codificate rientra altresì la figura del venir meno della presupposizione, la quale riguarda il valore dell’equilibrio contrattuale in una prospettiva più soggettivistica.
Basandosi su di una concezione volontaristica del contratto per offrire soluzione alle problematiche di conflitto tra circostanze ed esecuzione della prestazione, la dottrina della presupposizione, nella sua forma primigenia, individuò un limite alla volontà dichiarata contrattualmente in quelle supposizioni relative a circostanze influenti sul contratto che fossero state determinanti per la conclusione dell’affare, che considerò giuridicamente rilevanti qualificandole come condizioni inespresse. Detta teoria ha successivamente conosciuto un’evoluzione che ha portato a riconoscere il diritto di recesso al contraente danneggiato dall’insussistenza o cessazione di quelle circostanze sulle quali – per
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una rappresentazione mentale comune alle parti ovvero individuale ma comunque nota alla controparte – si fosse fondato il consenso15.
La precisazione inerente il carattere comune della rappresentazione mentale (o la sua conoscenza da parte dell’altro contraente) si è resa necessaria, giacché affrontare il problema delle sopravvenienze contrattuali ricorrendo alla dottrina in esame reca con sé il rischio di considerare giuridicamente rilevanti circostanze non contemplate nelle clausole contrattuali in quanto non prese in considerazione dai contraenti, condizionando l’adempimento a interessi non contrattualmente rilevanti, in termini incompatibili con la tutela del legittimo affidamento della controparte contrattuale, così minando in radice l’utilità concreta della stessa dottrina. Tuttavia, la considerazione del presupposto in parola non risolve adeguatamente il problema del contemperamento degli opposti interessi delle parti contrattuali, poiché, da un lato, la conoscenza delle rappresentazioni mentali determinanti le altrui decisioni non può comportare l’assunzione del rischio delle circostanze che potrebbero deluderle, dovendosi collocare più adeguatamente la problematica in esame sul piano della responsabilità contrattuale16.
Per altri versi, le incertezze sono riemerse allorché si sono poste le questioni della collocazione sistematica della teoria della
15BESSONE,D’ANGELO, voce Presupposizione, in Enciclopedia del diritto,
XXXV, Milano, 1986, pp. 327 e 333.
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presupposizione e delle conseguenze giuridiche del suo venir meno, in un’ottica di distribuzione del rischio del verificarsi delle sopravvenienze. In tale contesto, i tentativi di legare la figura della presupposizione al concetto di causa come strumento per la soluzione delle problematiche relative alla realizzazione degli scopi e al soddisfacimento degli interessi delle parti, hanno finito per comprimerne eccessivamente l’ambito di operatività. Infatti, il riferimento alla causa da un lato espone alle incertezze terminologiche e argomentative che ne hanno deviata la qualificazione – non senza esitazioni – da funzione economico-sociale del contratto a causa concreta rappresentativa della sintesi degli interessi individuali delle parti17; dall’altro, in ossequio al dogma dell’irrilevanza dei motivi,
impedisce di considerare meritevoli di tutela tutti quegli interessi che, pur senza inerire alla causa, non costituiscano mere rappresentazioni mentali, bensì elementi significativi dell’assetto economico contrattuale18. Inoltre, tale qualificazione della presupposizione si
riflette inevitabilmente sul piano delle conseguenze dell’accertamento del suo venir meno, determinando la nullità del contratto esposto a sopravvenienze, così risultandone sacrificati tanto il residuo interesse contrattuale delle parti quanto il valore della sicurezza nei traffici commerciali.
17MAGGIOLO, Presupposizione e premesse del contratto, in Giust. civ.,
2014, p. 875.
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Neppure può accettarsi l’avvicinamento della presupposizione all’errore quale vizio della volontà, non rinvenendosi una ratio sovrapponibile relativamente alle due figure, l’una volta a preservare l’equilibrio contrattuale nella fase esecutiva, l’altra incidente sulla fase genetica del contratto, a tutela della libera espressione della volontà negoziale, attuata peraltro circoscrivendo entro ipotesi tassative la possibilità di annullare l’accordo (art. 1429 c.c.)19.
Quanto, infine, all’art. 1467 c.c., occorre precisare che detta norma è dettata esclusivamente in riferimento ad avvenimenti straordinari e imprevedibili, ricavandosene che la relativa disciplina non può trovare applicazione anche in relazione alle molte sopravvenienze prevedibili, ciò non escludendo, tuttavia, la possibilità di considerare altrimenti rilevanti anche tali ipotesi20.
L’inquadramento più coerente dal punto di vista sistematico pare essere quello che mette in relazione la figura della presupposizione con la clausola generale di buona fede quale strumento di governo delle sopravvenienze e di integrazione del contratto, dando applicazione, per l’ipotesi del suo venir meno, al regime degli effetti della risoluzione.
Il legame tra criterio di buona fede e integrazione del contratto viene in luce facendo rientrare il primo, come enunciato fra l’altro dall’art. 1375 c.c., nell’ambito di quanto previsto dall’art. 1374 c.c., da
19BESSONE,D’ANGELO, voce Presupposizione, cit., p. 340. 20BESSONE,D’ANGELO, voce Presupposizione, cit., p. 340.
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intendersi nel senso che il contratto obbliga le parti anche alle conseguenze che derivano da quanto in esso previsto alla luce del criterio legale della buona fede21.
Avuto riguardo al tipo contrattuale prescelto dalle parti (o a quello cui si siano le medesime ispirate concludendo un contratto atipico) per determinare la fisiologica distribuzione del rischio delle sopravvenienze tra le stesse, la valutazione di compatibilità tra le circostanze sopravvenute e l’adempimento della prestazione avrà ad oggetto l’equilibrio economico del rapporto, secondo correttezza (della pretesa o del rifiuto della prestazione) e normalità (rispetto al comune comportamento degli operatori e alle circostanze del caso di specie). Alla valutazione di incompatibilità il giudice farà pertanto seguire la risoluzione del contratto e conseguentemente – non essendo il sistema degli artt. 1458, 2033 e 2041 c.c. adeguato al fine di salvaguardare l’equilibrio economico – procederà a distribuire i pregiudizi derivanti dal venir meno dell’accordo secondo buona fede, nel senso sin qui chiarito22.
Tuttavia, la difficoltà di valutare la concreta incidenza delle circostanze che determinino la risoluzione, nella sfera economica dei contraenti, specialmente ove legati da accordi di durata, evidenzia
21RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, rist. integrata, Milano,
2004, pp. 111 ss.; Cass. civ., 24 aprile 1981, n. 2452, in Foro it., 1982, I, p. 34, nota di Silvestrini.
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come dalla soluzione proposta possano comunque derivare rilevanti pregiudizi per ciascuna parte, individuabili sia nella perdita dell’utilità perseguita tramite il contratto terminato, sia nei costi di sua esecuzione, sia, infine, in quelli di nuova contrattazione23.
1.4 – L’IPOTESI DI LAVORO E I CRITERI DIRETTIVI NELLO STUDIO DEI RIMEDI