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Università di Palermo Dipartimento di Architettura

Introduzione*

Il contesto sociale contemporaneo presenta un progressivo aumento delle persone non auto- sufficienti, cui si aggiunge una costante crescita dei casi di anziani affetti da malattie neurologiche come il Morbo di Alzheimer. Nel mondo sono oltre 44 milioni i malati di Alzheimer e si stima che nel 2050 raggiungeranno la soglia dei 135 milioni, di cui due terzi saranno donne. Nel 2013 secondo le statistiche in Europa si calcolano 3 milioni di casi e in Italia, in particolare, questa malattia colpisce circa 1 milione di persone (pari al 6-7% della po- polazione sopra i 65 anni con circa 80 mila nuovi casi al giorno).

Le risposte progettuali inerenti a tale ambito sono oggi sempre più urgenti e complesse e quelle in termini architettonici vedono la proposizione tra le tipologie più ricorrenti di Centri Diurni (CD) e di

Residenze Sanitarie Assistite (RSA, o solo Residenze Assistite, RA, o anche Centri Residenziali, CR). In

Italia non vi sono leggi specifiche che regolano l’organizzazione e la costruzione di tali tipologie edilizie; anche nel D.P.C.M. del 28/12/1989, con- cernente la “realizzazione di strutture sanitarie residenziali per anziani non autosufficienti”, non si trovano indicazioni riguardanti gli spazi desti- nati a questo tipo di malati.

La ricerca progettuale e tecnologica è stata così orientata verso la de-istituzionalizzazione delle strutture sanitarie, attraverso la promozione di servizi migliorativi per la comunità anziana, insie- me all’organizzazione di nuovi modelli di gover-

nance per la cura e l’assistenza. Il Social Housing

diviene in tal modo occasione per una commistio- ne fra la rigenerazione del patrimonio esistente e le esigenze di una utenza debole. Gli interventi urbanistici di Social Housing degli ultimi anni mo- strano una previsione di alloggi adeguati per la cosiddetta “fascia grigia”, che è considerata quella classe sociale cui appartengono, oltre le famiglie disagiate, i giovani, gli studenti e anche gli anziani. In Europa si è già provveduto all’integrazione nei piani urbanistici di tale necessità abitativa, men- tre in Italia, purtroppo, non è stata ancora varata una legge ben precisa ma solo provvedimenti che prevedono agevolazioni per l’acquisto di alloggi sociali, senza entrare nel merito delle tematiche 01. Edificio intelligente, Museo del Mare Malaga, foto

di Starlight Vattano. 01 KEywoRdS Smart building Sviluppo Sostenibile Smart City Retrofit Social Housing

02. Copertina volume “Up3_Social Housing per la terza età”, De Giovanni G. (cur.), Aracne Editrice, Roma 2014. 03. Pier Luigi Nervi, Cappella dello Spirito Santo, appar- tamenti Papali, Città del Vaticano.

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legate ad uno spazio adeguato alle esigenze di una utenza diversa e particolare (De Giovanni, 2014).

La ricerca, condotta dal Gruppo di Palermo1, at- traverso una metodologia di tipo sistemico, ha sviluppato analisi ed elaborazioni per sottosiste- mi, relativi non solo agli spazi adeguati per i malati di Alzheimer, ma anche alla fattibilità costruttiva e alla verifica tecnologica degli stessi. È ormai riconosciuto come l’ambiente di vita dei malati di demenza senile e di Alzheimer debba essere rimodellato sulle loro esigenze. Lo spazio dovrà assumere una “funzione protesica”, contenendo ed esprimendo in sé le conoscenze necessarie per la sua corretta fruizione, riducendo il senso di frustrazione attraverso la sensazione di sicu- rezza e di benessere che il malato deve percepi- re vivendolo. L’azione di cura e di tutela chiama così in causa non soltanto le persone, ma anche gli ambienti e gli spazi edilizi, con il fine d’indivi- duare, partendo dallo stato dell’arte, linee guida per l’individuazione di nuove strutture residen- ziali sanitarie. L’impiego di materiali innovativi compatibili con l’ambiente, capaci di costituire stimolo nei confronti della percezione sensoriale del malato, ha permesso di canalizzare la ricerca sul sistema esecutivo adottato e sui materiali im- piegati. Quanto individuato si è concretizzato in proposte progettuali di edilizia residenziale so- ciale non per grandi numeri di utenti (in modo da migliorare la qualità di vita e il rapporto fra malato e operatore/caregiver), che mirano da una parte al riuso del patrimonio edilizio esistente storiciz- zato o dismesso (centri storici, masserie, borghi abbandonati, aree industriali, ecc.) e dall’altra alla progettazione ex novo di strutture residenziali. Le problematiche legate alla trasformazione della domanda abitativa attraverso i principi del Social

