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NELLA VALLE DELL’OMBRA

Nel documento Edgar Rice Burroughs. Il ritorno di Tarzan. (pagine 93-101)

Nel percorrere la gola selvaggia illuminata dalla splen-dida luna africana, la nostalgia della jungla afferrava vio-lentemente l’uomo-scimmia. La solitudine e l’aspra li-bertà gli riempivano il cuore di vita e di gioia, mentre camminava leggermente, a testa alta, nell’orgogliosa co-scienza della propria forza.

Le voci notturne delle montagne, nuove per lui, colpi-vano i suoi orecchi e la sua anima, come il canto gentile di un amore quasi dimenticato. Udì il lontano ululato di Sheeta, il leopardo, e da una risonanza strana che quel lungo gemito aveva, comprese che quella voce era di una pantera.

Ma, d’improvviso, un nuovo suono, cauto e nascosto, s’impose, fra gli altri, al suo orecchio. Sul principio non capì bene di che cosa si trattava, ma finalmente ebbe la certezza che proveniva dai piedi nudi d’una certa quan-tità di esseri umani che si trovavano dietro di lui e che l’avvicinavano in silenzio.

Comprese allora perchè Gernois l’aveva lasciato nella piccola vallata, e si fermò per fronteggiare il nemico, col fucile tra le mani. Gli uomini dai bianchi baracani si avvicinavano, ed egli gridò loro in francese che cosa

vo-X.

NELLA VALLE DELL’OMBRA

Nel percorrere la gola selvaggia illuminata dalla splen-dida luna africana, la nostalgia della jungla afferrava vio-lentemente l’uomo-scimmia. La solitudine e l’aspra li-bertà gli riempivano il cuore di vita e di gioia, mentre camminava leggermente, a testa alta, nell’orgogliosa co-scienza della propria forza.

Le voci notturne delle montagne, nuove per lui, colpi-vano i suoi orecchi e la sua anima, come il canto gentile di un amore quasi dimenticato. Udì il lontano ululato di Sheeta, il leopardo, e da una risonanza strana che quel lungo gemito aveva, comprese che quella voce era di una pantera.

Ma, d’improvviso, un nuovo suono, cauto e nascosto, s’impose, fra gli altri, al suo orecchio. Sul principio non capì bene di che cosa si trattava, ma finalmente ebbe la certezza che proveniva dai piedi nudi d’una certa quan-tità di esseri umani che si trovavano dietro di lui e che l’avvicinavano in silenzio.

Comprese allora perchè Gernois l’aveva lasciato nella piccola vallata, e si fermò per fronteggiare il nemico, col fucile tra le mani. Gli uomini dai bianchi baracani si avvicinavano, ed egli gridò loro in francese che cosa

vo-lessero da lui. Gli rispose lo sparo di un fucile, e Tarzan piombò a terra disteso.

Gli arabi uscirono rapidamente dai loro nascondigli, e si chinarono su di lui. Videro ben presto che non era morto. Uno degli uomini appoggiò la bocca del fucile sul capo di Tarzan, per finirlo, ma un altro lo tirò da par-te dicendogli:

— Se lo portiamo vivo, la ricompensa sarà maggiore.

Gli legarono le mani e i piedi, e lo portarono verso il deserto, dove si trovavano i loro cavalli, sorvegliati da due uomini.

Tarzan, nel frattempo, aveva ripreso i sensi. La sua feri-ta consisteva solferi-tanto in una scalfittura che gli aveva sol-cato la tempia. Il sangue aveva cessato di colare, ma si era rappreso e coagulato, sporcandogli la faccia e gli abiti.

Lo legarono su di un cavallo e cavalcarono veloce-mente per sei ore attraverso l’afoso deserto, evitando le oasi che incontravano, e, verso mezzogiorno, giunsero a un douar di circa venti tende. Si fermarono e, mentre un arabo scioglieva le corde di sparto che avvincevano il prigioniero alla cavalcatura, furono circondati da una folla di uomini, di donne e di fanciulli. Apparve un vec-chio sceicco e obbligò quella folla ad allontanarsi.

— Alì ben Ahmed m’ha riferito – disse – che quest’uomo da solo ha ucciso el adrea. Non conosco quale possa essere lo scopo dello straniero che ci mandò contro di lui, ma so che il prigioniero è un valoroso e, finchè resterà nelle nostre mani, sarà trattato con rispet-to dovurispet-to a colui che, solo e di notte, caccia e uccide il lessero da lui. Gli rispose lo sparo di un fucile, e Tarzan piombò a terra disteso.

