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Istruzione, capitale umano e crescita economica: un'analisi per l'Italia

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

STRATEGIA, MANAGEMENT E CONTROLLO

Tesi di Laurea Magistrale

Istruzione, capitale umano e crescita economica:

un’analisi per l’Italia

Candidato:

Giuseppe Gullo Relatore:

Chiar.mo Prof. Lorenzo Corsini

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L’opportunità premia la mente preparata

“Education is the most powerful weapon

we can use to change the world.”

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INDICE

INTRODUZIONE.………6

CAPITOLO 1 – L’STRUZIONE COME PRINCIPALE FORMA DI INVESTIMENTO IN CAPITALE UMANO...9

1.1 Gli economisti di Chicago: Schultz, Becker e Mincer..………...9

1.1.1 L’Economia dell’Istruzione………...15

1.2 Comparazione tra diversi sistemi scolastici: l’educazione terziaria…....22

1.2.1 Spesa pubblica e/o privata.….……….……….……….27

1.2.2 Standard di qualità..……….………..37

1.3 Università, imprese ed innovazione.………43

CAPITOLO 2 – TEORIE ED EVIDENZE EMPIRICHE SUL LEGAME TRA ISTRUZIONE, PIL E SVILUPPO………..……55

2.1 La crescita economica di lungo periodo………....………..55

2.1.1 Modello Neoclassico: crescita esogena………..55

2.1.2 Nuova teoria della crescita: endogena………..69

2.2 L’influenza dell’istruzione sul PIL e sull’occupazione.………85

2.3 Le performance dell’economia italiana.……….97

2.3.1 Skills………….……….……….101

CAPITOLO 3 – STRATEGIE E COMPETENZE NECESSARIE: IL CASO ITALIANO...105

3.1 Nuove riforme e politiche per l’istruzione.………...105

3.1.1 Politiche per il lavoro………...106

3.1.2 Sistemi per l’innovazione……….112

3.1.3 Good School………...114

3.2 Ruolo delle risorse scolastiche distintive.………..118

3.3 Istruzione e Formazione Professionale..………..….…………125

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3.3.2 Apprendistato………135

3.3.3 Alternanza Scuola Lavoro………...137

CONCLUSIONE.………..143

BIBLIOGRAFIA.……….146

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6

INTRODUZIONE

La crisi economica del 2008 e il successivo rallentamento della crescita della produttività sono, già da anni, un serio pericolo per la competitività e prosperità in molti Paesi. In questa condizione generale di scarse risorse, soprattutto finanziarie, i governi stanno affrontando una serie di sfide senza precedenti, studiando politiche ed azioni tali da poter aiutare ad accelerare la crescita economica assicurando prosperità e progresso nel futuro.

Per dominare questo progresso e sostenere la crescita economica, è diffusa la convinzione che l’accumulazione di capitale umano sia oggi fondamentale. Investire nella creazione di conoscenza e permetterne la diffusione è la chiave per raggiungere una stabile crescita della produttività ed un importante benessere economico. Competenze, sapere, saper fare e capacità di imparare sono doti necessarie per l’individuo, ma sono soprattutto risorse sulle quali si costruisce il futuro di un Paese. Pertanto, ha preso nuova forza quell’ampio filone della letteratura economica che da tempo è volto a riflettere sul nesso fra istruzione e crescita economica.

I modelli della nuova teoria della crescita riconoscono il capitale umano come un input importante non solo nella produzione di beni e servizi, ma anche, se non soprattutto, nella capacità di un sistema economico di sviluppare ed adottare idee e tecnologie innovative. Di fatto, un’area importante su cui i governi possono agire è l’innovazione, la creazione e l’applicazione delle conoscenze. Ne deriva che queste forniscono una piena giustificazione a politiche centrate sull’educazione come motore principale della crescita economica. Anche a livello macroeconomico si hanno evidenze del collegamento fra il capitale umano e la crescita economica. Si può, infatti, affermare che l’accumulazione di capitale umano e il suo uso efficace sono alcune delle strade primarie da percorrere per incoraggiare la produttività e accrescere il PIL pro capite.

Il lavoro da me presentato si concentrerà, dunque, sullo studio dello sviluppo del capitale umano quale fattore importante per la crescita economica. Anche la Comunità Europea ha ritenuto l’investimento in capitale umano come una priorità nella strategia complessiva tesa ad aumentare la crescita economica e la coesione sociale dell’Unione, con il dichiarato scopo di fare della stessa la più competitiva e

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dinamica economia basata sulla conoscenza (knowledge-based economy)1.

L’investimento nelle persone, ossia in capitale umano, è perciò considerato fattore sia cruciale per lo sviluppo delle nuove tecnologie sia necessario per il loro utilizzo efficiente. Il capitale umano è una determinante indispensabile del livello di produttività, sia aggregata sia individuale. In particolare, poche occupazioni, oggigiorno, si limitano solo a compiti meccanici, mentre una sempre maggiore frazione di lavori richiede capacità di rielaborare dati ed informazioni, capacità comunicative e di problem-solving, di adattamento a tecniche produttive che cambiano a ritmi più accelerati che in passato, e l’applicazione di competenze specializzate in complessi processi produttivi di beni e servizi sempre più sofisticati. In sostanza, l’obiettivo di questo elaborato è quello di dimostrare se la crescita economica sia positivamente influenzata dal livello del capitale umano della popolazione, quindi approfondire in maniera più analitica il rapporto istruzione/sviluppo economico ed illustrare perché le conoscenze e le competenze degli individui siano rilevanti nel rendere la società nel suo complesso più ricca. Dimostrato, quindi, se esiste o meno una correlazione tra istruzione e sviluppo economico, passerò al secondo obiettivo dell’elaborato, ovvero analizzerò alcune riforme orientate a migliorare a parer mio, attraverso principalmente l’educazione scolastica, la competitività dell’Italia. Inoltre, mostrerò possibili aree di azione per perfezionare le skills necessarie a ridurre i disallineamenti di abilità e favorire una maggiore produttività, benessere sociale e di conseguenza una ripresa della crescita economica.

Ho organizzato il mio lavoro in tre capitoli:

Nel primo capitolo, inizialmente si preciserà il concetto di capitale umano dal punto di vista economico evidenziando una serie di motivazioni sul perché l’istruzione deve essere considerata un bene d’investimento; quindi, si sottolineerà l’importanza della qualità della scuola, soprattutto a livello terziario; e come una forza lavoro più competente ed istruita incrementi la produttività del lavoro, la capacità delle imprese di svilupparsi ed adottare le tecnologie più avanzate e favorire l’innovazione.

Nel secondo capitolo si delineeranno le due teorie della crescita di lungo periodo, esogena ed endogena, con una breve analisi dei principali modelli. La teoria della

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crescita tradizionale si basava essenzialmente sul meccanismo di accumulazione del capitale fisico (macchinari e infrastrutture). Le nuove teorie della crescita hanno, invece, posto l’accento sull’importanza di considerare la conoscenza e le competenze incorporate dalla forza lavoro, spostando così l’attenzione sull’accumulazione di capitale umano. Il concetto che queste teorie cercano di formalizzare è proprio quello che ad un più alto livello di istruzione corrisponda un progresso tecnologico ed una crescita economica più sostenuta, redditi da lavoro maggiori associati ad una minore probabilità di restare disoccupati e, più in generale, condizioni di vita e di lavoro migliori per l’intera popolazione.

A tal riguardo, ho mostrato la specifica relazione sul tasso di crescita del PIL pro capite del capitale umano nella popolazione. L’idea alla base dell’analisi è che un grado più alto di istruzione innalzi la qualità del capitale umano comportando un PIL maggiore. Partendo dai risultati della letteratura teorica e da alcune evidenze empiriche sono stati, in conclusione, confrontati con i dati elaborati dai database Eurostat, OECD data, World Bank, ecc..

