Dopo la morte di Gheddafi per la Libia si aprì la fase della cosiddetta transizione politica, ossia quella fase che segue la fine di un periodo storico e l’inizio di un altro. Nel caso della Libia questa transizione aveva il delicatissimo compito di traghettare il Paese dalla fine della guerra civile all’inizio di un processo politico liberal-democratico che vedesse la partecipazione dei cittadini. Questo compito fu assunto dal CNT che si autoproclamò come organismo d’autorità centrale posto alla guida di un necessario processo di riconciliazione nazionale che aveva come obiettivo la creazione di nuove istituzioni, il rilancio di un’identità nazionale e la realizzazione di un equilibrio tra le varie componenti di controllo e potere in Libia. D’altronde il collasso del regime di Gheddafi condusse ad una fase di forte destabilizzazione del Paese, frutto principalmente della nuova interrelazione tra i tre livelli identitari presenti nel Paese: identità nazionale, appartenenza regionale e affiliazione clanica-tribale1. Data la
complessità delle forze in gioco durante il conflitto, gli interessi economici in ballo e la violenza stessa perpetrata durante gli otto mesi di guerra civile sia dai lealisti che dai ribelli nei confronti dall’altro schieramento e popolazioni di riferimento, il Paese si trovò all’alba del 2012 non solo in una difficile fase di “State building” ma anche di “Nation building” dato che, come visto nei capitoli precedenti, lo sviluppo di una vera e propria identità nazionale non si era mai formata realmente nel corso della breve storia della Libia, ma piuttosto fu creata artificialmente dalle autorità al potere usandola in modo strumentale ai propri fini di legittimazione popolare.
La fine della guerra civile segnò l’inizio di un periodo in cui grandi speranze di riscatto sociale e politico erano affiancate da grandi paure di derive fondamentaliste e autoritarie. Il quadro politico della Libia post-Gheddafi si caratterizzava dalla presenza di forze centrifughe e forze centripete che influenzavano il percorso futuro del Paese. Le prime erano elementi che creavano un’instabilità del contesto interno e ponevano grosse difficoltà di affermazione di una pacificazione nazionale; le seconde invece
1 A.CARATI,A.VARVELLI, Il futuro della Libia e dell’Afghanistan tra debolezze interne e intervento
esterno, in “Osservatorio di Politica Internazionale”, a cura dell’ISPI, Approfondimento n. 37, giugno 2011, pp. 3-20.
concorrevano a mantenere unito il Paese e a sviluppare linee di condotta capaci di dare avvio ad un’effettiva transizione politica in favore dell’affermazione di un sistema liberal-democratico. Per quanto riguarda le forze centrifughe rientravano in esse le fazioni e le milizie, i nuovi partiti politici e i regionalismi. Delle forze centripete, invece, facevano parte l’Islām e l’identità nazionale, l’autorità centrale e la struttura di
rentier state2.
La fine delle ostilità e la disgregazione delle forze militari del regime di Gheddafi ebbe come esito l’occupazione del territorio libico e delle città liberate da parte delle milizie ribelli (tuwwar) che col passare del tempo divennero veri e propri micro-gruppi di potere con un controllo territoriale circoscritto. Nonostante il CNT cercò di spingere i vari componenti delle milizie a lasciare la lotta armata ed entrare nell’esercito regolare, quest’ultimo in realizzazione sin da prima della fine della guerra civile, la maggior parte delle milizie preferì non deporre le armi e questa scelta finì per costituire entità autonome di governo all’interno del Paese che svolgevano un ruolo di mantenimento dell’ordine, fuori però da un quadro di diritto civile. Un elemento interessante fu anche il rapporto che si instaurò tra le varie milizie e l’autorità centrale nazionale del CNT. Naturalmente con differenze più o meno sostanziali tra le varie formazioni, il riconoscimento dell’autorità del CNT da parte delle milizie fu solo parziale, anzi si instaurò un rapporto principalmente basato su rivendicazioni politiche nel quale il Consiglio Nazionale veniva costantemente ricattato con l’uso della forza e in funzione dell’ottenimento dell’autorità su determinati territori. Famoso fu il caso dell’arresto di Saif al-Islam da parte della brigata dei ribelli della città di Zintan che permise al leader militare della brigata, Osama Juwaili, di ottenere una partecipazione di rilievo nel governo che si stava costituendo, divenendo Ministro della Difesa3. Inoltre, alcune di queste milizie occuparono luoghi strategici della Libia, dai porti agli aeroporti fino a città intere arrivando ad occupare anche raffinerie e centri di produzione petrolifera (anche se questo tipo di occupazioni dei poli energetici si ebbe soprattutto dal 2013 in poi), garantendo l’ordine, sostituendosi alle forze di polizia e all’esercito e allo stesso tempo impedendo al CNT di avere il legittimo monopolio dell’uso della forza. Un altro aspetto caratterizzante delle milizie fu la loro continua lotta per occupare territori
2 Osservatorio di Politica Internazionale, La Libia dopo Gheddafi, a cura dell’ISPI e del CeSPI,
Approfondimento n.52, marzo-aprile 2012, pp. 3-17.