Housing hanno indirizzato la ricerca verso la pro-

gettazione tecnologica di spazi, di ambienti e di residenze per la risoluzione delle problematiche connesse alle malattie neurologiche degli anzia- ni. Lo stato di fatto di molti edifici esistenti non risponde alle attuali richieste sull’efficienza ener- getica e la rifunzionalizzazione può diventare occasione per ottimizzare le risorse energetiche e i materiali impiegati, per approfondire le pro-

blematiche del recupero e della conservazione del patrimonio edilizio esistente e, infine, per la progettazione di edilizia ex novo indirizzata alle categorie deboli (Fig. 1).

La metodologia sistemica adottata ha permesso di estrapolare delle linee guida per la definizio- ne di una serie di criteri base e d’indicazioni di- mensionali per il progetto tecnologico del Social

Housing per la Terza Età. Sono stati individuati gli

ambienti interni ed esterni in rapporto alle fun- zioni che vi si svolgono e che contribuiscono alla progettazione di una RSA (Residenza Sanitaria As-

sistita), di una RA (Residenza Sanitaria) o di un CR

(Centro Residenziale). I criteri di base adottati e verificati sono stati: l’accoglienza per moduli fra- zionabili di 20 utenti; il richiamo ad ambienti do- mestici; la valorizzazione degli ambienti comuni; la personalizzazione delle camere di degenza; gli ausili tecnologici; la relazione dinamica fra spazio fisico, programmi e persone; il grado di libertà e di sicurezza. Il nucleo dovrebbe svilupparsi pre- feribilmente su un unico livello, a piano terra (i modelli spaziali possono variare dall’edificio a corte, a chiostro, a padiglione, a croce o a L), con accesso diretto al “giardino protetto”, che diviene elemento caratterizzante dell’intero intervento, perché oltre a rispondere alle esigenze dell’uten- za permetterà di raggiungere una migliore effi- cienza energetica (zone filtro, corti interne, serre, logge, sistemi tecnologici basati sull’architettura passiva). Elementi importanti saranno, inoltre, la collocazione e l’orientamento degli ambienti, per la definizione di spazi adatti alle esigenze del ma- lato attraverso il controllo della luce naturale (si- stemi di schermature per l’abbagliamento o i gio- chi d’ombra, una corretta illuminazione artificiale per le camere di degenza e per gli spazi comuni, ecc.). L’impiantistica domestica, infine, potrà es- sere controllata attraverso ICTs (Information and

Communication Technologies) per la definizione di Smart Buildings che permetteranno un monito-

raggio automatizzato sia per il controllo del ma- lato (sicurezza, livelli di luminosità, temperature, colori, inquinamento acustico, ecc.) sia per l’otti- mizzazione dei consumi energetici.

La progettazione del costruito o della riqualifica- zione di quello già esistente ha costituito parte

integrante nell’identificazione di strutture edi- lizie idonee per la cura, l’assistenza e la qualità della vita delle persone affette da Alzheimer o da anziani non completamente autosufficienti. La qualità energetica, funzionale ed estetica de- gli spazi, sia chiusi sia aperti, ha avuto un ruolo determinante. Le questioni della fattibilità eco- nomica, sociale ed ambientale degli interventi sperimentali, nuovi o finalizzati all’adeguamento del patrimonio edilizio esistente ai nuovi stan- dard energetici e alle esigenze legate alle speci- ficità dell’anziano, costituiscono l’approccio per la formulazione delle linee guida da sviluppare in più contesti regionali attraverso la progettazione tecnologica e la rigenerazione urbana.