Gli arabi uscirono rapidamente dai loro nascondigli, e si chinarono su di lui. Videro ben presto che non era morto. Uno degli uomini appoggiò la bocca del fucile sul capo di Tarzan, per finirlo, ma un altro lo tirò da par-te dicendogli:

— Se lo portiamo vivo, la ricompensa sarà maggiore.

Gli legarono le mani e i piedi, e lo portarono verso il deserto, dove si trovavano i loro cavalli, sorvegliati da due uomini.

Tarzan, nel frattempo, aveva ripreso i sensi. La sua feri-ta consisteva solferi-tanto in una scalfittura che gli aveva sol-cato la tempia. Il sangue aveva cessato di colare, ma si era rappreso e coagulato, sporcandogli la faccia e gli abiti.

Lo legarono su di un cavallo e cavalcarono veloce-mente per sei ore attraverso l’afoso deserto, evitando le oasi che incontravano, e, verso mezzogiorno, giunsero a un douar di circa venti tende. Si fermarono e, mentre un arabo scioglieva le corde di sparto che avvincevano il prigioniero alla cavalcatura, furono circondati da una folla di uomini, di donne e di fanciulli. Apparve un vec-chio sceicco e obbligò quella folla ad allontanarsi.

— Alì ben Ahmed m’ha riferito – disse – che quest’uomo da solo ha ucciso el adrea. Non conosco quale possa essere lo scopo dello straniero che ci mandò contro di lui, ma so che il prigioniero è un valoroso e, finchè resterà nelle nostre mani, sarà trattato con rispet-to dovurispet-to a colui che, solo e di notte, caccia e uccide il

«Signore della gran testa».

Tarzan aveva già sentito parlare della stima in cui gli arabi tengono un uccisore di leoni, e fu contento che la sorte l’avesse così favorito. Fu portato, dopo un poco, in una tenda, situata nella parte superiore del douar, dove gli venne dato da mangiare, e dove, sempre strettamente lega-to, fu disteso su un tappeto indigeno. Poi lo lasciarono.

Si provò allora a forzare i robusti legami che lo cinge-vano, ma subito comprese che nemmeno i suoi muscoli d’acciaio potevano rompere quelle corde così salde e numerose.

Prima di sera, alcuni uomini si avvicinarono alla ten-da e vi entrarono. Uno di loro si avanzò verso Tarzan, e quand’ebbe fatto cadere le pieghe del mantello che gli nascondevano la parte inferiore del volto, l’uomo-scim-mia vide la perfida faccia beffarda di Nicola Rokoff.

— Alzati, cane maledetto! – gli disse tirandogli un gran calcio in un fianco e colpendolo poi ripetutamente sulla faccia.

Tarzan non disse nemmeno una parola, e non si degnò neppure di guardare il suo carnefice. Finalmente lo sceicco che, muto ed accigliato, aveva assistito silenzio-samente a quella scena, intervenne e disse:

— Basta! Uccidilo se vuoi, ma io non posso vedere un coraggioso simile sottoposto in mia presenza a tali tormenti. Se non la smetti, lo sciolgo...

Questa minaccia pose immediatamente fine alla bru-talità di Rokoff, il quale disse all’arabo:

— Sta bene, l’ammazzerò subito.

«Signore della gran testa».

Tarzan aveva già sentito parlare della stima in cui gli arabi tengono un uccisore di leoni, e fu contento che la sorte l’avesse così favorito. Fu portato, dopo un poco, in una tenda, situata nella parte superiore del douar, dove gli venne dato da mangiare, e dove, sempre strettamente lega-to, fu disteso su un tappeto indigeno. Poi lo lasciarono.

Si provò allora a forzare i robusti legami che lo cinge-vano, ma subito comprese che nemmeno i suoi muscoli d’acciaio potevano rompere quelle corde così salde e numerose.

Prima di sera, alcuni uomini si avvicinarono alla ten-da e vi entrarono. Uno di loro si avanzò verso Tarzan, e quand’ebbe fatto cadere le pieghe del mantello che gli nascondevano la parte inferiore del volto, l’uomo-scim-mia vide la perfida faccia beffarda di Nicola Rokoff.

