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Università, imprese ed innovazione

CAPITOLO 1 – L’STRUZIONE COME PRINCIPALE FORMA D

1.3 Università, imprese ed innovazione

La mutazione tecnologica in atto sta generando una netta discontinuità con il passato. Le economie emergenti e l’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione che entrano con forza sui mercati internazionali, di fatto, mutano radicalmente le caratteristiche dello sviluppo economico a livello globale. Esse hanno disegnato nuove gerarchie, rivoluzionato i processi produttivi, modificato in modo sostanziale, soprattutto nei Paesi avanzati, le caratteristiche dell’input di lavoro domandato dalle imprese, e determinano la nascita di una nuova società, dove i servizi tendono a prevalere sui prodotti e dove la conoscenza, le informazioni, i processi cognitivo-relazionali sostituiscono le materie prime come fattori strategici dello sviluppo. L’impostazione prevalente di questo filone di studi è incentrata sul ruolo dell’R&S come fattore primario in grado di generare l’innovazione, dunque di sostenere la produttività, la competitività dei prodotti e, in ultima istanza, la crescita economica. Come ulteriore sviluppo di questo ambito di studi, bisogna porre attenzione al nesso tra tecnologia, cambiamenti organizzativi, educazione terziaria e skills. Già da diversi anni, infatti, ci si era resi conto che le particolari tecnologie dominanti la nostra epoca (quelle relative all’informazione e alla comunicazione, le ICT) possedevano caratteristiche e pervasività tali da farle considerare general purpose technologies76. Questa constatazione, che sottolinea il carattere multiforme e flessibile delle nuove

75 Bagnasco, A., “Città in cerca di università. Le università regionali e il paradigma dello sviluppo locale”,

Stato e mercato, 2004, vol. 3, pp. 455-474.

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Bresnahan, T.F., Trajtenberg, M., “General purpose technologies: “engine of growth?", Journal of Econometrics, 1995.

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tecnologie e ne evidenzia i molteplici campi di applicazione, apre le porte ad un’analisi più ravvicinata del cambiamento organizzativo. Se infatti le nuove tecnologie possiedono tali caratteristiche, l’impresa che le voglia adottare non potrà prescindere dalla necessità di procedere a rilevanti e complessivi cambiamenti nella propria struttura organizzativa.

Oggigiorno lo slogan “innovazione” è su tutte le bocche, tuttavia ancora tante imprese non hanno avviato alcun processo di innovazione. Secondo le conclusioni

della ricerca “ECI” (Enquệte Communitaire sur l’Innovation) 201677

promossa dall’Unione Europea (Direzione Generale Enteprises) due sono le ragioni fondamentali. La prima, è che molte imprese si accontentano dell’offerta che già propongono al mercato. La seconda, è che malgrado alcune imprese abbiano il desiderio di avviare attività di innovazione esse si imbattono in ostacoli che appaiono loro insormontabili. Infatti, secondo i dati della ricerca tra le imprese che hanno intrapreso attività di innovazione, ben il 37% ha dichiarato che i propri progetti hanno subito seri ritardi, mentre il 22% denuncia che le difficoltà incontrate sono state tali da far loro desiderare di non aver avviato il processo di innovazione. Gli ostacoli segnalati come più abituali dalle imprese, facenti parte del campione di imprese analizzato dalla ricerca, sono la maggior parte di natura economica: la principale ragione indicata concerne i costi elevati che le attività di innovazione comportano. Altro ostacolo sulla strada dell’innovazione è rappresentato dall’assenza di fonti di finanziamento finalizzate a favorire i processi d’innovazione ed il conseguente ampliamento dei fattori di rischio percepiti dall’imprenditore. Sul totale del campione d’imprese indagato dalla ricerca solo l’11% cita, come ostacolo, gli assetti normativi e regolamentari indotti dalla legislazione dei singoli Stati a livello nazionale e/o europeo.