La proposta del modello Smart Building permet- terà di concepire residenze dotate di sistemi avanzati capaci di abilitare un vasto insieme di funzioni a supporto dell’utente, che integrati alle strutture di Social Housing favoriranno il miglio- ramento della qualità della vita attraverso una visione ecological footprint. La Smart Home sarà concepita con soluzioni per la diminuzione dei consumi energetici e l’innalzamento del comfort; il modello intelligente si adatterà sia alle diverse fasi di sviluppo del Morbo di Alzheimer sia come supporto al funzionamento delle strutture di So-

cial Housing per specifiche categorie di utenti.

tecnologie Reversibili**

Nell’introduzione del Prof. De Giovanni sul tema di ricerca affrontato dal Gruppo palermitano si fa riferimento alla definizione di “modelli” Smart

Building e Smart Home, come accezioni chiamate

ad accogliere in sé tutte le istanze del “proget- to contemporaneo”, non solo come risposte ad emergenze temporali, quanto a fornire soluzioni idonee alle necessità “ambientali, economiche, operative e realizzative” e non ultime quelle in- dirizzate alla reversibilità degli interventi. Noi architetti siamo una “strana categoria”. Sempre proiettati a scrutare il futuro, a cerca- re di far qualcosa che prima di noi nessuno ha realizzato in precedenza, andiamo alla ricerca di nuove sperimentazioni spesso con la pretesa di una “durabilità” eterna, perdendo invece di vista ciò che ormai è divenuta necessità prioritaria:

ricordare che tutte le cose hanno un costo e nella parola “costo” si celano almeno sette livelli d’incidenza.

Costi energetici (ogni cosa realizzata, consuma prima, dopo e durante; quindi è energivora a tutto tondo); costi ambientali (particolarmen- te le nuove strutture incidono sul territorio in modo indelebile); costi paesaggistici (anche le realizzazioni sull’esistente spesso mortificano linguaggi e scenari consolidati); costi fisici (ma- teriali da costruzione intrinseci alla fabbrica); costi di manutenzione (ogni cosa ha un tempo entro il quale deve esserne controllata la sua qualità prestazionale); costi temporali (le rea- lizzazioni implicano una tempistica realizzativa spesso inderogabile (essiccazione, maturazione, asciugature, ecc.); costi di demolizione e smal- timento (spesso accade che tali costi superino quelli di demolizione/ricostruzione, ma fanno la differenza i costi relativi alla eliminazione della materie prodotte). Un’attenta analisi del costru- ito può facilmente dimostrarci che per ogni at- tività realizzativa (seppure buona e linguistica- mente ben fatta) si alterna la manutenzione, la sopravvivenza, il tenere in piedi castelli di carta che non dovevano essere neanche pensati già in partenza, poiché il “curare” diventa la pratica più in uso, in luogo del “prevenire” sin dal progetto. L’architettura oggi sembra quasi piegarsi su se stessa -sono più numerosi i manufatti deterio- rati e degradati che quelli in buona consistenza e salute- molte delle belle architetture dei no- stri “grandi maestri” sono per lo più allo sfascio e non sono meritevoli d’esser oggetto di studio per i futuri progettisti.

La demolizione spesso in passato è stata “pra- tica” del costruire, del farsi largo, Giuseppe Samonà affermava: «se lasciamo troppo spazio al passato e al suo insistere sul territorio, poco spazio avremo per produrre il futuro dell’ar- chitettura»2, aprendo così la strada (con moti- vazione intellettuale) ad una serie di massacri che sono stati compiuti negli anni ‘50 e ‘60 con le demolizioni di preziose architetture storiche. Infatti, pochi sanno che intorno al 1966, mentre P. L. Nervi era impegnato nel cantiere dell’Aula per le Udienze pontificie in Vaticano, fu incari-

cato da Paolo VI di realizzare una cappella riser- vata alla curia papale: la Chiesetta dello Spirito Santo (Fig. 2). Lo spazio fu ricavato all’interno di un’ala seicentesca del palazzo non lontano dagli appartamenti papali, svuotando il corpo di fabbrica dall’interno e -nel silenzio di tanti- demolendo tetti, volte e setti murari portanti, distruggendo affreschi di Domenico da Volterra rappresentanti le Storie di San Giovanni Batti- sta3. Viene, allora, da chiedersi: “ma cosa sareb- be stato meglio: gli splendidi affreschi del Vol- terra in un contesto settecentesco o la magica Chiesetta di Nervi?”. Di esempi e riflessioni sulle stessa lunghezza d’onda se ne potrebbero fare a iosa, e non saremo mai in grado di dare una ri- sposta certa.

