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Tracce di comunità 113

Parte II: Le avventure intellettuali e pratiche della comunità.

2.2 Tracce di comunità 113

Nella società mondializzata, caratterizzata da nuove opportunità, ma anche da un «massimo grado di differenziazione, complessità e rischio sociale e nella quale le caratteristiche peculiari della modernità (individualizzazione, razionalizzazione, secolarizzazione) hanno raggiunto in molti casi il limite oltre il quale necessariamente degenerano nelle corrispettive patologie»114 la comunità torna ad emergere, anche se contraddistinta da caratteristiche ambivalenti.

Da un lato, infatti, ad essa vengono attribuite le accezioni negative di comunità pericolo o di comunità gruccia115, sorte in risposta alle incertezze e ai nuovi rischi della società a capitalismo avanzato. Dall’altro, invece, essa si coniuga con una «crescente e rinnovata effervescenza dei contesti locali, all’interno dei quali i sentimenti di concordia e fraternità cercano instancabilmente ospitalità e conferma»116.

In tal senso, le accezioni negative di perdita della libertà e di creazione di legami sociali fondati sulla paura dei numerosi rischi innescati dalla globalizzazione, non impediscono ai contesti locali di rivestire un rinnovato ruolo sociale.

In questa direzione Zurla enuncia un paradosso: «mentre cresce la componente omologante di rapporti e delle relazioni sociali e umane, soprattutto per il processo di artificializzazione della vita e della comunicazione, parallelamente paiono aumentare i segnali di rinnovata vitalità delle relazioni comunitarie»117.

Alcuni autori mettono in guardia sulla pericolosità della costituzione di comunità artificiali fondate su un tipo di identità difensivo; altri invece, pur sottolineando la natura ambivalente del rapporto comunità/perdita di libertà, individuano i contesti locali comunitari come «un tentativo in grado di rifondare le società spersonalizzate e globalizzate, impaurite e sempre più caratterizzate

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Bagnasco A., Tracce di comunità, Il Mulino, Bologna, 1999. 114

Ivi, p. 71. 115

Le comunità gruccia possono sorgere come risposta «a minacce reali o immaginarie, ma comunque terrorizzanti (ad esempio tramite la voce che gli scaffali dei supermercati sono stati riempiti di cibi trattati geneticamente con conseguenze ignote per i consumatori). Altre volte si può formare una comunità gruccia intorno ad un evento mondano o intorno a problemi con cui molti individui lottano quotidianamente nella vita quotidiana (ad esempio tenere il peso sotto controllo). Le comunità gruccia sono definite da Bauman anche comunità estetiche. […] Il tratto comune a tutte le comunità estetiche è la natura superficiale e frivola, nonché transitoria dei legami che si instaurano tra i rispettivi membri. Tali legami sono fragili e di breve durata […]. Qualunque tipo di legame venga stabilito nel corso della brevissima vita della comunità estetica, essi non legano realmente: sono letteralmente legami senza conseguenze. […] La comunità etica rappresenta l’estremo opposto della comunità estetica. Essa è intessuta di impegni a lungo termine, di inalienabili diritti e obblighi inevadibili, tutte cose che grazie alla loro rinomata (e meglio ancora istituzionalmente garantita) durabilità possono essere trattate come variabili note nel momento in cui si pianifica il futuro e si fanno progetti. E gli impegni che rendono una comunità etica sarebbero del tipo di condivisione fraterna, il quale riafferma il diritto di ciascun membro all’assicurazione comunitaria contro gli errori e le disgrazie che sempre costellano la vita degli individui». Bauman Z., op. cit., pp. 69-71.

116

Magnaghi A., Partecipazione, nuovi municipi, sviluppo locale, cit., p. 71. 117

dall’incertezza»118

.

Entrambe le interpretazioni denotano la potenziale duplicità delle comunità contemporanee e la facilità con cui, sullo sfondo dei nuovi contesti di rischio, la paura e l’insicurezza possono far velocemente scivolare le connotazioni positive di fiducia, solidarietà, reciprocità, etc., in quelle negative di esclusione, marginalizzazione, timore dello straniero, creando delle comunità fortezze fondate su pericolose identità di tipo difensivo.

Di fronte alle nuove dinamiche di mondializzazione globale, di rapidità di flussi delle comunicazioni, dei capitali e delle merci, Petrillo sostiene infatti che «la ricerca del senso più generale del proprio agire sembra passare per la costruzione di identità difensive intorno al principio comunitario»119. Identità che prendono forma su legami solidaristici artificiali, verso una realtà esterna percepita come ostile e con la creazione di specifici codici di autoidentificazione120.

