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Un role setting ancora prevalentemente asimmetrico

Nel documento Diventare padriin Italia (pagine 173-176)

Approfondimento 2 - “Meglio tardi? Caratteristiche e fecondità

7. Impegno lavorativo paterno e rapporto con i figli

7.2 Un role setting ancora prevalentemente asimmetrico

Dai brani di conversazioni fedelmente riportate, oltre che da colloqui e interviste con i bambini di tre anni compiuti frequentanti le scuole dell’infanzia coinvolte in un’indagine svolta a Modena (Ventimiglia, 1996), si legge: “il papà sa lavorare, la mamma non lavora…prepara la pasta” oppure “il papà fa i giochi con le ruote, la mamma no”; “il papà fa i lavori, la mamma fa il latte e poi anche la cucina e dopo mangia papà” o ancora: “la mia mamma fa i lavori, tanti tanti, poi pulisce la casa, va a lavorare e poi pulisce ancora”. Per aggiungere elementi alla comprensione del reale role setting non sarebbe poi così infelice l’idea di intervistare i bambini (necessariamente di età superiore ai tre anni) chiedendo loro, con il supporto delle insegnanti, di descrivere la giornata, quasi come se dovessero compilare un diario delle attività cui possono partecipare figure familiari diverse (ad esempio: chi ti prepara la colazione, chi ti accompagna a scuola, cosa fai quando esci da scuola, chi ti accompagna

a casa, dagli amici, a basket, agli scout, etc.)4. Qualcuno l’ha fatto, come si è sopra riportato, anche se in forme un pò diverse, raccogliendo e poi rielaborando i contenuti dei racconti spontanei dei bambini, esclusivamente per alcuni comuni della realtà italiana.

Per ora sono sufficienti gli studi già pubblicati e diffusamente citati per ribadire che il role setting delle famiglie italiane (limitandoci in questo caso alle coppie conviventi con figli come riportato nel paragrafo successivo) appare ancora fortemente asimmetrico e sbilanciato a sfavore delle donne. Già Sabbadini e Palomba (1994) avevano ampiamente documentato, grazie ai dati dell’Indagine Multiscopo

sull’Uso del Tempo la scarsa suddivisione dei compiti familiari tra i

partner. Più avanti nella Seconda indagine nazionale sulla fecondità (nel seguito Inf2, De Sandre et al., 1997) compaiono pochi quesiti (items ai quali veniva data risposta solo in termini affermativi o negativi) legati alla generica collaborazione del padre nell’attività di cura dei figli e di gestione della casa dalla cui elaborazione emerge una divisione di genere del lavoro familiare ancora fortemente asimmetrica e sbilanciata a sfavore delle donne5 (De Sandre et al., 1997).

Sul piano più antropologico Micheli (2000) formula e verifica l’ipotesi della presenza di una tipologia tripartita di modelli familiari (“tri-partite model”) per leggere e interpretare la carta europea della

lowest low fertility (bassissima fecondità). A tal fine, nel distinguere il

modello familiare atlantico da quello latino e mediterraneo, si serve anche della dicotomia tra role set simmetrico (atlantico) e asimmetrico (latino e mediterraneo), basato nel secondo caso su legami di parentela e “alleanze familiari estese”.

Anche dal punto di vista empirico si rilevano delle differenze fra culture nel significato del ruolo del padre nella famiglia. In un confronto fra le famiglie italiane austriache ed ungheresi su dati delle indagini

Fertility and Family Surveys (Indagini su fecondità e famiglia, nel

4 In questo modo si raccoglierebbero dati oggettivi sulla suddivisione dei compiti tra madre, padre e ipotetiche altre figure del network parentale e non solo (nonni, baby-sitter, gruppi di genitori del vicinato, o altri parenti). Una rilevazione di questo tipo, inoltre, non risentirebbe dell’effetto proxy che in un modo o nell’altro ha effetti non trascurabili nella raccolta delle informazioni sul coinvolgimento del padre riportate dalla madre o della madre riferite dal padre. Nell’Indagine Multiscopo ’98 cui faremo riferimento nei prossimi paragrafi solo il 29 per cento dei bambini di età 0-17 anni rispondeva direttamente alle domande, in presenza o assenza di un adulto. Una madre fortemente insoddisfatta della suddivisione dei compiti familiari con il partner difficilmente riuscirebbe a non trasferire questo stato d’animo nel rispondere a quesiti riguardanti questioni di dibattiti e contrattazioni all’interno della coppia.