Il principale fattore interno all’impresa che ostacola le politiche d’innovazione è costituito dalla carenza di personale qualificato. Infatti, nell’era della conoscenza, in cui le nuove idee e le abilità professionali rappresentano l’elemento fondamentale dell’innovazione e dello sviluppo economico e sociale, le risorse umane costituiscono l’elemento centrale. La crescita economica dipende in misura sempre maggiore dalla quantità e qualità dei processi di apprendimento, dalla possibilità di

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accedere alle conoscenze distribuite all’interno di network relazionali, dalla capacità di estrarre il massimo valore possibile dalle conoscenze possedute78. Il capitale umano a disposizione dell’impresa ne determina, pertanto, le potenzialità innovative; in questo senso le risorse intangibili sono l’elemento chiave per sviluppare e gestire l’innovazione all’interno delle imprese, consentendo loro di competere ed essere sostenibili nel nuovo contesto dell’economia globale basata sulla conoscenza. Dal canto suo, poi, l’innovazione contribuisce a determinare la crescita del capitale intellettuale, diventando così lo strumento fondamentale per rigenerare ciclicamente gli assets competitivi delle imprese79. Il processo di formazione del capitale umano non termina con l’uscita dall’istituzione scolastica. Il capitale umano in questo modello cresce e si arricchisce man mano che viene usato, questo perché la conoscenza è una risorsa moltiplicabile e auto-generativa80. Occorre sottolineare come le imprese “innovanti” rappresentino ben il 75% della ricchezza prodotta da tutte le imprese e il 72% dell’occupazione totale a livello europeo. In altri termini le imprese che innovano le proprie attività hanno un peso economico di molto superiore rispetto alle imprese che non hanno intrapreso attività di innovazione81. Il futuro dell’economia europea è in larga parte affidato alla capacità di innovazione delle imprese e alla capacità delle autorità politiche di promuoverla attraverso adeguate proposte e programmi politici ed economici. L’idea è che un’impresa, un settore industriale o anche in generale una nazione debbano investire in R&S (input) al fine di aumentare la produzione di innovazioni (output), a loro volta in grado di sostenere l’incremento del valore aggiunto (specie tramite innovazioni di prodotto) e della produttività (specie tramite innovazioni di processo)82.

In molti casi il capitale umano è visto come presupposto dell’investimento in fattori o di cambiamenti di impresa che a loro volta determinano l’innovazione. Ad esempio, in uno studio su dati italiani, richiamandosi ad una visione dell’impresa basata sulle capabilities, sottolineano come la propensione ad investire in intangibile

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Rullani E., Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti, Carocci 2004. 79

Ronca C.: “Società della conoscenza, sviluppo locale e competitività delle imprese”, Fondazione Adriano Olivetti Collana Intangibili, n.14, 2010.

80 Rullani E. (2004): op. cit. 81

N.Rosenberg, D. Mowery, “Il secolo dell’innovazione”, UBE Paperback, Milano, 2008. 82

Jaffe A.B., “Technological opportunity and spillovers of R&D: evidence from firms’ patents, profits and market value”, American Economic Review 1986.

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assets, il cui impatto sull’innovazione e sulle performance d’impresa è accertato, dipenda dal livello di capitale umano presente in impresa, oltre che dalle dimensioni d’impresa, dalla complessità organizzativa e da una serie di altri fattori fortemente specifici dell’impresa. L’analisi condotta rivela che ad un aumento del numero dei laureati presenti in impresa corrisponde un aumento delle probabilità di introdurre un’innovazione di prodotto o di processo; l’efficacia, in senso innovativo, del “capitale umano” incorporato nella forza lavoro è più elevata in quelle imprese, numerose in Italia, in cui non ci sono o sono poco numerosi gli addetti alla R&S; cioè l’istruzione elevata della forza lavoro incrementa in qualche misura la R&S83

. Abowd et al., studiando dati statunitensi, evidenziano che il capitale umano agisce sulla produttività d’impresa o in maniera diretta oppure col suo ruolo di complementarità rispetto a tecnologie più avanzate, modelli d’impresa e pratiche organizzative, sottolineando il nesso tra cambiamenti organizzativi e domanda di lavoratori con elevati livelli di skills. Delle indagini condotte si prendono in considerazione sia il capitale umano che la R&S a livello d’impresa. Viene considerato l’effetto della R&S e del capitale umano sulle performance d’impresa, misurate con il valore aggiunto, trovando un effetto positivo; la spesa in R&S non viene inclusa nella stessa stima delle determinanti dell’innovazione, ma viene posta in relazione al capitale umano, nel senso che quest’ultimo (misurato appunto con la quota dei laureati) influenza positivamente la spesa in R&S84.

Se per tutta la lunga fase della metà del ‘700 ai primi decenni del ‘900 l’innovazione ebbe origine principalmente grazie all’azione geniale di singoli individui: inventori-scienziati e imprenditori capaci di avvalersi delle scoperte dei primi, questa situazione comincia a cambiare radicalmente a partire dagli anni 20 del ‘900: “il processo innovativo divenne fortemente istituzionalizzato e molto più sistematico di quanto non fosse stato nel XIX secolo. Questa istituzionalizzazione dell’attività inventiva significò che l’innovazione avanzava in crescente prossimità con la ricerca organizzata. Il tratto distintivo della storia dell’innovazione nell’economia americana del XX secolo è l’istituzionalizzazione dei processi

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Arrighetti A., Landini F., Lasagni A.: “Intangible assets and firm heterogeneity: evidence from Italy”, Working paper del Dipartimento di Economia dell’Università degli studi di Parma, n.2-2011.

