• Non ci sono risultati.

la Twin Pillars policy e l’importanza delle relazioni tra Iran, USA e UK

1. La sicurezza “regionale”

1.1 la Twin Pillars policy e l’importanza delle relazioni tra Iran, USA e UK

Quando il 16 gennaio del 1968 il Primo Ministro britannico Wilson annunciò davanti alla Camera dei Comuni il ritiro dal Golfo Persico entro il 1971, i responsabili della politica estera americana si resero conto del vuoto di potere che si sarebbe venuto a creare in quell’area così vitale per la sicurezza dell’intero sistema occidentale142. La struttura centrale del sistema di sicurezza

creato dagli occidentali nell’area del Golfo Persico sarebbe stata smantellato143.

La decisione della Gran Bretagna di ritirare le proprie forze pose i politici americani e britannici di fronte a quattro tipologie di problemi, legati al significato strategico ed economico che l’area rappresentava: si temeva la minaccia costituita dal radicalismo arabo affermatosi in Iraq, in Egitto e nello Yemen del Sud. Tra questi, l’Iraq godeva di ottimi rapporti politici e militari con l’Unione Sovietica. Oltre a rivendicare il possesso del Kuwait, l’Iraq presentava un alto livello di conflittualità col vicino Iran, sia per il controllo del fiume Shatt al Arab sia per le ambizioni territoriali sul Khuzistan, ricco di giacimenti petroliferi ed abitato da arabi. In questo contesto, si sospettava che i sovietici potessero sfruttare il declino della presenza occidentale nel Golfo per aumentare la propria influenza144. La priorità per gli Stati Uniti e la Gran Bretagna

consisteva quindi nel mantenimento dello status quo nell’area. Ciò appariva indispensabile per arginare l’avanzata sovietica e favorire gli investimenti occidentali. Stati Uniti e Gran Bretagna necessitavano, inoltre, dell’accesso alle vaste risorse petrolifere della regione ad un prezzo ragionevole. Tuttavia, il ruolo della Gran Bretagna non appariva tanto rilevante quanto quello degli Stati Uniti, anche se il supporto britannico al regime iraniano era ritenuto necessario,

142 M. A. Palmer, Guardians of the Gulf: a History of America’s Expanding Role in the Persian Gulf, New York, Simon & Shuster, 1992.

143 J. C. Hurewitz, The Persian Gulf: British Withdrawal and Western Security, in The Annals of the American Academy of Political and Social Science, Vol. 401, No. 1, American Academy of Political and Social Science, Ithaca, Ithaca University Press, 1972, pp. 106-115.

144 T. Fain, American Ascendance and British Retreat in the Persian Gulf region, New York, Palgrave Macmillan, 2008, pp. 173-174.

50

in quanto Londra contribuiva in maniera sostanziale al potenziamento della macchina militare iraniana e costituiva un partner eccellente in ambito commerciale. Negli Stati Uniti, la decisione inaspettata del ritiro dei britannici, creò sin dal 1968 la necessità di proteggere gli interessi americani nell’area. A questo proposito emerse l’importanza del termine “Twin Pillars” sotto l’amministrazione Nixon e poi con il segretario di Stato Henry Kissinger. Le finalità degli Stati Uniti nel Golfo Persico erano sempre state semplici e consistenti nell’assicurare l’accesso del mondo industrializzato alle vaste risorse della regione ed evitare che l’Unione Sovietica acquisisse il controllo politico e militare sull’area. L’importanza strategica della zona, infatti, aumentava proporzionalmente alla crescente dipendenza occidentale dal petrolio. Sin da principio, due furono gli aspetti della reazione americana alla notizia del ritiro: in primo luogo, gli Stati Uniti decisero di non sostenere i britannici come garanti della sicurezza nel Golfo. Tuttavia, si intendeva incoraggiare la Gran Bretagna a mantenere un ruolo attivo nell’area, compreso il loro ruolo di principale fornitore di armi a vari Stati del Golfo145. La strategia adottata dall’amministrazione Nixon per garantirsi il soddisfacimento di tali obiettivi nasceva dall’applicazione della “Dottrina Nixon”, resa pubblica il 25 luglio 1969 in occasione di una conferenza stampa a Guam. Essa verteva principalmente su tre punti: il rispetto degli impegni presi da parte degli Usa; proteggere la zona da eventuali attacchi nucleari esterni; fornire assistenza militare ed economica in base agli impegni presi. L’elaborazione della “Dottrina Nixon” derivava dalla necessità di creare una netta distinzione fra tre tipologie di pericolo: la sovversione derivante da forze interne, l’attacco proveniente da un Paese vicino e l’aggressione di una potenza nucleare – Unione Sovietica o Cina146. John Gaddis ricorda che Kissinger, successivamente, perfezionò la Dottrina, dichiarando che gli Stati Uniti avrebbero partecipato al rafforzamento della difesa e alla modernizzazione di Paesi alleati ed amici, a condizione che tale supporto fosse attinente agli interessi americani147. In accordo con la nuova Dottrina, gli Stati Uniti cercarono di costruire potenze regionali che