3 Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali, Dal Colonnello alle milizie, (http://www.cesi-
strategici della Libia, arrivando spesso al confronto armato vero e proprio, come fu il caso degli scontri tra le milizie di Zintan e quelle di Misurata alla periferia di Tripoli, per imporre l’autorità nella capitale. La Misurata Sadoon Swayhil Legion emerse come una delle milizie più attive, potendo contare su 20 mila uomini su una popolazione complessiva di circa 350 mila persone4. L’approccio del CNT dinanzi a questa aspra rivalità fra le due milizie fu quello classico che adottò durante tutto il suo mandato, ossia riconoscere a entrambi i gruppi i meriti della liberazione della Libia assegnando a figure di rilievo delle due città un ruolo interno al governo provvisorio; Juwaili di Zintan, come visto precedentemente, fu nominato Ministro della Difesa, mentre Youssef al-Mangoush, di Misurata, divenne responsabile delle forze armate. Proprio la nomina di quest’ultimo, alto ufficiale sotto il regime di Gheddafi, portò a forti critiche da parte di molte milizie. D’altronde le maggiori accuse che i gruppi miliziani rivolsero al CNT erano legate proprio alla sua composizione eccessivamente comprendente figure in passato vicine o appartenenti al regime5. Secondo diversi analisti alla fine della guerra civile sul territorio libico si potevano contare circa 8000 milizie per un numero complessivo di circa 200 mila uomini6. In assenza di una forte autorità centrale le
milizie divennero veri e propri organi politici e di giustizia, operando all’esterno del sistema legale formale e commettendo molte azioni di violenza nei confronti di coloro che avevano fatto parte dei combattenti lealisti, o che li avevano appoggiati o anche solo che risiedevano nelle città e villaggi pro-Gheddafi7. Dinanzi a questa situazione di “giustizia fai da te” e dalla quasi completa assenza di un’autorità centrale di controllo, la maggior parte di questi atti rimasero impuniti. Altro fenomeno cui si assistette nei mesi successivi alla caduta del regime fu la creazione di coalizioni e alleanze tra varie milizie soprattutto in funzione conflittuale del CNT e del governo provvisorio. Numerose furono anche le milizie islamiche che nacquero e si svilupparono tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. Nell’ovest del Paese quest’ultime, che si riunirono sotto la guida di Abdel Hakim Belhaj, responsabile del Tripoli Military Council, potevano contare su 8
4 B. BARFI, J. PECK, In War’s Wake. The Struggle for Post-Qadhafi Libya, in “The Washington
Institute for Near east Policy”, Policy Focus 118, febbraio 2012, p. 9.
5 A. KADLEC, Disarming Libya’s Militias, in “Carnegie Endowment for International Peace”, 16
febbraio 2012 (http://carnegieendowment.org/sada/2012/02/16/disarming-libya-s-militias/ei7f).
6 Oxford Analytica, Insecurity will persist as Libya disarmament stalls, 8 febbraio 2012
(https://www.oxan.com/display.aspx?ItemID=DB173648).
