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La diagnostica per immagini nel carcinoma squamo-cellulare orale: lo stato dell'arte

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Corso di Laurea Magistrale in Odontoiatria e Protesi Dentaria

Presidente: Chiar.mo Prof. Mario Gabriele

Tesi di laurea

LA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI NEL CARCINOMA SQUAMO-CELLULARE ORALE: LO STATO DELL’ARTE

RELATORE

Chiar.mo Prof. Mario Gabriele

CANDIDATO Alessandro Giuntini

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Sommario

1. Il carcinoma squamo-cellulare orale: epidemiologia, eziopatogenesi e clinica ... 6

1.1 Fattori di rischio ... 9 1.1.1 Tabacco ... 9 1.1.2 Alcool ... 11 1.1.3 Radiazioni ultraviolette ... 12 1.1.4 Agenti infettivi ... 12 1.1.5 Igiene orale ... 14

1.1.6 Traumatismi orali cronici ... 14

1.1.7 Fattori nutrizionali e dietetici ... 14

1.1.8 Immunodepressione ... 15 1.1.9 Fattori genetici... 15 1.2 Patogenesi ... 16 1.3 Clinica ... 18 1.3.1 Labbro ... 20 1.3.2 Pavimento orale ... 21 1.3.3 Lingua... 22 1.3.4 Mucosa buccale ... 24 1.3.5 Palato ... 25

1.3.6 Cresta alveolare e gengiva... 26

1.3.7 Trigono retromolare ... 27

1.4 Aspetti istopatologici ... 28

2. Tecniche diagnostiche nel carcinoma squamo-cellulare orale ... 30

2.1 Blu di toluidina ... 31

2.2 Tecniche bioptiche ... 32

2.3 Stadiazione clinica ... 34

2.3.1 Classificazione clinica del tumore primitivo (T)... 34

2.3.2 Classificazione clinica delle metastasi linfonodali (N) ... 35

2.3.3 Classificazione clinica delle metastasi a distanza (M) ... 36

2.3.4 Classificazione patologica (pTNM) ... 37

2.3.5 Raggruppamento in stadi ... 37

2.4 Tecniche di imaging ... 38

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2.4.2 Risonanza magnetica nucleare ... 45

2.4.3 Ecografia ... 51

2.4.4 Tomografia a emissione di positroni ... 56

2.4.5 Mezzi di contrasto ... 60

3. Anatomia radiologica ... 63

4. Discussione... 66

5. Conclusioni... 73

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1. Il carcinoma squamo-cellulare orale: epidemiologia,

eziopatogenesi e clinica

Con il termine carcinoma squamo-cellulare orale si intende l’insieme delle neoplasie maligne che originano dai tessuti epiteliali di rivestimento del cavo orale. Il carcinoma squamo-cellulare rappresenta il più frequente tumore maligno del cavo orale1,2, costituendo il 90% dei casi osservati, ed occupa in ordine di frequenza il sesto posto fra tutte le neoplasie maligne3.

Si presenta con una maggior frequenza nel sesso maschile rispetto al sesso femminile, con un’incidenza di circa 8,2 casi per 100.000 per anno negli uomini e 2,8 per 100.000/anno nelle donne. L’incidenza del carcinoma orale presenta ampie oscillazioni tra vari paesi, infatti osserviamo un 3-6% di incidenza in occidente e un 30% di incidenza nei paesi indio-orientali; tale dato è strettamente correlato ad usi e costumi tipici delle varie popolazioni ed in modo particolare alle abitudini voluttuarie quali fumo ed alcool4,5. La Francia è il paese che presenta la massima incidenza mondiale di carcinomi orali nel sesso maschile insieme a Svizzera e Ungheria. Nel Sud-Est Asiatico l’incidenza è molto elevata sia nell’uomo che nella donna a causa dell’abitudine a masticare foglie di betel, tabacco e noce di areca. Attualmente, a Taiwan il carcinoma orale rappresenta la prima causa di morte nei giovani maschi fra i 25 e 44 anni, probabilmente per il progressivo aumento del consumo delle suddette sostanze in questo gruppo di persone6,7.

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Figura 1: incidenza globale del carcinoma orale.

In Italia l’incidenza media è di 8,44 nuovi casi all’anno ogni 100.000 abitanti tra gli uomini e di 2,22 tra le donne. I tassi di incidenza per il carcinoma del cavo orale sono più elevati nelle regioni settentrionali rispetto a quelle centro-meridionali e insulari. La massima incidenza del carcinoma orale si osserva in Veneto, in Friuli e in Trentino Alto Adige, dove è risultato maggiore il consumo di bevande alcoliche e sigarette.

Nel periodo 1986-1997 l’incidenza dei tumori del cavo orale è risultata sostanzialmente costante per gli uomini ed in aumento per le donne con le tendenze simili per le varie fasce di età8. Il rapporto tra i due sessi è stato 6:1 fino al 1986 per poi diventare, attualmente, di circa 3:19.

Il carcinoma orale a cellule squamose si presenta, prevalentemente, nella quinta, sesta e settima decade di vita, ma la proporzione dei pazienti sotto i 45 anni è in aumento, soprattutto nel sesso maschile10,11. La causa di questo fenomeno è da ricercare sia nell’abuso di alcool e tabacco che nei fattori di

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predisposizione genetica o nell’infezione da virus del papilloma umano12. Recenti studi hanno infatti evidenziato un possibile ruolo eziopatogenetico dell’HPV-16 nello sviluppo dei carcinomi orofaringei e tonsillari di soggetti giovani13.

La mortalità per il carcinoma squamo-cellulare in Italia è di circa 3000 individui all’anno. Dal 1990 al 1994 questa neoplasia maligna ha provocato oltre 12,000 morti14.

Nonostante i progressi dei protocolli chirurgici, radioterapici e chemioterapici che si sono avvicendati negli ultimi 50 anni, non abbiamo assistito ad una diminuzione del tasso di mortalità del carcinoma orale. Analizzando le curve di mortalità per il carcinoma oro-faringeo nel periodo compreso tra 1951 e 2001, si osserva una stabilità per quasi tutti i paesi europei ed extraeuropei per entrambi i sessi. Nella maggioranza dei paesi Europei, la mortalità per tumore del cavo orale negli uomini ha avuto un sensibile aumento fra gli anni ‘50 e la fine degli anni ‘80. L’aumento del tasso di mortalità è stato di 4 volte in Germania ed in Ungheria e più di 2 volte in Cecoslovacchia, Polonia, Romania e Spagna15.

In Italia, a partire dal 1983, si osserva un cambiamento di tendenza per quanto riguarda la mortalità nei due sessi. Infatti, si evidenzia un lieve decremento della mortalità negli uomini ed un parallelo aumento nelle donne. Particolarmente importanti sono i dati riguardanti il sesso femminile, dove, dal 1970 al 1999, la mortalità risulta raddoppiata. Il rapporto di mortalità uomini/donne era circa 10:1 nel 1970 per poi divenire circa 5:1 nel 1999. La diminuzione della mortalità nell’uomo risulta maggiore nell’area del nord-est e negli anziani, al contrario l’aumento nelle donne risulta più marcato nell’area del centro e del nord-ovest ed è più moderato nell’età anziana.

La sopravvivenza a 5 anni si attesta su una media inferiore al 50%, con notevoli oscillazioni in base allo stadio della malattia al momento della diagnosi14. Per questo motivo, la diagnosi precoce del carcinoma orale risulta fondamentale nella prognosi del paziente, dato che se la neoplasia viene diagnosticata nelle fasi iniziali si osserva una sopravvivenza a 5 anni che raggiunge il 90%, mentre scende

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al 5-20% per la malattia in fase avanzata. Tali differenze prognostiche si osservano a causa delle capacità del carcinoma orale di diffondersi sia localmente, sia formando metastasi prevalentemente ai linfonodi del collo. Le metastasi si possono comunque sviluppare anche per via ematica, in particolar modo a livello polmonare.

