L’UCRAINA AL BIVIO POSSIBILI SCENARI PER UN FUTURO INCERTO
7.2 L’Ucraina ogg
Sebbene la risonanza mediatica internazionale e l’attenzione delle massime cariche degli stati che hanno tentato di intervenire per risolvere la crisi nel 2014 si sia drasticamente ridotta, se non addirittura completamente cessata, il conflitto nelle regioni orientali dell’Ucraina è tutt’ora ancora in corso e vi sono continue violazioni delle condizioni degli accordi di Minsk II ad opera di entrambe le parti in causa.
Secondo un bilancio pubblicato dalle Nazioni Unite a dicembre 2015 sono oltre 9.000 le persone uccise dall’inizio del conflitto nell’aprile 2014 ed il numero continua a salire, dato che nel mese di febbraio 2016 vi sono stati almeno una quindicina di morti e altri 11 solo nella prima settimana di marzo.
Dopo quasi due anni dallo scoppio delle ostilità in Ucraina, le prospettive di ricomposizione del conflitto nelle regioni ucraine di Donec’k e Luhans’k, strettamente sotto il controllo dei separatisti filo-russi, rimangono incerte, e con esse rimangono incerte anche le sorti della nazione intera.
Ivi, pp. 240-42.
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Ivi, p. 242.
Il numero ingente di vittime del conflitto, assieme alla mancata implementazione degli accordi di Minsk II permettono ormai di parlare di un conflitto a bassa intensità, che a lungo termine potrebbe trasformarsi in un conflitto congelato, simile a quello che si svolge nel vicinato russo in Transnistria, Abkhazia e Nagorno Karabakh.
A caratterizzare il conflitto come guerra ibrida è tanto lo stallo in cui si trova il governo ucraino, quanto le strategie messe in piedi dalla Russia, che uniscono metodi militari tradizionali ad azioni come cyber-attacchi, disinformazione e tagli nelle forniture di gas. Gli accordi di Minsk II restano un accordo politico, provvisorio e contraddittorio: il fatto che politica e sicurezza vengano poste sullo stesso piano e intrecciate, genera confusione in merito all’individuazione della responsabilità delle parti ed alle priorità della diplomazia occidentale, sostanzialmente disunita e perciò incapace di agire in modo efficace.
Attualmente le violazioni degli accordi, perpetrate da entrambe le parti, sono numerose e costanti pur in assenza di una massiva escalation: si ritiene infatti che l’immediato e completo cessate il fuoco nei rispettivi distretti delle regioni di Donec’k e Luhans’k, previsto dalla clausola n.1 per il 15 febbraio 2015, non sia mai stato attuato, in quanto gli scontri sarebbero continuati per altri quattro giorni, per poi sfociare in un conflitto a bassa intensità.
Successivamente, a partire dal secondo giorno, e in un tempo massimo di 14 giorni, sarebbe dovuto avvenire il ritiro delle truppe da entrambe le parti con lo scopo di creare una zona cuscinetto di sicurezza (50 chilometri nel caso di sistemi di artiglieria del calibro di oltre 100 millimetri e più di 140 chilometri per i lanciarazzi campali). Ciò significa che tutte le armi pesanti avrebbero dovuto essere smantellate, ma questa opzione appare ancora oggi ben lontana dalla realtà.
Al punto n.6 gli accordi di Minsk II prevedono anche la liberazione e lo scambio di tutti i prigionieri e delle persone detenute illegalmente in base al principio “all for all”, entro cinque giorni dal cessate il fuoco. Ovviamente, in mancanza di un vero e proprio cessate il fuoco anche questa clausola non è stata rispettata dalle parti, sebbene negli ultimi mesi si siano verificate numerose trattative tra Russia e Ucraina, conclusesi con la
restituzione reciproca di diversi prigionieri accusati di terrorismo o spionaggio, tra cui la pilota ucraina Nadija Savčenko, arrestata nel 2014 dai separatisti filo-russi.
In mancanza della restaurazione del controllo del confine da parte dell’Ucraina è evidente che anche le clausole politiche, che negli accordi di Minsk II sono mescolate alle misure di sicurezza, non hanno potuto essere attuate: così restano inapplicati il punto n.11 relativo alla realizzazione della riforma costituzionale in Ucraina e il punto n.12 riguardo alle elezioni da tenersi nel rispetto degli standard OSCE e da discutere e concordare con i rappresentanti delle diverse regioni di Donec’k e di Luhans’k, nel contesto di un gruppo di contatto trilaterale.
Per l’Ucraina il punto focale sta nella clausola di sicurezza n.10, che prevede il ritiro di tecnologie, mercenari ed unità militari di altri Paesi dal territorio ucraino, sotto la supervisione dell’OSCE.
L’ambiguità della formula e la mancanza di una connessione cronologica con le altre clausole rendono ancora più difficile l’implementazione dei punti n.1, 2 e 6.
In aggiunta alle problematiche già presenti, e trattate in precedenza, la nuova élite al potere, guidata dal presidente Porošenko, non è riuscita a creare una forte coesione interna né ad implementare importanti e radicali riforme volte a migliorare la situazione politica ed economica del Paese, ancora fortemente legato agli interessi degli oligarchi e alle coalizioni di potere. Così facendo ha perso la fiducia dell’opinione pubblica che, come durante la rivoluzione arancione del 2004, aveva creduto nella possibilità di un vero e concreto cambio di regime, coordinato dall’alto e dall’esterno.
Attualmente però molti ucraini sembrano aver perso la fiducia che riponevano nell’Europa e negli europei, in quanto ritengono di non aver ricevuto sufficiente sostegno e che siano stati fatti prevalere interessi economici e geopolitici alle sorti della popolazione civile ucraina.
A questo proposito si fa riferimento, tra le alte cose, al blocco della liberalizzazione dei visti tra l’Unione Europea e l’Ucraina e alla mancata adozione di un piano di aiuti coordinato dal Fondo monetario internazionale, necessario per risollevare il Paese caduto in un profondo stato di recessione a causa del conflitto nell’est e della forte instabilità politica.