145 J. R. Macris, The Politics and Security of the Gulf: Anglo-American Hegemony and the Shaping of a Region, New York, Routledge, 2010, p. 173.

146 H. Kissinger, White House Years, Boston, Little, Brown, 1979, p. 271, trad. it. Gli anni della Casa Bianca, SugarCo, Milano, 1980.

147 J. L. Gaddis, Strategies of Containment: a Critical Appraisal of American National Security Policy during the Cold War, New York, Oxford University Press, 1982, p. 296.

51

compensassero il vuoto creatosi nella zona del Golfo. Tra queste, Nixon si rese conto che l’Iran aveva tutte le carte in regola per diventare una delle potenze regionali più forti; pertanto, l’obiettivo statunitense era quello di assistere l’Iran e l’Arabia Saudita nella modernizzazione dei propri eserciti, al fine di metterli in condizione di provvedere autonomamente alla loro sicurezza e alla stabilità della regione148. Come gli Stati Uniti, l’Iran e l’Arabia Saudita condividevano la preoccupazione per una possibile espansione sovietica nell’area. Tuttavia, sebbene la strategia fosse stata denominata “Twin Pillars policy”, l’Arabia Saudita costituiva certamente il partner più debole. L’importanza dei sauditi derivava principalmente dal possesso delle più vaste risorse petrolifere a livello mondiale, che ne faceva un leader all’interno dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio – OPEC. L’Iran, invece, era di gran lunga il partner predominante, a causa della più ampia popolazione, dell’economia avanzata e del potente esercito149. In questo contesto, era chiaro che la crescente necessità

di petrolio degli Stati Uniti e degli altri Paesi industrializzati, avrebbe comportato un aumento della dipendenza occidentale dalle risorse del Golfo150. L’embargo petrolifero, che avvenne in conseguenza della guerra arabo- israeliana del 1973, determinò quindi un aggiustamento della strategia americana. Ci si rese conto che le questioni energetiche ed economiche non erano meno importanti delle considerazioni geopolitiche e strategiche e si riconobbe il problema dell’approvvigionamento di petrolio come parte integrante del concetto di sicurezza nazionale. L’adesione dell’Iran alla “Twin

Pillars policy” è esplicativa della ragione per cui una fetta consistente dei

petrodollari, entrati nelle casse dello Stato iraniano dopo la guerra dello Yom

Kippur, fu spesa per il rafforzamento della macchina militare e, in particolar

modo, per l’acquisto di tecnologia bellica dall’Occidente. L’accettazione iraniana della salvaguardia degli interessi americani e della strategia che ne conseguiva, rispondeva ad esigenze difensive e ad aspirazioni strategiche ed economiche di carattere regionale e globale. Il fattore geografico svolgeva, dal punto di vista della difesa, una funzione fondamentale, poiché l’Iran si vedeva

148 O. A. Westad, The Global Cold War: Third World Interventions and the Making of our Times, New York, Cambridge University Press, 2005, p. 197.

149 K. A. Oye, Eagle Resurgent? The American Foreign Policy, Boston, Little, Brown, 1987, p.146.

150 E. A. Nakhiek, The Persian Gulf and American Policy, New York, Praeger and Special Studies, 1982, p. 99.

52

schiacciato da due aree instabili, quella del Medio Oriente e quella del sub- continente indiano151. Il 30 e 31 maggio 1972 a Teheran venne introdotto il

