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Una valutazione d’insieme

di strutture del privato sociale (comunità, centri aperti), o terapie psicologiche. Viene richiesto un contatto costante con il servizio sociale (della giustizia o territoriale). In genere il provvedimento ha una durata che va, generalmente da un minimo di 3 mesi ad un massimo di 3 anni, ossia un periodo ritenuto congruo ai fini dell’osservazione della personalità del minore. Non va sottova- lutato lo sforzo da parte dei giovani per portare fino in fondo gli impegni concordati nell’ambito del progetto di recupero, che forse nell’ottica adulta possono apparire scontati o normali, ma che invece implicano per essi fatiche ed inevitabili difficoltà. Nella realtà provinciale l’istituto della messa alla prova ha dato finora buoni risultati dal punto di vista del recupero sociale del minore. Spesso è diventata anche un’occasione di riflessione da parte delle famiglie ed è stato possibile registrare evoluzioni positive nelle loro dinamiche interne, nel senso che i genitori, a volte, hanno imparato a mettere in atto atteggiamenti diversi nei confronti dei ragazzi. In linea con l’indirizzo giuri- sprudenziale seguito dalla maggior parte degli altri Tribunali per i Minorenni, questo istituto viene applicato anche in ipotesi di reati gravi (come ad esem- pio, l’omicidio, la rapina, il traffico di stupefacenti).

Rimangono comunque aperti alcuni problemi:

Nel caso della misura cautelare del collocamento in comunità, nella realtà locale non vi è struttura che riesca a soddisfare le esigenze legate alla specifi- cità di tale misura e ciò per motivi del tutto indipendenti dalla volontà e dalla preparazione degli operatori. Nel territorio esistono, infatti, comunità organiz- zate per interventi di tipo civile, inadeguate a rispondere in maniera sufficien- te alle esigenze poste da situazioni in cui viene istituzionalmente limitato lo stato di libertà. I giovani che devono restare per un periodo nella struttura con limitazione della libertà, si scontrano con ostacoli oggettivamente insormonta- bili, derivanti dalla ristrettezza degli spazi e dai tipi di attività che, nell’arco delle 24 ore, è possibile proporre. Il che porta alla situazione paradossale che la struttura carceraria possa rappresentare, in casi estremi, una risorsa più appetibile, in quanto offre un’organizzazione della vita interna più articolata e ricca di proposte ed insieme permette di spaziare in ambienti diversamente finalizzati in rapporto alle proposte offerte (la possibilità di coltivare hobbies, di conseguire una preparazione professionale).

Il problema del coordinamento dell’attività tra i vari uffici giudiziari in caso di abuso sessuale commesso da un minorenne ai danni di un altro minorenne. Si tratta di un problema più generale che riguarda il coordinamento complessivo degli interventi giudiziari anche quando autori di reato sono i genitori delle vittime minorenni – che vede impegnati la Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario, la Procura Minorile ed il Tribunale per i Minorenni - ed il cui scopo è quello di non sottoporre il minore parte offesa a inutili e dannose (dal punto di vista psicologico) ripetizioni di attività processuali (perizie, audizioni, ecc.).

Luciano Spina Giudice presso il Tribunale dei Minorenni di Trento

Obiettivi dell’intervento

• Offrire al ragazzo un contesto di ascolto e di ridefinizione ed un’opportunità di consapevolizza- zione rispetto alla sua vicenda giudiziaria;

• raccogliere e fornire all’autorità giudiziaria elementi di conoscen- za sulla situazione personale, familiare ed ambientale del ragazzo;

• elaborare ed attuare il program- ma di trattamento in collaborazio- ne con gli altri servizi minorili dell’amministrazione della giusti- zia, con i servizi territoriali e con il privato sociale, favorendo, la partecipazione del ragazzo fin dalla fase iniziale dell’iter proces- suale;

• attivare processi di responsabiliz- zazione dei giovani e delle loro famiglie rispetto alla misura eventualmente decisa dal magi- strato, accompagnandoli e sostenendoli;

• costruire con il ragazzo ed il suo ambiente di vita un percorso di cambiamento adeguato alle sue necessità ed alle sue risorse personali, familiari ed ambientali.

