METODOLOGIA D’INDAGINE
ULTERIORI INFORMAZIONI DI CARATTERE GESTIONALE
L’incidenza delle aree improduttive o non funzionali
La presenza di massi e pietre determina una indubbia riduzione della superficie pascoliva in gestione. Inoltre, questi possono creare difficoltà più o meno gravi qualora si decidesse di intervenire sulla cotica erbosa con mezzi meccanici (ad esempio per effettuare una liquamazione).
All’interno della categoria delle aree non funzionali possono essere comprese anche le torbiere e, per la durata dell’evento, i pascoli temporaneamente sommersi. Al fine di evitare una riduzione delle prestazioni produttive degli animali, ed altri eventuali fatti patologici (diffusione di parassiti intestinali, dello stomaco e del fegato), sarebbe consigliabile precludere, mediante recinzioni, tali aree. Questa precauzione dovrebbe essere adottata anche nel caso in cui ci si trovi in presenza di formazioni vegetali di particolare interesse naturalistico come è il caso, spesso, delle torbiere. Anche gli arbusteti e le aree di neo-colonizzazione forestale possono essere incluse nella categoria appena citata, specialmente se il pascolo è effettuato da animali che hanno una dieta quasi esclusivamente erbacea (come i bovini).
La disponibilità di acqua per gli animali
L’acqua è ovviamente essenziale per mantenere le giuste funzioni metaboliche degli animali. Essa viene assunta direttamente (acqua di bevanda) o attraverso gli alimenti. Un’ottimale disponibilità idrica è necessaria anche per assicurare la massima ingestione di alimento e per sostenere le prestazioni produttive. A titolo informativo, vengono di seguito riportati i principali consumi di acqua al pascolo delle varie specie pascolanti (tabella 13), ricordando che le quantità sono fortemente legate allo stadio vegetativo della cotica erbosa (minori con erba giovane, maggiori con erba matura).
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Nella gestione del pascolo è fondamentale, pertanto, sia conoscere la consistenza dei punti di abbeverata, sia stabilire se sono correttamente localizzati; questo non solo per capire se le risorse idriche a disposizione dell’animale sono sufficienti, ma anche per prevedere gli effetti che esse potrebbero avere sul comportamento degli animali. Infatti, il movimento, la distribuzione e la concentrazione dell’attività di pascolo dipendono, quando non subentrano altri fattori, in larga misura dalla consistenza e dalla distribuzione dei punti di abbeverata. Senza acqua disponibile omogeneamente sul pascolo, il bestiame non può utilizzare adeguatamente la cotica erbosa. Si assisterà così ad una maggiore intensità di pascolo nei Tabella 13. Fabbisogni medi giornalieri di acqua per le principali specie pascolanti
Categoria litri/capo Vacche da latte 30 - 45
45 - 60
e Arthur Smith
in condizioni normali (Stoddart , 1975; USDA, 1976) estate siccitosa (Sneva, 1977)
Pecore 2
3,5 - 4
in accrescimento o all’ingrasso (Manfredini, 1992) in lattazione (2 kg latte) (Manfredini, 1992)
e Arthur Smith
in condizioni normali (Stoddart , 1975; USDA, 1976)
Capre 3 - 4
e Arthur Smith
in condizioni normali (Stoddart , 1975; USDA, 1976)
pressi delle pozze, con una diminuzione del coefficiente di utilizzo a mano a mano che ci si allontana da esse. Anche la distanza tra i vari punti di abbeverata riveste un ruolo importante: se elevata, alcune zone saranno sfruttate solo in maniera episodica, dopo una lunga marcia di trasferimento.
Biodiversità e pregio naturalistico
Il termine biodiversità comprende vari aspetti della complessità degli ecosistemi, come il numero delle specie (vegetali o animali) presenti, la variabilità genetica intra specifica, o ancora, in termini molto più ampi, la variabilità del paesaggio. Per cercare di misurare la ricchezza (o valore) ambientale si ricorre ad indici ed indicatori, alcuni stabiliti con un approccio matematico, altri, invece, con uno di tipo descrittivo.
Numerosi sono gli esempi, tutti recenti, di applicazione di valutazioni di biodiversità alle risorse pascolive (Teppeiner e Cernusca, 1993; Argenti et al., 2000): un primo evidente indicatore impiegato è appunto il numero di specie vegetali presenti in una cotica erbosa; ma anche il contributo specifico e la ripartizione nello spazio della varie specie rivestono una particolare importanza. Per raggiungere questo livello di conoscenza possono essere impiegati diversi indici (si veda più avanti).
Ad una diversità floristica se ne associa, inevitabilmente, anche una di tipo faunistico. Questa è senza dubbio più articolata e complessa da stimare, poichè obbliga ad una difficile scelta sui gruppi specifici da considerare e sul loro campionamento. Frequentemente vengono considerate l’entomofauna (carabidi, ortotteri, lepidotteri) o le comunità ornitiche, legate alle diverse tipologie di pascolo e modalità gestionali (Susmel, 1997; Bardgett e Cook, 1998; Granval et al., 2000; Anthelme et al., 2001). Le metodologie di rilevamento ovviamente cambiano, ma gli indici sono simili a quelli impiegati per la biodiversità vegetale.