cosiddetto “blank check”, che assicurava all’Iran la possibilità di acquistare qualsiasi arma convenzionale disponibile sul mercato americano. Dal punto di vista sostanziale, con questo accordo lo Scià aggirava qualsiasi processo di revisione da parte del Dipartimento di Stato e di Difesa nell’acquisto degli armamenti. Dal punto di vista formale, emerse l’esistenza di un profondo legame tra Muhammad Reza Shah Pahlavi, Nixon e Kissinger152. I dettagli tecnici dell’accordo furono descritti da due memorandum dal titolo “Follow-up

on the President’s talk with the Shah of Iran”, firmati da Henry Kissinger ed

inviati al segretario di Stato e a quello della Difesa. Il secondo memorandum, datato 25 luglio 1972, specificava nel dettaglio l’urgenza di fissare degli incontri con ufficiali iraniani, per aggiornarli sull’operatività degli F-14 e degli F-15, sul funzionamento delle laser-guided bombs e sull’organizzazione della squadra di tecnici americani. Si aggiunse, inoltre, un punto fondamentale: venne ribadito che le decisioni relative alle acquisizioni di equipaggiamento militare avrebbero dovuto essere lasciate al governo iraniano153. All’inizio del 1973, una fetta consistente di risorse finanziarie fu utilizzata dallo Scià per dare vita ad un imponente piano di sviluppo quinquennale154. Poco dopo il lancio di questo

piano, il quadruplicarsi degli introiti per l’aumento del prezzo del petrolio, diede il via ad un boom economico senza precedenti e sembrò generare una vera e propria svolta di carattere socioeconomico155. Il processo di modernizzazione conobbe due fasi: la prima, di entusiasmo e di sicurezza, in cui lo Scià investì massicciamente nella creazione di un’industria pesante e in minor misura nell’acquisto di tecnologia militare. Durante la seconda fase, dalla metà del 1974 in poi, il processo di modernizzazione iniziò a incontrare seri ostacoli e la percezione di sicurezza dello Scià diminuì con l’aumentare del malcontento interno, con l’incalzare del problema della successione e con il rafforzamento

151 E. Felippone, Gli Stati Uniti e la sicurezza del Golfo Persico, Dottrine e Prassi da Nixon a Reagan, Milano, Guerini e Associati, 2011, p. 49.

152 B. Rubin, Paved with Good Intentions: the American Experience and Iran, New York, Oxford University Press, 1981, p. 319.

153 Ibidem, pp. 328-337.

154 M. R. S. Pahlavi, The White Revolution, Tehran, Imperial Pahlavi Library, 1967.

155 The National Archives of the United Kingdom (NA), Kew Gardens, Folder FCO 8/2743: The Iranian 5-year development plan, ‘Iran fifth plan: the first three years’, Diplomatic Report No. 306/76, Parsons a Crosland, 17.06.1976, p. 1.

53

delle critiche esterne. In conseguenza di ciò, si assistette all’aumento della spesa militare e al potenziamento dell’esercito che si prospettava, col passare del tempo, il punto di forza del potere dello Scià. La disponibilità di petrodollari e il conseguente consolidamento dell’esercito che seguì, conferiva all’Iran l’opportunità di svolgere il tanto desiderato ruolo di attore protagonista sulla scena mondiale, oltre che negli affari regionali. L’Iran stava provvedendo ad una sostanziale assistenza militare nei confronti del Governo dell’Oman contro gli insorgenti e stava fornendo aiuti economici e allo sviluppo a diversi sceiccati per favorire la loro sopravvivenza. Tuttavia, tali iniziative non erano ben accette nel mondo arabo, vista la sfiducia verso il ruolo di potenza a cui l’Iran si candidava e il timore che un simile patto difensivo avrebbe dato allo Scià il diritto di intervenire nella sponda araba del Golfo156.

In ottemperanza alla “Twin Pillars policy”, gli sforzi iraniani per una maggior collaborazione non avevano avuto successo. In aggiunta alle tematiche già discusse, le ragioni della scarsa cooperazione tra l’Iran e l’Arabia Saudita giacevano nella storica inimicizia tra iraniani ed arabi, per via della conquista iraniana delle isole Tumbs e Abu Musa157. Gli sforzi iraniani per mantenere l’equilibrio nelle relazioni tra Est ed Ovest erano ritenuti positivi e dovevano essere incoraggiati; benché vi fossero potenziali punti di frizione, derivanti dall’eccessivo nazionalismo e dall’imposizione di sé, le eccellenti relazioni tra Iran e Stati Uniti non dovevano essere intaccate158.