Non c’è dubbio che in futuro gli architetti e le loro architetture dovranno confrontarsi con quanto la storia tramanderà loro; dovranno fare i conti con le architetture del passato e, quindi, dovranno essere in grado di pilotare le loro scel- te al fine di non commettere gli stessi errori nei confronti del territorio e dell’ambiente. Rimane così da ritenere e riflettere che i progetti con- temporanei dovrebbero seguire un nuovo mo- dello di cui la reversibilità diviene caratteristica principale. Una sorta di “Architettura del leva e metti”, che può essere una vecchia idea, buo- na per il futuro, capace d’introdurre una nuova ecologia costruttiva nel processo ideativo/pro- duttivo, dove il recupero viene facilitato proprio nell’atto progettuale. Un’Architettura che muti, cambi, si rinnovi al mutare delle esigenze, quindi meno statica e più dinamica, flessibile, diremmo quasi “elastica”, ed ancor più se questa la si vuo- le far coincidere con gli Smart Building e Smart

Home.

In tale ottica ci si accorge planetariamente che ogni cosa “cambia”, e sempre più celermente; la società cambia di continuo, come cambiano di continuo le dinamiche di essa; cambia l’atmosfe- ra come l’ambiente, come la temperatura globa- le e calamità naturali sempre più incisive; cambia la popolazione, che diviene sempre più vecchia e degente con le sue necessità a latere; l’eco- nomia, che diviene sempre più esigua in alcuni scenari, mentre più invasiva in altri; la politica in

genere, sempre più aleatoria e meno lungimiran- te…e in tutto ciò, non deve potersi trasformare (quindi cambiare) anche l’Architettura?

L’Architettura dovrà, di volta in volta, rinnovarsi per la sua intrinseca capacità e quindi potere: ora trasformarsi, ora implementarsi, ora ridur- si, ora mutare, ora rimettersi in gioco, come una sorta di camaleonte, che al mutare delle condi- zioni cambia colore, natura e funzione. L’Archi- tettura deve oggi (prefigurativamente) imma- ginare che risposte dovrà dare ai suoi utenti e, se questi saranno individui (come immaginiamo) sempre più vicini alla terza età, mettere in atto sin d’ora strategie e sistemi costruttivi (se non anche) linguaggi, preposti ad accogliere doman- de e necessità sempre più diversificate coerenti con gli scenari possibili di imminente cambia- mento globale, che comporterà di conseguen- za la trasformazione dell’Architettura. Tuttavia non si vuole alludere al modello di un sofisticato progetto di strutture precarie. Non s’intende la realizzazione di specie “effimere” capaci solo di essere montate e smontate come “vuoti a per- dere”. Piuttosto la ricerca di un “modello” in cui la Tecnologia e i sistemi costruttivi che da essa derivano, siano in grado di gestire il prodotto architettonico nel suo insieme, attraverso il con- trollo dei nodi e dei componenti caratterizzanti il costruito. Tale prassi permetterebbe di otte- nere architetture capaci di essere smontate e rimontate, addomesticando così il costruito alle necessità sia del singolo utilizzatore sia dei con- testo ambientale in cui ricade; e se questi cam- biano, allo stesso modo, con sole piccole mosse, anche l’Architettura potrà mutare con essi. Una sorta di “nuovo meccano”, dotato di sofisti- cate attrezzature che ne possano permettere il continuo riuso senza perdere pezzi4. In questa ottica la progettazione “a secco” potrà essere riferimento e modello culturale per i nuovi pro- getti del “leva e metti”, nella convinzione che non mancherà alle nuove generazioni di architetti la capacità creativa per architetture anche ardite o spettacolari5. Avremo, però, sicuramente la cer- tezza di non avere deturpato territori, di avere utilizzato materie e materiali riciclabili, di pote- re modificare gli artefatti e i manufatti in ogni

momento della loro vita, sino alla loro definitiva dismissione, se necessaria. Non possiamo più permetterci di assistere a demolizioni, a imper- fezioni, a degradi, a dissesti fuori ogni controllo, che a caduta producono serie ripercussioni ma- teriali, economiche ed ambientali. Auspichiamo, quindi, ad un architetto che sia più “meccanico” che costruttore, e che i suoi strumenti di lavoro siano più cacciaviti e chiavi inglesi, che non car- penterie, malte e calcestruzzi. Otterremmo così un’Architettura più facile, più gestibile, semplice, veloce ed economica e, nel caso non servisse, la riporremo in magazzino senza troppi problemi, non arrecando alcun danno all’ambiente. Il “mo- dello” cercato per la Smart Home, è più un per- corso di progetto che prende le mosse dal suo stesso manuale di montaggio (tipo Ikea), ma con l’idonea flessibilità di poter ricomporre i pezzi, generando altre forme e risultati coerentemen- te ai siti dove la Smart Home verrà realizzata ed in particolare se, riferita alla società crescente della terza età, potersi malleabilmente trasfor- mare nelle sue condizioni funzionali e di uso. Ovviamente alludiamo ad un procedimento consistente nella preparazione fuori opera de- gli elementi costitutivi sia della struttura sia dei finimenti e complementi, con idonea tecnologia che riduca e trasformi il cantiere in una officina di montaggio. Si tratta, quindi, di un “progetto innovativo” sebbene prenda spunto dalle meto- diche proprie della più moderna prefabbricazio- ne “a ciclo aperto”6, ma con la diversa accezione di essere specificatamente applicata ai sistemi costruttivi a secco ben lontani dal calcestruzzo armato.