Castells sottolinea inoltre come in un mondo sempre più strutturato su processi globali, le politiche di valorizzazione del locale e di «produzione di identità» hanno acquisito una rilevanza che non conosce eguali nel passato121. Le nuove identità collettive, nate da paure e insicurezze nei confronti di nemici esterni, delimitano il confine del «noi» e del «loro», finendo per improntare le proprie istituzioni su politiche sociali e culturali di esclusione. Per Bauman, inoltre, fare parte di una comunità implica spesso la perdita della propria libertà. «L’assenza di comunità significa assenza di sicurezza; la presenza di una comunità, quando si verifica, finisce ben presto con il significare perdita di libertà»122.

Anche Sennet sottolinea la stretta relazione tra il desiderio di comunità e il bisogno dell’individuo di difendersi dagli effetti devastanti della precarietà lavorativa e dalla presenza degli «estranei». «Il mito della solidarietà comunitaria è anche un rituale purificatorio per bilanciare i disastri della flessibilità. Il desiderio della comunità è una delle conseguenze involontarie del capitalismo contemporaneo, un desiderio animato dalle incertezze create dalla flessibilità, dall’assenza di fiducia, dallo spettro di non riuscire a diventare qualcuno nel mondo, di non sapersi costruire. Queste condizioni spingono la gente a cercare nuove forme di attaccamento, a ricorrere ad un nuovo utilizzo del «noi» come atto di protezione. Un luogo diventa infatti una comunità quando la gente usa il pronome «noi», ma in questo contesto il desiderio di comunità si esprime in termini difensivi, e spesso sotto forma di rifiuto nei confronti di immigrati o di alti estranei»123.

Della stessa opinione, Beck evidenzia l’emergere delle «comunità

di pericolo» basate su un tipo di solidarietà che nasce dalla paura in

un’epoca storica di crescente incertezza. Infatti, così «come nel XIX

118

Berti F., op. cit., p.62 119

Petrillo A., op. cit., p. 78. 120

Ibidem. 121

Castells M., Il potere dell’identità, Università Bocconi editore, Milano, 2002. Citato in Petrillo A., Ivi, p. 79.

122

Bauman Z., op. cit., p. 20. 123

secolo la modernizzazione ha dissolto la struttura fossilizzata della società feudale con la sua organizzazione per ceti, producendo il quadro di fondo della società industriale»124 e affermando di fatto i diritti della borghesia, così oggi la modernizzazione dissolve la società industriale e fa sorgere da essa il profilo di un’altra società, la società

del rischio, produttrice di incertezze e di «minacce globali

sopranazionali»125 indipendenti dalle volontà individuali. Mentre «la società di classe nella sua dinamica di sviluppo rimane legata all’idea di uguaglianza (nelle sue diverse formulazioni di pari opportunità fino alle varianti dei modelli socialisti di società), nella società del rischio il progetto normativo che sta alla sua base e la spinge in avanti, è la sicurezza. Al posto del sistema dei valori della società disuguale subentra quindi il sistema valoriale della società insicura. Mentre l’utopia dell’uguaglianza contiene una quantità di fini sostanziali e positivi riferiti al cambiamento della società, l’utopia della sicurezza rimane peculiarmente negativa e difensiva. Il sogno della società classista è che tutti debbono avere una parte di torta, il fine della società del rischio è che tutti siano risparmiati dai veleni (la solidarietà della paura)»126.

La difesa dell’incolumità personale da una realtà esterna intesa come luogo del pericolo è anche il motivo di fondo che porta alla formazione di quelle che Low definisce gated community, comunità chiuse e private in cui l’accesso è limitato e dove lo spazio pubblico è privatizzato127. Costituendo comunità di uguali in cui esaltare la dimensione privata e inseguire il mito della purezza128, gli individui si rifugiano in residenze fortificate per acquisire maggiore sicurezza dai rischi esterni «abbandonando la città a favore di un’autosegregazione esclusiva»129. Blakely e Snyder distinguono tre tipologie di comunità chiuse statunitensi: «le prestige community, zone residenziali isolate dalla città in cui risiedono soggetti con redditi molto alti, le lifestyle

community, in cui si riservano servizi esclusivi legati al tempo libero e security zone, insediamenti preesistenti dotati di barriere di accesso e

forme di chiusura verso l’esterno»130

.

Nei suoi studi Low individua cinque elementi che contraddistinguono le gated community: la sicurezza, l’isolamento, l’omogeneità sociale data dal vivere con soggetti con uguale reddito e appartenenti alla stessa classe sociale, la possibilità di avere svaghi e di fruire dei servizi.

