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Uomini primitivi e fanciulli dell’umanità: il recupero di memoria, fantasia e ingegno nello sviluppo della storia universale

3. Dalle intuizioni giovanili al pensiero maturo: la riflessione sul linguaggio come filo conduttore

3.3. Uomini primitivi e fanciulli dell’umanità: il recupero di memoria, fantasia e ingegno nello sviluppo della storia universale

Il fatto che Vico arrivi a individuare come «chiave maestra» della nuova scienza gli universali fantastici è indice della vastissima fiducia da lui maturata nei confronti delle tre facoltà di memoria, fantasia e ingegno di cui sopra abbiamo

parlato in riferimento alla riflessione giovanile. La fatica dell’itinerario intellettuale che lo ha condotto fin lì è sottolineato dal filosofo, quando si riferisce a esso

dicendo che gli è costato «la ricerca ostinata di quasi tutta la […] vita letteraria»486.

Diversamente da altre espressioni iperboliche utilizzate per scopi strategici, al fine di far meglio esaltare il proprio valore (si pensi, per esempio a quelle presenti nell’autobiografia), quella in questione non pare una semplice esagerazione, se si pensa che grazie alla sua scoperta Vico può fare un’affermazione apparentemente paradossale, che lo conduce a parlare delle «favole», dicendo che sono state

«favelle vere»487. Inoltre, la dimostrazione che la fatica di cui Vico parla in

rapporto agli universali fantastici non serve semplicemente a enfatizzarne il ruolo, ma corrisponde a verità, dovrebbe essere trovata anche nel fatto che essa è stata introdotta solo nella seconda Scienza nuova, quindi dopo diversi anni da quando le

riflessioni sul mondo umano e sulla sua evoluzione hanno avuto inizio488.

Così, pare che Vico legga l’aspetto essenziale del suo percorso intellettuale come una ricerca degli universali fantastici. Ciò significa che la fantasia (sempre intesa nel suo intreccio con memoria e ingegno) è la condizione stessa della fondazione della nuova scienza ed è ciò che ne garantisce tanto gli elementi di novità, quanto la definizione stessa di «scienza». Quest’ultima garanzia è legata al forte potenziale gnoseologico che viene riferito alle tre facoltà.

486 Ibidem. 487 Op. cit., p. 75. 488

Per una ricostruzione sulla durata delle riflessioni che avrebbero portato Vico all’elaborazione degli universali fantastici si veda Verene, Vico: la scienza della fantasia, cit., p. 69.

Certamente decisivo è stato il ripensamento di memoria, fantasia e ingegno rispetto alla riflessione giovanile. Questa rielaborazione presenta, però, caratteri di grande continuità rispetto al contesto della sua nascita e tale continuità è garantita da un principio interpretativo che Vico fa valere nella Scienza nuova e che consiste in un parallelismo fra ontogenesi e filogenesi. Da questo punto di vista Vico risente certamente della teoria ampiamente diffusa nel XVIII secolo, in cui è molto forte l’accostamento della mentalità dei bambini a quella dei primitivi e dei selvaggi. Così è possibile scoprire «le vere sentenze poetiche, che debbon essere sentimenti

vestiti di grandissime passioni, e perciò piene di sublimità489 e risveglianti

maraviglia490»491. Nel paragrafo che abbiamo precedentemente dedicato alle tre

facoltà, abbiamo parlato di ognuna separatamente, al fine di fornirne una caratterizzazione il più possibile completa che tenesse conto dei diversi contesti in cui memoria, fantasia e ingegno compaiono nella riflessione giovanile. In realtà, tralasciando gli scopi espositivi, per una più adeguata comprensione del pensiero vichiano è necessario soffermarsi sul loro intreccio, talmente forte da aver

addirittura spinto qualcuno a parlare di un’unica facoltà da definirsi «MFI»492. In

effetti, certamente, quando Vico si riferisce a esse ha in mente un’unica attività,

489

È qui che si fa sentire con più intensità l’eco longiniana, sulla cui concezione del sublime ci siamo soffermati nel primo capitolo.

490 Si ha, qui, il completo capovolgimento della teoria barocca, per cui la meraviglia era il fine supremo della poetica che veniva ottenuto attraverso un uso molto sapiente delle strategie espressive. Adesso essa viene provata dai rozzi primitivi, incapaci di qualsiasi operazione intellettuale, quindi condotti allo stupore per la loro stessa natura ingenua. Ma ciò sarà ancora più evidente in un altro passo ( cv. 184 ) dove Vico dirà esplicitamente: «La maraviglia è figliuola dell’ignoranza», quindi non deriva più, come volevano i trattatisti del Seicento, da una profonda cultura, unita al costante esercizio tecnico. Cfr. Battistini, Note a Vico, Princìpi di scienza nuova, p. 627, p. 663.