7 L.CREMONESI, Nei villaggi pro-Gheddafi dove è passata la pulizia etnica, in “Corriere della Sera”,
mila uomini e sul riconoscimento ufficiale (unico caso) del presidente del CNT Jalil. Belhaj aveva ottime connessioni internazionali, soprattutto con il Qatar ed era considerato come uno dei potenziali leader islamisti in Libia8. Milizie di derivazione islamica erano presenti anche in Cirenaica, dove costituirono l’Associazione dei ribelli dell’est (di cui faceva parte anche la rilevante milizia di Bengasi “Brigata 17 febbraio”) composta da più di 4 mila combattenti e il cui capo era Fawzi Bu Katif9. L’impegno del CNT rispetto all’opera di disarmo delle milizie fu limitato, per tre motivi principali: innanzitutto, non disponeva dei mezzi e degli strumenti necessari a disarmarle, nonostante l’avvio di un programma di “disarmament, demobilization and
reintegration” (DDR) delle milizie e lo stanziamento di 8 miliardi di dollari per uno
speciale fondo di reintegro dei combattenti libici nelle nuove forze armate del Paese10; in secondo luogo, l’autorità centrale appariva fortemente intimorita nel prendere decisioni sfavorevoli alle milizie per paura di ritorsioni; infine, la presenza di appartenenti alle milizie nel governo provvisorio limitava le azioni contrarie alle stesse e addirittura favoriva la destinazione di fondi a quest’ultime per tenerle quiete ed evitare assedi nei confronti di edifici pubblici11. Un’ultima considerazione in riferimento al
ruolo delle milizie nel contesto libico riguarda il loro carattere sociale. Nelle file dei miliziani, infatti, trovarono spazio molti dei disoccupati del precedente regime; la rivoluzione sembrò fornire una fonte di riscatto e di potere, tant’è che si parlò, e tuttora se ne parla, di “disoccupazione armata”, intendendo con questo termine una persona che finché opera all’interno di una milizia può ottenere uno stipendio o comunque sia dei viveri che permettono la sopravvivenza, ma se uscisse da questo sistema, non avendo un impiego, si troverebbe disoccupato e il suo reinserimento nella società civile sarebbe molto più complesso e difficile12.
Secondo elemento appartenente alle cosiddette forze centrifughe fu lo sviluppo di nuovi partiti politici. Può sembrare un paradosso che i partiti concorressero alla disgregazione dell’unità libica visto che sono gli elementi fondanti del processo elettorale democratico occidentale, ma in Libia, nel periodo immediatamente successivo alla fine della guerra civile, contribuirono a questo quadro. Le ragioni di questa caratterizzazione sono da rintracciare nel contesto interno del Paese: la storica mancanza di familiarità della
8 Osservatorio di Politica Internazionale, La Libia dopo Gheddafi…, cit., p. 5. 9 B.BARFI,J.PECK, In War’s Wake…, cit., p. 8.
10 Oxford Analytica, Insecurity will persist…, cit.
11 Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali, Dal Colonnello…, cit.
società libica con i più basilari strumenti della democrazia, derivante non solo dai quarantadue anni di regime, ma anche dalla “debolezza democratica” del precedente regime senussita (basti pensare che l’unica consultazione democratica risale al 195213); l’assenza di leggi che regolassero il processo di formazione di nuovi partiti nei mesi precedenti alle consultazioni elettorali del 2012. La conseguenza di questi due fattori fu la repentina creazione di una moltitudine di partiti caratterizzati principalmente da una connotazione prettamente locale e non nazionale sviluppando quindi un quadro altamente frammentato dello scenario politico. Diversamente dai Paesi vicini coinvolti nella “Primavera araba” dove le forze politiche e partitiche si rifecero alla Fratellanza Musulmana, in Libia questo fenomeno non fu così chiaro. Innanzitutto la Fratellanza stessa era divisa al suo interno e questo portò, prima, alla proclamazione, alla fine del 2011, della nascita di un partito indipendente14 e, poi, alla creazione a marzo del Partito Giustizia e Sviluppo, chiaramente ispirato all’Islām “moderato” della Turchia e dell’Egitto, il cui leader era Sowan, con un passato da manager nel settore alberghiero e un lungo periodo di prigionia. Con chiari riferimenti islamici fu creato anche il National
Gathering for Freedom, Justice and Development, con a capo Ali Sallabi, una delle
maggiori e più influenti figure religiose del Paese, vicino all’islamista egiziano Yusuf al-Qaradawi, e con importanti connessioni con il Qatar e il gruppo militare libico di Belhaj15. Oltre a forze politiche di chiaro orientamento islamico, sorsero in questo periodo anche molti partiti ispirati ad una matrice più liberale. Tra i più rilevanti furono il Partito Democratico libico, che sorse già nelle prime settimane della rivolta del 2011, il National Centrist Party, creato da Ali Tarhouni ex Ministro del Petrolio e delle Finanze del governo provvisorio e la National Coalition, guidata dall’ex Primo ministro del CNT Jibril16. In sintesi la formazione di partiti in Libia costituì più un fattore di disgregazione che di aggregazione e questa stessa frantumazione politica non venne disincentivata neanche dal sistema elettorale stabilito per eleggere l’Assemblea Generale, predisposto dal CNT, basato su un sistema misto che stabiliva 200 seggi complessivi, di cui 120 assegnati con un sistema maggioritario “first past the post” in cui concorrevano candidati indipendenti dai partiti, mentre i restanti 80 seggi erano