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Abowd J. M., Haltiwanger J., Jarmin R., Lane J., Langermann J., McCue K., McKinney K., Sandusky K., “The Relation among Human Capital, Productivity and Market Value: Building up from Microevidence”, U.S. Census Bureau, Technical paper n. TP-2002-14.

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innovativi espressisi nel corso del secolo. Verso la fine del XIX secolo, le imprese industriali iniziarono a sviluppare al loro interno programmi sistematici di ricerca e sviluppo. L’emergere negli Stati Uniti di laboratori per la ricerca industriale si verificò in parallelo con lo sviluppo nelle università di nuove discipline nell’ingegneria e nelle scienze applicate. Infatti, i tre settori considerati sono caratterizzati da una divisione del lavoro mobile tra industria privata, università e finanziamenti governativi alla ricerca e sviluppo. La struttura del sistema R&S che ha generato queste ondate innovative ha subito significativi mutamenti durante i primi ottant’anni del secolo e, a partire dal 1989, la fine della guerra fredda e la globalizzazione economica hanno dato l’avvio ad un’altra ondata di ristrutturazione. Il sistema statunitense di ricerca e sviluppo che ebbe origine agli inizi del novecento subì profondi cambiamenti strutturali durante il secolo. Essi furono caratterizzati da due precisi elementi. Il primo fu la rapida utilizzazione da parte delle imprese della invenzione dell’arte dell’inventare diffusasi in Germania. Il secondo aspetto, anch’esso connesso all’evoluzione del sistema statunitense di ricerca e sviluppo nel corso del secolo medesimo, fu rappresentato dai ruoli variabili esercitati dall’industria, dal governo e dalle università in quanto finanziatori e artefici del sistema di ricerca e sviluppo. Negli USA l’ampiezza delle variazioni d’importanza tra questi tre settori sorpassa di netto quella associata a qualunque altra economia industriale”85

. Ecco il motivo forse più profondo del predominio degli USA durante tutto il ‘900 a livello economico mondiale: la capacità di organizzare, attraverso

un’organizzazione sociale multi-polarizzata fortemente istituzionalizzata,

l’innovazione. “Un altro elemento nuovo nella struttura del sistema di ricerca americano del dopoguerra fu l’espandersi in ambito universitario della ricerca sostenuta da finanziamenti pubblici. La ricerca di tipo accademico crebbe enormemente sotto ogni aspetto. Da un livello stimato attorno ai 500 milioni di dollari nel 1935-36, essa (esclusi i FFRDCs) oltrepassò i 2,4 miliardi di dollari nel 1960 e 16,8 miliardi nel 199586. L’aumento del sostegno federale alla ricerca universitaria trasformò le principali università americane in centri mondiali quanto ai risultati ottenuti dalla ricerca scientifica, consentendo loro di svolgere un ruolo molto diverso da quello esercitato precedentemente. Il governo federale non si limitò

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N.Rosenberg, D. Mowery, “Il secolo dell’innovazione”, UBE Paperback, Milano, 2008. 86 National Science Board 1996.

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a espandere la domanda di ricerca universitaria, agì anche sul lato dell’offerta, ampliando l’insieme del personale scientifico e sostenendo l’acquisizione di apparecchiature e impianti essenziali allo svolgimento di una ricerca di alta qualità. Nel caso dell’informatica, il sostegno federale per l’acquisto di calcolatori di grandi capacità fu indispensabile per l’istituzionalizzazione della nuova disciplina accademica nelle università americane. I programmi federali aumentarono l’aiuto finanziario a favore degli studenti universitari offrendo, simultaneamente, finanziamenti per l’istruzione universitaria e il supporto alla ricerca accademica. Il governo federale potenziò l’impegno dell’università nei confronti della ricerca e rafforzò il legame tra ricerca e insegnamento. Legame che nell’istruzione universitaria americana è perseguito molto più che in qualunque altro luogo. Per esempio, in Europa e in Giappone, una quota maggiore della ricerca è svolta in istituti specializzati, non connessi direttamente con il mondo dell’istruzione superiore, e in laboratori gestiti dal governo. Sin dagli inizi degli anni ottanta, il ruolo centrale svolto dal governo federale nel sostenere la ricerca universitaria è stato integrato dall’incremento dei fondi provenienti dall’industria, tanto che i legami di ricerca tra università e mondo industriale hanno attirato consistenti critiche”87.