491

Vico, Princìpi di scienza nuova, p. 75.

una sorta di «forza spirituale»493, ancora del tutto corporea, la quale crea i caratteri

poetici e la cui «creazione, il segno poetico, è un’unità corporeo-spirituale»494.

Già negli scritti giovanili sono presenti i primi indizi di questa unità, infatti è evidente, fin da subito, il fatto che, nell’individuo, ognuna di esse, per essere efficace, non può fare a meno delle altre. Vengono, infatti, rifiutati i tentativi di fare della memoria una tecnica, come la consideravano i trattatisti rinascimentali e barocchi, o dell’ingegno un espediente in grado di far raggiungere esiti più sorprendenti dal punto di vista esornativo, proprio perché è già presente la consapevolezza che ciò su cui bisogna insistere è, invece, il potenziale gnoseologico di tali facoltà. Ciò richiama, naturalmente, la topica e, quindi, un loro stretto e costante contatto. Il fatto che gli universali fantastici, almeno stando al nome, si mostrino legati alla fantasia non deve assolutamente far credere che vengano messi da parte memoria e ingegno.

Anzi, in questo caso la loro azione d’insieme diviene più che mai evidente: se la memoria tiene a mente i dati percepiti una volta, la fantasia li ingigantisce e l’ingegno crea le connessioni di cui è capace. Così, questa complessa e articolata, ma unitaria, facoltà sprigiona una forza di grado così elevato da giungere a un

livello di universalità, pari a quella del concetto495. Nel fare ciò Vico riesce, infatti,

a non confondere mai il suo universale con quello della ragione, ma senza che ciò gli impedisca di erigere su queste basi una vera e propria filosofia. Questa

493 Trabant, La scienza nuova…, cit., p. 34. 494

Ibidem.

peculiare concezione dell’universale, che colloca il filosofo napoletano al di là delle tradizionali categorie filosofiche, ha spinto Benedetto Croce a ritenere l’universale fantastico il più grande errore del pensiero di Vico, perché esso si mostrerebbe incapace di legare il particolare della fantasia e il concetto universale e, così, risulterebbe essere una contraddizione in termini.

All’astrazione che siamo soliti associare al processo di universalizzazione si sostituisce il potenziale immaginativo di cui sono dotati gli uomini dei primordi. Il dato particolare viene, così, innalzato a ritratto ideale, senza che ci sia alcuna consapevolezza di questo passaggio e tale inconsapevolezza non solo non impedisce, ma fa sì che quella prorompente forza fantastica esploda nella creazione di un mondo di senso. In questo senso, l’universale fantastico rappresenta il giusto equilibrio fra le tendenze mentalistiche (che farebbero volentieri a meno di ogni dato sensibile) e quelle empiristiche (che, al contrario, oltre il dato sensibile non riescono a vedere) e si presta a una lettura che ne fa «corpo ingegnoso del vero e

[…] realtà fantastica dell’idea»496

.

Il canone ermeneutico497 basato sul parallelismo fra ontogenesi e filogenesi

viene, qui, fatto valere e giustificato da vari punti di vista. La convinzione che i primitivi siano i fanciulli dell’umanità gli deriva dall’elaborata psicologia infantile che trova spazio nei primi scritti. Innanzitutto, dev’essere messo in connessione col tema degli inizi di cui abbiamo parlato già in precedenza, perché alla stessa maniera in cui nella Scienza nuova ha luogo la ricerca dei fondamenti del sapere

496

Patella, Senso, corpo, poesia, cit., p. 142.

umano o nel Diritto universale quella rivolta alle origini del vivere associato ( e, dunque, la prospettiva è filogenetica ), nel De ratione l’attenzione si rivolge alle

origini del processo educativo498 (e, quindi, si ha una prospettiva ontogenetica). Ma

il parallelismo diviene tanto più evidente quando ci si interroga sullo statuto di tali fondamenti: in entrambi i casi, se guardiamo tanto alla specie quanto all’individuo, il momento dell’origine si mostra in intima connessione con la dimensione retorica. E ciò, stando ancora alla degnità che pone la corrispondenza di natura e nascimento è di grande importanza. Nello specifico, tale corrispondenza si evidenzia nell’insistenza su alcuni aspetti, fra i quali risaltano le facoltà a cui abbiamo fatto riferimento.