Ampliando lo sguardo a tutti i Paesi del Golfo e soffermandoci sull’eventuale instabilità interna data dal rapporto tra lo sviluppo e la tradizione, non si può non tenere in considerazione che la ricchezza petrolifera ha reso i governi del Golfo gli attori dominanti nelle loro economie nazionali, offrendo al popolo un'ampia gamma di benefici e servizi. Come spiega Gause: «La fornitura di tutti questi benefici economici ha un chiaro intento politico: convincere i

156 F. Azimi, The Quest for Democracy in Iran: a Century of Struggle against Authoritarian Rule, Cambridge, Harvard University Press, 2008, p. 290.

157 Avvenuta nel novembre 1971, quando le forze britanniche si ritirarono nelle isole dello stretto di Hormuz, pochi giorni prima della formazione dei moderni Emirati Arabi Uniti. La Marina Imperiale iraniana si adoperò poi per riprendere il controllo territoriale delle isole dopo l’occupazione britannica. Da F. Sabahi, Storia dell’Iran 1890-2020, Milano, Il Saggiatore, p. 143.

54

cittadini che il loro benessere personale è legato al sistema politico esistente»159. La conseguenza è che la forza delle monarchie del Golfo si basa sullo scambio di sostanziali benefici materiali da parte dello Stato in cambio della lealtà politica del cittadino160. Nel processo, lo "spazio politico", sotto forma di istituzioni autonome che mediano tra il governante e i suoi sudditi, tendeva a essere soppresso. Tuttavia, l'impatto schiacciante dello Stato sulle vite dei suoi sudditi ha naturalmente reso questi ultimi ansiosi di ottenere un certo controllo sulle decisioni del governo, se non altro per ridurre la possibilità di cambiamenti politici drastici e inaspettati che potrebbero significare prezzi dei servizi più elevati, meno posti di lavoro o riduzione dell'istruzione. Poiché i tradizionali punti di contatto diretto con il sovrano (ad esempio, il majlis) sono stati indeboliti dal fiorire delle burocrazie governative e dalla rapida crescita della popolazione, nuovi gruppi organizzati su altre basi funzionali o associative, come le Camere di Commercio, sindacati professionisti, associazioni di ex alunni e club sportivi e sociali, sono diventati importanti. Questa crescita della società civile dimostra che persino le strutture tribali tradizionali e i gruppi islamici possono organizzarsi e competere con successo in politica insieme a queste nuove istituzioni della società civile per promuovere i loro interessi, come hanno fatto nelle elezioni dell'Assemblea nazionale del Kuwait del 1992. Gause crede che questi Stati siano ora meno suscettibili che mai alle pressioni ideologiche straniere ma, laddove gli sbocchi meno tradizionali per l'espressione politica, come partiti politici, sindacati indipendenti e una stampa libera, vengono negati o repressi, l'appropriazione da parte dello Stato di simboli e istituzioni islamiche e tribali è stata contestata dai gruppi di opposizione che si sono formati161. I gruppi politici islamici sunniti «sono ora e saranno nel prossimo futuro le più importanti forze politiche di massa in questi Stati» 162, ma

non sono necessariamente una minaccia per i regimi. Molti gruppi islamici hanno stretti legami con i regimi del Golfo e sarebbero restii a romperli. Solo pochi gruppi marginali sfidano effettivamente il diritto delle famiglie al potere a regnare. Inoltre, i regimi non solo hanno notevoli poteri di coercizione, ma

159 F. Gregory Gause III, Oil Monarchies, domestic and security challenges in the Arab Gulf States, New York, Council of foreign Relations, p. 61.

160 Ibidem, p. 76. 161 Ivi, p. 40. 162 Ivi, p. 156.

55

possono fare affidamento sulla comunità imprenditoriale e sui gruppi civili laici per bilanciare gli islamisti.

Emerge quindi che una combinazione di fattori che agiscono insieme, come una grave crisi economica o le pressioni per accogliere al potere i membri della famiglia più giovani, potrebbe ancora creare instabilità politica. I leader arabi del Golfo continueranno a fare affidamento sulla politica dell'equilibrio e della manovra per sopravvivere, evitando lo scontro laddove possibile163. Nondimeno per Gause, la continua vulnerabilità del mondo alle interruzioni della fornitura di petrolio a breve termine garantisce un impegno continuo degli Stati Uniti per la stabilità degli attuali regimi degli Stati del Golfo164.