1.1 Fattori di rischio

Il fumo di tabacco e l’abuso di alcool sono i fattori di rischio del carcinoma orale meglio documentati e si stima che circa l’80% dei carcinomi orali siano dovuti a tali agenti11,16 e che l’eliminazione di tabacco ed alcol comporterebbe, in Europa e negli Stati Uniti, una riduzione del 60-80% dell’incidenza del carcinoma orale a cellule squamose17. In Europa, America e Giappone circa l’80% dei pazienti con carcinoma orale presenta un’anamnesi positiva per il consumo di sigarette e/o alcool6. Oltre a questi fattori vi sono evidenze scientifiche sull’importanza di altri elementi che possono quindi svolgere un ruolo più o meno importante nell’insorgenza del carcinoma orale. Tra questi ricordiamo fattori come agenti infettivi, fattori nutrizionali e dietetici, condizioni di scarsa igiene orale, traumatismi orali cronici, radiazioni ultraviolette, stati di immunodepressione, fattori genetici.

1.1.1 Tabacco

Il rapporto tra abitudine al fumo ed insorgenza del carcinoma orale squamo-cellulare è fortemente dimostrato da numerosi studi epidemiologici. È stato stimato che più dell’80% dei soggetti affetti da tale neoplasia sono o erano fumatori, percentuale almeno 2-3 volte superiore rispetto alla popolazione generale18. Il rischio di sviluppare un carcinoma orale risulta da 5 a 9 volte maggiore nei fumatori rispetto ai non fumatori17,19,20. Questo dato risulta essere dose-dipendente, con un rischio di sviluppare un carcinoma orale doppio in coloro

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che fumano più di 20 sigarette al giorno rispetto a chi ne fuma meno di tale numero21. Inoltre, il mantenimento dell’abitudine al fumo di tabacco dopo la diagnosi e l’eventuale trattamento conduce il paziente ad un rischio 6 volte maggiore, rispetto a chi smette di fumare, di sviluppare ulteriori neoplasie primarie a carico delle vie aereo-digestive superiori22,23. L’azione cancerogena del tabacco è dovuta alla presenza di composti e prodotti della combustione a dimostrato effetto mutageno. Si conoscono più di trecento diversi prodotti dannosi derivanti dalla combustione del tabacco che sono in grado di indurre mutazioni di geni coinvolti nell’eziopatogenesi del carcinoma orale. Tra Questi ricordiamo: idrocarburi aromatici policiclici (benzopirene), nitrosamine tabacco-specifiche, amine aromatiche, aldeidi (formaldeide, acetaldeide), composti fenolici, idrocarburi volatili (benzene, nitrobenzene), composti organici (ossido di etilene, ossido di propilene, cloruro di vinile), metalli (arsenico, nichel)16. L’irritazione termica diretta sulle mucose orali è un probabile cofattore, come dimostrato dal fatto che l’abitudine di fumare sigarette con l’estremità accesa posta all’interno del cavo orale (reverse smoking), diffusa in alcune zone dell’India e del Sud America e in alcune aree rurali dell’Italia, è correlata ad un rischio ancora maggiore di sviluppare carcinoma orale a cellule squamose, soprattutto a carico del palato24. Anche la masticazione del tabacco è stata correlata con lo sviluppo del carcinoma squamo-cellulare. Particolarmente importante in India e in altri paesi del sud-est asiatico risulta essere la masticazione del “quid”, ottenuto avvolgendo in una foglia di betel una mistura di tabacco, noci di areca, lime ed altre spezie. Nei consumatori abituali di quid il rischio di sviluppare un carcinoma orale è circa pari all’8%25. Tale abitudine causa, in questi paesi, circa il 50% dei carcinomi orali nell’uomo e circa il 90% nella donna7,26.

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11 1.1.2 Alcool

Negli Stati Uniti, circa un terzo dei soggetti affetti da carcinoma orale a cellule squamose sono forti consumatori di bevande alcoliche, laddove nella popolazione generale la percentuale di forti bevitori è del 10%25. Il ruolo dell’alcool nella cancerogenesi orali risulta sinergico con il ruolo svolto dal tabacco, avendo così un effetto moltiplicativo del rischio. Questo effetto si sviluppa a seguito all’azione che l’alcool svolge a livello dei tessuti molli orali, alterando la normale permeabilità delle mucose determinando una maggiore suscettibilità ad altri fattori cancerogeni (effetto additivo)27. In soggetti forti fumatori e forti bevitori il rischio di sviluppare un carcinoma squamo-cellulare orale risulta essere 13 volte maggiore rispetto a quello atteso dall’effetto indipendente delle medesime quantità di alcool o tabacco assunti isolatamente28. Tuttavia il consumo di alcool esercita un’azione cancerogenetica anche in assenza di associazione con il tabacco, infatti il rischio relativo di sviluppare il carcinoma squamo-cellulare risulta essere da 2 a 6 volte più elevato nei forti bevitori rispetto ai non bevitori/modesti bevitori29,30, ed in generale in soggetti forti bevitori (più di 100 grammi di alcol assunti al giorno) si stima un rischio fino a 30 volte maggiore di sviluppare un carcinoma orale a cellule squamose31.

Analogamente a quanto osservato per il fumo di tabacco, il rischio relativo attribuito al consumo di alcool risulta dose-dipendente, aumentando con l’aumentare dell’entità32 e della durata29 dell’esposizione. L’azione diretta dell’alcool nella cancerogenesi non è da attribuire all’etanolo, dato che studi sperimentali hanno dimostrato l’assenza di attività mutagena33, ma potrebbe derivare dalla capacità cancerogena dell’acetaldeide, metabolita primario dell’etanolo33,34.

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12 1.1.3 Radiazioni ultraviolette

L’esposizione solare esercita un importante ruolo eziologico nella genesi del carcinoma del labbro inferiore. La cancerogenicità dei raggi UVB è attribuita alla capacità di formazione di-dimeri pirimidinici nel DNA, che se non riparati si accumulano nel genoma alterando la funzionalità dei geni coinvolti35. La riduzione di incidenza di carcinoma orale a cellule squamose in tale distretto è stata correlata all’efficacia di campagne di educazione sanitaria sui pericoli connessi alle radiazioni solari ed alla conseguente adozione nella popolazione di adeguate misure preventive.

1.1.4 Agenti infettivi

Circa un terzo dei carcinomi orali è caratterizzato dall’accumulo di alterazioni genetiche che conducono allo sviluppo della neoplasia maligna passando attraverso vari stadi di displasia tissutale36,37. Tra i fattori esogeni responsabili di tale processo, il ruolo di miceti e virus a DNA è stato ampiamente investigato, rimanendo tutt’oggi ampiamente dibattuto. Gli agenti infettivi maggiormente studiati sono miceti del genere Candida, il virus del papilloma umano (Human Papilloma Virus, HPV), il virus di Epstein-Barr (Epstein-Barr Virus, EBV), il virus dell’epatite C (Hepatitis C Virus, HCV). I miceti del genere Candida sono presenti come normali commensali nel cavo orale di soggetti sani e possono portare all’insorgenza di lesioni della mucosa in seguito alla presenza di fattori predisponenti locali o sistemici. Il possibile ruolo di Candida spp. nella cancerogenesi è stato ipotizzato fin dalla fine degli anni ‘6038, ma da allora, malgrado le numerose indagini, non si è giunti a conclusioni definitive. Tra le forme clinico-istopatologiche di candidosi orale primaria39, quella maggiormente indagata in tal senso è la candidosi cronica iperplastica o leucoplachia candidosica. Risulta complesso, tuttavia, determinare se Candida spp. sia direttamente responsabile della lesione o rappresenti piuttosto un colonizzatore

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secondari di una lesione leucoplasica già esistente. Per tale motivo, considerando anche la forte associazione fra tale forma di candidosi orale ed altri fattori eziologici, primo fra tutti il fumo di sigaretta40, diventa difficile stabilire un indice di trasformazione in senso maligno che, relativamente alle lesioni leucoplasiche sovra-infettate da Candida spp, risulterebbe compreso tra il 5% ed il 10%41. Tra le modalità di trasformazione epiteliale carcinomatosa indotta da differenti

species appartenenti al genere Candida, la capacità di produzione di sostanze

potenzialmente cancerogene quali le nitrosamine endogene (N-benziletilamine) a partire dai nitriti presenti nel cavo orale, ed in particolare nella saliva, è da tempo il meccanismo ritenuto più probabile, e quindi maggiormente indagato42,43.

