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2.4) TRATTAMENTI CONSENTITI E DEROGHE AI LIMITI PER I CONTAMINANTI.

Le acque di acquedotto sono sottoposte a vari trattamenti di tipo fisico (grigliatura, sedimentazione, filtrazione, irraggiamento ecc) e chimico (demanganizzazione, deferrizzazione, flocculazione, trattamenti particolari per rimozione di elementi tossici, disinfezione a base di composti ossidanti), in ogni caso uno dei trattamenti più importanti è quello della disinfezione che ha l’obiettivo di eliminare o ridurre a livelli accettabili eventuali popolazioni microbiche, ad eccezione del trattamento con raggi ultravioletti e della microfiltrazione, la disinfezione comporta sempre il contatto con sostanze chimiche di natura ossidante che lasciano tracce e alterazioni dell’acqua, i composti del cloro prevalentemente ipoclorito comunemente impiegati per tale scopo determinano la formazione di derivati organo-alogenati, sostanze dotate di una tossicità più o meno elevata in funzione della loro natura e quantità. Il trattamento con biossido di cloro non induce la formazione di questi composti ma dà luogo alla formazione di clorito per il quale recentemente è stato ridefinito un limite di 0,7mg/l un valore non facile da soddisfare per alcune tipologie di acque nonostante l’impiego di avanzate tecniche impiantistiche. E’ indispensabile inoltre che vi sia sempre un’azione disinfettante residua a causa della possibilità che la qualità microbiologica di un’acqua distribuita tramite acquedottistica possa peggiorare durante il percorso (tubazioni vecchie, infiltrazioni, corrosione) a questo proposito il D.Lgs 31/2001 propone che vi sia una concentrazione di disinfettante. Non tutte le acque di acquedotto manifestano quella gradevolezza che sarebbe necessaria per un loro impiego quotidiano come bevanda, il trattamento di disinfezione più o meno intenso a cui dev’essere sottoposta un’acqua da immettere in rete modifica molto spesso i caratteri organolettici (odore e sapore). Infine un peggioramento della qualità delle acque di acquedotto è talvolta imputabile alla permanenza in depositi non adeguati e in alcuni casi anche gli impianti

di trattamento domestico possono modificare in senso negativo la composizione (riduzione eccessiva della durezza, incremento di sodio, e modifiche di pH) o addirittura

alterare le caratteristiche microbiologiche.

Le acque minerali non sono sottoposte a disinfezione, i trattamenti consentiti e vietati sono espressamente indicati agli art.7 e 8 del D.Lgs 105/1992 n°542.

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Si nota come da un punto di vista formale le due acque siano valutate da due provvedimenti normativi nettamente distinti ,in concreto però si evidenzia una sostanziale equivalenza tra i parametri ed i limiti delle sostanze contaminanti delle due tipologie di acqua, con alcuni limiti che sono più restrittivi per le acque minerali rispetto alle potabili (antiparassitari, idrocarburi policiclici aromatici, organo-alogenati, tensioattivi, nitrati, nitriti, benzene, cianuro, cadmio, piombo). Alcuni parametri invece che sono legati prevalentemente ai processi di potabilizzazione come l’acrilammide, il clorito, il bromato, l’eplicoridina non sono ovviamente previsti per il controllo delle acque minerali.

Per quanto riguarda i parametri microbiologici, troviamo anche in questo caso, riferimenti separati per le due tipologie di acqua: ovvero l’allegato 1 parte A e C del

D.Lgs 31/2001 per le acque potabili e art.9 del D.M.542/1992 per le acque minerali. In ogni caso quello che non deve mancare è la tutela del cittadino sebbene possano

emergere delle situazioni anomale che riguardano le acque potabili ovvero se l’acqua potabile non rispetta i limiti fissati dalla legge per alcuni contaminanti, può ricevere dal Ministero della Salute la deroga a poter essere distribuita ugualmente.

Il principio delle deroga si trovava già nel precedente provvedimento in vigore (D.P.R. 236/1988), che recepiva la normativa comunitaria, anche nell’attuale provvedimento si dispone con l’art13 che la regione o provincia autonoma può stabilire deroghe ai valori di parametro fissati nell’allegato 1 parte B.

