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3.2. il sistema pensionistico nel Regno Unito

3.2.5. Verso l “automatic enrolment”

Nel Regno Unito prosegue la graduale entrata in vigore del programma nazionale di adesione automatica ai piani pensionistici complementari (c.d. automatic enrolment), divenuto operativo nel 2012, con l’obiettivo di incrementare la partecipazione dei lavoratori al secondo pilastro previdenziale. Uno degli elementi essenziali per il successo dell’operazione è costituito dalla possibilità di aderire al fondo denominato NEST (National Employment

Savings Trust).

Infatti il Regno Unito ha messo in pratica un nuovo modello per fare

previdenza integrativa. Partendo dalla constatazione di notevoli asimmetrie dei tassi di adesione, con riferimento alla dimensione aziendale e al reddito, si è giunti alla conclusione che per ridare slancio ai fondi pensione, sarebbe stato necessario rimettere mano alle regole che disciplinano l’adesione volontaria, auspicando l’introduzione di meccanismi automatici, quasi alla stregua di quanto succede in Italia con il “silenzio-assenso” del d.lgs 252/2005.

È doveroso ricordare che in Inghilterra non esiste il Tfr, pertanto coloro che non aderiscono alla pensione complementare, al pensionamento avranno diritto alla sola pensione pubblica senza beneficiare di nessuna altra provvidenza. Il Governo inglese per ovviare a queste problematiche, ha così introdotto il meccanismo dell’adesione automatica, seppur con gradualità. Il programma, che ha coinvolto inizialmente solo le imprese di maggiori dimensioni, sta ora interessando i lavoratori di imprese con un numero di addetti compreso tra 30 e 250, fino a raggiungere i lavoratori delle imprese più piccole nel biennio 2016- 2017. A fine marzo 2015 sono rientrati nel programma circa 5,2 milioni di lavoratori. Per il 2018, quando il programma sarà completato, si attende l’adesione mediante l’automatic enrolment di 9 milioni di lavoratori.

82 aderito a un fondo pensione, con un’età compresa tra i 22 anni e l’età di

pensionamento69 e con un reddito superiore a 8.105£ annui (circa 10.000€ l’anno), saranno automaticamente iscritti o alla forma pensionistica di

riferimento dell’azienda o al Nest, gestito dallo Stato. (In Italia questo ruolo è

svolto dal FondInps). Al lavoratore è comunque garantita la possibilità di recedere, entro un mese dall’iscrizione (c.d. opting-out). Il processo di adesione automatica si ripeterà ogni tre anni per il lavoratori che hanno deciso per

l’opting-out. La contribuzione complessiva richiesta nel Regno Unito è pari

all’8% (3% a carico del datore di lavoro e il 5% del lavoratore); in Italia invece il risparmio previdenziale per ogni dipendente è dell’8,41%(l’1% a carico del datore di lavoro e il 7,91% a carico del lavoratore stesso, di cui 6,91% dello stipendio per l’accantonamento del Tfr +1% di contributo a suo carico). Dopo la fase di start-up in cui ha goduto di un limitato sostegno pubblico, il NEST oggi già opera senza aiuti pubblici, a costi contenuti (commissioni pari all’1,8% dei contributi versati mensilmente e commissioni di gestione pari allo 0,3% del patrimonio gestito) e in condizioni di piena concorrenza rispetto agli operatori privati. Il NEST segue pratiche di mercato che rappresentano lo stato dell’arte nel settore (ad esempio offrendo agli iscritti un insieme di opzioni di investimento limitato ma molto attentamente definito) e in effetti sta

costituendo, anche e soprattutto in termini di costi, un benchmark di riferimento per tutti gli operatori privati i quali, con finalità di lucro, intendono acquisire quote di mercato importanti nell’operazione di automatic-enrolment in corso. Alcuni di questi ultimi stanno infatti riuscendo loro stessi a essere competitivi nei confronti del NEST, cosicché l’intero mercato inglese delle pensioni complementari sta conoscendo una fase di concorrenza virtuosa, innescata proprio dalla costituzione del NEST. Con riferimento più in generale ai costi applicati agli aderenti dei piani pensionistici, a partire dal mese di aprile 2015, per quanto riguarda le opzioni di default, i fondi sono tenuti ad applicare un costo annuale massimo dello 0,75% del valore del capitale accumulato

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83 dall’aderente. In tale valore sono ricompresi i costi amministrativi e di gestione degli investimenti. I manager del fondo sono deputati a ricalcolare tali costi a intervalli periodici (comunque non superiori a un anno), nonché a verificare che essi offrano “value for money”, ossia che i costi siano giustificati in relazione ai benefici offerti ai membri del piano pensionistico.

Un’altra importante novità è che sempre a partire da aprile 2015, è stato consentito agli aderenti ad un piano pensionistico a contribuzione definita di usufruire di una maggiore flessibilità nelle scelte in materia di decumulo, rivedendo il regime precedente che consentiva l’erogazione delle prestazioni solo in forma di rendita. A partire dall’età di 55 anni gli aderenti potranno infatti scegliere di ricevere il 25% del capitale accumulato, godendo di un regime fiscale agevolato, e la parte rimanente in forma di rendita ovvero l’intero capitale in un’unica soluzione (beneficiando tuttavia di un vantaggio fiscale solo per il primo 25%). La possibilità di ricevere il capitale accumulato se da un lato può apportare un contributo al rilancio dell’economia attraverso un immediato aumento delle disponibilità liquide degli interessati, dall’altro rischia di snaturare la funzione sociale dei piani pensionistici, esponendo i futuri pensionati al rischio di disporre di redditi insufficienti in età più avanzata.