La situazione europea appare più arretrata sul piano dell’istituzionalizzazione dei processi innovativi. Malgrado che, in un contesto difficile per l’occupazione dovuto alla crisi economica, l’istruzione superiore rappresenti una scelta intelligente la capacità delle università e dei centri di ricerca di svolgere il loro ruolo nella società e a contribuire alla prosperità dell’Europa rimane sottoutilizzata. Questo fenomeno è ben evidenziato dai dati della ricerca ECI 2016 dell’Unione Europea88: i due terzi dell’innovazione di prodotto è messo a punto in seno all’impresa, mentre nel 18% dei casi l’innovazione di prodotto si realizza in collaborazione con altre società. Per quanto attiene il know how aziendale in materia di innovazione il 38% delle imprese ritiene che le proprie risorse interne siano adeguate per avviare processi di innovazione. Il 28% delle imprese cita i propri clienti ed il 20% menziona i propri fornitori come depositari di know how in grado di favorire processi d’innovazione. Solo il 5% delle imprese ha come riferimento, di conoscenze portatrici di

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N.Rosenberg, D. Mowery, “Il secolo dell’innovazione”, UBE Paperback, Milano, 2008. 88 http://ec.europa.eu/eurostat/fr/web/microdata/community-innovation-survey

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innovazione, le Università, mentre il 3% delle imprese si indirizza invece verso centri di ricerca pubblici e privati. È possibile rilevare dagli elementi - informazioni emersi dalla ricerca ECI - che le imprese che hanno realizzato attività di innovazione conseguono un successo di mercato maggiore delle altre imprese. Il tasso di crescita annuale del fatturato è del 9% per le imprese che hanno realizzato attività di innovazione contro, il 3% delle altre imprese. Le imprese innovanti ritengono che grazie ai processi intrapresi la qualità (40%) e la diversificazione (29%) dei propri prodotti e/o dei loro servizi sia significativamente migliorata; esse hanno constatato una crescita della loro capacità produttiva nel 25% dei casi ed un incremento della loro quota di mercato nel 24% dei casi. Una parte di imprese, non quantificabile con precisione, ritiene che i processi d’innovazione di prodotto quando originano nuovi prodotti siano in grado anche di favorire la crescita occupazionale. Nelle imprese che si affacciano al mercato globale e alla competizione mondiale, dunque, un elemento appare assolutamente chiaro e incontrovertibile: la necessità di organizzare la ricerca continua dell’innovazione.

L’innovazione di processo e di prodotto è, infatti, l’unico vero elemento in grado di garantire il successo all’impresa nel mercato globale. Esistono varie tipologie di innovazione, ma principalmente si dividere in:

- Innovazione rafforzativa (o miglioramento), è quella che migliora i processi produttivi e la filiera di attività dell’impresa, contribuendo a rafforzarne ed espanderne il mercato. Questo tipo di azione può provocare anche cambiamenti molto importanti nei processi aziendali, ed è volta al miglioramento del quadro (tecnico, produttivo, commerciale) di mercato in cui l’impresa si colloca;

- Innovazione trasformativa, invece, è quella che produce un cambiamento radicale, che trasforma il quadro di mercato in cui l’impresa si colloca. È l’innovazione che crea nuovi processi, prodotti, servizi e modelli di mercato. Entrambi questi tipi di innovazione sono molto importanti per l’impresa che vuole proiettarsi nel mercato globale. Ma l’innovazione nell’ambito dell’impresa non può essere considerata evento eccezionale, al contrario deve essere ricercata e pianificata in maniera sistematica. Le imprese investono in ricerca e sviluppo per aumentare i loro profitti attesi attraverso la scoperta di prodotti o processi nuovi. Tuttavia,