Infine, nel terzo capitolo si porrà l’attenzione su alcune riforme, politiche per l’istruzione ed interventi di governo su pratiche economiche finalizzate a stimolare il progresso e la crescita nel contesto italiano. I governi dei paesi, infatti, possono intervenire per aumentare la produttività del proprio sistema economico cercando di agire sulle determinanti che la favoriscono. Da un punto di vista economico, l’aspetto fondamentale del capitale umano, su cui ci si concentrerà, è l’accumulazione di capacità e competenze utili alla popolazione per entrare nel mondo del lavoro attraverso l’educazione formale, il tirocinio e l’esperienza professionale. Si tratta dunque, in crescendo, di capacità generali (alfabetizzazione, nozioni quantitative di base, capacità di svolgere ragionamenti astratti), specifiche (funzionamento di particolari processi produttivi o software) e competenze tecniche e scientifiche molto specialistiche.

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CAPITOLO 1 – L’STRUZIONE COME PRINCIPALE FORMA DI INVESTIMENTO IN CAPITALE UMANO

1.1 Gli economisti di Chicago: Schultz, Becker e Mincer

Uno tra i principali autori ad aver introdotto il concetto di capitale umano fu l’economista classico Adam Smith, nella sua celebre opera “La Ricchezza delle Nazioni” (1776). Lo studioso scozzese affermò che per effetto dell’analogia instaurata tra l’investimento formativo (capitale umano) e quello nelle macchine specializzate (capitale fisico), in entrambi i casi vi dovrà essere un ritorno in termini di ricavi tale da eccedere i costi sostenuti, la cui consistenza deve remunerare in misura proporzionale sia il risultato finale che lo sforzo profuso, poiché, in caso contrario, esso non verrebbe affrontato2. Dice Smith: “Quando viene montata una macchina costosa, ci si deve aspettare che il lavoro straordinario che essa eseguirà prima che sia logora, rimpiazzi il capitale in essa investito con almeno i profitti ordinari. Un uomo istruito a costo di molto lavoro e tempo in una qualsiasi di quelle occupazioni che richiedono straordinaria destrezza e abilità può essere paragonato ad una di queste macchine costose. Ci si deve aspettare che il lavoro che egli impara ad eseguire, oltre ai salari usuali del lavoro ordinario, lo ripaghi dell’intero costo della sua istruzione almeno al profitto ordinario di un capitale di uguale valore. E questo deve avvenire in un tempo ragionevole, tenuto conto della durata assai incerta della vita umana, alla stessa stregua che si tiene conto della durata più certa della macchina”3.

Il concetto di capitale umano comincia ad arricchirsi di nuove sfaccettature, ma si dovrà aspettare più di un secolo per raggiungere un altro importante traguardo grazie al contributo di Marshall, nel 18794. Egli, infatti, seguendo la tradizione smithiana, nella definizione di ricchezza include anche le risorse umane. La ricchezza personale per Marshall “comprende tutte le energie, le capacità e le abitudini che contribuiscono direttamente all’efficienza produttiva degli uomini; oltre a quelle relazioni d’affari e rapporti di ogni genere, che abbiamo già considerato come parte della ricchezza nell’uso più ristretto della parola. Le capacità produttive hanno

2 Cegolon A., Il valore educativo del capital umano; Milano, Franco Angeli Editore 2012. 3

Smith A., La Ricchezza delle Nazioni, (tit. orig.: (1776), An Enquiry into the Nature and Causes of the

Wealth of Nations), Utet, Torino, 1987 p. 198.

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un’altra ragione per essere considerate come economiche, per il fatto che di regola il

loro valore si può in un certo modo misurare indirettamente”5

. Tuttavia, il passaggio dall’elaborazione teorica ad una misurazione quantitativa della nozione di capitale umano ha rappresentato, da sempre, il vero ostacolo da superare per fortificare il concetto con risultati tratti dall’evidenza empirica. La ricerca del valore monetario dell’uomo, in questo senso, è stata da sempre una delle grandi idee metafisiche dell’economia ma estremamente difficile da mettere in atto data l’intensa variabilità dell’essere umano e l’influenza che numerosi fattori hanno su di essa. Il maggior inconveniente si incontra nel tentativo di attribuire un valore monetario all’uomo. Gli studiosi che si sono occupati di tale problema hanno dovuto constatare che a parità di valore monetario di un uomo esiste alla base una valutazione soggettiva e latente riguardo alla soddisfazione personale e al grado di benessere che ogni uomo assegna alla propria vita6.

Il primo a confrontarsi con la valutazione del capitale umano fu il padre dell’economia politica, William Petty, in Inghilterra nel 16767. Secondo Petty,

l’ammontare della ricchezza nazionale doveva tener conto della capacità lavorativa incorporata negli uomini intesa come attitudine a creare ricchezza. Per stimare il valore economico della popolazione occupata, egli determinò il valore di ogni lavoratore sulla base dei redditi da lavoro e concluse che il reddito da lavoro corrispondeva alla rendita perpetua del capitale umano che lo genera rapportata ad un determinato tasso di interesse8. Presumibilmente è questa la stima del capitale umano più antica nella storia del pensiero economico9. Sebbene il procedimento individuato da Petty sia eccessivamente elementare e scarsamente scientifico (non dice nulla, ad esempio, sui costi sostenuti per produrre il capitale umano), ha, però, il merito di aver introdotto un’impostazione di tipo quantitativo-prospettico10 al problema della stima del capitale umano.

5

Marshall A., Principi di economia, (tit. orig.: (1890), Principles of Economics: an introductory text), Utet, Torino, 1972 p. 132.

6

AVSI-Italia, Capitale umano, risorse per lo sviluppo, pubblicazione AVSI, Milano, 2008 pp. 14-24. 7

Cegolon A., Il valore educativo del capital umano, Franco Angeli Editore 2012. 8

Petty W., Aritmetica Politica, (tit. orig.: (1690), Discourse on Political Arithmetic) Liguori, Napoli 1986. 9 Spalletti S., Istruzione, crescita e rendimenti nella teoria del capitale umano. Una prospettiva di storia

del pensiero economico, Aracne, Roma, 2009 pp. 93-96.

10

Lovaglio P., Vittadini G., Il concetto di capitale umano e la sua stima, in Pellegatti M. (a cura di), Studi

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Più tardi, nel 1853, William Farr adottò una procedura un po’ più rigorosa per calcolare il flusso di reddito atteso nel ciclo vitale11. Spinto a ricercare per l’Inghilterra un nuovo sistema impositivo non più basato sul reddito prodotto ma sulla capacità di guadagno del lavoratore nell’arco della vita lavorativa, Farr stimò il capitale umano individuale come il valore presente dei redditi attesi, al netto dei costi di mantenimento (spese personali), valutando la probabilità di sopravvivenza e di occupazione di ogni uomo considerato come essere produttivo.

Un approccio completamente diverso venne formulato nel 1867 dal tedesco Theodor Wittenstein12. Questi, di fatto, può considerarsi il primo economista ad utilizzare una metodologia di tipo retrospettiva13 per misurare il valore economico di una persona. Nello specifico, pur limitando l’analisi a sole due classi sociali, lo studioso sostenne che il valore economico di una persona poteva essere determinato scorporando il totale delle spese sostenute fin dalla nascita (per il mantenimento e l’istruzione dell’essere umano) dall’ammontare dell’output da lui prodotto, che si presumeva corrispondente alle sue spese di consumo. Entrambi questi valori dovevano quindi essere scontati ad un tasso di interesse adeguato14. Sulla stessa scia, nel 1883, anche Ernst Engel (1883) propose un metodo di calcolo di tipo retrospettivo, legato ai costi

di mantenimento e di formazione degli individui15. Secondo il modello proposto da

Engel, la prima fase della vita umana doveva considerarsi totalmente improduttiva, mentre tra i 15 e i 20 anni, il valore della produzione umana riusciva a ripagare la quantità dei beni consumata dall’individuo, e solo a partire dai 25 anni la stessa era

in grado di contribuire positivamente all’economia nazionale16

. In seguito, verso la

prima metà del Novecento, Donald Goserline17 e Ray Walsh18, sempre nel tentativo

di fornire una stima economica del capitale umano, pervennero a conclusioni

11 Farr W., The incombe and Property Tax, in Quarterly Journal of the Statistical Society, vol. 14, 1853 pp. 1-44; Kiker B.F., Human Capital in Retrospect, Essays in Economics, n. 16, University of South Carolina, Columbia, South Carolina, 1968 pp. 5-11.