Ciò che a Vico interessa è trovare i principi in virtù dei quali si può parlare di «umanità» - in senso individuale o collettivo - . E li ritrova, effettivamente, grazie a una scoperta di grande importanza che lo porta ad affermare che la mente dei fanciulli, così come quella degli uomini primitivi è ancora interamente

«corpolenta»499. In questo senso dev’essere interpretato l’intento di rivolgersi alle

modificazioni della mente umana, nelle quali si scopre che «i primi uomini del gentilesimo, semplici e rozzi, per forte inganno di robustissime fantasie, tutte ingombre da spaventose superstizioni, credettero veramente veder in terra gli

dèi»500. L’accento dovrebbe ricadere, forse, sull’avverbio «veramente» : nel

fingersi un mondo fatto di dèi, i primi uomini non hanno affatto la consapevolezza della finzione. Essi credono davvero che il cielo sia Giove, il mare Nettuno e la

498 Cfr. ibidem. 499

Cfr. Trabant, La scienza nuova…, cit., p. 160. 500 Vico, Princìpi di scienza nuova, cit., p. 51.

terra Cibele, proprio come i bambini che, nei loro giochi, credono di avere a che fare con oggetti animati. Ciò che manca loro è il riconoscimento di quel «come se» che segna il distacco fra la finzione e la realtà: i primitivi fingono senza sapere di fingere, si comportano come se il cielo fosse Giove, senza avere coscienza della distinzione fra i due piani del discorso. Ecco perché i loro miti sono «favelle vere» e non finzioni consapevoli.

Ciò è dovuto all’intensità di memoria, fantasia e ingegno, tanto nei bambini, quanto nei primitivi. Infatti, osserva Vico nella degnità XLVIII: «È natura de’ fanciulli che con l’idee e nomi degli uomini, femmine, cose che la prima volta hanno conosciuto, da esse e con essi dappoi apprendono e nominano tutti gli

uomini, femmine, cose c’hanno con le prime alcuna somiglianza o rapporto»501

e ciò vale nella stessa misura per gli uomini primitivi, i quali, ricorda Vico, facendo

riferimento al caso degli egizi di cui parla un «luogo d’oro» di Giamblico502, già

citato nella degnità XII, «tutti i ritruovati utili o necessari alla vita umana

richiamavano a Mercurio Trimegisto»503. Questo riferimento permette a Vico di

dimostrare che i primi uomini «come fanciulli del gener umano, non essendo capaci di formar i generi intelligibili delle cose, ebbero naturale necessità di

fingersi i caratteri poetici»504.

501 Vico, Princìpi di scienza nuova, cit., p. 147. 502

Vico tenta, tramite il riferimento a Giamblico, di capovolgerne l’ipotesi colpevole di «boria»: Mercurio Trimegisto non sarebbe stato un particolare uomo ricco di sapienza riposta, poi consacrato a divinità, ma un carattere poetico «de’ primi uomini dell’Egitto sappienti di sapienza volgare, che vi fondarono prima le famiglie e poi i popoli che finalmente composero quella gran nazione» ( Vico, Princìpi di scienza nuova, cit., p. 103). 503

Ibidem.

Occorre ricordare che in questo contesto Vico stesso ci invita a considerare nella loro unione le facoltà o per lo meno memoria e fantasia, le quali vengono presentate nella loro identificazione, secondo un’intuizione che è presente già nel

De ratione, sebbene non ancora del tutto accolta all’epoca. L’equazione viene,

però, fissata già ai tempi del De antiquissima e viene ribadita nelle Polemiche505,

per poi essere riconfermata in questo nuovo contesto. Il fatto che la fantasia non sia altro che «memoria o dilatata o composta» rappresenta il «principio dell’evidenza

dell’immagini poetiche che dovette formare il primo mondo fanciullo»506

grazie alla grande forza imitativa di quelle menti invase dai sensi.

