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Il trattato con M ichele Paleologo

Rinnovo del trattato con Manfredi. - Trattative per l ’esecuzione del compromesso in Acri. - Rifiuto veneziano. - Situazione nella Romania. - Trattato di Ninfeo. - Occu­ pazione di Costantinopoli. - Arrivo della flotta genovese. - Intromissione del papa.

Gli anni 1259 e 1260 erano stato poco fecondi a Genova di avveni­ menti politici; mentre all’interno si era in preda alla confusione, regnava al di fuori piena pace. Le buone relazioni con Manfredi erano rimaste in­ tatte. Intanto il luogotenente di Corradino aveva assunto il titolo di re, il che diede forse motivo al rinnovo del trattato del 1257, che ebbe luogo il 22 marzo 1259, in forma di privilegio '. Genova si dimostrò quindi assai condiscendente alle richieste di un cittadino di Messina, appoggiate dal re 2, ed il 17 settembre venne ratificata in forma solenne la convenzione del 1257 3, però con la riserva che Manfredi dovesse mettersi d’accordo con rappresentanti del Comune sull’interpretazione di alcune disposizioni, il che sembra abbia avuto luogo. Nel giugno 1261 fu stipulato un nuovo trattato4, essenzialmente corrispondente all’antico, soltanto che alcuni ar­ ticoli erano concepiti in forma più chiara5.

Non si può negare che sia qui avvenuta una certa deviazione dalla

1 B

ohmer

,

R egesta Im perii, nr. 4692 e sgg.;

C

apasso

,

p. 166, nr. 306. Il privi­ legio in

O

rlando

,

p. 102 e sgg.; in

S

ella

,

Patid. d elle ga belle e d e i dir. della curia Mess., p. 89 e sgg., è inserito nella circolare ai funzionari dello Stato, con la quale se ne dà comunicazione.

2 L.J., I, 1285; 30 aprile 1259.

3 L.J., I, 1293: 17 settembre 1259. Dobbiamo tener ferma la data 1259 contro

B

ohmer

,

R egesta Im perii, nr. 4692, poiché Rufino Caballacio era Podestà nel 1259, non nel 1258: v. Annali, 241, var. h e 238 [IV, 38, var. b, 30], documentato in

G

er

­

main

,

I, p. 241: ottobre 1259.

4 L.J., I, 1346. Gli inviati genovesi sono Nicola Doria e Giovanni Ugolini iudex. 5 E ’ aggiunto (L.J., I, 1348) che in caso di morte, i beni del defunto debbano essere rimessi nelle mani del console e per nessun nuovo mandato regio, ancorché applicabile in generale, possano essere imposti tributi ai Genovesi se in contrasto con quanto stabilito nel privilegio. Sono omesse alcune disposizioni che risulta fossero state già attuate.

I l trattato con Mic h e l e Paleologo

politica guelfa che Genova aveva seguito fino dalla rottura con Federico II, poiché frattanto Manfredi si era decisamente messo a capo del partito ghibellino di tutta Italia. La schiera di cavalieri tedeschi, che aveva man­ dato in soccorso di Siena, aveva contribuito non poco alla vittoria di Mon- taperti6. La lega guelfa toscana, al cui aiuto Genova doveva la sua vittoria su Pisa, rimase così sciolta. Pisa, Firenze, Siena, Pistoia e le città minori si strinsero in u n ’alleanza7 il cui scopo era d’innalzare in Toscana i Ghi­ bellini al potere col concorso di Manfredi. Gli attacchi si diressero anzi­ tutto contro Lucca. Questa aveva coltivato col massimo zelo gli stretti rapporti con Genova. Al principio di settembre del 1258 erano qui com­ parsi quattro nobili lucchesi, inviati ad offrire 2000 marchi d’argento come contributo alle spese di guerra in Siria e Sardegna. Il Comune non aveva voluto urtare la suscettibilità dei generosi offerenti e sulle prime aveva accettato il dono; ma il giorno seguente esso veniva restituito con le più energiche assicurazioni d’indistruttibile amicizia8. Tali assicurazioni vennero però ora del tutto dimenticate. Nell’anno 1257, anche i Guelfi genovesi avrebbero avuto poco da obiettare contro un trattato con Man­ fredi, ma nel 1261 le cose erano del tutto mutate. Adesso non si trattava più col Vicario del regno di Sicilia per conto del legittimo erede, ma con un re, che teneva con la forza quel possesso della Chiesa e perseguitava ovunque i partigiani di essa. A lui si sacrificavano ora gli antichi confede­ rati di Toscana, per lui Lucca rimaneva senza appoggio, talché essa dovette in fine soggiacere alle forze superiori, il che doveva anche riuscire van­ taggioso per i Pisani, che potevano ora sperare nel riacquisto dei possessi perduti nel 1256.