12 Wittenstein T., Mathematische Statistik und deren Anwendung auf National Ökonomie und

Versicherungs-Wissenschaft, Hannover 1867.

13

Si rifà ad un’idea di uomo-consumatore e fa coincidere il suo valore con le risorse per il suo mantenimento e la sua formazione. Cfr. Vaglio P., Vittadini G. (2004), op. cit., pp. 119-140.

14

Spalletti S. (2009), op. cit., pp 93-96. 15

Engel E., Der Werth des Menschen, Verlag von Leonhard Simion, Berlin 1883. 16

Spalletti S. (2009), op. cit., pp. 93-106.

17 Goserline D.E., The effect of schooling upon income, Doctoral Thesis, Indiana University Press, Bloomington 1932.

18

Walsh J.R., Capital Concept applied to a man, in Quarterly Journal of Economics, 1935 vol. 49, n. 2, pp. 255-285.

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sostanzialmente simili. Analizzando gli effetti della scuola sui redditi individuali di un campione di 185 coppie di fratelli con diversi livelli di istruzione, il primo individuò una correlazione positiva tra istruzione e reddito. Anche Walsh identificò un effetto positivo dell’istruzione sui redditi individuali, con la sola eccezione per il campione di avvocati da lui esaminato. Entrambi, però, non riuscirono a isolare gli effetti dell’istruzione da altre componenti che influenzano il capitale umano, come ad es. le capacità innate19.

Le moderne teorie dello sviluppo mettono ormai l’accento sul capitale umano come fattore essenziale dello sviluppo, man mano che il sistema economico si inoltra nell’“economia della conoscenza”. Come si riesce a notare da questo quadro sintetico, il concetto di capitale umano è stato esaminato da vari autori nella storia del pensiero economico, ciò nonostante mancava ancora la formulazione di una vera e propria teoria economica. E solamente nella seconda metà del secolo scorso, grazie ai lavori pionieristici di alcuni economisti provenienti dall’Università di Chicago, quali Theodore Schultz, Gary Becker e Jacob Mincer, si segnala una profonda rivitalizzazione di tale tema al punto da sollecitare la nascita delle teorie del capitale umano20. Da allora, l’istruzione non venne più vista come un bene di consumo ma come la principale forma di investimento in capitale umano.

Il primo a considerare l’istruzione come un investimento nell’uomo, alla pari dell’investimento in capitale fisico, ed a valutarne gli effetti, i costi e i vantaggi, analizzandone, cioè, le conseguenze economiche fu Theodore Schultz, considerato il

padre dell’idea di capitale umano e della rivoluzione degli investimenti nell’uomo21

. Convenzionalmente, l’idea di capitale umano e la nascita dell’economia dell’istruzione, come branca autonoma della scienza economica, prendono corpo il 28/12/1960 a St. Louis, con il suo discorso di insediamento alla presidenza dell’American Economic Association, intitolato “Investiment in Human Capital”. Schultz utilizza l’espressione “capitale umano” perché riteneva l’istruzione parte integrante della persona che la riceveva mentre fino ad allora il valore economico dell’istruzione era stato trascurato o addirittura negato perché ad essa veniva

19

Spalletti S. (2009), op. cit., pp. 93-106 17. 20 Cegolon A. (2012), op. cit.

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Blaug M., Economics of Education: A Selected Annotated Bibliography, Pergamon Press, Oxford 1966; Bowman M.J., On Theodore W. Schultz’s Contributions to Economics, in Scandinavian Journal of

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attribuito solo un valore culturale (consumo). Schultz, peraltro, riconosce l’esistenza e l’importanza della dimensione culturale, ma si concentra sui risvolti economici dell’istruzione, nell’intento di individuarne i costi e i benefici22

. Premesso questo, egli ritiene che il capitale umano contribuisca ad alimentare il valore produttivo dell’economia di un Paese e che qualunque aumento del reddito nazionale derivi dalla crescita dello stock di capitale umano. Per quanto riguarda i costi, in particolare, è stato il primo a porre in evidenza la necessità di comprendere nell’analisi del capitale umano, oltre ai costi diretti - quali spese per tasse scolastiche, libri, trasporti, ecc. sostenuti dalle famiglie degli studenti - anche il costo-opportunità rappresentato dai guadagni perduti (foregone earnings), che un individuo avrebbe potuto ottenere se fosse entrato nel mercato del lavoro anziché proseguire nella frequenza scolastica. Il costo-opportunità dell’istruzione rappresenta, presumibilmente, uno dei più importanti e duraturi contributi offerti da Schultz. Ancora oggi tutte le principali stime dei rendimenti dell’istruzione sono ottenute considerando fra i costi anche i foregone earnings. Dal lato dei benefici, invece, Schultz identificò tre componenti che la scelta di istruirsi comportava: i consumi presenti, i guadagni futuri (investimento) e la capacità produttiva futura (investimento). Secondo Schultz è importante individuare l’ordine di grandezza delle tre componenti, perché le implicazioni possono cambiare notevolmente. La componente di investimento è prevalente e il contributo dell’istruzione alla crescita economica è rilevante, d’altronde l’istruzione diventa una fonte di crescita economica solo se fa aumentare la produttività e i guadagni futuri, cioè, se è configurabile come investimento. Schultz ha segnalato l’esistenza di altri tipi di investimento in capitale umano, ma non li ha trattati e non ha fornito alcuna formalizzazione neppure dell’investimento in istruzione. Tali lacune sono state in

gran parte colmate da Gary Becker23 nell’opera “Human Capital” del 1964,

22

Tale concetto è espresso dall’Autore in: Schultz T.W. (1959), Investment in Man: an Economist’s View,

in Social Service Review, 33(2), pp. 109-117; Schultz T.W. (1960), Capital formation by education, in Journal of political economy, 6, 68(6), pp. 571-583; Schultz T.W. (1963), The Economic Value of Education, Columbia University Press, New York; Schultz T.W. (1971), Investment in Human Capital: the Role of Education and of Research, The Free Press, New York.

23 A Becker viene assegnato il premio Nobel per l’Economia nel 1992 <<for having extended the domain of microeconomic analysis to wide range of human behaviour and interaction, including nonmarket behaviour>> una motivazione che si riferisce (anche se non esclusivamente) ai lavori sui rendimenti microeconomici delle scelte dell’istruzione.

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unanimemente considerata come il principale testo di riferimento per lo studio della teoria del capitale umano.

In effetti, Becker ha raccolto spunti provenienti da vari autori e ha formulato ed esposto una teoria completa. Egli ha proposto una formalizzazione dell’investimento in istruzione, ricavandola dallo schema generale riferito alla formazione sul lavoro, cui ha dedicato lo spazio maggiore. La decisione del singolo di investire in capitale umano, descritta teoricamente e analiticamente da Becker nei primi due capitoli di Human Capital, concepisce l’istruzione come un processo di accumulazione di conoscenze, abilità e competenze che si traducono in una maggiore produttività quando impiegate nel mercato del lavoro. Il capitale umano, quindi, è espresso sulla base del valore di mercato della capacità produttiva di una persona e finisce per coincidere con la qualità della prestazione lavorativa, la quale, a sua volta, secondo l’impostazione di Becker, può essere resa migliore e più produttiva attraverso l’istruzione. In questa prospettiva, pertanto, il capitale umano è ristretto a quell’insieme di conoscenze, abilità e competenze che le persone acquisiscono e sviluppano, sostenendo costi, così come avviene per qualunque altro tipo di investimento24.