“Ci interessa - scriveva Angelo Mangiarotti nel 1987 - introdurre un diverso metodo di analisi delle logiche costruttive che sia in grado di co- stituire una storia diversa, in cui l’enfasi sull’ele- mento soggettivo lasci il posto alla considerazio- ne della cultura edilizia, in cui si possa studiare il processo e non solo il risultato”7. Tocca ora a noi rivedere i sistemi costruttivi nell’ottica della corrente modernità, delle emergenti necessità ambientali e sociali; rivisitarli strategicamente in risposta ai nostri doveri ecosostenibili e/o compatibili. In questo nuovo secolo, abbiamo

ragione di credere che il progetto deve essere ora inteso ancor più come questione “culturale”, all’interno del quale insistano i principi di qua- lità, di risposta, di verifica, di controllo, ante e

post-operam, a partire proprio dalla piccola sca-

la. In tal senso, dalla prefabbricazione possono ancora venire delle importanti risposte. Infatti, personaggi quali Giuseppe Ciribini8 e Roberto Mango9 hanno ritenuto necessario uscire dalle vecchie regole del gioco del costruire, per adot- tarne altre più contemporanee ed attuali, che tengano conto dei valori aggiunti della Tecnica e della Tecnologia, secondo un approccio globale al progetto del costruito. I due studiosi hanno utilizzato termini come: “de-industrializzazione”, da non intendersi contro l’operatività industria- le, anzi rivendicandone un significato nuovo che ha a che vedere con il rinnovato linguaggio del- la materia; “de-standardizzazione” (Fig. 3), che non nega la ripetizione dell’atto produttivo, ma la evoca con la riproposizione del buono e giu- sto; “de-regolamentazione”, non come elogio dell’anarchia e del libero arbitrio, bensì riformu- lazione del concetto di regola intrisa da modelli e sistemi innovativi volti ad una nuova attività progettuale.

La prefabbricazione può così tornare ad avere un nuovo fronte di applicazione, se progetti raf- finati possano essere messi a servizio di nuove necessità attraverso l’impiego di nuove tecni- che realizzative, di nuovi sistemi costruttivi e di nuovi materiali. In particolare, l’uso delle nuove tecnologie, quali quelle preposte alla prefabbri- cazione, permettono di conquistare maggiore consapevolezza e personalizzazione del prodot- to rispetto l’utenza, al punto da poterne rico- noscere le valenze espressive che lo caratteriz- zano, con l’immediato risultato di un maggiore rispetto dell’ambiente sia antropizzato sia non, il cui fulcro, appunto, è la “reversibilità” (Fig. 4). Solo l’attenzione di saggi professionisti, incre- duli alla morte di questa tecnologia, rende pos- sibile sperare in un futuro che si prospetta esse- re estremamente innovativo e propositivo per le nuove forme del costruito senza deturpare oltre ciò che ci rimane del paesaggio naturale. I progettisti che operano con questa tecnologia,

riduttivamente definita “industriale”, quando ispirati e capaci di generare emozioni attraver- so la materia, hanno una occasione e un venta- glio di speranze sul divenire dell’architettura che potremo definire “reversibile”, ovvero che può essere invertita, che può tornare indietro fino allo stato e alle condizioni iniziali, lasciando tutto indenne al proprio passaggio. Le realiz- zazioni con i nuovi sistemi costruttivi a secco, necessiteranno del giusto equilibrio fra design del singolo componente e percezione dell’intero sistema, che come noto è l’eterna dialettica fra l’atto creativo (iniziale) e quello produttivo (fina- le) dell’ambiente costruito. Il decadimento della prefabbricazione, oltre alle note cause, ritenia- mo sia imputabile anche alla scarsa conoscenza