Queste conferme non possono dunque essere considerate come una semplice e necessaria conseguenza del trattato concluso nel 1257. Se le difficoltà, che sussistevano ancora nel 1259, furono appianate senza che Manfredi recedesse essenzialmente dalle sue primitive promesse, possiamo inferirne che la parte della nobiltà genovese, già prima schierata dalla parte di Federico II, avesse ora acquistato maggior influenza. I Doria specialmente dovevano avere contribuito a questo risultato. Un membro

6 A nnali, 242 [IV , 41]; cfr. Fr e id h o f, Die Stadte T usciens z. Z. M anfreds, I, p. 10 e sgg.; [ Da v id s o h n, G esch. Flor., I I , 1, pp. 489 e sgg., 500 e sgg.].

7 Fr e id h o f, I I , p. 22, doc. del 28 maggio 1261. 8 A nnali, 240 [IV , 36-371.

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della loro famiglia, Percivalle9, aveva fra i partigiani dello Staufen una parte importante. Il Boccanegra doveva in parte la sua elezione all’appog­ gio di quel partito, mentre invece poteva aver da temere da quello avver­ sario. Tutto ciò può spiegare la sua diversione nell’indirizzo politico. Cer­ tamente anche l’attività che frattanto veniva iniziata contro Venezia do­ veva consigliarlo a dimostrare di essere in buona relazione con Manfredi.

Per quanto fosse stato fatto per il ristabilimento della pace in Acri, ancora non si era incominciato a dar mano all’esecuzione delle disposi­ zioni del compromesso. Al principio dell’anno 1260, Genova si era que­ relata presso il Papa; i procuratori di Pisa avevano sollevato eccezio­ ni, finché Alessandro IV aveva ordinato al suo legato in Acri di farsi consegnare le fortezze in forza del compromesso, entro otto giorni dal ricevimento del suo scritto; in caso di opposizione, sarebbe ricorso ai ca­ stighi spirituali e, occorrendo, avrebbe invocato il braccio secolare e l’aiuto degli ordini cavallereschi. In pari tempo mandava a questi ed ai prelati uno scritto, in cui ordinava loro di prestare appoggio al legato I0.

L ’11 gennaio 1261, due sindaci genovesi presentarono in Acri queste lettere al vescovo Tomaso di Betlemme, legato della Sede apostolica, pre­ gandolo di agire in conformità. Sono presenti parecchi vescovi, il gran maestro dei Giovanniti, il commendatore dell’ordine teutonico con molti cavalieri e un numero di grandi del regno di Gerusalemme". Il legato rispose che prima avrebbe tenuto consiglio coi prelati12 e con i gran maestri e che poi avrebbe agito nel modo stimato più opportuno. Giovedì 13 gennaio compariscono dinanzi a lui il bajulo veneziano ed il console dei Pisani col suo Consiglio. Le lettere papali vengono lette e tradotte e, affin­ chè ciascuno possa meditare sul loro contenuto, vengono distribuite in copia. Il bajulo dichiara di nulla poter fare al momento, essendo assenti i suoi consiglieri, con i quali si sarebbe presentato nel giorno seguente

9 Che P ercival d e Oria fosse realmente un Genovese e quindi della famiglia Doria, è provato dalla lettera di Urbano IV in Martèneet Du ra n d, Thes. nov. anecd., I I , 82. Sulla sua attività al servizio di Manfredi, cfr. Fic k e r, II , p. 513; Bo h m e r,

R egesta Im perii, nr. 4681, etc.