Dalle interviste effettuate ad alcuni residenti nelle comunità chiuse, l’autore identifica dei motivi ricorrenti che hanno spinto le persone ad

124 Beck U., La società del rischio, Carocci, Roma, 2000, p. 14. 125

Ivi, p. 18. 126

Ivi, pp. 64-65. 127

Low S. M., Behind the gates: life, security and the pursuitof happiness in fortress America, Routledge, New York, 2003, in Paone S., La città in frantumi. Sicurezza emergenza e

produzione dello spazio, Franco Angeli, Milano, 2008, p. 40.

128

Petrillo A., La città perduta. L’eclissi della dimensione urbana nel mondo contemporaneo, Dedalo, Bari, in Paone S., Ivi, p. 41.

129 Ibidem. 130

Blakely E. J., Snyder M. G., Fortress America. Gated communities in the United States, Brookings Institution Press, Washington, 1997, in Paone S., Ibidem.

allontanarsi dalla città per andare a vivere in nuove «gabbie di felicità», quali l’esigenza di allevare i propri figli in un ambiente migliore e la paura di essere derubati, molestati o attaccati da persone appartenenti a classi sociali inferiori131. La conformazione dello spazio di tali comunità, circondate da mura o barriere, evoca inoltre l’immagine di comunità fortezze arroccate su se stesse per la preservazione della propria incolumità132.

Da queste premesse, emerge l’importanza di associare alla comunità non i concetti negativi di esclusione, rischio, paura, ma quelli positivi di partecipazione, giustizia, sostenibilità ambientale. Infatti, «escludendo dalla comunità questi riferimenti forti saremmo solo alla ricerca di un po’ di sicurezza, magari fatta di muri che dividono, di confini da difendere, piuttosto di legami che si allacciano, di mani che si tendono. La comunità, quando non rappresenta una deriva può insomma rappresentare l’ambito delle ricomposizioni esistenziali delle sfere di vita, una risposta alla frammentazione sociale delle società contemporanee»133.

Pur mettendo in guardia dal rapporto spesso ambivalente tra appartenenza comunitaria/perdita della libertà, Berti evidenzia il rinnovato ruolo della comunità in risposta ai bisogni di solidarietà, rimedio alla precarietà, tutela ambientale e capacità di preservare le risorse naturali per le future generazioni. Nell’epoca dei mercati transnazionali la comunità si realizza infatti nell’attuazione pratica di una nuova forma di partecipazione democratica, di un agire responsabile e nella rinuncia a qualsiasi eccesso da parte dell’individuo. In qualche misura, quindi, comunità diviene sinonimo di sostenibilità e di un luogo dove le istanze di sviluppo sostenibile possono essere ricomposte e valorizzate, poiché anche se solo recentemente l’ambiente è divenuto un fatto fondamentale nella vita di ogni individuo e di ogni comunità, il sistema ecologico e il sistema sociale devono essere considerati tra loro sempre più interdipendenti134.

«La comunità potrà dunque risorgere solo se riuscirà ad acquisire un ruolo di diffusore della fiducia, se sarà in grado di fornire raccomandazioni o certificati di credito a beneficio di individui e istituzioni, riducendo cognitivamente ed emotivamente l’area di incertezza che riguarda questi ultimi e rendendo possibile l’attivazione di atti fiduciari nei loro confronti da parte di altri attori»135.

131 Low S. M., Construire l’exclusion à travers les communautés ferme, in Les Annales de la Recherche urbaine, n. 93, avril 2003.

132 «Flusty individua una serie di spazi di difesa sorti all’interno delle città a partire dal binomio architettura/paura, fra questi vi sono quelli ansiogeni perché controllati in maniera costante e pervasiva, oppure labirintici e quindi difficilmente raggiungibili, oppure respingenti perché difesi da cancelli o mura, ma anche quelli che non permettono lo stazionamento perché scomodi, come ad esempio le panchine che impediscono di sedersi comodamente e invitano quindi a non fermarsi». Flusty, Building paranoia, in Ellin N. (eds.), Architecture of feare, Princeton Architectural Press, New York, 1997, in Paone S., p. 43.

133

Cesareo V., Ricomporre la vita. Gli adulti giovani in Italia, Carocci, Roma, 2005, in Berti F, op. cit., p. 38.

134

Berti F., op. cit., pp. 176-177. 135

In questo contesto culturale in cui il processo di individualizzazione, di differenziazione e di rottura dei legami sociali, avviato con la modernità, è portato al massimo grado, è interessante analizzare quelle che Bagnasco definisce le tracce (tracks)136 di relazione sociale comunitaria disperse nella società.

