chiaro. Al contrario le strutture di ridotta densità, denominate ipodense, appaiono tipicamente grigio scuro.

Il valore di attenuazione del fascio radiante, e di conseguenza la densità del tessuto, può essere espresso attraverso i valori di unità Hounsfield. Si tratta di una scala relativa in cui il profilo di attenuazione di ciascuna struttura è rapportato a quello dell’acqua il cui valore è 0, seppur nella realtà oscilli tra -10 e +30 per il contenuto misto che la contraddistingue, e il range complessivo varia tra +1000 e -1000. I valori più elevati sono apprezzati in sede ossea, seppur anche in questo distretto si possa variare tra aree ad alta densità (+1000) come la corticale ad altre più simili al sangue e ai parenchimi come la spongiosa. Diversamente i valori più bassi si apprezzano in sede polmonare, infatti quest’ultimo distretto è ricco di aria che rappresenta la struttura a maggior ipodensità (-1000). Esiste, inoltre, anche una scala Hounsfield estesa che raggiunge valori di +4000 ed è impiegata per lo studio delle protesi metalliche (placche di osteosintesi, impianti dentari, protesi d’anca) visto che quest’ultime presentano una densità maggior rispetto a quella ossea.Nell’utilizzo della scala Hounsfield se tutti i valori sensitometrici fossero oggetto di rappresentazione nell’immagine, questa risulterebbe estremamente appiattita, ovvero povera di contrasto, per cui strutture aventi valori sensitometrici anche molto diversi non verrebbero discriminate dall’occhio umano. Tutto ciò si verifica poiché, malgrado la scala di grigi disponibile si componga di 2000 sfumature (da -1000 a +1000), l’occhio umano ha la capacità di cogliere al massimo 16 tonalità di grigio e pertanto, per poter sfruttare le potenzialità del sistema si ricorre al windowing, ovvero si modifica la finestra di lettura in modo tale da modificare il contrasto e mettere in risalto alcune strutture piuttosto che altre. In pratica sulla stessa acquisizione è possibile modificare la rappresentazione del dato digitale nella fase di post-processing così da evidenziare in modo diverso la stessa struttura anatomica tramite una variazione del contrasto e andare quindi a visualizzare le diverse strutture anatomiche.

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Operativamente il windowing permette di definire il valore sensitometrico al quale si vuole che corrisponda sul monitor il grigio medio che corrisponde al centro della finestra. Definire l’intervallo di valori sensitometrici al di sopra e al di sotto del valore centrale permette di rappresentare con le gradazioni di grigio disponibili le altre strutture anatomiche che rimangono in tale intervallo, definendo così l’ampiezza della finestra. Nell’impostare la finestra bisogna ricordare che tanto maggiore è l’ampiezza della stessa tanto minore è il contrasto d’immagine e viceversa.

Tutte le strutture aventi valori di densità superiori a quello prescelto come limite superiore della finestra risulteranno bianche, mentre le strutture con valori minori al limite inferiore prescelto risulteranno di colore scuro. Le strutture che invece presenteranno valori intermedi verranno rappresentate con gradazioni crescenti dal grigio molto chiaro al grigio molto scuro.

La regolazione della finestra è un passaggio fondamentale dato che le ampiezze ottimali possono consentire l’identificazione di reperti patologici altrimenti destinati a rimanere misconosciuti.

Un limite che si riscontra nella CT del distretto testa-collo corrisponde alla formazione di artefatti e distorsioni dell’immagine dovuti alla presenta di materiali protesici e dentari di natura metallica (Figura 7).

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Figura 7: esempio di distorsione dell’immagine a causa di materiali metallici110.

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