10 App. 2, nr. 10 b: datum Anagnie Kal. Junii pont, anno 6; nr. 10 c: 12 Kal. Junii; queste due lettere sono del 21 maggio 1260.

11 App. 2, nr. 10 a; cfr. Urkunden zur àlteren, II I , p. 39 e sgg. I due sindici Fresono Malocello e Giovanni di Rovegno, nominati il 10 dicembre 1260 dai due consoli genovesi per la Siria, con l’approvazione del Consiglio di Tiro: ibid., p. 40.

12 Urkunden zur àlteren, III , p. 41; per legatis devesi leggere prelatis.

Il trattato con Mic h e l e Paleologo

per dare una risposta; ciò che fu fatto, ma solo il sabato. Il legato allora dirige formale domanda al bajulo, al console ed ai loro consiglieri di consegnargli le fortezze entro il successivo martedì, altrimenti sarebbe stato obbligato a procedere contro di loro secondo l’ordine apostolico. Il bajulo, anche a nome dei Pisani, oppone molte ragioni per provare come non era il caso che il legato facesse uso delle misure del papa e che i Veneziani non potevano obbedirvi senza istruzioni del loro governo e lo ribadisce nella nuova conferenza del 17 gennaio. La conclusione dei lunghi discorsi fu il rifiuto di consegnare le fortezze. Ma a questo punto, invece di porre in esecuzione le misure di rigore minacciate contro i disobbedienti, viene loro accordato un termine ulteriore di 15 giorni, perchè possano venire a migliore consiglio.

La ragione di questa arrendevolezza sta in ogni caso nel fatto che prelati13 e baroni si dovevano sentire poco disposti a inimicarsi i due Comuni con passi violenti, che certamente avrebbero avuto per conse­ guenza un turbamento della situazione pacifica che allora regnava. Nulla- dimeno tutto l ’insieme di questo procedere ledeva il Comune di Genova. La consegna delle fortezze agli imparziali inviati del papa non era altro che una garanzia per l’esecuzione della sentenza con la quale dovevano essere decise le questioni fra le parti. In questa situazione, i Genovesi ben potevano domandare la restituzione delle fortezze in Acri, occupate dagli avversari14. Se questi non si disponevano a fare alcun passo per venire ad una vera intesa con i vinti, mediante rinunzia a qualcuno dei vantaggi otte­ nuti, e se, d’altra parte, l’intervento del papa si dimostrava inefficace, sa­ rebbe stato naturale che i Genovesi avessero cercato di riottenere il per­ duto con la forza 15.

13 Poco prima, il 7 gennaio 1261 (ibid., p. 31 e sgg., non 1260 come dimostra l’indizione IV , p. 37) aveva avuto luogo un’intesa fra il vescovo di Acri ed i Vene­ ziani, riguardo alla loro parrocchia della chiesa di S. Marco. Il 19 gennaio esso fu confermato dal capitolo del vescovato, presente il legato: ibid., p. 38.

14 Questa richiesta venne nuovamente ripetuta molto più tardi: App. 2, nr. 44 e L.J., I I , 136 e sgg.

15 Sull’attività del legato in Acri abbiamo suffidenti testimonianze: cfr. Re­ gesta r e g n i H ier o so l., p. 341 e sgg. Il 25 settembre 1263 giunse Guglielmo, patriarca di Gerusalemme, che ebbe pure la legazione, per cui il vescovo Tomaso fece ritorno a Roma: C ont. G uill. Tyr., 447 = G est. d es Chipr., 168, (Ann. terre sainte B, 451, discordante); sembra ch’egli non abbia più molestato nè i Veneziani nè i Pisani con le sue richieste.