5 A tale proposito in uno dei lavori riportati negli atti del convegno nazionale di Abano del 1998, Rivellini e Zaccarin (1999) inseriscono tra le variabili individuali considerate per descrivere le forme di dipendenza tra misure di cadenza della fecondità e caratteristiche delle unità di primo livello (donne intervistate) anche la collaborazione domestica (partner che collabora all’attività domestica) e la collaborazione con i figli (partner che collabora all’attività di cura dei figli) nella consapevolezza che l’asimmetria di genere nell’organizzazione familiare, già ampiamente documentata, potesse avere un effetto negativo sui comportamenti riproduttivi femminili.

seguito Ffs, Festy e Prioux, 2002) Di Giulio e Carrozza (2003) rilevano che i fattori che possono influenzare la partecipazione paterna in alcune attività strumentali di cura dei figli (preparare i loro pasti, accudirli se malati e giocare con loro) sono diversi fra i paesi considerati, sottolineando che il ruolo della paternità risente in qualche modo degli spazi che le società cui appartengono riservano ai padri. Ad esempio, in Italia l’attribuzione dei ruoli risulta culturalmente piuttosto rigida, e la responsabilità fisica e psicologica delle attività domestiche e di cura dei figli ricade prevalentemente sulla madre, sia essa lavoratrice o meno. Da più parti inoltre è segnalata la cronica assenza di strutture per una più facile combinazione di maternità e lavoro per le donne. In Austria il recente dibattito politico ha sottolineato la necessità di una più equa suddivisione delle responsabilità fra uomini e donne, sia in ambito privato sia in ambito pubblico (Buber, 2002). In Ungheria lo Stato fornisce un notevole supporto finanziario per le famiglie con figli, ma le relazioni di genere sono di tipo piuttosto tradizionale. Come riportato in Olàh et al. (2001), in Ungheria la domanda di lavoro sia maschile sia femminile risultò fortissima nel secondo dopoguerra, ma ciò non ha comportato un cambiamento nella suddivisione delle attività domestiche verso una maggiore equità; sono state introdotte politiche per facilitare la combinazione di lavoro e maternità per le donne (soprattutto con l’introduzione di strutture pubbliche per la cura dei figli) che difficilmente coinvolgevano in modo esplicito il partner. Perciò, a dispetto di una sempre maggiore uguaglianza nel mondo del lavoro, le relazioni di genere all’interno della coppia sono rimaste immutate. Sebbene nei tre paesi l’atteggiamento più comune nella divisione di alcuni compiti di cura dei figli sia il più tradizionale (cioè che il padre non partecipi affatto o lo faccia solo nel gioco), ben dieci punti percentuali separano Italia, Austria e Ungheria: il 71 per cento delle coppie italiane, il 63 per cento di quelle austriache e il 53 per cento delle ungheresi ricadono in tale categoria (Tavola 7.1).

Tavola 7.1 - Combinazioni tipiche delle attività di cura dei figli per paese - Anni 1995-96 (Italia e Austria), 1992-93 (Ungheria) (valori

percentuali)

Il padre partecipa nelle seguenti attività?

Preparare i pasti Curare i figli malati Giocare con i figli Italia Austria Ungheria

No No 39 46 41 No No No 32 21 12 No Sì 20 12 26 Sì Sì 9 11 15 Altro 0 6 4 Totale 100 100 100

Dalle analisi svolte da Di Giulio e Carrozza (2003) sui dati delle Ffs risulta inoltre che l’Italia presenta la divisione dei compiti più tradizionale e l’Austria la più razionale, almeno per quanto riguarda la disponibilità di tempo del padre, mentre in Ungheria i fattori presi in considerazione non sembrano essere particolarmente determinanti. Soprattutto i vincoli oggettivi alla condivisione dei ruoli, e cioè il tipo di lavoro del padre e l’orario lavorativo settimanale, hanno effetti molto differenti fra i paesi. In Italia il padre collabora di più nella cura dei figli se svolge un lavoro impiegatizio rispetto al non lavorare affatto, collabora di meno nel gioco se svolge un lavoro di livello elevato, mentre gli altri effetti non sono significativi. In Austria il padre più collaborativo nella preparazione dei pasti e nella cura dei figli è proprio quello disoccupato. In Ungheria il lavoro del padre non è significativo. Per quanto riguarda l’orario lavorativo del padre, questa variabile è significativa solo in Italia, e risulta che i padri con una maggiore disponibilità di tempo sono i più collaborativi nelle attività strumentali (Tavola 7.2).

Tavola 7.2 – Risultati (a) della regressione logistica sulla collaborazione del padre in alcune attività di cura per orario lavorativo del padre, Italia - Anni 1995-96 (odds ratio)

ORARIO LAVORATIVO SETTIMANALE Preparare pasti Curare i figli Giocare con figli

Non occupato o fino a 34 ore rif. rif. rif.

35-44 ore 0,806 0,604 *** 1,304

>44 ore 0,496 ** 0,440 *** 0,999

Fonte: Di Giulio e Carrozza (2003)

(a) I risultati sono controllati per generazione di nascita, istruzione, tipo di lavoro e religiosità del padre, generazione di nascita, istruzione, tipo di lavoro, orario lavorativo settimanale e religiosità della madre, ripartizione di residenza della famiglia, urbanizzazione del luogo di residenza, età del figlio più piccolo, numero di figli presenti in famiglia.

** p<0.05 *** p<0.01

Proprio perché i vincoli oggettivi alla partecipazione paterna si sono rivelati i più chiari segnali di distinzione dell’Italia nei confronti internazionali, nel seguito ci si concentrerà su questo aspetto.

Nel documento Diventare padriin Italia (pagine 173-176)