Senza voler essere esaustivi, di seguito vengono riportati i principali indici per la stima della biodiversità. Per eventuali approfondimenti si rinvia a Zullini, 1999.
Indici di ricchezza di specie A questa categoria appartengono quegli indici che non sono in grado di discriminare le differenze esistenti tra le comunità che presentano lo stesso numero di individui, ma che hanno una distribuzione diversa (es. 2 comunità di 20 individui ciascuna, costituite entrambe da 3 sole specie, ma la prima con distribuzione 17, 2, 1, la seconda con 6, 6, 8):
-Indici di diversità biologica
A questa categoria appartengono quegli indici che sono in grado di discriminare le differenze esistenti tra le comunità:
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quest’ultima forma, che ricorda l’espressione di Boltzman che misura l’entropia statistica (B = k log p, dove p è il numero di stati possibili per i componenti di un sistema) consente poi di calcolare un interessante indicatore derivato, l’evenness (omogeneità, equiripartizione), ovvero il rapporto tra la diversità reale misurata e quella massima teorica possibile per il numero di specie osservato (H’/H’max).
L’indice di Simpson, che ha un approccio diverso rispetto ai precedenti, viene espresso con due formulazioni: la prima per campioni con dimensioni infinite, la seconda per campioni con dimensioni finite. Per comprendere la logica di questo indice si farà riferimento alla prima formulazione, con un risultato variabile da 0 a 1 che dipende dalla probabilità che due individui presi a caso appartengano alla stessa specie; considerando il complemento a 1 (= 1 - Simpson), si ottiene invece una versione dell’indice che esprime la probabilità dell’incontro interspecifico. Questo indice, nonostante sia meno utilizzato rispetto a quello di Shannon e Wiener, viene preferito da alcuni autori perchè presenta una maggiore attendibilità dal punto di vista statistico.
Il pregio naturalistico può essere valutato sotto vari aspetti: floristico, vegetazionale e faunistico (per una applicazione alla tipologia forestale si veda Del Favero, 2000). Non esistono attualmente metodologie codificate per la definizione di questo parametro; esso potrebbe essere ottenuto a partire da indici che considerano diversi fattori, su scala sia locale sia più ampia.
fitogeografico, una cenosi largamente diffusa, ma localmente rara, può ivi assumere un pregio elevato, anche se modesto in un contesto geografico più grande. Il pregio naturalistico potrebbe inoltre derivare anche da una sola specie, vegetale o animale, se essa fosse rara (ancora una volta localmente oppure su scala ampia) e se la risorsa pascoliva in esame risultasse essenziale per la sua conservazione.
Un eventuale indicatore naturalistico potrebbe essere, pertanto, il numero medio di specie protette o rare che si possono trovare nei diversi tipi vegetazionali, sia su scala locale (specie endemiche) che a livello geografico più ampio (regionale e nazionale).
Infrastrutture
Un inventario delle risorse pastorali dovrebbe prevedere almeno una preliminare analisi di tutte le infrastrutture del pascolo, anche se non sono direttamente collegate alle caratteristiche della cotica erbosa, data la loro importanza per la valutazione delle effettive potenzialità di utilizzo o recupero delle aree pastorali.
Nel rilevamento di queste informazioni si devono considerare e valutare sia le caratteristiche infrastrutturali vere e proprie che la disponibilità di servizi primari, come:
◆ la viabilità interna che riguarda strade, piste, sentieri grazie ai quali sono possibili l’accesso al pascolo e la movimentazione più agevole degli animali;
◆ l’esistenza di recinzioni, mobili o fisse, che possono permettere una migliore regolamentazione del pascolo;
◆ il numero e la distribuzione delle pozze d’abbeverata;
◆ le stalle, o comunque tutti i ricoveri per il bestiame, tenendo conto che queste strutture hanno un’ importanza differente a seconda delle specie alpeggiate e delle relative esigenze produttive (latte o carne);
◆ le porcilaie;
◆ le canalette di fertirrigazione;
◆ i serbatoi per la raccolta dei liquami e delle deiezioni;
◆ gli edifici per il personale;
◆ i luoghi per la trasformazione del latte e la conservazione dei formaggi;
◆ eventuali locali adibiti a rivendite dei prodotti, ristorazione, pernottamento, etc.;
◆ la presenza di acqua corrente;
◆ la possibilità di approvvigionamento elettrico.
Un discorso particolare va fatto per alcuni tipi di strutture, oggi per lo più abbandonate, legate ai pascoli intermedi (come le majolère e le setembrère del bellunese), i quali potrebbero però essere recuperati se non ancora completamente invasi dalla vegetazione arbustiva ed arborea, non tanto con finalità produttiva, ma in virtù della loro valenza ambientale e paesaggistica (conservazione della biodiversità, in primo luogo). In questi casi è necessario considerare soprattutto lo stato di conservazione degli edifici in prospettiva di eventuali interventi di ristrutturazione che permettano un minimo di agibilità.