Il ruolo chiave del virus HPV nella patologia neoplastica genitale (80-90% dei casi di carcinoma della cervice uterina ed anogenitale presentano infezione da HPV-16 e HPV-1844-46), unitamente alle osservazioni relative alle similitudini istologiche tra la mucosa buccale e la mucosa vaginale47, ha permesso di formulare l’ipotesi di un ruolo eziologico di HPV nell’insorgenza del carcinoma orale a cellule squamose48. Sono stati identificati almeno 70 tipi di HPV geneticamente distinti, tra i quali i tipi 16 e 18 sono quelli considerati ad alto rischio di determinare una trasformazione maligna delle cellule epiteliali infettate49,50. Questi tipi di HPV, integrando il proprio genoma in quello cellulare, sono in grado di esprimere proteine che inattivano l’apoptosi ed alterano la regolazione del ciclo cellulare. Una recente revisione della letteratura ha evidenziato ranges di prevalenza di HPV-DNA in lesioni potenzialmente maligne estremamente ampi, compresi tra 0% e 100%51. Le ragioni di tale divergenza di risultati sono da correlare, oltre che alle variabili demografiche, anche ai diversi criteri di categorizzazione delle lesioni esaminate.

Alcuni autori44,52 considerano l’infezione da HPV un fattore di rischio per il carcinoma orale a cellule squamose significativo ed indipendente e sospettano, sulla base della menzionata variabilità dei tassi di prevalenza riscontrati, una

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sottostima dell’infezione nei pazienti oncologici, correlabile alla tecnica diagnostica adoperata.

È stato dimostrato un ruolo eziologico dell’HPV-16/HPV-18 nella genesi dei carcinomi oro-faringei e tonsillari, mentre in carcinomi di altre sedi il ruolo di questi virus rimane controverso44.

1.1.5 Igiene orale

Numerosi studi hanno dimostrato la correlazione tra bassi indici di igiene orale e rischio di sviluppare carcinomi orali21,53,54. Risulta notevolmente difficile analizzare gli effetti della scarsa igiene orale indipendentemente da altri fattori di rischio, poiché essa si riscontra frequentemente in soggetti fumatori e bevitori11. È comunque ipotizzabile che una scarsa igiene eserciti un ruolo di modificatore nel processo di cancerogenesi, inducendo uno stato di irritazione cronica delle mucose in maniera tale da renderle maggiormente suscettibili ad altri carcinogeni.

1.1.6 Traumatismi orali cronici

Al contrario di quanto sostenuto in passato, non esistono ad oggi evidenze attendibili che dimostrino un ruolo per il traumatismo cronico quale fattore di rischio per il carcinoma orale. Analogamente a quanto ipotizzato per le condizioni di scarsa igiene orale, è possibile che traumatismi orali cronici, inducendo stati di irritazione cronica delle mucose orali, possano agire, in presenza di altri carcinogeni, da fattori facilitatori dei meccanismi di cancerogenesi.

1.1.7 Fattori nutrizionali e dietetici

Il consumo di frutta e verdura è stato associato ad un rischio minore di insorgenza del carcinoma orale squamo-cellulare55,56. Questo tipo di correlazione è dovuta, verosimilmente, all’alto contenuto di agenti antiossidanti, quali vitamina

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C, vitamina E e carotenoidi57,58. Al contrario diete ipercaloriche e ricche di grassi sono state associate ad un aumento del rischio59,60. Stati carenziali di ferro, soprattutto nelle forme severe e croniche che inducono alla comparsa della sindrome di Plummer-Vinson (caratterizzata da anemia sideropenica, disfagia, membrane fibrose esofagee, glossite atrofica, ecc.), sono stati associati ad un aumentato rischio di carcinomi squamosi orali, faringei ed esofagei18,61.

1.1.8 Immunodepressione

Le condizioni di deficit immunitari sono accompagnate da un aumentato rischio di sviluppare carcinomi orali, in particolar modo in soggetti esposti a fattori di rischio quali il fumo e il consumo di alcool. Pazienti con AIDS o che hanno sviluppato uno stato di immunodepressione a seguito di trapianti d’organo o di midollo spinale sono soggetti ad un incremento del rischio di sviluppare carcinomi orali, della testa e del collo.

1.1.9 Fattori genetici

In soggetti con anamnesi familiare positiva per carcinoma orale a cellule squamose è stato dimostrato un rischio aumentato da 2 a 4 volte di sviluppare la suddetta neoplasia62,63. Il rischio di sviluppare carcinomi orali multipli è risultato addirittura da 4 a 8 volte maggiore in soggetti con parenti precedentemente affetti da carcinoma orale a cellule squamose64,65.

Questi dati possono essere spiegati considerando la forte influenza della famiglia sullo sviluppo di abitudini quali il fumo e il consumo di bevande alcoliche66,67. La presunta predisposizione genetica a sviluppare carcinoma orale a cellule squamose potrebbe essere dovuta ad una aumentata suscettibilità, geneticamente determinata, ed all’azione mutagena di cancerogeni contenuti nel fumo di tabacco e nelle bevande alcoliche. Inoltre anche il polimorfismo enzimatico, i meccanismi di riparazione del DNA e le alterazioni a carico di

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particolari geni che costituiscono un sistema di controllo del processo di crescita della cellula, come Pog e Tsg, rappresentano ulteriori meccanismi ipotizzati per spiegare l’aumento della suscettibilità a sviluppare un carcinoma squamo-cellulare orale in pazienti con una storia familiare positiva per tale neoplasia68. Recentemente, sono stati associati ad una maggiore suscettibilità di sviluppare un carcinoma orale la presenza dell’allele C1 sul gene CYP2E1 (citocromo p450) codificante per proteine che giocano un ruolo importante nel controllo di vari oncogeni, e la presenza contemporanea dei genotipi nulli GSTM1 e GSTT1, che codificano per alcuni isoenzimi che fanno parte del gruppo delle Glutatione-S-transferasi (GSTs)69.

Il carcinoma squamo-cellulare orale è stato associato anche ad alcune sindromi genetiche come la discheratosi congenita, l’anemia di Fanconi70,71 e la Sindrome di Bloom72.

1.2 Patogenesi

In condizioni normali il ciclo cellulare è strettamente controllato da numerosi e complessi segnali biochimici e questo profondo controllo permette di regolare la crescita tissutale, la quale è quindi il risultato di un equilibrio tra fattori che promuovono e fattori che inibiscono la replicazione cellulare. In presenza di fattori cancerogeni, si sviluppano mutazioni geniche a carico di particolari set di geni deputati alla regolazione della crescita cellulare, permettendo così lo sviluppo di una cellula neoplastica. Questi geni sono chiamati oncogèni quando stimolano la proliferazione cellulare e geni onco-soppressori quando la inibiscono73. Per questo motivo, una iperattivazione degli oncogèni o una inattivazione degli onco-soppressori sono in grado di trasformare una cellula normale in una cellula neoplastica.

Un tipico esempio di oncogène è rappresentato da Ras, che attiva la replicazione cellulare e rappresenta una delle mutazioni più frequenti, risultando infatti mutato in circa il 40% dei tumori dell’uomo, inclusi anche i carcinomi orali.

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Questo gene codifica per una proteina fondamentale nella trasduzione del segnale cellulare, permettendo di attivare geni per la crescita della cellula; le mutazioni a carico di questo gene possono quindi portare alla produzione di proteine permanentemente attive in grado di determinare un alto grado di proliferazione cellulare.

Un importante gene onco-soppressore è p53, la cui mutazione causa la perdita funzionale della proteina omonima che, in condizioni fisiologiche, inibisce la replicazione cellulare. In condizioni normali i segnali di stress cellulare, come un danno al DNA, inducono l’espressione di p53 il quale, a seconda del tipo di stress e di fase del ciclo cellulare, è in grado di bloccare la replicazione permettendo la riparazione del danno oppure indurre l’apoptosi. Nel caso in cui il gene sia mutato si verifica la perdita di questa capacità di controllo causando la crescita incontrollata di cellule danneggiate.Il p53 può essere inattivato da alcune proteine codificate dall’HPV, evento che è stato riconosciuto tra le cause principali nella genesi del carcinoma della cervice uterina, e probabilmente potrebbe avere un ruolo anche in alcuni dei carcinomi della mucosa orale74.

La genesi del carcinoma orale segue un percorso che, partendo da una semplice iperplasia dell’epitelio, giunge fino allo sviluppo del carcinoma invasivo attraverso un processo a tappe caratterizzato da vari gradi di displasia e dal carcinoma in situ.