— Alzati, cane maledetto! – gli disse tirandogli un gran calcio in un fianco e colpendolo poi ripetutamente sulla faccia.

Tarzan non disse nemmeno una parola, e non si degnò neppure di guardare il suo carnefice. Finalmente lo sceicco che, muto ed accigliato, aveva assistito silenzio-samente a quella scena, intervenne e disse:

— Basta! Uccidilo se vuoi, ma io non posso vedere un coraggioso simile sottoposto in mia presenza a tali tormenti. Se non la smetti, lo sciolgo...

Questa minaccia pose immediatamente fine alla bru-talità di Rokoff, il quale disse all’arabo:

— Sta bene, l’ammazzerò subito.

— Non però dentro i confini del mio douar, – ribatté lo sceicco.

— Lo porterò nel deserto, allora – brontolò Rokoff.

— Tu lo porterai a un giorno di cammino dalla mia tribù, – disse con fermezza lo sceicco. – Alcuni dei miei uomini ti seguiranno per vedere se tu obbedisci.

— Dovrò dunque aspettare fino a domani?

— Come ti pare – disse lo sceicco. – Ti avverto però che un’ora dopo l’alba dovrai essere già partito dal mio douar. Ho poca simpatia per i vigliacchi. – E uscì dalla tenda, accennando a Rokoff di fare altrettanto.

Da mezzogiorno nessuno si era preoccupato di porta-re a Tarzan cibo e bevanda, per cui soffriva enormemen-te la seenormemen-te. Si domandò se valeva la pena di chiedere dell’acqua al suo guardiano che passeggiava fuori della tenda, ma dopo aver fatto due o tre domande senza otte-nere risposta, si persuase che non si voleva ascoltarlo.

Dalle montagne lontane gli giunse il ruggito di un leone e pensò che vi era maggior sicurezza tra i covili delle bestie feroci che non tra i ricoveri dell’uomo.

Il leone ruggì di nuovo, a minore distanza, e Tarzan provò l’impulso selvaggio di rispondergli col grido di sfida della sua tribù.

Tirò con forza i propri legami, sperando di poterseli avvicinare ai denti fortissimi. Ma quando vide l’inutilità dei propri sforzi, sentì come gli salisse ai cervello il bri-vido della pazzia.

Ora Numa ruggiva quasi continuamente. Scendeva certamente nel deserto per cacciare, giacchè il suo era

— Non però dentro i confini del mio douar, – ribatté lo sceicco.

— Lo porterò nel deserto, allora – brontolò Rokoff.

— Tu lo porterai a un giorno di cammino dalla mia tribù, – disse con fermezza lo sceicco. – Alcuni dei miei uomini ti seguiranno per vedere se tu obbedisci.

— Dovrò dunque aspettare fino a domani?

— Come ti pare – disse lo sceicco. – Ti avverto però che un’ora dopo l’alba dovrai essere già partito dal mio douar. Ho poca simpatia per i vigliacchi. – E uscì dalla tenda, accennando a Rokoff di fare altrettanto.

Da mezzogiorno nessuno si era preoccupato di porta-re a Tarzan cibo e bevanda, per cui soffriva enormemen-te la seenormemen-te. Si domandò se valeva la pena di chiedere dell’acqua al suo guardiano che passeggiava fuori della tenda, ma dopo aver fatto due o tre domande senza otte-nere risposta, si persuase che non si voleva ascoltarlo.

Dalle montagne lontane gli giunse il ruggito di un leone e pensò che vi era maggior sicurezza tra i covili delle bestie feroci che non tra i ricoveri dell’uomo.

Il leone ruggì di nuovo, a minore distanza, e Tarzan provò l’impulso selvaggio di rispondergli col grido di sfida della sua tribù.

Tirò con forza i propri legami, sperando di poterseli avvicinare ai denti fortissimi. Ma quando vide l’inutilità dei propri sforzi, sentì come gli salisse ai cervello il bri-vido della pazzia.

Ora Numa ruggiva quasi continuamente. Scendeva certamente nel deserto per cacciare, giacchè il suo era

un ruggito di un leone affamato. Forse cercava la sua preda fra gli animali rinchiusi nei recinti del douar.