La possibilità di ricorrere alla deroga non deve suscitare meraviglia o allarmismi ,infatti in sanità pubblica è necessario sempre fare un rapporto costi/benefici di tutte le operazioni che possono avere riflessi sulla natura umana, a volte può provocare più danni alla salute di una comunità la totale indisponibilità di acqua potabile che l’erogazione di acqua non conforme ai limiti per alcuni parametri, in passato quando era vigente il D.P.R. 236/1988 si è fatto troppo facilmente uso di limitazioni dell’impiego dell’acqua potabile anche per superamenti che poco avevano a che vedere con la tutela della salute pubblica, perciò la concessione della deroga avviene dopo un’attenta valutazione dei profili tossicologici del parametro fuori norma e delle conseguenze che la deroga può causare sulla salute pubblica, inoltre la deroga è concessa a condizione che siano osservate alcune precauzioni come un’adeguata informazione alla

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popolazione o maggiori frequenze di controlli, al contrario del D.P.R. 236/1988,il D.Lgs 31/2001 dispone espressamente che il ricorso alla deroga non diventi una costante e che la deroga sia sempre accompagnata oltre che dall’analisi dei motivi che hanno causato la situazione anche da un piano di rientro alla condizione in cui sono soddisfatti i valori parametri previsti

Esempio esplicativo è il caso dell’arsenico il cui limite era stato posto in 10 microgrammi per litro e invece è stato spesso derogato fino a 50 microgrammi, dato non poco rilevante visto che il contaminante arsenico è considerato cancerogeno dallo IARC(International Agency for Research on Cancer).

Scenario diverso se parliamo di acque minerali per le quali non è prevista alcun tipo di deroga sui limiti fissati sia per i parametri chimici che per i parametri microbiologici, infatti nel caso di superamento dei limiti fissati, il Ministero della Salute ne sospende il riconoscimento e quell’acqua imbottigliata non può essere commercializzata.

Fa scuola la decisione della commissione del 28/10/2010 sulla deroga richiesta dall’Italia al consiglio europeo concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, l’Italia ha chiesto una deroga per alcune forniture di acqua nelle regioni Campania, Lazio, Lombardia, Toscana, Trentino Alto Agide e Umbria, la richiesta di deroga riguarda il parametro dell’arsenico per valori di 20,30,40 e 50mg/l, il parametro del borio per valori di 2 e 3mg/l e il parametro del fluoruro per valori di 2,5mg/l .

I valori limite di 10mg/l per l’arsenico, di 1mg/l per il boro e di 1,5mg/l per il fluoruro fissati mirano ad assicurare che le acque destinate al consumo umano possano essere consumate in condizione di sicurezza nell’intero arco della vita. Tuttavia prove scientifiche in particolare gli orientamenti dell’OMS sulla qualità delle acque potabili e il parere del comitato scientificamente dei rischi sanitari e ambientali dimostrano che taluni valori più elevati sono accettabili per un periodo di tempo limitato senza rischi per la salute umana. Si è riconosciuta la dannosità dell’arsenico oltre 20m/l in quanto determinerebbero rischi sanitari superiori in particolare talune forme di cancro, infine la durata delle deroghe viene definita separatamente per ogni zona di fornitura di acqua sulla base della complessità delle misure correttive e del loro stato di avanzamento.

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2.4) I CONTROLLI

Come visto in precedenza le situazioni di contaminazioni che possono presentarsi sono diverse dovute alla possibile presenza di uno o più sostanze pericolose per la nostra salute la cui assunzione può avvenire in maniera diretta attraverso l’acqua che usiamo per dissetarci oppure in maniera indiretta ovvero nel momento in cui quell’acqua viene usata per scopi produttivi quale irrigare i campi, somministrarla al bestiame, ect ect. Dato ciò sono predisposti controlli pubblici tramite organi di vigilanza quali aziende sanitarie locali oppure tramite il nucleo antisofisticazione dei Carabinieri i quali effettuano ispezioni ed analisi di legge sia negli stabilimenti che nei punti vendita su tutto il territorio nazionale. Si tratta di controlli periodici fatti alla sorgente, all’impianto d’imbottigliamento e nei punti vendita. In particolare i controlli e le analisi hanno periodicità crescente, in funzione delle quantità prodotte.

Esistono poi i controlli interni aziendali, anche le aziende produttrici hanno da tempo adottato un sistema capillare di autocontrollo (HACCP) a tutela della sicurezza alimentare, attraverso l’applicazione di procedure e piani di prevenzioni e controlli dei rischi potenziali, è una procedura standard depositata ed approvata dal Ministero della Salute. Sulla base del sistema di autocontrollo, le imprese svolgono continui controlli alla sorgente, all’impianto di imbottigliamento, sui contenitori, ai depositi presso lo stabilimento di imbottigliamento prima della distribuzione.

Questi controlli producono centinaia di migliaia di analisi all’anno, la documentazione relativa ai controlli aziendali deve essere tenuta a disposizione degli organi di controllo, ogni anno inoltre le aziende hanno l’obbligo di effettuare presso un laboratorio autorizzato ed inviare al Ministero della Salute le analisi complete su tutti i parametri chimici, chimico-fisici e microbiologici.

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