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Nel documento La nostra idea di Universitas (pagine 51-53)

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Il disegno futuro, data l’urgen- za, non potrà basarsi, ancora una volta, su compromessi tra “grup- pi interni” di potere all’università – che con le numerosissime uscite dei docenti dai differenti settori scientifico disciplinari potranno cambiare “profilo” – bensì su un disegno strategico ad hoc.

La programmazione degli acces- si e delle modalità di richiesta dei posti da mettere a concorso, in relazione alle effettive esigenze delle attività di formazione e di ricerca che si modificano nel tem- po, è irrinunciabile, pena il veri- ficarsi di vere e proprie “emorra- gie” di docenti, in determinate aree di studio.

Ad esempio, come risulta dal Rapporto annuale, entro il 2015 uscirà dall’università, per limiti d’età, circa il 32% dei professori ordinari delle aree delle Scienze fisiche e di Ingegneria civile e Ar- chitettura».

Immatricolati e occupazione

Il secondo aspetto richiamato da Biggeri riguarda una tendenza, nel comportamento delle poten- ziali matricole, che desta qualche preoccupazione e induce a un’at- tenta analisi.

Premesso che nell’arco di otto

anni si è passati dal picco di oltre 338mila immatricolati del 2003- 04 ai circa 293mila del 2009-10, emerge ora una novità.

Il mancato proseguimento degli studi appare più vistoso, sul terri- torio, nelle zone dove il mercato del lavoro offre maggiori chances occupazionali.

In sostanza, si registra una rela- zione inversa fra la quota dei ma- turi che si immatricolano e il tasso di occupazione.

Al Nord, dove il tasso di occupa- zione è più elevato, sembra che i giovani preferiscano “trovare un posto di lavoro” piuttosto che iscriversi all’università.

Nel Nord-Est, a fronte di un tasso di occupazione del 62,9%, la per- centuale di maturi che si iscrivo- no all’università è del 59,8%. Nel Mezzogiorno d’Italia e nelle Isole si verifica il contrario: la per- centuale di maturi che si iscrivo- no all’università è del 62,1%, a fronte di un tasso di occupazione del 50,5%.

Al centro, dove il tasso di occupa- zione è pari al 58,6%, la percen- tuale di maturi che si immatrico- lano è pari al 67,7%.

Esaminando la relazione tra do- manda potenziale e domanda ef- fettiva di formazione universita-

ria, una chiave di lettura viene of- ferta dal confronto a livello terri- toriale (provinciale e regionale) tra i maturi delle scuole di ciascu- na provincia, nell’a.s. 2007-08, con gli immatricolati al sistema universitario, nell’a.a. 2008-09, residenti della stessa provincia. I risultati dell’analisi, mettendo in evidenza le caratteristiche del mercato del lavoro delle singole province, mostrano che l’indica- tore di proseguimento degli studi dalla scuola superiore all’univer- sità presenta differenze non ba- nali tra le varie province.

I valori più alti si hanno in quel- le di Teramo, Bologna, Isernia e

Rieti (con oltre 80 immatricolati ogni 100 maturi), mentre i valori più bassi si registrano nelle pro- vincie di Catania, Sondrio e Ver- celli (con una percentuale di im- matricolati su maturi tra il 40% ed il 50%).

Nell’ambito delle rilevazioni del Rapporto, merita attenzio- ne la contrazione del numero di diciannovenni che si immatri- colano, subito o dopo qualche anno, accedendo al sistema uni- versitario.

Negli ultimi tre anni la percen- tuale è in continua diminuzione: nel 2008-009 è del 48,8%. Nel 2007-08 era del 50,8%, mentre

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nel 2003-2006 si era attestata al 56%.

L’università italiana, quindi, at- trae meno di un diciannovenne su due, rispetto a quanto accade in molti paesi stranieri (e occorre chiedersi se questo non sia frut- to dell’incertezza occupazionale che colpisce anche chi ha prose- guito gli studi, ndr).

Il terzo aspetto, anch’esso inedi- to rispetto alle precedenti inda- gini condotte attraverso i Nuclei dal Cnvsu, si concentra sul fatto che ad attrarre i maturi più bravi (quelli con voto di diploma fra 90 e 100) siano prevalentemente al- cuni atenei non statali.

Nell’elenco spiccano la Luiss di Roma (con il 68,1%), la Bocconi di Milano (con il 58,0%), il Campus Biomedico di Roma (con il 52,6%) e il San Raffaele di Milano (con il 52,5%), seguite dall’Università della Calabria e dal Politecnico di Bari, con il 40,8%. Viceversa, si ri- leva come sia davvero modesta la percentuale di immatricolati con voto di maturità 90-100 nelle uni- versità telematiche.

I dati evidenziano come il passag- gio dei maturi all’università sia fortemente condizionato, oltre che dal tipo di facoltà, anche dal territorio.

Il quadro delineato dal Rapporto sottolinea punti di forza e di de- bolezza: tra i primi, il fatto che il nostro sistema universitario si colloca al 10° posto al mondo e al 5° in Europa nella valutazione internazionale, ed è al 1° posto in Europa per l’accessibilità. Però figura al 27° posto per flagship, ovvero per la qualità delle primis- sime università.

Fra i punti di debolezza, la spesa per l’istruzione universitaria, pari appena allo 0,8% del Pil.

Anche l’incidenza della spesa per l’università sulla spesa pubblica, pari all’1,6%, è la più bassa fra tutti i paesi Ocse, dove si registra un valore medio del 3,2%.

Infine, fra i punti di debolezza figura anche la minore capaci- tà dell’Italia di catalizzare do- manda di formazione di primo livello, considerato che nei paesi Ocse circa 56 giovani ogni 100 si iscrivono a corsi di studio di tipo A (equivalenti a quelli di primo livello, per l’Italia), contro il 51% dell’Italia. Il dato italiano, infe- riore sia alla media Ocse che alla media europea (EU19), è tuttavia migliore di quello di diversi paesi, tra i quali il Giappone, la Spagna e la Germania.

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Isabella Ceccarini

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