Un importante contributo, per sostenere l’idea dell’istruzione come particolare forma di investimento in capitale umano, fu anche un articolo di Jacob Mincer apparso, assieme alla prima stesura dell’opera di Becker, sul supplemento del Journal of Political Economy dell’ottobre 1962, dove l’economista dimostra che la differenza tra retribuzioni diverse, sotto la condizione di pari abilità dei lavoratori, dipende dal numero di anni di istruzione. L’interesse degli “economisti di Chicago” per il capitale umano era soprattutto associato allo sforzo di comprendere le ragioni della crescita economica. In questa ottica, loro consideravano l’uomo una componente importante della ricchezza di un Paese, perché, investendo in sé stesso, ognuno contribuisce ad aumentare la ricchezza comune. Secondo gli economisti americani il capitale umano nazionale era formato non solo dai flussi dell’istruzione (anni di scolarità, esperienza, anni di lavoro ecc.) ma, soprattutto, anche dagli stock in capitale umano e, cioè, dai costi-opportunità e i costi diretti e/o spese correnti legate all’istruzione (edifici, tasse scolastiche e stipendi del personale docente). Gli

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autori della Scuola di Chicago in particolare, hanno fornito una giustificazione scientifica a due convincimenti: per le persone, il livello (o stock) e lo sviluppo del capitale umano determinano un diverso livello e incremento delle loro retribuzioni e redditi; per il sistema economico, il livello complessivo del capitale umano influenza la crescita e lo sviluppo economico del Paese25. In altre parole, dal punto di vista microeconomico, il capitale umano di una persona può essere considerato una delle principali determinanti del successo nel mondo del lavoro e l’investimento formativo assume rilevanza per le maggiori opportunità che offre agli individui di accesso e permanenza nel mercato del lavoro, oltre che di progressione di carriera e di miglioramento delle condizioni professionali, anche in termini retributivi. Inoltre, a livello macroeconomico, sembra che le capacità competitive di un Paese e del suo sistema produttivo dipendano dal tasso di accumulazione (flusso) e dallo stock degli investimenti in capitale fisico, ma anche dall’investimento e dallo stock di conoscenze incorporate nel capitale umano26. È ormai diffusa, quindi, la convinzione che il capitale umano sia indispensabile per introdurre le innovazioni tecnologiche e organizzative dalle quali dipende la produttività dei fattori ed è anche visto come la condizione per accedere a retribuzioni più elevate nel corso della propria carriera, anche se non può essere ridotto solo a questo.

1.1.1 L’Economia dell’Istruzione

Una parte fondamentale del capitale umano è costituita dalle conoscenze e dalle competenze acquisite attraverso l’istruzione, e tutte o una parte di esse hanno dei risvolti sulle capacità lavorative (e di produzione) degli individui. La teoria economica distingue due categorie di spese: per consumi e per investimenti. Le prime creano redditi “psicologici”, non monetari, sotto forma di soddisfazione diretta, momentanea o durevole. Le seconde creano dei beni d’investimento la cui utilizzazione più opportuna può essere fonte di redditi monetari futuri27. Nell’ambito dell’istruzione tale interpretazione ha un suo fondamento quanto meno a livello individuale. Infatti, intendere le spese per l’istruzione come consumo comporta un’interpretazione di ordine psicologico. Ciò significa interpretare l’istruzione in

25

Biggeri L., Il capitale umano come risorsa strategica, Global Collection, n. 6 – 2006. 26

Cegolon A. (2012), op. cit. 27 Cegolon A. (2012), op. cit.

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termini di soddisfazione personale durevole, in questo caso, le persone affrontano i banchi di scuola per il piacere di acquisire nuova conoscenza o, alternativamente, perché l’istruzione fornisce maggiore prestigio sociale (status) e, quindi, si confida di poter godere di maggior reputazione nella società28.

L’istruzione ricopre un importante funzione per le società stesse all’interno del sistema economico ma, soprattutto, occupa un ruolo rilevante nella vita delle persone e nella loro fase di apprendimento. Pertanto, con istruzione si intende l’insieme ordinato di conoscenze, che comprendono sia competenze teoriche, sia pratiche, sia relative a valori e credenze riguardanti una certa comunità, infatti, essa può influenzare i centri di interesse generalmente offerti dalla vita, la capacità di trarre profitto e soddisfazione dal patrimonio culturale della società, la possibilità di scegliere un’attività professionale che, indipendentemente dai redditi suscita attrazione in quanto tale, grazie alla sua compatibilità o coerenza con i nostri desideri, aspirazioni, attese che esulano dal riconoscimento del mercato del lavoro. È ben vero che esiste una relazione tra competenze acquisite e posizione lavorativa conseguente, però, in questo caso le intenzioni che hanno determinato la spesa per l’istruzione non si prefiguravano questo risultato come obiettivo principale. Dall’altra parte è indubbio che le spese sostenute dall’individuo possono configurarsi come investimento durevole se predisposte allo scopo di accrescere le capacità di reddito future29. In altre parole, secondo questa impostazione, il motivo principale che spinge le persone ad andare a scuola è quello di aumentare le proprie conoscenze, in quanto ciò consente di aumentare la propria produttività futura e quindi il proprio reddito futuro. È evidente che in questa logica la nozione fondamentale è quella di produttività: il contributo dell’istruzione all’economia viene visto in termini di accresciuta produttività. Ne deriva che l’istruzione è in grado di incrementare il rendimento lavorativo grazie ad una serie di azioni conseguenti, come migliorare le attitudini applicabili alle attività pratiche, insegnare le metodologie per risolvere i problemi, affinare la mente, abituare a cambiamenti nelle condizioni e a comportamenti funzionali ad attività lavorative di gruppo, inculcare determinati valori, ecc.

28

Fershtman, C., Murphy, K. e Weiss, Y., Social Status, Education and Growth, in Journal of Political Economy, 1996, 104 (1), pp. 108-132.

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A livello intuitivo e ad un livello astratto, la differenza tra le due concezioni pare abbastanza chiara. Ma, come sottolinea Page, nella realtà le cose non sono altrettanto chiare e scontate. Sul piano pratico non bisogna farsi troppo illusioni. Escludiamo casi particolari di decisioni a prolungare consapevolmente gli studi, ad esempio un economista che decide di prendersi anche la laurea in scienze politiche che consentirebbe un ampliamento di conoscenze unite ad una maggior spendibilità di competenze tecniche in parte possedute. Ma generalmente è possibile che la persona non abbia consapevolezza della distanza che separa la decisione di acquisire istruzione come investimento o come consumo. Proprio per questo appare più convincente una diversa interpretazione dell’istruzione. A cavallo tra consumo ed investimento, chi trova più congeniale lo studio perché ama imparare ed ottiene buoni risultati troverà anche più facile ottenere il titolo di studio e i vantaggi strumentali che ne derivano. In effetti, sostenere che si impara per i puri vantaggi strumentali non sembra molto realistico e, d’altra parte, anche da coloro che acquistano istruzione per sole ragioni strumentali, non è escluso che sviluppino un imprevisto gusto per la cultura che non sapevano di possedere30.

Sul piano collettivo, invece, sembra preferibile affermare che la scelta di sostenere spese per l’istruzione si debba fare molto più in funzione dei risultati attesi, che delle intenzioni. Infatti, sembra irrealistico sostenere che la collettività possa sopportare l’onere maggiore delle spese per l’istruzione, ad esempio per il semplice desiderio di soddisfare il piacere estetico delle persone, al di là dei risultati che tale decisione possa comportare a livello aggregato. Un caso che potrebbe illustrare convenientemente l’assunto lo si ricava osservando le scelte di lavoratori che dopo molti anni di lavoro in azienda decidono di iscriversi all’università con notevoli sacrifici personali e familiari. Il criterio dell’intenzione che sembra logico sul piano individuale, qui perde di incisività, in quanto la collettività che decide di destinare parte delle risorse nazionali all’istruzione stima che, innanzitutto, bisognerà provvedere ad assicurare un bene pubblico. In questa prospettiva, pur non negando la possibilità, anche sul piano collettivo di concepire l’istruzione anche in termini culturali e di diritto all’educazione, è legittimo ritenere che le spese dell’istruzione producano effetti analoghi a quelli di un investimento. In effetti l’istruzione tende a

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preparare le persone al mestiere e alla vita professionale, accrescendo, per questa via, la produttività del lavoro. Tale risultato è rinforzato da altri risvolti sociali, quale una migliore organizzazione ed integrazione sociale, capacità di visione a più lunga scadenza dei bisogni e delle possibilità dell’economia, più facile accettazione delle necessità delle vita sociale, ecc31. In sintesi, anche se sul piano individuale è perfettamente plausibile che le spese per l’istruzione assumano la duplice connotazione di consumo e investimento, l’analisi economica focalizza essenzialmente la sua attenzione sulla prospettiva dell’istruzione come investimento, anche perché solo, in questo modo, si può ritenere che la scuola esplichi degli effetti sull’economia32

.