I miti dei primitivi, sono, proprio in virtù di tutto ciò, «favelle vere» che ci sono arrivate ricoperte di falso, a causa della nostra «mente pura» che ci rende coscienti dello scarto fra particolare e universale e ci porta a leggere come un processo che avviene per passaggi ciò che quei primitivi si realizzava in un atto immediato e spontaneo. A conferma di tale distanza fra la loro e la nostra capacità fantastica, Trabant ricorda la propria incapacità di richiamare alla mente dettagliatamente la dipintura che apre la Scienza nuova: «Mentre scrivo queste righe, cerco di ricordare, senza esaminare l’immagine, quel che vi si può vedere: so che la dama metafisica sta in equilibrio su un altare, che il raggio di Dio, da un occhio triangolare nel cielo, viene proiettato sul suo cuor e da questo cuore viene a sua volta riflesso. Da qualche parte vi è una statua di Omero. Davanti all’altare vi sono strumenti di ogni genere: mi ricordo di un fascio littorio, dell’elmo alato di

505

Per questa ricostruzione cfr. Battistini, Note a Vico, Princìpi di scienza nuova, cit., p. 667. 506 Vico, Princìpi di scienza nuova, cit., p. 148.

Mercurio, di una tavola alfabetica, di una bilancia. Ma il mio ricordo dell’allegoria visiva della Scienza nuova mi sembra molto meno forte del ricordo che ho di quel che il libro dice a parole […]. Vico sottolinea continuamente la difficoltà per noi moderni di poter comprendere il pensiero fantastico dei primordi. E con l’inizio alinguistico del suo libro ci mette per così dire subito alla prova. Ci mostra, sin da principio, come dovremo pensare l’origine selvaggia, tenendo cioè presente il suo libro come immagine. E nella misura in cui questo non mi riesce, sono un tipico

uomo moderno»507.

Lo sforzo ermeneutico che Vico mette in atto per comprendere così in profondità tempi tanto lontani non è per nulla indifferente ed è, infatti, sottolineato da una serie di espressioni che testimoniano la difficoltà immane dell’impresa. Il problema deriva dal fatto che la nostra fantasia è infinitamente più debole di quella dei primi uomini e, quindi, dobbiamo trovare un’altra via d’accesso alle loro menti. A venirci in aiuto, come accennavamo prima, è proprio l’intelletto che ci consente di spogliarci, per quanto possibile, della nostra ingentilita natura, a causa della quale ci è «affatto impossibile immaginare e a gran pena ci è permesso

d’intendere»508

. A tal proposito può essere interessante riportare un’osservazione di Verene, il quale, discutendo di tematiche concernenti il tipo di approccio da attuare nei confronti di Vico, nota che il pensiero del napoletano dev’essere compreso dall’interno. In particolare, per quanto riguarda la Scienza nuova, osserva che per comprenderla è necessario entrare nella dimensione mentale che le è propria e

507

Trabant, La scienza nuova…, cit., pp. 174-175. 508 Ibidem.

inoltrarsi nei suoi processi interni509. Ciò «presuppone la possibilità di rimettere in circuito gli elementi della Scienza nuova non, naturalmente, nel modo stesso in cui

Vico li poneva in gioco»510. Si tratta, quindi, di fare un lavoro molto simile a quello

che Vico fa per i suoi autori e ciò ha particolare utilità per la comprensione delle questioni inerenti al mondo di memoria, fantasia e ingegno, al quale ci si può accostare correttamente solo cogliendo la flessibilità dei termini coinvolti e la loro possibilità di essere usati in ambiti diversi da quelli nei quali sorgono.

È chiaro che per rivolgersi opportunamente alle tre facoltà sia necessario compiere uno sforzo eroico, che Vico stesso mette in atto nel tentativo di immedesimarsi nelle menti dei primitivi e i cui princìpi vengono, in altro contesto, teorizzati nel De mente heroica. Forse, allora, come osserva ancora Verene, provando a calarsi in quel contesto, proprio come Vico cerca di fare per quanto riguarda gli inizi della storia umana, si può anche affermare che il divino piacere che la Scienza nuova promette ai suoi lettori debba scaturire dalla capacità di far

nascere dentro di sé la storia delle idee umane511. Mettendo in atto questo sforzo

ermeneutico si può ben comprendere l’affermazione secondo cui i primi popoli della gentilità sono stati, per necessità di natura, poeti i quali parlavano per «caratteri poetici» (poco più avanti chiamati «generi fantastici»), cioè «immagini,

per lo più di sostanze animate o di dèi o d’eroi, formate dalla lor fantasia»512

. La fantasia, quindi, dà origine a una prima forma di linguaggio, a quei caratteri divini