La cancerogenesi orale è correlata ad una particolare teoria denominata cancerizzazione di campo (“field cancerization”)75 secondo la quale, in una certa area della mucosa orale, le cellule epiteliali subiscono un danno genetico che le spinge a proliferare in maniera clonale.In altre parole, i danni a carico del genoma determinano la selezione e l’espansione di un clone di cellule alterate, che acquisisce la capacità di crescere in maniera incontrollata76. La progressione del clone è caratterizzata da tappe in cui, nelle cellule, si sommano varie alterazioni genetiche e molecolari che alla fine si traducono nella loro trasformazione maligna. Questo concetto spiega perché certi pazienti sviluppano più di un

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carcinoma orale con modalità sincrone o metacrone. Il processo si esplica a carico delle cellule basali di una o più aree della mucosa orale e si sviluppa in stadi sequenziali.

Negli stadi iniziali, il danno consiste nella perdita di materiale genetico, denominata anche perdita della eterozigosità (“loss of heterozygosity”), a carico di bracci cromosomici come il 3p e il 9p, dove sono localizzati alcuni geni onco-soppressori77. Con la progressione della trasformazione e l’espansione del clone, si sviluppano ulteriori delezioni a carico dei bracci cromosomici 4p, 7p, 8q, 17p e 11p e l’inattivazione del gene INK-4 che codifica per la proteina p16, la quale controlla l’arresto del ciclo cellulare. Nelle fasi di crescita tumorale, si osserva inoltre la mancanza di produzione o la genesi di forme mutate della p53. Sul versante del controllo dell’attività proliferativa cellulare, si osserva un incremento dell’attività della telomerasi, che controlla il processo di senescenza responsabile dell’immortalizzazione delle cellule tumorali. A ciò si aggiunge l’azione dell’EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor) che, se stimolato, attiva la crescita e la differenziazione delle cellule epiteliali basali, e l’aumento dell’espressione della ciclina D1 di fondamentale importanza nella progressione del ciclo cellulare. L’azione dell’HPV, per quanto non sostenuta da evidenze scientifiche definitive, si esplica attraverso l’inibizione della p53 o sul controllo di altri oncogeni.

1.3 Clinica

Il carcinoma squamo-cellulare orale è caratterizzato da aspetti clinici notevolmente diversificati, che variano da una lesione bianca o rossa a un’area ulcerativa o ad una tumefazione. Queste variegate caratteristiche morfologiche delle lesioni sono direttamente derivate dalla specifica modalità di crescita della neoplasia stessa. Per questo motivo, l’aspetto clinico del carcinoma orale può essere distinto in tre forme quali esofitica, endofitica ed ulcerata78.

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La forma esofitica si presenta come un’escrescenza rilevata sulla mucosa sana, pluri-mammellonata, a cavolfiore, di colorito bianco o bianco-rosa, a cui corrispondono generalmente forme istologiche ben differenziate, mentre di più raro riscontro è la forma proliferativa superficiale.

La forma endofitica può dar luogo ad una variante nodulare ed una infiltrante: la prima si presenta come un nodulo di indurimento al di sotto di una mucosa apparentemente integra, mentre la seconda in genere si manifesta con l’indurimento della parte interessata associata a deficit funzionale, quali, l’impossibilità alla protrusione o la latero-deviazione in caso di interessamento della lingua.

La forma ulcerata è la più comune e si presenta come un’ulcerazione irregolare a bordi induriti, talora rilevati, sottominati con consistenza dura alla palpazione, il fondo è sanguinante, vegetante, a volte ricoperto da materiale necrotico; la combinazione tra l’aspetto vegetante con quello ulcerativo determina lesioni di aspetto misto, ulcero-vegetanti. Talvolta è possibile riscontrare una forma erosiva superficiale, che si presenta come un’area rossa della superficie mucosa, talora ad aspetto vellutato, oppure disomogeneo con aree biancastre.

Nella maggioranza dei casi i carcinomi orali risultano asintomatici, mentre, se presente, il dolore non risulta correlato alle dimensioni del tumore ma generalmente appare ben localizzato e in relazione alla funzione delle strutture interessate79. Il dolore accompagnato da ulcerazione si può talvolta riscontrare nei tumori linguali, che possono originare dolori riferiti alla sede auricolare per le connessioni nervose tramite la corda del timpano. Nei casi più avanzati si possono riscontrare alitosi, sanguinamento, fistolizzazioni cutanee, tumefazioni dei mascellari, difficoltà della fonazione e dell’apertura della mandibola. I carcinomi che originano dalla gengiva possono infiltrare l’osso sottostante80 causando mobilità dentale o, quando viene a essere coinvolto il nervo mandibolare, parestesie81.

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La diffusione linfatica è un evento quasi costante e talora molto precoce e, con l’eccezione delle metastasi a distanza, costituisce il singolo elemento prognostico negativo più importante82. La frequenza dell’interessamento linfonodale è correlata con la dimensione e la profondità d’invasione, lo spessore, la sede, il grado di differenziazione e il tempo di permanenza della lesione.

Il riscontro di metastasi a distanza è considerato raro per il carcinoma squamo-cellulare orale e la sede maggiormente interessata è il polmone, seguita nell’ordine da fegato ed ossa83. Il rischio di metastasi a distanza appare significativamente correlato con lo stato dei linfonodi regionali ed in particolare con invasione e rottura capsulare del linfonodo stesso, anche se nel 28% dei casi si riscontrano metastasi a distanza senza evidenza di tumore loco regionale83.

1.3.1 Labbro

Il carcinoma orale a carico del labbro rappresenta circa il 20% delle neoplasie orali e colpisce per il 95% il sesso maschile, in particola modo tra i 50 e gli 80 anni. Il carcinoma in questa sede anatomica è fortemente correlato all’esposizione alla luce solare, come risulta dalle differenti percentuali con cui si presenta a livello del labbro inferiore (89%), labbro superiore (7%) e commessura labiale (4%)84.

La forma clinica più frequentemente riscontrata è quella esofitica, anche se non è raro che la lesione si presenti come un indurimento altamente cheratinizzato a superficie irregolare e crostosa di colore bianco-marrone. Con il passare del tempo, la lesione tende ad accrescersi in superficie determinando lo sviluppo di una necrosi superficiale ed un’ulcerazione quando raggiunge un diametro superiore al centimetro. Quando l’ulcerazione è precoce si associa ad una rapida tendenza all’infiltrazione, anche se la forma infiltrante è rara, risultando più frequente in caso di lesioni a carico del labbro superiore e della commessura. In lesioni avanzate il carcinoma del labbro può diffondere alla cute o alla mandibola, con quest’ultima sede che può essere raggiunta per infiltrazione ossea, attraverso

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gli alveoli dopo estrazioni dentarie, o direttamente attraverso la corticale edentula; diversamente le forme a partenza dalle commessure o le forme avanzate al labbro inferiore possono diffondersi tramite l’invasione perineurale del nervo mentoniero.

L’incidenza di metastasi appare correlata allo spessore tumorale, al pattern di crescita ed all’invasione perineurale. In casi avanzati questa neoplasia può metastatizzare a livello dei linfonodi sottomentonieri, digastrici e della catena cervicale.

Il carcinoma squamo-cellulare del labbro è quindi una neoplasia maligna con un comportamento generalmente meno aggressivo rispetto alle altre sedi orali, poiché caratterizzato da una lunga storia clinica, cellule ben differenziate e rara tendenza alla metastatizzazione.

1.3.2 Pavimento orale

Il carcinoma squamo-cellulare a carico del pavimento orale è al secondo posto per frequenza con un’incidenza del 20%85. Il pavimento orale è colpito più frequentemente nella sua parte anteriore, in vicinanza dello sbocco del dotto di Wharton, ed è quasi sempre associato ad un consumo importante di bevande alcoliche o di sigarette.

All’esordio può manifestarsi come una piccola ulcera con una sintomatologia aspecifica, caratterizzata da transitorie parestesie o dolore nei movimenti linguali. La progressiva estensione dell’ulcerazione può portare all’interessamento del nervo linguale con conseguente dolore urente, mentre l’infiltrazione dei piani profondi si manifesta con una sensazione di blocco dell’area con ostacolo alla motilità linguale. L’invasione del dotto di Wharton può portare ad ostacolo nel flusso salivare con tumefazione della sottomandibolare corrispondente che può simulare una metastasi linfonodale.