La comunità polifunzionale annessa al centro di prima accoglienza

Il Centro di Prima Accoglienza è un servizio istituito a seguito dell’entrata in vigore del codice di procedura penale minorile (D.P.R. 448/88). L’art. 9 del D.Lv. 272/89 ne definisce i compiti e la collocazione: i centri di prima accoglienza ospitano, fino all’udienza di convalida, i minorenni arrestati o fermati. Ospitano altresì, in locali separati, fin all’udienza di convalida, i minorenni che vi sono condotti a norma dell’art. 18 bis, comma 4 D.P.R .448/88 (minori accompagnati). I centri di prima accoglienza devono assicurare la permanenza del minorenne senza caratterizzarsi come strutture di tipo carcerario e sono costituiti, ove possibile, presso gli uffici giudiziari minorili. A Trento il centro di prima accoglienza è ubicato nello stesso stabile degli uffici giudiziari minorili e del servizio sociale per i minorenni.

L’esperienza di questi ultimi anni ha messo in rilievo un limitato utilizzo del centro, spiegabile facendo riferimento alla dimensione e alla qualificazione del fenomeno devianza minorile in regione e alle politiche dell’autorità giudiziaria minorile.

Questo dato ha costituito il primo input per un’ipotesi di riorganizzazione della struttura in un’ottica di polifunzionalità. La riconsiderazione della collaborazione tra il Servizio Sociale Minorenni e una comunità dell’Associazione Provinciale per i problemi dei minori, convenzionata per l’accoglienza di ragazzi con provvedimenti penali, ha costituito un’altra fonte di informazione, un altro elemento da tener conto in un’ipotesi di riorganizzazione della struttura.

L’analisi della collaborazione ha evidenziato difficoltà ad accogliere nella stessa struttura ragazzi con problematiche psico - relazionali complesse, che richiedono attenzioni e progetti educativi articolati su tempi medio lunghi e ragazzi, per lo più zingari e stranieri, per i quali la richiesta è spesso di un intervento in situazioni di urgenza.

Queste considerazioni hanno orientato l’ipotesi di riorganizzazione verso un progetto di comunità polifunzionale, adatta ad accogliere minori in situazioni di emergenza, sia essa collocabile nell’ambito della tutela civile, che della giurisdizione penale.

La domanda di risorse residenziali per le situazioni di emergenza è stata verificata con gli Assessorati alle Attività Sociali della Provincia di Trento e di Bolzano, che sono diventati partner del progetto.

Il primo novembre ‘98 è stata stipulata una convenzione tra la Provincia di Trento, la Comunità Comprensoriale di Bolzano, il Centro Giustizia Minorile di Venezia e l’Associazione Provinciale per i problemi dei minori, che disciplina la gestione della comunità polifunzionale annessa al centro di prima accoglienza.

La comunità ha la disponibilità di sei posti: due per minori sottoposti a provvedimenti penali, in particolare per la misura cautelare non detentiva del collocamento in comunità, quattro per minori che necessitano di urgente tutela civile. La struttura accoglie minori maschi, italiani e stranieri, di età tendenzialmente compresa tra i quattordici e i diciotto anni, per un periodo di permanenza che nel massimo non supera i tre mesi. È una risorsa “intermedia” che offre ai ragazzi un conteso di accoglienza, che li aiuta ad identificare i loro problemi e a costruire domande di aiuto. Nello stesso tempo offre competenze di attivazione e di messa in rete di opportunità di aggregazione, di formazione, di ricerca di lavori temporanei, di attività socialmente utili e di volontariato. Questo non solo per dar significato al tempo di permanenza, ma per costruire, assieme ai ragazzi, prospettive che non si esauriscano allo scadere dei tre mesi di accoglienza. In tre mesi non è possibile portare a termine i progetti, si possono però disegnare alcune linee di sviluppo che devono essere sperimentate e verificate già nel tempo dell’accoglienza.

Antonella Zanfei Direttrice Servizio Minori Ministero di Grazia e Giustizia

Le esperienze

Un caso di messa alla prova

Carlo, un adolescente di 16 anni viene denunciato dai Carabinieri del suo paese alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, per spaccio di sostanze stupefacenti nell’aprile del ’97 (si tratta di pastiglie di tipo ecstasy).