«Il termine tracce in fisica è utilizzato per indicare le traiettorie di particelle che un rilevatore registra dopo la disintegrazione del nucleo di un atomo, mentre in chimica esso denota la presenza di piccole quantità di una sostanza»137. Nella fattispecie il termine sottolinea il modo in cui «i concetti di identità, reciprocità, fiducia»138 etc., tipici delle organizzazioni sociali comunitarie, vengono dispersi, pur continuando a persistere, nella attuale società. Mettendo in guardia da un improbabile ritorno al passato e da un trasferimento inconscio alle nuove forme di teoremi elaborati per le vecchie relazioni comunitarie con scarsa capacità interpretativa della società attuale, Bagnasco sostiene come la scomposizione dell’antico concetto, di per sé complesso e inclusivo, in diverse aree tematiche limitate e parziali, sia in grado di far rivivere, attualizzandole, istanze analitiche e pratiche di comunità compresenti nell’esperienza nella tarda modernità139

.

«Con la transizione dalla società tradizionale alla società moderna, si assiste al tramonto delle norme regolative dei sistemi sociali, delle forme istituzionali, delle procedure e degli assetti interni dei gruppi sociali, compresi e considerati indistintamente dalla sociologia nella categoria della comunità. Tuttavia la comunità come forma di socialità, idea e valore, non segue necessariamente il medesimo andamento delle forme di istituzionalizzazione storicamente dominanti: essa tende a diffondersi, a disperdersi, a non fissarsi in un

luogo sociale definito, a diluirsi in una pluralità di ambiti. Se cessa la

comunità come istituzione, continua a vivere la comunità-relazione e comunità-valore»140.

«Siamo infatti talmente abituati al lamento e prostrati dall’elaborazione del lutto per la scomparsa dei grandi partiti di massa, che non ci accorgiamo che mille fiori sono nati spontaneamente, fuori dai grandi circuiti mediatici o delle grandi organizzazioni sociali. Questo protagonismo sociale diffuso rappresenta un segno dei tempi che viviamo, è la linfa vitale che contrasta i megaprocessi di desertificazione sociale che il modello neoliberista sta cercando di imporre a tutto il pianeta»141. Forme di mutualismo sociale che costruiscono una rete relazionale locale in grado di creare tra gli individui legami sociali tipici della comunità, basati non sulla paura ma sulla solidarietà reciproca, sono la finanza etica, il commercio equo e solidale, i gruppi di acquisto solidale, il

136

Bagnasco A., op. cit., pp. 8-9. 137 Ivi, p. 9. 138 Ivi, p. 10. 139Ivi, p. 9. 140

Ciucci R., La comunità possibile. Percorsi e contesti in sociologia, Pacini-Fazzi, Lucca, 1991. C:\DocumentsandSetting\utente\Desktop\la_comunità_possibile.mht

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microcredito, le banche del tempo, l’esperienza di autogestione delle fabbriche argentine e le numerose forme di «altraeconomia» fondate sullo scambio socioeconomico del dono a forme più elaborate di creazione di una nuova moneta locale. Inoltre, anche «la famiglia, le reti parentali, le istituzioni politiche locali, le associazioni sindacali e di categoria, la persistenza di valori solidaristici (addirittura sublimati in sub-culture), non soltanto generano quella consuetudine di sentimenti cooperativi che consente di ridurre notevolmente i costi delle transizioni economiche, ma svolgono anche una fondamentale funzione di assicurazione contro forti discontinuità e l’estrema insicurezza imposte dalle dure regole di mercati altamente competitivi e mutevoli»142.

Nella storia di queste piccole tracce, le comunità intenzionali dell’Ottocento e del Novecento e le comunità intenzionali ecosostenibili attuali, raccogliendo in sé i concetti di identità, reciprocità, solidarietà, fiducia, etc., hanno da sempre avuto la funzione di alleggerire i mali sociali derivanti dal repentino processo di industrializzazione, grazie ai propri principi di solidarietà e di aiuto reciproco.

Tutto sta nel verificare la capacità di queste originali esperienze di non essere riassorbite dal sistema capitalistico e di non cadere nella «trappola» della burocratizzazione gerarchica delle strutture interne, tali da trasformare e snaturare le proprie istanze valoriali.

Gli studi compiuti dai classici del pensiero sociologico sono un utile strumento interpretativo per la comprensione delle categorie «comunità-società». Un loro uso analitico consente infatti di porre in luce la compresenza e la sopravvivenza di residui di passate strutture sociali all’interno dei sistemi sociali altamente sviluppati, anche se, ovviamente, in forme e proporzioni differenti143.

Di fronte al pullulare di concezioni sulla comunità, spesso generalizzate in tutti i campi scientifico culturali e sovente soggette a inflazioni semantiche del significato da parte dei mezzi di comunicazione, una ricongiunzione con il momento della loro genesi costituisce dunque un tentativo di ricondurre tali concetti ai motivi originari della loro proposizione144.

2.3 Dalla comunità alla società: il pensiero degli autori classici