La crescita può avvenire in direzione posteriore portando al coinvolgimento della muscolatura del corpo della lingua oppure può avvenire in profondità

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infiltrando la ghiandola sottolinguale o il dotto di Wharton, lungo il quale può diffondere fino alla ghiandola sottomandibolare. Se la crescita del carcinoma avviene in direzione anteriore si avrà un coinvolgimento della mandibola; nel caso quest’ultima sia edentula, i difetti ossei corticali della superficie occlusale e gli alveoli beanti per precedenti estrazioni rappresentano le vie preferenziali di invasione86.

La diffusione linfatica è precoce con metastasi linfonodali occulte per neoplasie nello stadio iniziale nel 12% dei casi80. I linfonodi interessati in prima istanza sono i sottomandibolari e i sottomentonieri, inoltre in circa un quarto dei casi le metastasi linfonodali sono bilaterali.

Figura 2: Carcinoma squamo-cellulare del pavimento orale. (Immagine: Prof. M. Gabriele, Dipartimento di Patologia Medica, Chirurgica, Molecolare E dell’Area Critica, Cattedra di

Malattie Odontostomatologiche, Università di Pisa)

1.3.3 Lingua

La lingua costituisce la sede di maggior riscontro del carcinoma orale

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margini mentre rare sono le localizzazioni al dorso linguale ed all’apice. Il carcinoma della lingua può presentarsi inizialmente con l’aspetto di aree bianche e/o rosse, sotto forma di una piccola ulcera, come una massa esofitica papillomatosa oppure come un nodulo intramurale sottomucoso.

Spesso la neoplasia si accresce notevolmente prima di manifestare una sintomatologia che appare correlata alle alterazioni della funzione determinando, nelle fasi avanzate, disfagia, disfonia e sanguinamento87. Se la neoplasia si estende a carico del pavimento orale saranno presenti segni e sintomi analoghi a quelli frequentemente riscontrabili nel carcinoma squamo-cellulare sviluppatosi in questa sede. L’infiltrazione nervosa si manifesta come un dolore diffuso o irradiato all’orecchio in caso di interessamento del nervo linguale mentre, se ad essere infiltrato è il nervo ipoglosso, si potranno rilevare deficit motori, punta deviata, ostacolo nei movimenti di protrusione e lateralità.

La crescita della neoplasia avviene soprattutto verso la profondità dell’organo rispetto ad una sua estensione in superficie. In profondità, la muscolatura attua un’azione di spremitura delle cellule neoplastiche con un effetto di squeezing, ossia presenza di focolai neoplastici multipli distinti dalla massa principale, giustificando la possibile multifocalità della lesione. Nella diffusione in profondità le fasce muscolari ed il rafe mediano offrono resistenza all’infiltrazione diretta, mentre il tessuto muscolare con la sua contrazione favorisce l’invasione precoce.

I carcinomi linguali tendono a metastatizzare precocemente, con interessamento linfonodale che si attesta ad una percentuale variabile dal 35 al 62% dei casi. Inoltre metastasi occulte o micrometastasi, non apprezzabili clinicamente, sono presenti nel 14-36% dei casi di carcinomi iniziali. La porzione posteriore del corpo linguale metastatizza preferenzialmente ai linfonodi giugulari interni superiori, il terzo medio ai linfonodi giugulari interni medi, ai linfonodi sottodigastrici ed ai sottomandibolari, infine la punta della lingua interessa prevalentemente i sottomentonieri, i sottomandibolari e i giugulari medi.

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Metastasi bilaterali sono presenti con elevata frequenza (6.6-16.6%) a causa del ricco plesso sottomucoso che comunica liberamente attraverso la linea mediana e grazie ai collettori linfatici del corpo linguale che determinano numerose connessioni crociate con i linfonodi controlaterali88.

Figura 3: Carcinoma squamo-cellulare della lingua. (Immagine: Prof. M. Gabriele, Dipartimento di Patologia Medica, Chirurgica, Molecolare E dell’Area Critica, Cattedra di

Malattie Odontostomatologiche, Università di Pisa)

1.3.4 Mucosa buccale

L’insorgenza di un carcinoma in quest’area è poco frequente (8-10%)80 e le forme più comuni con cui si presenta sono quelle vegetanti, più rare le ulcero-infiltranti e le verrucose. La forma esofitica, ad aspetto papillare, è caratterizzato da una crescita lenta e da una tendenza tardiva all’ulcerazione che si verifica a quando sono state raggiungente dimensioni di 3-4 cm84. Al contrario la forma ulcero-infiltrante mostra un comportamento più aggressivo. La forma verrucosa colpisce la mucosa buccale con una frequenza maggiore rispetto alle altre sedi orali e per il comportamento non dolente può mimare una benignità.

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Le lesioni neoplastiche in questa sede risultano per lungo tempo asintomatiche e spesso il sintomo d’esordio è costituito da una linfadenopatia sottomandibolare. Talora viene riferita una sensazione urente o di corpo estraneo, mentre nelle forme più avanzate si può sviluppare dolore e trisma.

La diffusione locale avviene in tutte le direzioni e la diffusione linfatica tende ad interessare principalmente i linfonodi sottomandibolari e sottomentonieri.

1.3.5 Palato

Il carcinoma squamoso a carico del palato duro si manifesta frequentemente come un’ulcerazione dolente con bordo rilevato, fondo granuleggiante e talvolta sanguinante. Le vie di diffusione possono essere dirette verso l’alto con invasione dei seni paranasali, lateralmente con interessamento della mucosa geniena oppure posteriormente verso la tuberosità del mascellare e lo spazio pterigomascellare. È possibile riscontrare anche una diffusione perineurale che conduce all’estensione della lesione neoplastica alla base cranica e al seno cavernoso89. La diffusione linfatica è in genere tardiva e i linfonodi maggiormente interessati da metastasi sono il buccinatore e/o i parotidei, i sottomandibolari ed i giugulo-digastrici.

Nel palato molle la zona più colpita è l’area adiacente al pilastro anteriore, soprattutto nei pazienti forti fumatori e bevitori. Le lesioni appaiono con aree bianche e/o rosse esofitiche che infiltrano le strutture sottostanti e metastatizzano ai linfonodi cervicali e a quelli della catena giugulare.

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Figura 4: Carcinoma squamo-cellulare del palato. (Immagine: Prof. M. Gabriele, Dipartimento di Patologia Medica, Chirurgica, Molecolare E dell’Area Critica, Cattedra di

Malattie Odontostomatologiche, Università di Pisa)

1.3.6 Cresta alveolare e gengiva

I tre quarti dei carcinomi gengivali interessano la gengiva inferiore mentre solo un quarto quella superiore85. I carcinomi orale a cellule squamose possono presentarsi in questa sede come aree di disepitelizzazione della mucosa, come lesioni infiltranti oppure esofitiche. Questo aspetto clinico, associato ad una sintomatologia iniziale aspecifica è frequente causa di errori diagnostici. In questa sede il carcinoma orale può mimare una patologia parodontale poiché frequentemente si osserva un’invasione del legamento parodontale e dell’osso sottostante con conseguente mobilità dentale che talvolta rappresenta la prima manifestazione clinica della patologia. L’estrazione dei denti vicini ed il tentativo di asportazione di lesioni ritenute benigne ha come conseguenza l’estensione all’osso della neoplasia e quindi una sua diffusione.

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Negli stadi avanzati, la sintomatologia diviene più significativa ed è in genere correlata con l’infiltrazione delle aree vicine. La diffusione locale risulta particolarmente frequente dal momento che la gengiva rappresenta un’area mucosa piuttosto limitata e, per questo motivo, le lesioni superano velocemente i limiti anatomici della stessa per poi diffondersi alle zone adiacenti.

La diffusione alle stazioni linfonodali è tardiva e relativamente più frequente per le forme ulcerate ed infiltranti, per le neoplasie scarsamente differenziate e per le localizzazioni posteriori. Per le localizzazioni anteriori le metastasi linfonodali possono essere bilaterali ai linfonodi sottomandibolari e sottomentonieri, mentre per le localizzazioni posteriori sono in genere monolaterali ed interessano i linfonodi sottomandibolari e giugulo-digastrici88,90.

1.3.7 Trigono retromolare

Il 15% dei carcinomi orali interessa questa regione85 e può inoltre essere sede di neoplasie maligne delle ghiandole salivari. La sintomatologia iniziale è in genere scarsa e si presenta come un’erosione superficiale od un’ulcerazione spesso estesa alla sede di una pregressa estrazione. Negli stadi avanzati i sintomi sono correlati alla diffusione e comprendono odinofagia, otalgia, dolori linguali, trisma ingravescente, inoltre la presenza di parestesia o anestesia del labbro è sintomo dell’infiltrazione del nervo mandibolare.

