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IL PROBLEMA DELL'EDUCAZIONE NEL RAPPORTO CON L'ALTRO

2.2 L'uscita dallo stato di minorità

Quello che Kant chiamava uscita dalla minorità in Che cos'è l'Illuminismo?, è l'uso dell'intelletto senza la guida di un altro, una sorta di autonomia dunque, che può essere appresa tramite l'esperienza.

La minorità di cui parla Kant è l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza essere indirizzati da un altro individuo; questa minorità è imputabile a se stessi se la causa non è da ricercare in un difetto di intelligenza, ma piuttosto nella mancanza di decisione e coraggio di servirsi della propria intelligenza senza un ulteriore supporto.

Fare a meno di questa minorità, quindi rendersi intellettivamente indipendenti, diventa un obiettivo difficile da raggiungere poiché gli uomini che si sono sempre serviti di una guida in questo senso non hanno mai messo effettivamente alla prova le loro capacità di ingegno.

La consapevolezza del rischio di subire uno stato di dominio contribuisce a rafforzare il senso dell'obbedire, e questa consapevolezza, in quanto scelta aiuta a evitare che l'obbedienza sfoci nella minorità. Obbedire passivamente, solo per rispondere a delle regole prestabilite che prevedono che chi possiede la conoscenza sia più potente e quindi in grado di dare ordini, significherebbe infatti rafforzare la permanenza nello stato di minorità.

Uscire dallo stato di minorità è un processo che spaventa poiché implicherebbe lasciare il luogo sicuro e familiare per trovarsi altrove, nell'estraneità. Lo stato di dominio è una condizione allettante non solo per chi lo esercita, per la guida di cui parla Kant, ma anche per chi lo subisce.

“ Il dominio attrae colui che è dominato perché lo rassicura e la rassicurazione è un invito quasi irresistibile a non uscire dalla minorità ”. 7

L'uscita fa paura e su questa paura il dominio si alimenta e si conserva, creando anche delle false vie di scampo, dei passaggi dalla minorità all'autonomia controllati, che quindi non sono veri e propri passaggi ma solo una finzione di essi.

D'altro canto la libertà non è ottenibile a comando, seguendo gli ordini di qualcuno che intimi di diventare liberi o spontanei: il comando è per sua natura un concetto diametralmente opposto al senso di libertà o di spontaneità, per cui la vera autonomia è raggiungibile solo se l'individuo vuole davvero uscire dallo stato di minorità, e non per assecondare le direttive di chi ha potere su di esso.

L'obbedienza ha la stessa natura del bisogno dell'essere guidati e rassicurati, e quest'adesione al dominio si fonda sulla conservazione della paura di uscire dallo stato di minorità; i rapporti di potere come quelli che si creano tra genitori e figli o tra maestri e allievi dovrebbero avere per scopo non l'obbedienza, (che diventa un mezzo di conservazione dello stato di disuguaglianza), ma il riconoscimento di questa disuguaglianza come punto di partenza per il suo annullamento e per l'uscita dalla minorità, per il conseguimento dell'autonomia.

“ E' dunque difficile per ogni singolo uomo districarsi dalla minorità che per lui è diventata pressoché una seconda natura. É giunto perfino ad amarla, e attualmente è davvero incapace di servirsi del suo proprio intelletto, non 7 Iacono A. M., Autonomia, potere, minorità. Del sospetto, della paura, della meraviglia, del

essendogli mai stato consentito di metterlo alla prova. Regole e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale o piuttosto di un abuso delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una eterna minorità. Anche chi da essi riuscisse a sciogliersi, non farebbe che un salto malsicuro sia pure sopra i più angusti fossati, poiché non sarebbe allenato a siffatti liberi movimenti. Quindi solo pochi sono riusciti, con l'educazione del proprio spirito, a districarsi dalla minorità e tuttavia a camminare con passo sicuro. Che invece un pubblico si illumini da sé è cosa maggiormente possibile; e anzi se gli si lascia la libertà è quasi inevitabile. In tal caso infatti si troveranno sempre, perfino fra i tutori ufficiali della grande folla, alcuni liberi pensatori che, dopo aver scosso da sé il giogo della tutela, diffonderanno il sentimento della stima razionale del proprio valore e della vocazione di ogni uomo a pensare da sé ”.8

Ai fini di un'uscita dalla minorità è decisiva la modalità del passaggio da questo stato di dipendenza all'autonomia, ma un passaggio che si presenta come una via obbligata verso la libertà nega per questo la libertà stessa; il passaggio deve dunque implicare una componente di presa di coscienza, di capacità decisionale e di consapevolezza.

Kant pone l'accento sulla volontà perché concepisce il soggetto come un individuo autonomo, indipendente e sovrano, che tuttavia deve fare i conti con la presenza di altri individui. L'uscita dalla minorità è dunque una decisione che si apre alla libertà, alla potenzialità e alla possibilità.9 Questa volontà implica una scelta

8 Kant I., Che cos'è l'Illuminismo?, Editori Riuniti, Roma 1991, p. 49.

9 Iacono A. M., Autonomia, potere, minorità. Del sospetto, della paura, della meraviglia, del

personale, è quindi un atto di libertà soggettivo che porta l'individuo all'autonomia.

Diventando, così, autonomo l'individuo dovrà fare a meno di una guida per i suoi pensieri e le sue azioni: questa è la vera uscita dalla minorità, la piena consapevolezza di se stessi e dei propri limiti, delle proprie capacità, delle proprie potenzialità, senza il bisogno di nessuno che gliele indichi e che lo renda “schiavo” e dipendente.