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Però queste considerazioni, secondo le testimonianze delle fonti, non erano di tanto peso da determinare l’atteggiamento di Genova. Sembra che — forse contemporaneamente alla lettera diretta al legato — il papa avesse intimato al Doge di Venezia di rilasciare i prigionieri genovesi16. Ciò poteva far pensare ad una salda pace17; era tuttavia stupefacente che intanto si tirasse in lungo e si respingessero le sue deliberazioni; inoltre molti dovevano anche essere periti in carcere. Il cronista veneziano 18 rac­ conta che quando i prigionieri fecero ritorno, fu tenuto Consiglio a Genova e si venne nella determinazione che, malgrado la pace ed il compromesso, non si doveva tralasciare di prendere vendetta sui Veneziani per l’onta sofferta della demolizione della torre di Acri. A tal fine furono spediti inviati in Romania a Michele Paleologo, nemico di Venezia. La maniera in cui il fatto viene rappresentato fa cadere sui Genovesi l’accusa di perfida astuzia, dalla quale difficilmente possono essere discolpati, poiché i loro stessi Annali danno come movente del loro modo d’agire soltanto il desi­ derio di vendetta. Essi confessano perfino, anche se non espressamente, che fu attuata una manifesta rottura della pace 19. Per quanto poco preveggente

16 Ca n a l, 474, dice espressamente che il papa lo fece per suppliche dei Geno­ vesi. Queste preghiere possono essere state esposte in Acri contemporaneamente a quelle per l’esecuzione del compromesso. Che effettivamente la liberazione abbia avuto luogo molto tempo dopo la conclusione del compromesso, è dimostrato da Annali, 240 [IV, 36]: p ost aliqua tem pora m ultis ex carceratis defunctis-, in Da n d olo, 367, il nesso non è chiaro.

17 Ca n a l, 476.

18 Ca n a l, 478 e sgg.

19 Annali, 242 [IV, 41 : Januenses, m em ores iniuriarum eis factarum a Venetis e t eoru m com p licib u s in partibus ultramarinis, animum eorum in ten deru n t ad eos a ffligen d o s m odis om nibus quibus possent. Se vi fosse stata una seria giustificazione, sarebbe stata avanzata; la secca brevità dice abbastanza. L’ambasceria doveva essere partita prima del 2 febbraio 1261. Invero il Podestà che dà l’incarico è ancora Martino da Fano (L.J., I, 1350), che uscì di carica il 2 febbraio, poiché nel 1261 è Podestà Giordano de Raalvengo: Annali, 242 [IV, 41].

Che essa sia partita dopo il 25 dicembre 1260 possiamo dedurlo dagli Annali, 1. c., che ne danno relazione nel 1261, ma ad ammetterlo in modo assoluto, come fa il

Ca n a le, II, p. 149, n. 1, e, con minor forza, Heyd, I, p. 428, si oppone la circo­ stanza che l’annalista non sembra conoscere con precisione la data in cui ciò era avvenuto. Egli dà relazione della conclusione del trattato e, in ipso anno v e l sequenti, del ritorno degli inviati; quella era avvenuta il 13 marzo 1261 (L.J., I, 1356), questo fra il 28 aprile ed il 10 luglio 1261: L.J., I, 1346, 1359. Non è da escludere la pos-

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potesse essere stato il contegno di Venezia, quello che fece Genova non era scusabile, ma si trattava in pari tempo di una trovata politica estrema- mente abile.