La neoplasia può estendersi in tutte le direzioni dello spazio e il superamento del periostio, ma soprattutto gli alveoli beanti costituiscono le vie di penetrazione nel canale mandibolare e di infiltrazione nervosa. L’invasione perineurale del nervo linguale o del nervo mandibolare può essere causa di diffusione a distanza alla base cranica.

La diffusione per via linfatica interessa principalmente i linfonodi giugulari profondi superiori, più raramente i sottomandibolari.

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1.4 Aspetti istopatologici

All’esame istologico il carcinoma squamo-cellulare inizialmente si presenta come lesione displastica, che può progredire o meno fino allo stadio di displasia a tutto spessore, diventando carcinoma in situ, prima di invadere il sottostante stroma connettivale. Con il termine displasia epiteliale si indica un epitelio in cui si osserva la comparsa di alterazioni cellulari e cambiamenti architetturali del tessuto che precedono la trasformazione maligna. Le alterazioni cellulari più frequenti includono la presenza di nuclei ipercromatici, pleomorfismo nucleare, nucleoli prominenti, cellule multinucleate, aumento dell’attività mitotica con mitosi atipiche e un alterato rapporto nucleo-citoplasma. Le alterazioni architetturali si riscontano a carico della normale struttura dell’epitelio e comprendono le alterazioni della maturazione dei cheratinociti, l’iperplasia delle cellule basali e le creste epiteliali di aspetto bulboso91. La displasia si suddivide in base all’estensione dell’alterazioni presenti in lieve, quando queste sono limitate al terzo inferiore dello spessore epiteliale, moderata, in caso di alterazioni confinate ai 2/3 della struttura epiteliale, e severa quando tutto l’epitelio è coinvolto92. Il carcinoma in situ è invece caratterizzato dalla presenza di una neoplasia che non ha ancora superato la membrana basale dell’epitelio e, spesso, tale termine viene utilizzato come sinonimo di displasia severa.

Sulla base della microscopia, il carcinoma squamo-cellulare si divide in tre tipi principali a seconda del grado di differenziazione delle cellule neoplastiche. Nel tipo ben differenziato (grado 1), le cellule neoplastiche tendono a cheratinizzare e viene mantenuto un certo grado di organizzazione architetturale della lamina epiteliale. Nei tumori moderatamente differenziati (grado 2) si nota una scarsa produzione di cheratina e una parziale conservazione dell’architettura epiteliale. Infine nei tumori poco differenziati (grado 3) l’architettura epiteliale è completamente sovvertita e le cellule neoplastiche mostrano un intenso pleomorfismo che rende difficoltoso il riconoscimento della loro origine epiteliale93. Oltre a questo classico aspetto istopatologico il carcinoma orale può

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mostrare una serie di variazioni morfologiche alternative che possono creare non poche difficoltà interpretative.

Il grado di differenziazione istologica non è correlato con la prognosi, mentre risultano più importanti, ai fini prognostici, l’attenta osservazione dello spessore del tumore e dei margini di resezione chirurgica della neoplasia che devono risultare liberi, oltre alla grande importanza che riveste la valutazione delle metastasi linfonodali. Nel loro insieme, questi tumori tendono ad invadere localmente prima di metastatizzare ad altre sedi94.

L’invasione dei linfonodi avviene in modo centripeto dai seni marginali, causando l’aumento di volume del linfonodo stesso fino all’infiltrazione metastatica della capsula linfonodale88.

I linfonodi del collo sono convenzionalmente divisi in 7 livelli95 a seconda delle aree anatomiche nelle quali si trovano (Figura 5):

IA: Linfonodi sottomentonieri

IB: Linfonodi della loggia sottomandibolare

IIA: Linfonodi giugulari alti antero-mediali al nervo accessorio spinale IIB: Linfonodi giugulari alti postero-laterali al nervo accessorio spinale III: Linfonodi giugulari medi

IV: Linfonodi giugulari inferiori

VA: Linfonodi del triangolo posteriore localizzati superiormente al ventre

posteriore del muscolo omoioideo

VB: Linfonodi del triangolo posteriore localizzati inferiormente al ventre

posteriore del muscolo omoioideo

VI: Linfonodi del comparto anteriore (compreso fra l’osso ioide superiormente

e il tronco anonimo inferiormente e lateralmente delimitato dalle arterie carotidi comuni)

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Figura 5

2. Tecniche Diagnostiche nel carcinoma

squamo-cellulare orale

La corretta diagnosi del carcinoma orale a cellule squamose si basa su un’accurata anamnesi, sull’esame clinico, sull’esame istologico ed infine sugli esami strumentali per poter accertare l’estensione locale e l’eventuale diffusione regionale e a distanza.

In presenza di una lesione sospetta del cavo orale è necessario procedere ad un’attenta anamnesi per valutare la presenza di eventuali fattori di rischio nel paziente, con particolare riguardo all’assunzione di tabacco (sia fumato che masticato), l’uso di bevande alcoliche, la scarsa igiene orale, una storia familiare

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o personale di neoplasie nella stessa sede o in sedi diverse, l’età superiore ai quaranta anni.

Clinicamente vi sono alcune situazioni che possono essere rappresentative di una lesione neoplastica e che quindi devono essere accuratamente indagate, tra queste la comparsa di una macchia colorata o una chiazza bianca squamosa persistente che aumenta improvvisamente di dimensioni oppure un’ulcera non tendente alla guarigione spontanea nonostante l’allontanamento di ogni eventuale agente traumatizzante. Inoltre anche lo sviluppo di alterazioni della sensibilità, serramento o dolore nell’apertura della bocca, disfagia, disfonia, improvvisa mobilità dentaria e mancata guarigione di alveoli post-estrattivi rappresentano segni e sintomi che possono essere correlati ad una lesione neoplastica.

Durante l’esame clinico, oltre all’ispezione, risulta fondamentale la palpazione che permette di valutare la consistenza, lo stato dei bordi ed eventualmente l’infiltrazione della lesione esaminata.

2.1 Blu di toluidina

Il blu di toluidina è un colorante vitale acidofilo, che mostra una particolare affinità per cellule ad elevato contenuto di acidi nucleici96 e quindi per quelle cellule che presentato un’elevata attività proliferativa, risultando così di grande aiuto per evidenziare aree di maggior rischio in presenza di lesioni sospette disomogenee ed estese o che coinvolgono più siti.

Il principale utilizzo del blu di toluidina è quello di precedere la biopsia di lesioni disomogenee per evidenziare il punto preciso in cui deve essere eseguito il prelievo97. Questa modalità di utilizzo è particolarmente utile quando ci sono molte aree rosse ed è ancor più utile nelle eritroplachie isolate mentre risulta meno indicato il suo uso nelle lesioni solo bianche poiché lo strato cheratosico può formare una barriera tra il colorante e lo strato delle cellule atipiche.

Il test è molto sensibile (97.8% - 93.5%) ma relativamente poco specifico (92.9% - 73.3%) con conseguenti possibili falsi positivi98, senza però che questo

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inconveniente ne diminuisca il valore poiché ogni colorazione positiva deve essere seguita da una biopsia.

Previa applicazione, mediante tamponamento o sciacquo, di una soluzione acquosa di acido acetico al 1%, il colorante viene applicato sulle mucose orali per un minuto e poi lavato via con la soluzione di acido acetico. Se la mucosa è sana il colorante viene rimosso, se sono presenti lesioni infiammatorie o comunque benigne queste possono colorarsi con una colorazione blu pallida, se invece vi sono lesioni displastiche o francamente neoplastiche queste si colorano in blu scuro, il cosiddetto blu royal.

La valutazione della colorazione deve essere eseguita da un operatore esperto che sappia distinguere le vere positività dalle semplici colorazioni pallide delle patologie benigne/infiammatorie o dalle colorazioni falsamente positive96, dovute alla ritenzione meccanica del colorante in zone non ben deterse dal lavaggio con acido acetico, e che sia in grado di eseguire la successiva biopsia diagnostica.

Recentemente la captazione del colorante è stata messa in relazione alla presenza di cloni ad alto rischio di trasformazione anche in assenza di alterazioni displasiche99,100.