13 F.TAMBURINI, M.VERNASSA, Op. Cit., p. 116. 14 B.BARFI, J.PECK, In War’s Wake…, cit., p. 8.
15 Osservatorio di Politica Internazionale, La Libia dopo Gheddafi…, cit., pp. 7-8.
16 S.ZAPTIA, Ali Tarhouni launches party; says he coordinates with Jibril: Exclusive Interview, in
“Libya Herald”, 28 febbraio 2012 (https://www.libyaherald.com/2012/02/28/ali-tarhouni-launches-party- says-he-coordinates-with-jibril-exclusive-interview/).
assegnati con il sistema proporzionale basato su liste partitiche e su un sistema di ripartizione di quote di genere17.
Il terzo elemento delle forze centrifughe fu il regionalismo, caratteristica pregnante della storia della Libia che dall’occupazione italiana (con conseguente unione delle province della Tripolitania e della Cirenaica nel 1934) passando per il regime senussita e quello di Gheddafi costituì sempre una forza in grado di disgregare l’unità del Paese. Era evidente e scontato che con la fine del regime del Colonnello i regionalismi presenti nel Paese, avendo origini storiche antiche, riprendessero vigore, cercando di approfittare del cambiamento politico e istituzionale per guadagnare concessioni in funzione delle rispettive rivendicazioni. Già dall’inizio dell’insurrezione contro il regime gheddafiano emerse chiaramente che il sentimento di unità nazionale era molto fragile e che i regionalismi rischiassero di riemergere prepotentemente. La lotta al regime però funse da collante di unità tra le varie formazioni di ribelli, ma quando fu definitamente sconfitto verso la fine del 2011 i nodi vennero al pettine. La debolezza del CNT fu particolarmente evidente nelle province occidentali, in particolar modo nei confronti dei misuratini. Roccaforte della resistenza durante la lotta contro il regime di Gheddafi, Misurata si sentì tradita dal CNT, percependolo come un’istituzione per nulla rappresentativa e assente al di fuori dei confini di Bengasi. Non fu una sorpresa, dunque, che dalla fine della guerra civile Misurata si fosse trasformata in una vera e propria città-stato che si autogovernava18. Una delle prime richieste di autonomia, però, com’era prevedibile, venne dalla Cirenaica, regione da sempre favorevole ad un sistema che le permettesse di avere una forte autorità indipendente dal governo centrale e, inoltre, molto ricca di risorse petrolifere (il 60% di tutte le risorse sono presenti in questa regione19). Il 3 marzo 2012 si riunì a Bengasi un’assemblea, alla quale presero parte circa duecento tra leader tribali, capi di milizie, imprenditori e in generale persone insoddisfatte della politica del CNT, che decise la nascita della regione autonoma di Barqa (nome arabo della Cirenaica), un territorio corrispondente alla regione della Cirenaica e del Fezzan orientale, con portavoce Ahmed Zubair al-Senussi, ex prigioniero politico durante il regime e pro-nipote dell’ultimo monarca libico Idris I. In quell’occasione venne redatto anche un documento nel quale richiedevano istituzioni
17 Osservatorio di Politica Internazionale, La Libia dopo Gheddafi…, cit., p. 8.
18 C. TINAZZI, Misurata, la Cirenaica e i buchi neri della Libia, in “Limesonline”, 14 marzo 2012
(http://www.limesonline.com/misurata-la-cirenaica-e-i-buchi-neri-della-libia/33176).