Se il capitale umano va a determinare la produttività del lavoro, coloro che sono dotati di maggiore capitale umano ricevono un maggiore reddito, secondo questo ragionamento, l’istruzione è un investimento privato e ognuno dovrebbe scegliere autonomamente quanto acquisirne (costo) in base alla propria convenienza e pagare in prima persona, senza che lo Stato intervenga. Prima di discutere i limiti di questo ragionamento, esaminiamo una semplice teoria formale su di esso. Venendo al modello, analogamente alla teoria dell’investimento in capitale fisico, come sostiene Checchi, un giovane all’inizio della vita adulta si trova di fronte ad un’alternativa: “godere di maggior tempo libero oggi in cambio di minori prospettive di guadagno future; oppure rinunciare al tempo libero oggi, per migliori prospettive di vita domani. Vi è quindi una relazione inversa (trade-off) tra disponibilità del tempo da giovane e prospettive di benessere da adulto, e ciascun individuo si trova a scegliere la sua combinazione preferita a seconda del proprio grado di impazienza (tasso di sconto). Gli individui più impazienti rinunceranno all’istruzione, preferendo il tempo libero utilizzabile oggi, mentre quelli più lungimiranti faranno la scelta opposta”33

. Si ipotizza, pertanto che ogni persona decida autonomamente la durata del proprio percorso scolastico in vista di maggiori rendimenti futuri attesi: terminata la scuola dell’obbligo, per ogni anno di istruzione ulteriore la persona confronterà il derivante incremento reddituale con il relativo costo. Se il primo

31 Page A., Economia dell’istruzione, edizione italiana a cura di Curzio A.Q., Il Mulino, Bologna 1974, pp. 9-16.

32

Cegolon A. (2012), op. cit.

(19)

19

risulterà superiore al secondo, la persona deciderà di proseguire gli studi, in caso contrario a quel punto interromperà la formazione. In sostanza, in base a tale modello i soggetti investono in istruzione sulla base di un calcolo razionale in cui confrontano i costi e i benefici dell’investimento, in un’ottica di lungo periodo che abbraccia l’intera vita.

Nel caso dell’investimento in istruzione i costi possono essere di diversa natura: - costi monetari diretti: rappresentati dalle tasse di iscrizione, dall’acquisto dei

libri di testo, dai costi di trasporto per raggiungere le sedi scolastiche, i costi di alloggio nei luoghi in cui si studia fino ad includere i costi del sostegno scolastico (quali ripetizioni, corsi integrativi, ecc.);

- costi monetari indiretti o costi opportunità: rappresentati dai mancati guadagni conseguibili se invece che andare a scuola/università si fosse entrati direttamente nel mercato del lavoro (i cosiddetti foregone earnings introdotti da Schultz). Questi costi sono ovviamente correlati con il mercato del lavoro. Se la disoccupazione giovanile è elevata e/o le retribuzioni iniziali basse, il costo-opportunità (rappresentato dal salario atteso corrispondente ad un giovane che entra per la prima volta sul mercato del lavoro) sarà più basso;

- costi non monetari: i più rilevanti rappresentati dall’impegno e dallo sforzo di apprendimento richiesto per proseguire nella carriera scolastica. Se si considera il fatto che l’istruzione è un processo necessariamente sequenziale (dove cioè non è possibile accedere ad un livello superiore se non si è completato il ciclo di studi precedente) nel quale il grado di difficoltà aumenta col procedere del livello di studi, il relativo grado di impegno cresce progressivamente al procedere dell’istruzione34. Rientrano in tale categoria anche il tempo precluso

ad attività di svago e di piacere nonché i costi psicologici determinati da esperienza angosciose (ad es. sostenere più volte lo stesso esame).

Mentre, tra i benefici vanno considerati sia quelli propriamente pecuniari, cioè le migliori probabilità di ottenere lavori con retribuzioni elevate, ma anche quelli non monetari35 - realizzabili in futuro grazie alla disponibilità del capitale umano - quali,

34 Checchi D., Scuola, formazione e mercato del lavoro, in Brucchi L. (a cura di) , Manuale di economia del

lavoro, Il Mulino, Bologna 2001, pp 27-28.

35

La presenza di rilevanti componenti non monetarie non costituisce un ostacolo, dal momento che per ognuna di esse, infatti, è possibile individuare un equivalente monetario. La precisa quantificazione di

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20

ad esempio, la possibilità di avere esperienze umane significative e gratificanti, l’ampliamento delle possibilità di accesso a canali di ulteriore formazione (scolastica o lavorativa) di capitale umano, l’accresciuta autostima, ecc.. Per meglio chiarire, in base a questo modello, e valutare la convenienza ad intraprendere un determinato tipo di studi universitari, sarà necessario tener conto da un lato del costo-opportunità rappresentato dalla rinuncia ai guadagni di un’occupazione alternativa all’impegno di studio, dall’altro dei vantaggi di status che il conseguimento di quella data laurea comporta, al di là dei miglioramenti di reddito36.

Analiticamente, consideriamo un modello di due periodi: ogni individuo ha delle capacità di base che nel concreto sono assimilabili a quelle fornite in ambito familiare o nella scuola dell’obbligo. Esiste un primo periodo (la gioventù) in cui gli individui possono scegliere se acquisire istruzione (che ha un costo) oppure lavorare. Esiste poi un secondo periodo (l’età adulta) in cui gli individui lavorano necessariamente. Nel primo periodo (la gioventù) un soggetto sceglie se istruirsi oppure lavorare:

- Istruirsi è costoso e comporta un costo C.

- Lavorare (senza essersi istruiti) permette di ottenere un reddito pari a W1 N

.

Istruirsi comporta quindi sia un costo diretto che un costo opportunità. Nel secondo periodo (l’età adulta) un soggetto dovrebbe lavorare:

- Se non si è istruito ottiene un reddito W2 N

.

- Se si è istruito in precedenza ottiene un reddito W2S.

- W2S>W2N.

Nel scegliere se istruirsi o meno, un singolo individuo deve considerare che costi e benefici dell’istruzione non necessariamente avvengono nel medesimo periodo. Poiché in questo modello esistono due periodi, per confrontare costi e redditi di periodi diversi occorre utilizzare un tasso di preferenza intertemporale, definiamo R tale tasso. In tal senso si suppone che a parità di somma percepita, sia preferibile avere oggi piuttosto che in futuro tale cifra. Di conseguenza, nel nostro modello, le somme del secondo periodo andranno scontate di un fattore (1/1+r).

tale equivalente monetario può presentare concrete difficoltà, dal momento che si tratta di una valutazione puramente soggettiva, che varia da soggetto a soggetto, crf. Somaini E., Scuola e mercato.

Problemi e prospettive dell’istruzione in Italia, Donzelli, Roma 1997, p. 6.

36

Praussello F., Marenco M., Economia dell’istruzione e del capitale umano, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 24.

(21)

21

Il reddito complessivo nei due casi:

• Scelta 1: nessuna istruzione.

- Nel primo periodo percepisce W1

N

- Nel secondo periodo percepisce W2N

- Complessivamente percepisce W1 N +[W2 N /(1+r)] • Scelta 2: si istruisce.