2.2 Tecniche bioptiche

La biopsia consiste nel prelievo di tessuto patologico da un organismo vivente al fine di studiarne le caratteristiche microscopiche e giungere ad una diagnosi, permettendo così di reperire informazioni sulla natura della lesione e sulla presenza di displasia. Le principali tecniche tramite cui può essere effettuato il prelievo sono essenzialmente la biopsia escissionale e la biopsia incisionale101.

La biopsia escissionale prevede l’asportazione della totalità della lesione e il successivo allestimento sul pezzo operatorio dell’esame istologico; è indicata in lesioni sospette di diametro < 1cm ad invasione molto superficiale, e si attua con i criteri di radicalità adottati per un carcinoma, con un fine contemporaneamente diagnostico e terapeutico.

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Il rischio, non avendo ancora una diagnosi della lesione, è quello di eseguire asportazioni o troppo grandi, con possibili sequele chirurgiche, o troppo piccole, con gravi ripercussioni sulla prognosi102.

La biopsia incisionale consiste invece nel prelievo di uno o più frammenti della lesione sospetta, che rimane quindi sostanzialmente immodificata e chiaramente identificabile in attesa della futura terapia. La biopsia incisionale risulta essere uno strumento diagnostico attendibile nell’intercettazione della displasia e del carcinoma squamoso della mucosa orale103.

Per lesioni di aspetto omogeneo, di limitate dimensioni, è di solito sufficiente un singolo prelievo, definito biopsia incisionale semplice, in quanto è presumibile riscontrare anche a livello istologico una sostanziale omogeneità.

Per le lesioni estese, soprattutto se di aspetto disomogeneo, si dovranno effettuare invece più prelievi, eseguendo una biopsia a mappa, scegliendo le aree clinicamente più rappresentative secondo un preciso ordine di gravità: erosioni, macchie rosse, verrucosità bianche e rosse, placche e macchie bianche.

Talvolta, in casi particolarmente difficili, per valutare tutti i possibili aspetti istologici di una lesione disomogenea, è necessario un prelievo per ogni aspetto; in caso di lesioni disomogenee con aspetti eritroplasici o erosivo-ulcerativi, è utile effettuare una colorazione con blu di toluidina che evidenzia con la colorazione blu le aree su cui effettuare il prelievo permettendo così di eseguire una biopsia incisionale mirata. In ogni caso, il prelievo deve essere effettuato con un diametro di almeno 4-5 mm in modo da poter essere preparato ed osservato al microscopio senza difficoltà, mentre le incisioni devono essere perpendicolari alla superficie. È opportuno comprendere nel prelievo una porzione di tessuto sano, sia in superficie sia in profondità, allo scopo di evidenziare il passaggio tra porzione sana e malata, in particolar modo al livello dell’interfaccia epitelio-connettivale, ove è possibile intercettare eventuali focolai di invasione. Per questo motivo è preferibile non utilizzare strumenti di taglio che producono calore, quale l’elettrobisturi, dato che rendono meno leggibili i margini della lesione104.

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Al contrario è possibile non prelevare le zone più centrali della lesione poiché possono presentare aree di necrosi non significative ai fini diagnostici.

Una volta prelevato il frammento viene fatto aderire per coagulazione su un quadratino di carta bibula, eventualmente bloccandolo con un punto di sutura, in modo da poter essere orientato correttamente durante la fase di inclusione105 ed infine deve essere fissato immergendolo in un volume di formalina al 10% che corrisponda a 10-20 volte il volume del prelievo105,106.

2.3 Stadiazione clinica

Dato che il trattamento del carcinoma orale si basa, così come la maggior parte delle neoplasie, sulle dimensioni del tumore primario, sulla sede anatomica, sull’estensione ai linfonodi e su eventuali metastasi a distanza, è necessario l’impiego di una classificazione in stadi che permetta di uniformare i criteri che determinano la scelta delle modalità terapeutiche più opportune. In definitiva, la stadiazione del cancro costituisce un tentativo di fornire delle linee guida relativamente alla terapia ed alla sopravvivenza a cinque anni.

Attualmente il sistema più usato è la classificazione TNM che si basa sulla valutazione di tre componenti fondamentali: la dimensione del tumore primitivo (T), la presenza e la condizione dei linfonodi regionali (N), la presenza o l’assenza di metastasi a distanza (M).

La classificazione clinica (cTNM) è basata sui dati raccolti prima del trattamento attraverso l’esame obiettivo, le tecniche di immagine, l’endoscopia, le biopsie ed altri esami specifici. Nei casi dubbi di assegnazione ad una categoria TNM va scelta quella inferiore.

2.3.1 Classificazione clinica del tumore primitivo (T)

Il parametro T esprime la dimensione massima riferita ad uno dei diametri considerabili e tra questi lo spessore è particolarmente importante poiché riflette

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il volume tumorale, e di conseguenza il numero di cellule ed il numero di divisioni cellulari.

TX: Non è possibile individuare il tumore primitivo. T0: Non evidenza di tumore primitivo.

Tis: Carcinoma in situ.

T1: Tumore di 2 cm o meno nella dimensione maggiore.

T2: Tumore superiore a 2 cm ma non superiore a 4 cm nella dimensione

maggiore.

T3: Tumore superiore a 4 cm nella dimensione maggiore.

Inoltre nella classificazione vanno considerate le sottosedi anatomiche che esprimono un differente comportamento biologico, per cui è possibile distinguere:

T4a: Labbro: Tumore che invade la corticale ossea, il nervo alveolare inferiore,

il pavimento orale, la cute.

Cavo orale: Tumore che invade la corticale ossea, in profondità i muscoli estrinseci della lingua, il seno mascellare, la cute.

T4b: Labbro e Cavo orale: Tumore che invade lo spazio masticatorio, le lamine

pterigoidee, la base cranica o infiltra l’arteria carotide interna.

Bisogna ricordare che la sola erosione ossea superficiale o l’invasione della tasca gengivale da parte di un primitivo gengivale non è sufficiente per classificare un tumore come T4a o T4b poiché la corticale ossea deve essere superata, mentre in caso contrario la neoplasia non deve essere classificata T4, ma assegnata alla categoria corrispondente alle dimensioni.

L’invasione della sola muscolatura intrinseca non va codificata come T4 al contrario dell’estensione in una sede limitrofa, come l’orofaringe, ma solo quando essa avviene sotto forma di infiltrazione profonda.

2.3.2 Classificazione clinica delle metastasi linfonodali (N)

Parametri inerenti ai linfonodi come la mobilità o la fissità alla palpazione, l’omolateralità-controlateralità o la bilateralità, il numero e la localizzazione nel

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collo, la corrispondenza alle modalità di diffusione preferenziale, l’osservazione tramite mezzi strumentali, risultano di fondamentale importanza nella definizione della categoria N.

Nella sesta ed ultima edizione della classificazione TNM è stato eliminato il riferimento alle caratteristiche di mobilità o fissità per la soggettività del rilievo e viene considerato equivalente a fissità il criterio dimensionale su un diametro > 6cm.

NX: Non è possibile individuare linfonodi regionali. N0: Non vi sono metastasi ai linfonodi regionali.

N1: Metastasi in un singolo linfonodo ipsilaterale, di 3 cm o meno nella sua

dimensione massima.

N2a: Metastasi in un singolo linfonodo ipsilaterale, maggiore di 3 cm ma

inferiore a 6 cm nella sua dimensione massima.

N2b: Multiple metastasi ai linfonodi ipsilaterali, nessuno dei quali superiore a

6 cm nella sua dimensione massima.

N2c: Metastasi ai linfonodi controlaterali o bilaterali, nessuno dei quali

superiore a 6 cm nella sua dimensione massima.

N3: Metastasi in un singolo linfonodo maggiore di 6 cm nella sua dimensione

massima.

2.3.3 Classificazione clinica delle metastasi a distanza (M)

La valutazione delle metastasi a distanza è effettuata tramite l’utilizzo delle tecniche di imaging tra le quali, in assenza di sintomi, le procedure minime da effettuare sono una radiografia del torace ed una ecografia epatica.

MX: Non è possibile individuare la metastasi. M0: Non evidenza di metastasi.