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secondo i dati della ricerca “ECI”89

sul complesso delle imprese che hanno avviato attività d’innovazione soltanto il 64% ha realizzato progetti di innovazione sia di prodotto che di processo, mentre il 18% ha realizzato solo progetti innovativi di prodotti e il 15% progetti innovativi di processi. Il restante 3% comprende imprese che non hanno ancora ultimato le proprie attività innovative e le imprese che hanno abbandonato progetti di innovazione prima della loro conclusione. Durante la presentazione della ricerca un esponente della “Direzione Generale Enterprises”, l’organismo che ha finanziato la realizzazione della ricerca, ha sostenuto che: “alcuni elementi della ricerca inducono a ritenere che le imprese che investono unicamente nell’innovazione di processo non figurano tra le principali forze per la crescita occupazionale”. Secondo l’esponente della Direzione Generale (DG) questo tipo di processi di innovazione può essere definito di profilo basso, mentre di profilo alto possono essere ritenuti i progetti di innovazione che assumono come obiettivo, sia l’innovazione di processo, che quella di prodotto. Secondo il rappresentante della DG Enterprise, “i processi di innovazione” di profilo alto esprimono una tendenza che merita di essere incoraggiata da parte della Unione Europea. Una delle proposte in questa fase in discussione è quella di allargare il concetto di innovazione oggi alla base della ricerca, che omologa “tout court” innovazione con tecnologia. Infatti, il concetto di innovazione non può essere circoscritto alla dimensione tecnologica, ma deve necessariamente essere concettualmente allargato alle tematiche organizzative, gestionali, di marketing e di comunicazione con il mercato. Tutte queste sono aree fondamentali per l’impresa nelle quali realizzare processi di innovazione può portare a risultati molto importanti. Del resto se le imprese vogliono ottenere i migliori risultati possibili da processi di innovazione di tipo tecnologico dovranno necessariamente realizzare, contestualmente a queste, innovazioni di tipo organizzativo e gestionale. La ricerca ha evidenziato come in molti casi l’innovazione tecnologica sia meno importante di quello che è stato denominato “l’assorbimento della tecnologia”, ovvero detto in altri termini: l’utilizzazione più efficace della tecnologia non è una questione tecnica, ma una sfida, un problema da affrontare in termini organizzativi e gestionali, soprattutto attraverso la capacità

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dell’impresa di coinvolgere e motivare verso l’innovazione le proprie risorse e più in generale tutta l’organizzazione90

.

Il capitale umano assume oggi una rilevanza significativa o comunque è parte integrante del processo di creazione del valore. Quindi, formazione e specializzazione degli addetti sono le strade maestre per affrontare la rivoluzione tecnologica e saltare l’ostacolo di uno skill-gap che rischia di penalizzare troppo il percorso di innovazione delle aziende. Occorre mettere l’accento sul fatto che con il termine “formazione” si fa riferimento a un processo di sviluppo della conoscenza che presuppone conoscenze di base e capacità di astrazione tipiche di qualunque processo conoscitivo di tipo teorico-concettuale. Perciò, non solo semplice aggiornamento-addestramento, ma anche vero e proprio processo formativo finalizzato direttamente alla crescita delle conoscenze del soggetto coinvolto. Ovviamente, la formazione avrà come oggetto precisi problemi, situazioni concrete dell’impresa e come obiettivo l’applicazione delle conoscenze acquisite. Già negli anni Novanta negli Stati Uniti si era, infatti, sviluppata una forte consapevolezza dell’importanza della formazione per l’incremento della competitività delle imprese ed è nato il concetto di “formazione continua”91, ovvero un processo sistematico nel tempo che coinvolge tutte le risorse dell’impresa, compresi i livelli più elevati della direzione, che spesso sono i più restii a partecipare al processo formativo92. Le modalità con cui si può realizzare la formazione continua sono molteplici:

- autosviluppo personale (programmi formativi condotti autonomamente);

- formazione-addestramento in gruppo (su nuove tecnologie, processi, procedure); - formazione condotta da esperti esterni in stretta collaborazione con l’ufficio del

personale;

- partecipazione ad attività gestionali di lavoro interne;

- partecipazione ad eventi esterni (seminari, convegni, eccetera).

Se quindi la formazione e conoscenze dipendono molto dalla quantità e qualità del livello d’istruzione raggiunto, la formazione professionale continua lungo tutto l’arco della vita (life long learning) diventa un concetto fondamentale per la crescita e lo sviluppo di tutti i sistemi economici. Bisogna anche sottolineare che nelle

90

J. Juran, Managerial Breaktrough, McGraw-Hill, Milano 1964. 91

ISFOL (2017), XVII Rapporto Sapporto Sulla Formazione Continua In Italia, Isfol, Roma.

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imprese impegnate in significativi programmi di formazione continua, e più in generale nell’adozione dei principi del knowledge management, si verifica una sensibile riduzione del turnover dei dipendenti. Negli anni tale formulazione originaria è stata notevolmente ed opportunamente arricchita tramite la considerazione degli effetti di feedback, così come dalla constatazione che gli spillovers di conoscenza possano attecchire solo in presenza di un livello sufficiente