Kant afferma inoltre che la minorità dipende dalla mancanza di decisione e coraggio di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Quest'incapacità può però dipendere anche dal fatto che colui che traina questo rapporto, per mantenere il proprio ruolo di predominanza e per rendersi indispensabile non indica il passaggio dallo stato di minorità alla conquista dell'autonomia.

La mancanza di volontà può allora discendere da un desiderio che è più forte del desiderio di uscire dalla minorità. Questo desiderio più forte è quello di voler restare nel luogo sicuro della minorità da cui si ha paura di uscire. Rimanendo incatenati a questo luogo di minorità si crea quel processo chiamato naturalizzazione, secondo cui si accetta il mondo così com'è, vedendolo sempre uguale a se stesso, immobile e non mutevole, ovvio. Mediante questo processo si dà per scontata la nostra situazione nel mondo e così anche le relazioni di potere appaiono in maniera naturale stati di dominio: si tratta di un'illusione.

“ L'autonomia presuppone l'uscita dall'illusione. L'uscita dalla minorità è entro certi limiti l'uscita da un'illusione (non da ogni illusione). [...]

L'importanza della verità consiste proprio nel fatto che fa aprire gli occhi di fronte a quel processo di naturalizzazione in cui la natura del potere sembra illusoriamente dissolversi nella giustizia che si presenta come per tutti e per eguali ”.10

Diffidare dei concetti dati per assodato significa uscire dall'autorità a cui si è sottoposti, quell'autorità da cui ci si deve allontanare per percorrere la via dell'autonomia. Il potere e la giustizia per esempio, tramite il processo di naturalizzazione che rende questi due concetti ovvi e naturali, possono portare o alla rassegnazione nell'immutabilità delle cose se la giustizia viene meno essendo sottomessa al potere (e in questo caso si avrà una consapevolezza dello stato di minorità), oppure all'illusione che le cose cambino dal momento che il potere si dissolve nella giustizia uguale per tutti mentre invece si nasconde soltanto: questo porta a una falsa uscita dalla minorità.

Il rischio che si corre quando le relazioni di potere si tramutano in stati di dominio, a seguito di un'assimilazione tra il potere e la giustizia, è che l'obbedienza si trasformi in adesione; pur trattandosi dunque di obbedienza passiva si parlerà di adesione all'ideologia di colui che detiene il potere, come se fosse una scelta personale e volontaria, esente da qualunque tipo di pressione. L'illusione da cui si deve uscire per ottenere l'autonomia però non deve essere identificata con l'inganno: secondo Winnicott ad esempio l'illusione è necessaria al bambino nella sua relazione con la madre per affermare il proprio Io. In questo caso si tratta di un passaggio fondamentale in cui l'illusione spinga il bambino

10 Iacono A. M., Autonomia, potere, minorità. Del sospetto, della paura, della meraviglia, del

all'autonomia nel contesto di una relazione con la madre che viene solo trasformata e non annullata. L'illusione qui è funzionale all'autonomia ma proprio perché se ne deve presupporre l'assenza. Da qui l'importanza della modalità di passaggio dallo stato di minorità alla possessione dell'autonomia.

Il processo di naturalizzazione, primo ostacolo da superare per uscire dalla minorità, può avere luogo anche nelle relazioni sociali: ad esempio la schiavitù o tutte le forme ritenute di disuguaglianza, politiche, religiose, sociali, possono subire questo effetto e per questo diventare come date per scontato, per natura, senza alternative e per questo non modificabili.

La naturalizzazione tende inevitabilmente a indebolire il senso di autonomia fino al suo annullamento, come se facesse prevalere gli stati di dominio sulle relazioni di potere.

“ La naturalizzazione è l'effetto dell'incapacità di vivere e vedere se stessi e il mondo con altri occhi ”.11

Il processo di naturalizzazione dunque diventa l'incapacità di cogliere l'alterità ma allo stesso tempo può anche essere la perdita di questa capacità ed è quindi il nemico più grande della verità.

Questa perdita può essere determinata dal bisogno di sicurezza che è sempre assicurata dall'ordine costituito; gli uomini interessati a guidare gli altri uomini li costringono alla minorità fino a farla diventare un bisogno, che si identifica per l'appunto con il bisogno di sicurezza.

11 Iacono A. M., Autonomia, potere, minorità. Del sospetto, della paura, della meraviglia, del

La paura di uscire dalla minorità cela la difficoltà di vivere un'altra situazione a causa del fatto che, pur percependo l'alterità, pur sapendo che esiste altro da noi, non si è in grado di uscire dalla propria condizione.

La naturalizzazione impedisce di vedere con altri occhi e nasconde ogni possibile alterità: questo processo istiga e fomenta l'inclinazione all'invariabilità e all'immobilità e dunque alla permanenza nella minorità.

Per giungere a quello che Kant definisce uso dell'intelletto senza la guida di un altro si deve acquisire la capacità di guardare con altri occhi, realizzando una sorta di dialogo tra il significato dell'identità e quello dell'alterità. Conquistando il concetto delle differenze che intercorrono tra noi e il mondo, comprendendo pienamente la potenzialità del nostro intelletto tramite l'intendimento dell'altro da sé, solo allora si verificherà l'uscita dalla minorità.

CAPITOLO III