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37 2.3.4 Classificazione patologica (pTNM)

La classificazione patologica, indicata dal simbolo p alle categorie TNM, deriva dall’esame completo dei campioni operatori e può pertanto essere applicata ai soli casi trattati chirurgicamente. Nella definizione delle categorie vanno considerate le stesse caratteristiche della classificazione clinica, ma misurate al microscopio con una particolare attenzione posta alla definizione di N0, dato che il criterio minimo affinché un campione venga considerato N0 è che vengano esaminati e riscontrati esenti da metastasi almeno 10 linfonodi da un intervento di dissezione radicale (RND) o radicale modificata del collo (MRND) oppure almeno 6 linfonodi da una dissezione selettiva (SND).

2.3.5 Raggruppamento in stadi

Il raggruppamento delle varie combinazioni di TNM in stadi è impiegato per comodità di analisi statistica ed ha per scopo quello di definire una stratificazione della prognosi107. Stadio 0 Tis N0 M0 Stadio I T1 N0 M0 Stadio II T2 N0 M0 Stadio III T3 T1-2-3 N0 N1 M0 M0 Stadio IV a T4 T4 T1-2-3-4 N0 N1 N2 M0 M0 M0 Stadio IV b T1-2-3-4 N3 M0

Stadio IV c Ogni T Ogni N M1

La prognosi del carcinoma orale è strettamente correlata allo stadio clinico, infatti negli stadi I e II la sopravvivenza a 5 anni è dell’85%, mentre negli stadi III e IV è del 25%. Le dimensioni del tumore e la positività linfonodale rimangono

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i due fattori prognostici più importanti e di conseguenza la scelta del trattamento deve considerare la sede, l’estensione e la stadiazione del tumore.

2.4 Tecniche di imaging

La corretta diagnosi e stadiazione del carcinoma squamo-cellulare orale richiede l’utilizzo di tecniche di imaging che siano capaci di rilevare informazioni addizionali di primaria importanza sullo stato della neoplasia come l’invasione locale, il coinvolgimento linfonodale e le metastasi a distanza. Le tecniche di imaging che possono essere utilizzate variano da quelle classiche e di routine come l’ortopantotomografia e le radiografie intraorali, fino a metodiche più complesse e moderne come l’ecografia (US), la tomografia computerizzata (CT), la risonanza magnetica nucleare (MRI) e la tomografia a emissione di positroni (PET).

2.4.1 Tomografia computerizzata

La tomografia computerizzata (CT) è una metodica di diagnostica per immagini che sfrutta i raggi X nata nel 1971 grazie agli studi dell’ingegnere Godfrey N. Hounsfield e del fisico Allan M. Cormack. Inizialmente tale definizione era affiancata dall’aggettivo assiale (TAC, tomografia assiale computerizzata) per indicare che le immagini erano generate solo sul piano assiale, mentre oggi, grazie all’avanzamento tecnologico avvenuto, è possibile l’estrapolazione di un volume e non più solo di sezioni assiali permettendo la visualizzazione delle immagini nelle tre dimensioni (trasversale, frontale e sagittale).

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Figura 6: carcinoma linguale in visione assiale, coronale, sagittale108.

La CT corrisponde ad una tecnica tomografica, in quanto consente di ottenere una sezione del corpo umano, differenziandosi pertanto dalle immagini di sommazione impiegate dalla radiologia convenzionale. Il termine “computerizzata” indica che per la produzione dell’immagine è necessario l’intervento del computer109 e sottolinea come questa tecnica sia stata la prima nella quale è avvenuta la digitalizzazione.

Il tomografo computerizzato è un’apparecchiatura composta essenzialmente dalla sorgente di raggi X e dal sistema di rilevazione. La sorgente di raggi X, localizzata all’interno del gantry, ovvero del corpo macchina attraverso il quale transita il paziente, si compone di un tubo radiogeno formato da un anodo e da un catodo. All’interno del tubo radiogeno sono prodotte le radiazioni elettromagnetiche per mezzo di un effetto termo-ionico che si sviluppa tramite l’applicazione di una differenza di potenziale. A livello del tubo radiogeno, oppure alternativamente al livello del sistema di rilevazione, ritroviamo la presenza di un collimatore la cui funzione è quella di ridurre le dimensioni del fascio di raggi X a quelle desiderate.

Vi è poi un sistema di rilevazione e acquisizione dei dati, che si localizza anch’esso nel contesto del gantry in posizione speculare rispetto al tubo radiogeno

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ed è costituito dai detettori, ovvero rilevatori in grado di raccogliere i fotoni che sono riusciti ad attraversare i diversi tessuti. I detettori pertanto registrano l’attenuazione subita dal fascio radiante generato dal tubo radiogeno nell’attraversamento dell’organismo del paziente. Questa attenuazione viene trasformata in un segnale elettrico trasmesso infine al sistema di elaborazione e visualizzazione dei dati, ovvero il computer.

Altro elemento fondamentale è il sistema di posizionamento e avanzamento del paziente, ovvero il lettino sul quale esso è disteso e che si muove durante l’acquisizione. Tale movimento nella CT di vecchia generazione consentiva l’acquisizione di sezioni diverse del corpo tra loro consecutive, mentre nella CT moderna consente l’acquisizione di volumi.

Dal punto di vista funzionale, la CT prevede che il soggetto posto sul lettino porta-paziente entri all’interno del gantry nella cui struttura sono localizzati il tubo radiogeno e il sistema di detezione composto dalla matrice; tali strutture risultano speculari tra loro e si muovono in modo contestuale in modo tale da risultare perfettamente collimati: il lettino si muove con velocità costante e ridotta all’interno della macchina mentre nello stesso tempo la sorgente e il detettore ruotano rapidamente attorno al paziente (0,5-0,7 s/giro) consentendo, in ultima analisi, l’acquisizione di un volume e non di una sezione trasversale. L’entità della traslazione definisce il volume acquisito che può variare da una CT-total body fino alla visualizzazione specifica di un singolo distretto. Questa modalità di acquisizione caratterizza la cosiddetta CT spirale in quanto il movimento disegnato virtualmente dal fascio radiante sul paziente corrisponde ad una vera e propria spirale e non più ad un cerchio come avveniva nella vecchia TAC.

Quindi il fascio di raggi X attraversando il corpo verrà attenuato in maniera diversa a seconda della tipologia di tessuto, permettendo al detettore di rilevare le diverse informazioni per poi permettere la formazione dell’immagine radiografica corrispondente, che, trattandosi di una metodica digitale, è possibile grazie al computer che funziona da sistema di elaborazione dei dati raccolti dal detettore

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stesso. Nella CT, così come nelle altre metodiche digitali, il detettore è in grado di convertire la radiazione X in corrente elettrica di intensità proporzionale.

Nella CT l’immagine è costruita con un procedimento in cui inizialmente viene misurata l’attenuazione di un fascio di raggi X in innumerevoli traiettorie attraverso lo strato corporeo in studio, successivamente, tramite il calcolo del computer, viene determinata la componente di attenuazione nei singoli voxel ed infine l’immagine viene visualizzata sul display.

La CT spirale è stata introdotta negli anni ’90 e la possibilità di garantire la rotazione del sistema sorgente-detettore attorno al paziente in continuo movimento si è resa possibile grazie al trasporto della corrente tramite contatti striscianti, in parte già esistente nei radar, in modo tale che i cavi di alimentazione non si attorcigliassero come avveniva invece nella TAC.

Nel tempo la stessa CT spirale ha subito un’ulteriore modificazione, in particolare nella sua prima versione si componeva di un anello di detettori posti su un’unica fila, cosicché il campionamento volumetrico attuabile con una rotazione era limitato ad una ristretta regione corporea la cui estensione si basava su un parametro importante quale il pitch o passo della spirale, ovvero la distanza tra una rotazione e l’altra proiettate sul corpo del paziente. In presenza di una rotazione a velocità costante del tubo radiogeno, il passo della spirale varia in funzione della velocità con cui si muove il lettino, infatti all’aumentare di quest’ultimo parametro incrementa il pitch. Questo comporta che in passato per acquisire un volume il più ampio possibile in una certa quantità di tempo, avendo a disposizione una sola fila di detettori, si ricorreva ad un incremento del passo dell’elica, condizione che tuttavia determinava una riduzione della risoluzione dell’immagine ottenuta.

Nel modello attuale si è assistito all’incrementando delle file di detettori con un doppio vantaggio, da una parte il sistema di rilevazione ha subito un’estensione in lunghezza così da poter garantire una copertura più ampia del volume corporeo ad ogni rotazione, dall’altra è incrementato anche il numero dei detettori stessi

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