- Nel primo periodo paga un costo -C

- Nel secondo periodo percepisce W2

S

- Complessivamente percepisce -C+[W2

S

/(1+r)]

Il confronto fra i due casi:

• Scelta 1: nessuna istruzione.

- Complessivamente percepisce W1N +[W2N/(1+r)]

• Scelta 2: si istruisce.

- Complessivamente percepisce -C+[W2

S

/(1+r)]

- Complessivamente la scelta 2, ovvero istruirsi è preferibile se: -C+[W2S/(1+r)]>W1N+[W2N/(1+r)] [W2 S /(1+r)]-[W2 N /(1+r)]>W1 N +C (W2S- W2N)/(1+r)>W1N +C

Dividendo ambo i lati per W2N:

(W2 S / W2 N -1)/(1+R)>(W1 N +C)/ W2 N

Se tale disequazione viene soddisfatta risulta conveniente investire in istruzione, in pratica, sarà conveniente istruirsi se il tasso di incremento del reddito del secondo periodo (W2

S

/ W2 N

-1), scontato per il tasso di preferenza intertemporale è superiore ai costi diretti e indiretti espressi come frazione del reddito W2N. In altri termini

occorre che il tasso di incremento del salario del secondo periodo sia in grado di coprire i maggiori costi sostenuti nel primo periodo. Risulta evidente che è più conveniente investire quando i redditi dei lavoratori istruiti è molto più alto di quelli non istruiti e quando i costi diretti (C) per l’istruzione sono bassi37.

Tuttavia, spesso è ritenuto degradante per l’uomo e moralmente sbagliato considerare l’istruzione principalmente come un mezzo per creare capitale. Tali considerazioni, pur essendo ineccepibili sotto il profilo etico e morale, non

37

Prof. Corsini L., Materiale didattico (2017), corso di Economia del risparmio e della previdenza, Università di Pisa.

(22)

22

smentiscono comunque il fatto che l’istruzione sia da considerarsi come attività che permette di aumentare lo stock di capitale umano, oltre a permettere il conseguimento essenzialmente di fini culturali. Infatti, serve allo sviluppo individuale del cittadino, conferisce all’uomo la facoltà di valutare ciò che ritiene importante per la sua vita, migliora le capacità delle persone, sia che esse lavorino, sia che gestiscano i propri affari, e tali miglioramenti contribuiscono, a loro volta, all’aumento del reddito individuale e nazionale.

1.2 Comparazione tra diversi sistemi scolastici: l’educazione terziaria

Nella maggior parte dei Paesi economicamente avanzati, l’istruzione e la formazione di risorse umane sono temi che stanno a cuore sia ai policy maker che agli studiosi. In generale le società moderne articolano i sistemi d’Istruzione su tre livelli:

- Istruzione primaria, riservata ai bambini, che fornisce loro conoscenze di base; - Istruzione secondaria, riservata agli adolescenti, che fornisce loro conoscenze

generiche relativamente avanzate anche relative alla loro presa di coscienza di cittadini e alle loro capacità produttive;

- Istruzione terziaria, pensata per i cittadini giovani, che fornisce loro conoscenze avanzate e finalizzate ad un ambito del sapere ben preciso e specialistico.

Entrando nel dettaglio, la struttura dei sistemi educativi varia molto da Paese a Paese. Al fine di produrre statistiche e indicatori di istruzione comparabili a livello internazionale, è pertanto necessario disporre di un quadro per raccogliere e riferire i dati sui programmi di istruzione (e le relative qualifiche) con un livello di contenuto educativo simile. È a questo scopo che esiste la International Standard Classification of Education (ISCED), utilizzata per classificare e riportare statistiche educative comparabili a livello internazionale. Infatti, poiché i sistemi di istruzione nazionali variano in termini di struttura e contenuto curriculare, può essere difficile confrontare nel tempo le prestazioni di tutti i paesi o monitorare i progressi verso gli obiettivi nazionali e internazionali. La classificazione ISCED 2011 è stata adottata dalla Conferenza Generale dell’UNESCO nella 36a sessione di novembre 2011. Il quadro è occasionalmente aggiornato al fine di cogliere meglio i nuovi sviluppi nei sistemi di istruzione in tutto il mondo. Questi miglioramenti sono stati introdotti da un comitato consultivo tecnico globale, comprendente esperti internazionali in

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23

materia di istruzione e statistiche, comprese le organizzazioni e i partner internazionali pertinenti, come Eurostat e l’Organizzazione per la cooperazione e lo

sviluppo economico (OCSE)38. L’ampio processo di revisione ha incluso una serie

di riunioni di esperti regionali e una consultazione globale formale coordinata dall’Istituto di statistica dell’UNESCO (UIS) in cui tutti gli Stati membri dell’UNESCO sono stati invitati a prenderne parte. I programmi di raccolta dati UIS e UNESCO-OCSE-Eurostat (UOE) saranno adeguati in base a questi nuovi standard. Le linee guida per la classificazione dei programmi di istruzione nazionale e delle qualifiche correlate, quindi, sono state preparate congiuntamente dall’UNESCO Institute for Statistics (UIS), dall’OCSE e da Eurostat e tengono conto di più consultazioni sulle mappature dei sistemi educativi nazionali a ISCED 2011. In particolare, la pubblicazione è stata preparata sotto la responsabilità di Alison Kennedy dell’Istituto di statistica dell’UNESCO (UIS); Éric Charbonnier e Nhung Truong della divisione Innovazione e misurazione dei progressi (IMEP) della direzione dell’istruzione e delle competenze dell’OCSE; e Marta Beck-Domz di

Eurostat39. L’obiettivo di questo manuale operativo è assistere i paesi

nell’implementazione di ISCED 2011 e garantire che le mappature dei sistemi educativi nazionali al framework ISCED rivisto siano trasparenti.

L’attuazione dell’ISCED 2011 dovrebbe essere sia un processo iterativo che interattivo, in cui è possibile costruire un consenso sulle mappature tra paesi e organizzazioni internazionali al fine di migliorare la comparabilità nella rendicontazione internazionale delle statistiche sull’istruzione in un processo consultivo a lungo termine. Questo manuale operativo si concentra sulla classificazione dei programmi e delle relative qualifiche per i livelli ISCED 2011. Esso ha nove livelli di istruzione, dal livello 0 al livello 8:

• ISCED 0: Educazione della prima infanzia; • ISCED 1: Istruzione primaria;

• ISCED 2: Istruzione secondaria inferiore; • ISCED 3: Istruzione secondaria superiore;

• ISCED 4: Istruzione post-secondaria non terziaria;

38

http://uis.unesco.org/en/isced-mappings 39

Isced 2011 - operational manual guidelines for classifying National education programmes and related qualifications.

(24)

24

• ISCED 5: Istruzione terziaria a ciclo breve (esempio ITS); • ISCED 6: Bachelor, laurea triennale o equivalente;

• ISCED 7: Master o livello equivalente; • ISCED 8: Dottorato;