indipendenti, una forza di polizia autonoma, l’intenzione di mantenere sotto il proprio controllo le forze armate e le risorse idrocarburiche della regione20. Il CNT e il Presidente Jalil risposero in maniera piuttosto scomposta a questa rivendicazione autonomista, minacciando l’uso della forza ma allo stesso tempo dimostrando, con la loro esitazione, tutti i timori di una possibile estensione del processo di divisione regionale libico da autonomia a richiesta d’indipendenza vera e propria21. A complicare la situazione c’era la presenza di forze sociali e politiche, nonché di potenze straniere, che supportavano o incoraggiavano la richiesta di autonomia della Cirenaica. Sul piano internazionale fu soprattutto l’Egitto a favorire questo progetto, desideroso di far cadere sotto la sua sfera d’influenza questa regione così ricca di idrocarburi, mentre la posizione francese e britannica fu più ambigua, la stampa di questi Paesi infatti dimostrò un certo grado di interesse verso la soluzione federale, probabilmente questo atteggiamento era legato al fatto che nulla era ancora cambiato nel settore petrolifero22. Dinanzi a questa richiesta della Cirenaica, nel Paese si sollevarono numerose manifestazioni di supporto all’unità della nazione; particolarmente attivi nella difesa dell’integrità furono le forze islamiche e la Fratellanza Musulmana23. Preoccupazione
destò anche la situazione nel sud della Libia, in particolare nelle città di Kufra e Sabha, dove si svilupparono feroci combattimenti tra la comunità di origine subsahariana Tibu e quella araba Zwai. All’origine degli scontri c’era la corsa per le scarse risorse della regione, anche se spesso veniva giustificata con argomentazioni di carattere etnico. Gli Zwai, infatti, accusavano i Tibu di non essere autentici cittadini libici e spingevano per ricacciarli nelle loro terre d’origine, sulle montagne del Tibesti in Ciad24. I contrasti tra etnie arabo-berbere e l’etnia Tibu avevano in realtà un’origine ben più antica della guerra civile e costituivano una delle eredità più pesanti dell’era gheddafiana. I Tibu, popolazione di coloro originaria del Ciad, furono sempre stati discriminati per ragioni di ordine razziale e dopo aver combattuto contro il regime nel 2011 avevano ampie aspettative di emancipazione sociale e politica che il CNT non riuscì però a soddisfare.
20 Osservatorio di Politica Internazionale, Mediterraneo e Medio Oriente, a cura del Centro Studi
Internazionali, Focus n. 10, gennaio-marzo 2012, pp. 40-43.
21 Libya ready to use force against eastern separatists, in “RT”, 7 marzo 2012
(http://rt.com/news/libya-cyrenaica-autonomy-jalil-force-071/).
22 R. ALAALDIN, Libya Should Embrace Federalism, in “The Guardian”, 28 marzo 2012
(http://www.theguardian.com/commentisfree/2012/mar/28/libya-federalism-regions-revolution).
23 Osservatorio di Politica Internazionale, La Libia dopo Gheddafi…, cit., p. 8. 24 Osservatorio di Politica Internazionale, Mediterraneo…, cit.
Come conseguenza i Tibu decisero di perseguire autonomamente e manu militari le proprie rivendicazioni, arrivando nella primavera del 2012 a manifestare la volontà di creare un’entità politica fortemente autonoma sul modello di Barqa25. Ecco quindi che l’incubo del CNT di un possibile “effetto domino” delle varie regioni o etnie di voler una più forte autonomia dal potere centrale prese sempre più piede col passare dei mesi. Passando alle cosiddette forze centripete, il primo elemento appartenente ad esse riguardò il ruolo dell’identità nazionale e dell’Islām nel forgiare l’unità del Paese. Come visto nel primo capitolo di questo elaborato, la resistenza anti-coloniale è stata storicamente uno dei pochi elementi di identità nazionale in Libia ampiamento sentito. D’altronde il Paese, di recente formazione, ha sempre risentito di molte debolezze nel forgiare un’identità comune e gli elementi clanico-tribali e regionali hanno rappresentato fattori di concorrenzialità dell’identità nazionale. Il recupero di elementi di unità risalenti alla resistenza anti-coloniale durante la guerra civile, sia da parte dei ribelli che dei lealisti, non costituirono però una pregiudiziale anti-occidentale o anti- italiana dopo la caduta di Gheddafi26. Un elemento che sembrò costituire, invece, un
fattore di unione e definizione di una nuova identità nazionale del Paese fu il ruolo dell’Islām. La religione islamica ha sempre caratterizzato la società libica come fattore di unità ed fu per questo usata sia da re Idris che da Gheddafi, anche se principalmente in maniera strumentale, al fine della propria legittimazione. La caduta del regime aprì nuovamente la strada al proselitismo dell’Islām nel Paese e ad un pieno ritorno delle figure religiose musulmane, marginalizzate durante i decenni di dittatura. In Libia la religione, a larga maggioranza sunnita, è sempre stata vissuta in modo piuttosto conservatore, anche se principalmente rilegata alla sfera privata, inoltre il Paese non ha sofferto, come invece altri Paesi arabi, di divisioni settarie tipiche dell’Islām. È per questa sua caratteristica “naturale” che la religione è sempre stata un fattore di