Regnò ancora per qualche tempo un silenzio comple-to; finchè l’udito acutissimo di Tarzan non percepì il ru-more di un corpo che si muoveva furtivamente. Proveni-va dalla parte posteriore della tenda, la più vicina alle montagne, e si avvicinava sempre più. La tenda giaceva nella più completa oscurità, ma Tarzan vide che lenta-mente un telo si sollevava, forzato dalla testa e dalle spalle di un essere che, nella semioscurità appariva tutto nero. Più lontano si vedeva uno squarcio del deserto lie-vemente illuminato dalle stelle.

La tenda, ricadendo, piombò nuovamente nella tene-bra assoluta. Il nuovo venuto si trovava ora nella tenda con lui. Egli l’ascoltò avvicinarsi, strisciando e fermar-glisi accanto. Chiuse gli occhi e attese il colpo della zampa gigantesca di Numa. Ma il tocco leggero di una mano che tastava nel buio, e la voce di una fanciulla che in un sospiro pronunciava il suo nome, lo riscossero.

— Chi sei? – chiese.

— Sono la Ouled Nail di Sidi Aissa.

Il freddo acciaio di un coltello toccò la sua carne, e un momento dopo egli era libero.

—Vieni! – mormorò essa.

Camminarono con le mani e coi piedi fuori della ten-da, fino a un piccolo gruppo di cespugli; poi si alzarono, incamminandosi attraverso il deserto, in direzione delle montagne.

— Disperavo di raggiungerti – disse la fanciulla. – un ruggito di un leone affamato. Forse cercava la sua preda fra gli animali rinchiusi nei recinti del douar.

Regnò ancora per qualche tempo un silenzio comple-to; finchè l’udito acutissimo di Tarzan non percepì il ru-more di un corpo che si muoveva furtivamente. Proveni-va dalla parte posteriore della tenda, la più vicina alle montagne, e si avvicinava sempre più. La tenda giaceva nella più completa oscurità, ma Tarzan vide che lenta-mente un telo si sollevava, forzato dalla testa e dalle spalle di un essere che, nella semioscurità appariva tutto nero. Più lontano si vedeva uno squarcio del deserto lie-vemente illuminato dalle stelle.

La tenda, ricadendo, piombò nuovamente nella tene-bra assoluta. Il nuovo venuto si trovava ora nella tenda con lui. Egli l’ascoltò avvicinarsi, strisciando e fermar-glisi accanto. Chiuse gli occhi e attese il colpo della zampa gigantesca di Numa. Ma il tocco leggero di una mano che tastava nel buio, e la voce di una fanciulla che in un sospiro pronunciava il suo nome, lo riscossero.

— Chi sei? – chiese.

— Sono la Ouled Nail di Sidi Aissa.

Il freddo acciaio di un coltello toccò la sua carne, e un momento dopo egli era libero.

—Vieni! – mormorò essa.

Camminarono con le mani e coi piedi fuori della ten-da, fino a un piccolo gruppo di cespugli; poi si alzarono, incamminandosi attraverso il deserto, in direzione delle montagne.

— Disperavo di raggiungerti – disse la fanciulla. –

Stanotte el adrea è in giro, e temo mi abbia seguita.

— Ed hai affrontato un pericolo simile per uno scono-sciuto, per uno straniero, per un infedele? – disse Tarzan meravigliato.

Ella alzò il capo con orgoglio:

— Sono la figlia dello sceicco Kadour ben Saden, – rispose – e non ne sarei degna se non rischiassi la vita per salvare quella dell’uomo che salvò la mia.

— Ma come facesti a sapere che mi trovavo prigio-niero in quel luogo?

— Achmet-din-Taieb che ti ha fatto prigioniero, che mi è cugino da parte di mio padre, era venuto alla tribù per parlare con alcuni amici, e si trovava nel douar al momento del tuo arrivo. Quando giunse a casa, ci narrò del grande francese catturato da Ali-ben-Achmed, per conto di un altro francese che desiderava ucciderlo. Dal-la descrizione che ne fece, mi convinsi che si doveva trattare di te, e siccome mio padre era assente, cercai di persuadere alcuni uomini a venire con me per salvarti;

ma non vollero saperne per paura. Cosicchè quando sce-se la notte, io venni sola a cavallo e portandone un altro per te. Li ho legati non molto lontano da qui, ma ora non mi riesce vederli...

Erano frattanto arrivati dove la fanciulla aveva legato i cavalli, ma questi non c’erano più.