509 Cfr. Verene, Vico: la scienza della fantasia, cit., p. 18. 510 Ibidem.

511

Cfr. Verene, Vico: la scienza della fantasia, cit., p. 20. 512 Vico, Princìpi di scienza nuova, p. 74.

di cui Vico si propone di scoprire le allegorie. Ora, l’allegoria, come si sa, è una figura retorica che presenta una base concettuale molto consistente. Essa, infatti, significa propriamente «“discorso altro”, diverso da ciò che è in apparenza, discorso che sta per un altro discorso, in definitiva discorso col quale si dice una cosa per farne intendere un’altra» e dove «al senso letterale si trova associato nell’espressione un senso spirituale o intellettuale che non solo è quello che si ha principalmente di mira, ma che il primo è anche destinato a rendere più

efficace»513. L’allegoria, quindi, presuppone anzitutto la consapevolezza di avere a

che fare con due discorsi diversi ( uno associato al senso letterale, l’altro al senso figurato), poi la capacità e l’intenzione di usarne uno al posto dell’altro e, infine, una conoscenza tale da avere la certezza che il significato che si vuole rendere sia reso meglio dall’utilizzo dell’altro.

Nulla di tutto ciò ha luogo presso i «primi poeti teologi»: per spiegare il funzionamento delle loro menti, Vico deforma completamente la categoria che gli arriva dalla tradizione. Liberandola da tutti gli aspetti intellettualizzanti, può

affermare che essa contiene «sensi non già analoghi ma univoci»514 perché gli

uomini primitivi, essendo totalmente immersi nei sensi, procedono spontaneamente

per questa via e lo fanno per «povertà di parlari e necessità di spiegarsi»515. Le loro

menti non procedono per somiglianza (la quale implicherebbe la consapevolezza

513 Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, trad. di Gabriella Alfieri, Il Mulino, 1996, p. 261. 514

Vico, Princìpi di scienza nuova, cit., p. 75. 515 Ibidem.

dell’approssimazione e, ancora, della presenza di un «come» fra i due termini del

discorso), bensì per identità516.

Oltre a essere «univoci» i sensi delle favelle primitive, sono «non filosofici ma

istorici»517. Ciò può apparire di difficile comprensione, a una prima lettura, perché

l’aggettivo «istorico» generalmente non viene associato a ciò che è universale, visto che ciò che è storico è anche concreto e, dunque, particolare. Ma ricordiamo che «particolare» è sinonimo di «certo» e, dunque, nella filosofia vichiana, va a corrispondere col vero e il vero umano si esplica precisamente nella creazione degli universali fantastici che, infatti, prendono le mosse dal particolare concreto e storico. Così, anche i generi di cui parla Vico sono «fantastici» e non «intelligibili», quindi non hanno nulla dell’astrazione dei tempi filosofici. Ciò significa, per rifarci all’esempio di Battistini, che mentre «l’uomo moderno può affermare di qualcuno che è “come Ulisse” o che è “ un Ulisse”, per sostenere che possiede qualità avvicinabili al “tipo” ideale » (e, quindi, ha, anzitutto, in mente, anzitutto l’idea di questo «tipo» e, inoltre, è in grado di capire in virtù di quali caratteristiche un particolare uomo può andare sotto quella rappresentazione), «i primi uomini avrebbero dichiarato che quell’individuo “è Ulisse”, identificandolo

perfettamente con un archetipo personificato, perché incapaci di astrazione»518 e il

senso di tutto ciò è storico perché la formazione degli universali fantastici non scaturisce da pensieri o riflessioni, ma sempre da situazioni concrete. In questa operazione così immediata e spontanea agiscono in maniera unitaria memoria,

516 Cfr. Battistini, Note a Vico, Princìpi di scienza nuova, cit., p. 627. 517

Ibidem.

fantasia e ingegno, sebbene, come abbiamo mostrato in precedenza, ognuna delle tre facoltà abbia un ruolo peculiare.

Capire in che senso Vico le concepisca in maniera unificata può non essere semplicissimo, perché di esse parla in contesti diversi, dicendo cose che non sempre corrispondono perfettamente. Abbiamo visto come le tre facoltà vengano utilizzate in ambito pedagogico, in che ordine si presentino nell’individuo e come le si debba coltivare per fare in modo che non vengano distrutte dall’inflessibile metodo cartesiano. Dire che «la fantasia è tanto più robusta quanto è più debole il

raziocinio»519 (degnità XXXVI) significa non soltanto riconoscere un valore

autonomo alla fase umana che non ha ancora conosciuto la ragione, ma anche