Il livello ISCED riflette il grado di complessità e specializzazione del contenuto di un programma educativo, dal fondamento al complesso. Più il programma è avanzato, maggiore è il livello di istruzione. L’ISCED 2011 contribuirà alla produzione di statistiche internazionali ancora più affidabili e comparabili in materia di istruzione, che riflettono l’evoluzione in atto dei sistemi di istruzione in tutto il mondo. Ai fini della mia tesi il focus sarà sull’educazione terziaria, in particolare ai programmi di livello ISCED 6, ma saranno pure trattati al fine di agevolare l’ingresso nell’istruzione terziaria e nel mercato del lavoro le varie riforme relative all’istruzione ISCED 3, 4 e 5. I programmi Bachelor sono spesso progettati per fornire ai partecipanti conoscenze intermedie accademiche e/o professionali, abilità e competenze, che portano a un primo grado universitario o una qualificazione equivalente. Possono comprendere componenti pratici e/o comportare periodi di esperienza lavorativa e studi teorici. Sono tradizionalmente offerti da università e istituti di istruzione terziaria equiparabili. È importante notare che i programmi con un nome simile a “Bachelor” dovrebbero essere inclusi solo nel livello ISCED 6 se sono analoghi nella complessità del contenuto e soddisfano gli altri criteri principali. L’accesso ai primi programmi a livello bachelor richiede normalmente il completamento con successo di un programma di livello ISCED 3 o 4 con accesso all’istruzione terziaria. L’ammissione può dipendere dalla scelta del soggetto e/o dei voti conseguiti ai livelli 3 e/o 4 della classificazione ISCED. Può anche essere necessario sostenere e superare gli esami di ammissione. Anche l’ingresso o il trasferimento al livello ISCED 6 è possibile a volte dopo il completamento con successo del livello ISCED 5 (ITS o istruzione terziaria a ciclo breve, solitamente 2 anni). I programmi a questo livello in genere portano a primi diplomi e titoli simili nell’istruzione terziaria (sebbene gli individui possano aver completato una qualifica ISCED 5 prima di iscriversi a un programma di livello ISCED 6). Per i sistemi in cui i gradi vengono assegnati mediante l’accumulazione del credito, è necessario un ammontare di tempo e intensità comparabili. Il livello di istruzione conseguito a

(25)

25

livello ISCED 6 richiede il completamento con esito positivo - che porta a una qualifica riconosciuta - di un programma che rappresenta una durata minima al livello ISCED 6 di almeno tre anni. Nei paesi dello Spazio europeo dell’istruzione superiore, ciò equivarrebbe ad almeno 180 crediti del sistema europeo di trasferimento dei crediti. Al completamento dei programmi di livello ISCED 6, gli individui possono continuare la loro istruzione a livello ISCED 7 (livello Master), sebbene non tutti i programmi di livello 6 ISCED forniscano accesso al livello ISCED 7. I programmi di livello 6 ISCED di solito non danno accesso diretto ai programmi a livello ISCED 8 (livello di dottorato).

Due dimensioni possono differenziare i programmi a livello ISCED 6: 1) orientamento al programma: Accademico o Professionale;

2) durata e posizione del programma nella struttura nazionale di qualifica e conseguimento che si differenziano in:

 Primo programma di studio di terzo livello con durata teorica cumulativa (livello

terziario) da tre a quattro anni, a livello ISCED 6 (triennale);

 Programma lungo di terzo livello con durata teorica cumulativa (a livello terziario) di più di quattro anni, a livello ISCED 6 (magistrale o a ciclo unico, esempio giurisprudenza o medicina)40;

Di seguito mostrerò alcuni esempi di corsi di laurea di primo livello ISCED 6 in alcuni paesi europei ed extra-europei considerando le variabili sopra evidenziate41: - Danimarca, (professionsbachelor). Questi programmi sono inseriti dopo il

completamento positivo dell’istruzione secondaria superiore (livello ISCED 3). Preparano gli studenti per il lavoro professionale in alcuni campi come ad esempio l’ingegneria. Il grado ottenuto è considerato simile al livello degli altri diplomi di Bachelor, che durano da tre a quattro anni. Al termine, gli studenti possono entrare nella professione dell’ambito conseguito o possono anche avere la possibilità di accedere al programma di un Master.

- Finlandia, (programma di laurea triennale, es. politecnico). Questi programmi preparano per occupazioni con requisiti di alta competenza. Combinano studi teorici (studi di base e professionali) con il lavoro e la formazione pratica. I

40

Isced 2011 - operational manual guidelines for classifying National education programmes and related qualifications.

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programmi prevedono il completamento di un grande progetto di ricerca o tesi. Gli studenti devono aver completato l’istruzione secondaria superiore prima dell’ingresso.

- Germania, (Fachhochschulen - Università di scienze applicate). Questo è un programma quadriennale a livello universitario che si concentra sulle occupazioni che richiedono l’applicazione di risultati e metodi scientifici. Gli studenti devono aver completato almeno i Fachoberschule (ISCED 3 o 4). Conduce ad un primo grado terziario, Diplom.

- Giappone, (College of Technology, corso avanzato convalidato dal NIAD-UE). Anche se per legge questi programmi devono avere una durata minima di almeno un anno, tutti i programmi si estendono per oltre due anni e forniscono una formazione avanzata specialistica. Agli studenti che completano con successo il College of Technology viene assegnato un grado di Bachelor e può passare alla scuola di specializzazione.

- Olanda, (Hoger beroepsonderwijs - HBO - programmi di diploma di livello professionale). I programmi HBO forniscono una formazione teorica e pratica per le professioni per le quali è richiesta una qualifica professionale più elevata. In questi programmi quadriennali di formazione professionale superiore, l’insegnamento è di natura più pratica che nelle università. I campi più comuni studiati sono l’agricoltura, la formazione degli insegnanti, il lavoro sociale e l’educazione alla comunità, l’assistenza sanitaria e le arti.

- Spagna, (Diplomatura Universitaria - Istruzione universitaria - primo grado). Questo è un primo corso di laurea triennale che porta al Diploma Universitario in un campo particolare. I titolari di queste qualifiche possono entrare direttamente nel mercato del lavoro o essere ammessi all’istruzione universitaria di secondo ciclo, molto simile al sistema italiano.

- Svizzera, (haute école spécialisée - corso di laurea triennale). Questi programmi triennali richiedono una “Berufsmaturität/maturité professionnelle” (istruzione ISCED 3 della durata di tre o quattro anni con una componente di istruzione generale sostanzialmente ampliata) per l’ingresso. Preparano studenti per professioni altamente qualificate in campi di studio come architettura,

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27

ingegneria, economia aziendale, design, salute, assistenza sociale, arte e istruzione.

- Tunisia, (Laurea in applicazione). Questo è un primo triennio universitario che richiede il completamento dell’istruzione secondaria superiore con accesso all’istruzione terziaria come condizione minima per l’ammissione. Al termine, i laureati ricevono la laurea in applicazione (Licenza d’uso) in un particolare campo di istruzione che porta al mercato del lavoro e ad un livello superiore di istruzione.

- Regno Unito, (Corso di laurea triennale generale). Si tratta di un primo diploma di terzo livello, assegnato di solito dopo tre anni di studio. Gli studenti di solito devono soddisfare gli esaminatori in una serie di esami annuali o con un sistema di valutazione continua, oltre a sostenere un esame finale di laurea alla fine del programma. La laurea comprende generalmente lo studio di un solo soggetto principale e di uno secondario.

- Stati Uniti, (Corso di laurea generale). Questo è in genere un programma di quattro anni intrapreso presso un college o università. Questi programmi universitari in genere richiedono un diploma di scuola superiore o equivalente per l’ingresso. I laureati possono accedere alla forza lavoro o continuare la loro formazione in programmi di laurea (di master o di dottorato) o di primo livello professionale (legge, medicina, odontoiatria).

1.2.1 Spesa pubblica e/o privata

Storicamente l’Istruzione, intesa come politica di Welfare State, è un argomento che crea divisioni tra le diverse forze politiche, e l’ultima campagna elettorale lo ha confermato.