Tarzan si curvò per esaminare il terreno e vide che un robusto arboscello era stato sradicato interamente. Vide poi qualcosa altro e, quando si rialzò un triste sorriso gli vagava sulle labbra.

Stanotte el adrea è in giro, e temo mi abbia seguita.

— Ed hai affrontato un pericolo simile per uno scono-sciuto, per uno straniero, per un infedele? – disse Tarzan meravigliato.

Ella alzò il capo con orgoglio:

— Sono la figlia dello sceicco Kadour ben Saden, – rispose – e non ne sarei degna se non rischiassi la vita per salvare quella dell’uomo che salvò la mia.

— Ma come facesti a sapere che mi trovavo prigio-niero in quel luogo?

— Achmet-din-Taieb che ti ha fatto prigioniero, che mi è cugino da parte di mio padre, era venuto alla tribù per parlare con alcuni amici, e si trovava nel douar al momento del tuo arrivo. Quando giunse a casa, ci narrò del grande francese catturato da Ali-ben-Achmed, per conto di un altro francese che desiderava ucciderlo. Dal-la descrizione che ne fece, mi convinsi che si doveva trattare di te, e siccome mio padre era assente, cercai di persuadere alcuni uomini a venire con me per salvarti;

ma non vollero saperne per paura. Cosicchè quando sce-se la notte, io venni sola a cavallo e portandone un altro per te. Li ho legati non molto lontano da qui, ma ora non mi riesce vederli...

Erano frattanto arrivati dove la fanciulla aveva legato i cavalli, ma questi non c’erano più.

Tarzan si curvò per esaminare il terreno e vide che un robusto arboscello era stato sradicato interamente. Vide poi qualcosa altro e, quando si rialzò un triste sorriso gli vagava sulle labbra.

— El adrea è stato qui. Però, da quanto mi risulta, la sua preda è fuggita. Avendo un leggero vantaggio, i ca-valli si saranno già posti in salvo all’aperto.

Non restava altro che seguitare il cammino a piedi. La strada li conduceva attraverso un basso sperone delle montagne, ma la fanciulla conosceva il sentiero come la faccia di sua madre.

Era una bella notte di plenilunio, e l’aria si faceva sen-tire viva e pungente. Dietro di loro si stendeva l’intermi-nabile estensione del deserto, picchiettata qua e là dalle oasi solitarie, e davanti si ergevano i monti tetri e silen-ziosi. Il sangue si agitava nelle vene di Tarzan. Questa era la vita! Osservò la coraggiosa fanciulla vicino a lui, e pensò quale magnifica compagna sarebbe stata per lui!

Erano penetrati fra le montagne, ed avanzavano ora più lentamente lungo un sentiero ripido e pietroso, men-tre la fanciulla si domandava se avrebbero potuto rag-giungere il douar di suo padre prima di essere sorpresi dagli inseguitori.

Tarzan avrebbe desiderato continuare questa marcia per sempre.

Avevano frattanto girato dietro a una roccia promi-nente, ma furono costretti e a fermarsi di botto. Dinnan-zi a loro, proprio nel centro del cammino, si trovava Numa, el adrea, il leone nero. I suoi occhi verdi aveva-no un’espressione, malvagia, mentre si scopriva le ma-scelle fustigandosi nervosamente i fianchi con la coda.

Mandò quindi il tremendo ruggito del leone affamato e furioso.

— El adrea è stato qui. Però, da quanto mi risulta, la sua preda è fuggita. Avendo un leggero vantaggio, i ca-valli si saranno già posti in salvo all’aperto.

Non restava altro che seguitare il cammino a piedi. La strada li conduceva attraverso un basso sperone delle montagne, ma la fanciulla conosceva il sentiero come la faccia di sua madre.

Era una bella notte di plenilunio, e l’aria si faceva sen-tire viva e pungente. Dietro di loro si stendeva l’intermi-nabile estensione del deserto, picchiettata qua e là dalle oasi solitarie, e davanti si ergevano i monti tetri e

Era una bella notte di plenilunio, e l’aria si faceva sen-tire viva e pungente. Dietro di loro si stendeva l’intermi-nabile estensione del deserto, picchiettata qua e là dalle oasi solitarie, e davanti si ergevano i monti tetri e

Nel documento Edgar Rice Burroughs. Il ritorno di Tarzan. (pagine 93-101)