Da quando Costantinopoli, con la quarta crociata, era stata presa dai Latini, i mari della Grecia erano stati dominati dalla flotta veneziana che, avendo avuto una parte preminente nella fondazione dell’impero latino, ne costituiva il principale appoggio. Il regno di Nicea, ove i Greci avevano acquistato nuova forza, minacciava in pari modo tanto il trono oscillante di Balduino quanto la potenza della città delle lagune. Non già perchè questa avesse avuto in diretto dominio la parte dell’impero bizantino che nella partizione le era toccata; con prudente parsimonia essa si contentava di Creta e di alcune piazzeforti, mentre molte delle isole minori erano ri­ maste in mano dei rispettivi cittadini; in Morea i Villehardouin erano signo­ ri d’un fiorente principato e con essi gareggiavano i duchi di Atene nella Grecia centrale; ma il nerbo vitale del mondo franco-feudale sul suolo classico era la potenza marittima veneziana, in modo tale che qualunque col­ po che su quella cadeva, era per esso fatale. La supremazia di Venezia nel commercio con le città costiere della Romania, la cui capitale ne era il punto centrale, poggiava sulla potenza politica. Se i Genovesi vi erano ammessi, lo dovevano alla grazia della più potente rivale20. Il podestà ve­ neziano di Costantinopoli risiedeva in un vasto palazzo, che aveva l’aspetto d’un castello fortificato 21. Se si fosse potuto cacciare l’uno e distruggere l’altro, la torre di Acri sarebbe stata vendicata. La perdita, che in tal modo la città nemica avrebbe sofferto, avrebbe potuto stare a confronto con la propria patita nella guerra precedente. Adesso si presentavano ampie pro­ spettive per il commercio nel Mar Nero. Se si poteva riuscire a chiudere

sibilità che l ’ambasceria fosse partita negli ultimi mesi dell’anno 1260, tanto più che le trattative non potevano essersi concluse in un tempo troppo breve.

In nessun caso però in quel tempo si poteva aver notizia che i Veneziani in Acri non si erano piegati alla domanda del papa. E’ dunque del tutto credibile che i Genovesi attendessero soltanto la restituzione dei prigionieri per ricominciare la guerra. D ’altra parte, nel gennaio 1261, difficilmente si poteva avere notizia a Venezia ed Acri di tale intenzione, per modo che ai Genovesi rimaneva sempre aperta la scusa che Venezia aveva violato il compromesso. In ciò si può anche vedere il motivo per il quale, da quanto sembra, il papa non insistette in seguito con eccessiva energia sulla osservanza delle condizioni di esso.

20 L.J., I , 1103. 21 A nnali, 243 [IV, 45].

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gli stretti ai Veneziani, sarebbe stato loro impossibile di valersi della via di terra, dalla Crimea a Trebisonda attraverso l’Asia.

Michele Paleologo si era imposto il diadema illegittimamente, ma la sua energia lo dimostrava chiamato a condurre la nazione greca alla vit­ toria sopra gli intrusi stranieri. Villehardouin fu battuto e fatto prigioniero dai suoi soldati 22; la presa di Costantinopoli era la meta che egli si era prefissa 23. Era appena possibile immaginare di realizzarla attraverso un nor­ male assedio finché le navi veneziane avessero avuto libero approdo e a lui mancava una flotta idonea per impedirlo. Tale stato di cose non era scono­ sciuto a Genova. Qui si trovava quello che mancava al Paleologo, galere e uomini esperti nella guerra marittima. Il greco era nemico di Venezia, perchè questa l’osteggiava nei suoi piani; Genova era assetata di vendetta sulla vittoriosa rivale, ambedue erano spinti da un comune interesse.

Il Consiglio di Genova decise quindi di mandare un’ambasciata al Paleologo, impegnato in guerra con Venezia, per stipulare con lui un al­ leanza contro di essa 24. Guglielmo Visconte e Guarnerio Giudice sono in­ caricati dell’affare, con ampie facoltà per concludere il trattato 25. L impe­ ratore, che nulla di meglio poteva attendersi, li ricevette con tutti gli onori e accettò con premura le loro offerte26. Il trattato concluso il 13 marzo 1261 a Ninfeo27 formerà per lungo tempo la base delle relazioni fra Ge­

22 Cfr. Ho p f, G esch. G riech., p. 260 e sgg., p. 277 e sgg., etc.

23 Geo rg. Ac r o p., Annales, p. 185.

24 L ’indirizzo nelle lettere di Alessandro IV, del 2 aprile 1261 {L.J., I, 1345), così pure di Urbano IV , del 21 novembre 1261 (ibid., I, 1397): C arissimo in Christo filio M. P. illustri im peratori G recorum salutem et apostolicam b en ed ictio n em , sem­ bra dimostrare che il Paleologo non fu affatto sempre considerato come un nemico della Chiesa; cfr. invece l’indirizzo (Rayn., anno 1263, par. 23) di quella del 28 luglio 1263.