L’università a zero tasse per gli studenti, proposta da Liberi e Uguali, è già realtà in alcuni paesi europei come quelli scandinavi, la Germania e l’Austria dove se vengono soddisfatti determinati requisiti, si può anche avere diritto ad un sostegno finanziario per potersi pagare le spese di soggiorno. All’opposto, i costi più elevati si registrano in Inghilterra. Entrando nel dettaglio, si evidenzia che in Germania non sono previste tasse per nessuno, appartenenti all’Ue o meno, o al massimo, alcune regioni possono imporre tasse se gli studi non vengono completati in tempo. Anche

(28)

28

Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia non applicano tasse agli studenti dell’Ue. Per gli extra Ue, i singoli istituti possono applicarne di aggiuntive. Ad esempio in Repubblica Ceca non paga nessuno, ma soltanto se è diligente, il programma deve essere completato nei tempi previsti ed in lingua ceca. In Grecia non si paga la triennale, per la magistrale decidono gli istituti. In Francia la laurea triennale costa 189 euro l’anno, la magistrale 260, ma ci vogliono altri 213 euro per le coperture previdenziali. Più robusta è la tassazione in Spagna: da 700 fino a 2.000 euro l’anno per la triennale (più o meno come in Portogallo), fino a quasi 4.000 per la magistrale. Quasi 2.000 euro anche nei Paesi Bassi. In Italia si parte dai 190 euro ma si può sforare la soglia dei 4.200 euro, a seconda del reddito e del programma di studi. In Inghilterra gli studenti fanno un vero e proprio investimento, dovendo sborsare tra i 10 e gli oltre 11.000 euro l’anno per la laurea triennale. Con eventuali aggiunte per chi non fa parte dell’Ue. Stesso discorso per il Galles, mentre la Scozia si distingue per le tasse zero della triennale (ma circa 5.000 euro per la magistrale). In Irlanda si paga fino a 6.000 euro e addirittura quasi 30.000 euro per le magistrali42. Da questa breve carrellata si capisce come ogni Paese adotti un sistema di tassazione dell’istruzione diverso, più opportuno alle proprie caratteristiche strutturali, di governance ed organizzative.

La spesa per l’istruzione include la spesa da parte di governi, imprese, singoli studenti e le loro famiglie. Una porzione della spesa per l’istruzione relativa al PIL dipende in parte dalle diverse preferenze dei vari attori pubblici e privati, sebbene provenga in gran parte da bilanci pubblici ed è attentamente esaminata dai governi. L’Italia nell’istruzione terziaria e nell’educazione degli adulti, investe relativamente poco per lo sviluppo delle competenze. Mentre la spesa per studente sull’istruzione primaria e secondaria in Italia è in linea con la media OCSE, la spesa al livello terziario classifica l’Italia solo al 24° posto tra 35 paesi43

. Sia la spesa pubblica che quella privata sono relativamente basse, con l’Italia che si colloca rispettivamente al 3° posto più basso e all'8° posto più basso, anche se è aumentata negli ultimi anni come percentuale del PIL. Nel 2014, la spesa totale per l’istruzione era solo del

42

Dati da http://www.ilsole24ore.com/ 43

Annual expenditure per student by educational institutions for all services, by_level of education (2014), (www.oecd.org/education/educationat-a-glance-19991487.htm).

(29)

29

4,6% del PIL in Italia, la quinta quota più bassa su 35 paesi dell’OCSE44. Diversi fattori rendono complicata la spesa aggiuntiva per l’istruzione e la formazione, compresa l’impegnativa situazione di bilancio, il fatto che l’Italia non aumenta le entrate nel modo più efficiente possibile e il forte squilibrio tra spesa pubblica corrente come le prestazioni sociali e gli investimenti in beni capitali come le abilità. In Italia si stima che l’83% degli studenti dei corsi universitari paghi le tasse. Queste tasse, come riassunto precedentemente, sono superiori a quelle applicate da altri paesi vicini dell’OCSE come la Francia, l’Austria e la Germania. Nonostante ciò, la spesa privata complessiva sulle competenze in Italia è al di sotto delle medie dell’OCSE.

Investimenti pubblici relativamente bassi possono anche rappresentare un ostacolo all’apprendimento al di fuori della scuola. La mancanza di sostegno finanziario per gli investimenti in competenze influisce sui risultati oltre l’istruzione iniziale. Di fatto, la scarsa spesa per l’istruzione terziaria ha un impatto negativo sulla qualità dell’istruzione. Ciò si verifica in particolare quando una quota relativamente ampia di studenti a basso reddito non riceve i fondi necessari (sostegno finanziario) per accedere all’istruzione45

. Inoltre, tenendo conto della situazione di bilancio nel Paese, è importante determinare in che modo il costo dei titoli universitari può essere meglio condiviso tra studenti, datori di lavoro e società, dato che tutti beneficiano degli investimenti in competenze. La recente ricerca dell’OCSE ha dimostrato che i costi totali per l’università, non solo tasse, possono presentare particolari sfide finanziarie per coloro che provengono da ambienti svantaggiati, in quanto le loro famiglie potrebbero non essere in grado di sostenerli mentre studiano. Per questo motivo, la maggior parte dei Paesi dell’OCSE sostiene ulteriormente l’accesso all’istruzione terziaria attraverso borse di studio e proventi, o attraverso una riduzione della tassazione del reddito da lavoro degli studenti. In Italia, relativamente pochi studenti ricevono borse di studio o sovvenzioni46. Anche l’entità

44

Source: OECD (2017), Education spending (indicator), https://data.oecd.org/eduresource/education-spending.htm, Public spending on education (indicator), Private spending on education (indicator). 45

European Commission/EACEA/Eurydice, 2016. National Student Fee and Support Systems in European

Higher Education – 2016/17. Eurydice Facts and Figures. Luxembourg: Publications Office of the

European Union. 46

La quota italiana di studenti che pagano le tasse è superiore alla media europea, ma la quota di studenti che ricevono borse di studio è inferiore alla media, Source: National Student Fee and Support Systems in European Higher Education – 2016/17 (European Commission/EACEA/Eurydice, 2016).

(30)

30

del sostegno alle sovvenzioni è modesta, da 1.925 euro a 5.108 euro, con un valore medio di 3.347 euro, pari a circa il 12% della retribuzione media annua lorda. Questo valore è inferiore al valore medio disponibile in Francia (5.551 euro) e in Germania (5.376 euro). La scarsità di finanziamenti ha aumentato l’onere finanziario per gli studenti e le loro famiglie negli ultimi dieci anni. L’Italia che appartiene al gruppo dei paesi continentali europei in cui l’iscrizione alle università è relativamente poco costosa con la legislazione recente, con la legge di stabilità 2017, cerca di rafforzare il diritto all’istruzione (“Diritto alla Studio”) e stanzia fondi supplementari (55 milioni di euro nel 2017 e 105 milioni di euro nel 2018) per ridurre le tasse studentesche e tamponare la riduzione delle entrate delle università. Inoltre, la legge assegna fondi per concedere più borse di studio a studenti idonei e generare un aumento del 10% sulle borse di studio (per un totale di circa 154.000 nel 2017)47. Questi sforzi sono validi ed efficaci per migliorare l’accesso degli studenti bisognosi all’istruzione terziaria, ma è ancora necessario un ulteriore sostegno per le sovvenzioni per aumentare la partecipazione all’istruzione terziaria. Nel complesso, lo studente medio guadagna finanziariamente dal proprio investimento nell’istruzione terziaria. Mentre i loro guadagni devono aumentare del 17% per recuperare i costi della loro istruzione terziaria, il premio medio guadagni è del 56% più alto di quelli che non hanno un diploma di terzo livello. La differenza (39%) è puro ritorno sull’investimento di competenze per un tipico studente terziario48. Questo scarto significa che l’istruzione terziaria paga per lo studente medio in Italia. Secondo il ragionamento fatto e la teoria descritta nel paragrafo 1.1 la convenienza ad istruirsi dipende unicamente dalla seguente condizione:

(W2S/ W2N -1)/(1+R)>(W1N +C)/ W2N

Per cui ogni individuo potrebbe scegliere individualmente se istruirsi o meno e lo Stato non dovrebbe interferire con questa decisione. Oltretutto, anche qualora un individuo non potesse permettersi di sostenere i costi del primo periodo, potrebbe prendere del denaro a prestito nel primo periodo e restituirli nel secondo.

Eppure, come ho mostrato appena adesso, nella maggior parte dei paesi avanzati (e anche meno avanzati) l’istruzione viene fornita in maniera significativa dal settore pubblico. Sorge quindi spontanea la domanda su quali possono essere le ragioni per

47

OECD (2017), Taxation and Skills, OECD Tax Policy Studies, n.24, OECD Publishing, Paris. 48 OECD (2017), Education at Glance.

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