Secondo uno studio pubblicato dal Nest70, il primo anno del sistema di registrazione automatica è stato un successo. Oltre duemila grandi aziende partecipano al programma con l’adesione di oltre 1,6 milioni di persone. Inoltre il 61% dei lavoratori non ancora iscritti hanno intenzione di aderire, rispetto al 47% dell’ultimo sondaggio condotto nel 2011. Anche l’opinione pubblica sembra essere a favore: solo il 18% si dice contraria alla registrazione automatica,

rispetto al 27% di due anni.

Il successo di questi provvedimenti si fonda principalmente sullo scarso ricorso da parte dei dipendenti all’opzione di uscita, fenomeno che al momento, per le grandi aziende si aggira intorno all’8-15%.

70

84 Va da sé che l’ “auto-enrolment” sta cambiando le caratteristiche del mercato non dovendosi più “vendere” i prodotti della previdenza complementare né ai dipendenti, che possono solo richiedere l’uscita, né alle aziende obbligate ad aderire per legge un fondo pensione.

Il Pensions Institute71della “Cass Business School City University” di Londra, segue attentamente l’evolversi dell’auto-enrolment e, dopo una prima ricerca “Caveat Venditor” dell’ottobre 2012, ne ha pubblicato una nuova:” Assessing

value for money in defined contribution default funds” (VfM: “Valutare il valore

della prestazione nel comparto di default di un fondo pensione a contribuzione definita”).

Al fine di valutare e quantificare il “default fund”, la ricerca ha esaminato 25 fra fondi pensione e prodotti assicurativi del periodo fra il 1990 ed il 2013

ricavandone un modello di simulazione che stima il rendimento al netto dei costi. Nel predisporre il modello si è rilevato che spesso, contrariamente a quanto si crede, i maggiori oneri non sono ricompensati da rendimenti più elevati.

Infatti, a parità di contribuzioni, è vero che spese molto basse non

necessariamente portano al miglior risultato, ma danno luogo nell’arco della vita lavorativa a grandi differenze sulla prestazione finale.

La ricerca trae, quindi, la conclusione che i fattori più rilevanti per la prestazione finale tendono ad essere i costi e meno le strategie di investimento.

Fatte queste premesse, i risultati principali della ricerca, più in dettaglio, si possono così evidenziare:

 Mercato: si prevede che entro il 2030 aumenti di 6 volte rispetto al 2012 (dai 325 mldi di Euro ai 2.000 mldi di Euro). La concorrenza, tuttavia, porterà al consolidamento di soli 5 o 6 grossi fondi multi-aziendali verso cui i datori di lavoro tenderanno a far confluire il proprio fondo aziendale “a benefici definiti”.

 Rigidità dei contratti in essere: con l’attuale legislazione è difficile facilitare un massiccio passaggio dai vecchi fondi costosi ai nuovi più

71

85 economici e meglio strutturati nonostante questo sia essenziale per

garantire agli iscritti un adeguato VfM per la rimanente parte della vita lavorativa.

 Passività per i lavoratori: gli iscritti, che in buona sostanza sostengono le spese, hanno scarse possibilità di intervento dato che non possono

scegliere né il fondo cui aderire né influenzare i costi.

A seguito di quanto rilevato, la ricerca conclude formulando una serie di raccomandazioni al governo ed alle autorità di controllo:

 Definire il VfM per gli iscritti: indicare la miglior combinazione di costi e di strategie di investimento sia per la fase di accumulo che per quella di erogazione della prestazione. Questo prevede un adeguato sistema di gestione del patrimonio con una revisione periodica delle strategie di investimento, una governance indipendente ed un’ erogazione della rendita con costi contenuti;

 Definire tutti i costi con obbligo di renderli pubblici: tutti i costi devono essere dichiarati e comunicati sia agli amministratori sia alle autorità di controllo in modo da poterli confrontare e valutare in base al VfM. Tutti i costi inoltre dovrebbero essere pubblicati su un sito web centrale per un controllo pubblico ed indipendente;

 Favorire il passaggio dai vecchi fondi ai nuovi: una revisione delle leggi sui contratti in essere per permettere di attivare una massiccia migrazione ai nuovi fondi meno costosi e più strutturati. Il tutto deve riguardare anche i piani individuali stipulati quando si lascia l’impiego.

 Riformare la regolamentazione: occorre superare l’attuale sistema duale per il quale “The Pensions Regulator” controlla i fondi pensioni collettivi, mentre la Financial Conduct Authority controlla i contratti privati.

Una forma di iscrizione obbligatoria alla previdenza complementare con

possibilità di poterne uscire da parte del dipendente sembra poter veramente farla decollare e quindi contribuire significativamente a garantire una pensione

86 da trascurare il possibile aiuto all’economia del paese tramite finanziamenti alle aziende soprattutto quelle medio/piccole. Come sempre però, occorre fare attenzione per impedire speculazioni e proteggere i più deboli con un contorno normativo chiaro e preciso.

E qui, se diamo uno sguardo a casa nostra, scopriamo che le raccomandazioni rivolte alle autorità inglesi sono già state in gran parte recepite dai nostri

ordinamenti; ricordiamo innanzitutto la legislazione del d.lgs n°252/05 e l’unica Autorità di vigilanza (COVIP).

Le prescrizioni del decreto e le deliberazioni della Commissione determinano un insieme significativo di garanzie; ricordiamo tra le altre l’Indicatore Sintetico dei Costi pubblico, il Documento sulla Politica di Investimento, la Nota Informativa, la Comunicazione periodica annuale con la stima della pensione complementare tramite il progetto esemplificativo personalizzato, la pubblicità delle gare per le assegnazioni dei mandati ai vari fornitori. Per una volta almeno possiamo dire di poter essere all’avanguardia e un po’ di esempio al resto dell’Europa.

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