25 Annali, 242 [IV, 42]. Il Podestà e il Capitano, con l’approvazione degli 8 nobili, degli Anziani e dei consiliarii, stesero la procura: L.J., I, 1350.

26 Annali, 1. c.; L.J., 1. c.

27 E ’ inserito nell’atto di ratifica del

10

luglio: L.J., I,

1350

e sgg.; cfr. Annali,

242

[IV,

42]. C

anal

, 480; N

iceph

. G

reg

.,

Historia, I,

97.

La traduzione francese del trattato

(B

uchon

,

Rech. et matér., I, p.

462

e sgg.)

è

redatta secondo la copia del L.J. (cfr.

D

ucange

,

H istoire d e l’em pire d e C onstantinople, p.

16),

quindi priva di valore. Dalle relazioni delle fonti, lontane dagli avvenimenti, non possiamo ricavare nulla di essenziale sui particolari di esso. La narrazione relativamente dettagliata degli Annales S. Justinae,

181, è

svolta troppo in generale; il trattato fra Genova e il

Il trattato con Mic h ele Paleologo

nova e Bisanzio. Senza dubbio tutto ciò era già stato calcolato in prece­ denza. Si approfittava della posizione favorevole del momento per ottenere durevoli vantaggi, il che si rileva chiaramente dalle disposizioni dei singoli articoli del documento.

Ambe le parti si promettono vicendevolmente pace costante e guerra contro il comune nemico, i Veneziani; nessun accordo con essi potrà aver luogo se non di comune consenso; conseguenza dell’alleanza è la libertà per i sudditi dell’imperatore di esercitare il commercio nel territorio del Comune, ove dev’essere loro prestato appoggio anche in caso di naufragio; quivi i nemici dell’imperatore non potranno armare alcuna flotta contro di lui. Altrettanto dicasi per i Genovesi nell’impero greco, ciò che è ovvia­ mente di ben maggiore importanza. Su questo punto particolare fu neces­ sario stabilire quali individui dovevano considerarsi come Genovesi2S. Co­ storo godranno piena franchigia da imposte di qualunque specie, e inoltre in un certo numero 29 di città verranno loro accordati quartieri più grandi senza obbligo di alcun tributo. Essi potranno insediarvi consoli con piena giurisdizione civile e criminale sopra tutti i Genovesi, anche sopra quelli che si facessero vassalli dell’imperatore. Nessun genovese potrà essere re­ sponsabile dei reati o dei debiti d’un altro; le accuse contro di essi do­ vranno essere portate dinanzi al loro console e quelle da essi proposte contro sudditi dell’impero o contro forestieri dinanzi le autorità dello

Paleologo è q u i erroneamente collocato dopo l’occupazione di Costantinopoli. Più esatta

è la notizia in G u i l l . d e N a n g is , G esta L udovici IX, 645: G reci occupaverunt Con- sta n tin o p o lim f a v e n t i b u s eis Ja n u en sib u s in odium V enetarum; cfr. Vil l a n i, Cronica,

V I , 71, etc.

28 L .J., I , 1351. I l certificato del Podestà e del Capitano o dei consoli genovesi in Romania deve bastare, perchè a qualsiasi persona (eos esse Januenses vel d e districtu Ja n u e v e l d i c t o s J a n u e n s e s , non occorre quindi che questi ultimi appartengano alla città di Genova o al suo territorio) sia assicurato il trattamento dovuto ai Genovesi a norma del trattato. Nella convenzione con Manfredi (L.J., I, 1293, etc.) la possibilità per i Genovesi di estendere i loro privilegi era esclusa, specie per quelli che pote­ vano avere maggiore importanza; cfr. sopra, cap. IV, n. 18. Invero, anche tutti gli appartenenti all’im pero del Paleologo godono a Genova della franchigia dalle imposte, però le espressioni sono tanto poco precise che effettivamente si può darvi poco peso