Dopo circa tre mesi, la polizia giudiziaria della Procura per i minorenni invita il ragazzo, accompagnato dai genitori e dall’avvocato all’interrogatorio. In quell’occasione Carlo ammette la responsabilità rispetto al reato che gli viene contestato.

Il Pubblico Ministero chiede al Giudice (per le indagini preliminari) il rinvio a giudizio. Il giudice fissa l’Udienza Preliminare per l’ottobre dello stesso anno. A questa udienza sono invitati : il ragazzo, il suo avvocato, i genitori e i Servizi Sociali che si sono già occupati di lui dall’inizio del procedimento.

Il Servizio Sociale, subito dopo la denuncia infatti aveva incontrato Carlo ed i suoi genitori ed effettuato alcuni colloqui con l’intera famiglia e quindi con il ragazzo da solo. Si tratta di una famiglia composta dalla madre (separata dal marito), dal convivente, dai suoi due figli. Il nucleo famigliare originario proveniva da una lunga esperienza d’emigrazione all’estero.

Il Servizio Sociale propone al ragazzo la possibilità di presentare al giudice in udienza un progetto perché il processo venga sospeso e lui possa, in un periodo che verrà deciso, attraverso alcune indagini, sperimentarsi in una attività costruttiva per sé. È Carlo stesso, con indicazione e l’approvazione della madre, a proporre di frequentare come volontariato una comunità per tossicodipendenti e a mettersi in contatto da subito con uno dei responsabili che la madre conosce.

Nel progetto, accanto a questo impegno che non occuperà più di un giorno alla settimana, viene affiancato quello scolastico. Il progetto in sintesi tende a privilegiare piuttosto “le cose da fare” che le prescrizioni in negativo, i limiti, le penalizzazioni.

Il Servizio Sociale, quindi si attiva per contattare le comunità e chiede un incontro con il responsabile insieme con Carlo per sondare la disponibilità ad accoglierlo e fare un programma. Prende quindi contatto con l’avvocato per parlargli di questo progetto. In ultimo elabora una relazione scritta dove, oltre a far emergere alcune ipotesi rispetto alle problematiche del ragazzo, si spiega negli obiettivi e nei significati.

In questa fase è fondamentale il consenso pieno al progetto del ragazzo e la collaborazione della famiglia che anch’essa ne ha condiviso la costruzione. Si giunge all’Udienza dove il giudice, a conoscenza di questa proposta, sente innanzitutto il ragazzo il quale da un lato accetta e condivide il programma, dall’altro può discutere e mettere in evidenza le sue esigenze. Il giudice chiede anche ai genitori e ai Servizi di esprimersi, aggiungere spiegazioni ed eventualmente integrare il progetto presentato.

Il Giudice dell’Udienza Preliminare decide per la sospensione del processo per un periodo di otto mesi in cui Carlo si impegnerà a frequentare la scuola, la comunità una volta alla settimana per un periodo di 5 mesi e a rendersi disponibile ad incontri periodici di sostegno e verifica con il Servizio Sociale.

Il Servizio Sociale esprime un giudizio positivo sull’esito della messa alla prova di Carlo. Alla fine del ’98, a distanza di un anno e mezzo dalla denuncia viene fissata l’udienza per la fine- prova. Il Giudice decide che la messa alla prova è andata bene, valuta il cambiamento rispetto ai problemi evidenziati da Carlo, rileva che questa esperienza di volontariato ha arricchito le sue riflessioni sul mondo della tossico- dipendenza. Il Giudice dichiara dunque, con sentenza di non luogo a procedere per esito positivo della prova, l’estinzione del reato.

Riepilogando

• La situazione della giustizia minorile pare essere positiva. Il

rapporto tra personale in organico e casi trattati permette una

attenta e proficua analisi di ogni caso;

• tra i ragazzi denunciati i nativi rappresentano circa il 70%, i

nomadi e gli stranieri si dividono il rimanente 30%. I reati più

comuni sono quelli contro il patrimonio e quelli contro la persona;

• in questo ambito si stanno sviluppando interessanti iniziative