1
Indice
Indice ... 1
Introduzione ... 3
Capitolo 1 Ruolo dei fondi pensione nell’intermediazione finanziaria e nel risparmio previdenziale ... 5
1.1 Caratteri dei fondi pensione ... 10
a) Rapporto tra sistema pubblico e fondo pensione ... 10
b) Modalità di contribuzione ... 11
c) Modalità di funzionamento dei fondi ... 11
d)Tipologia degli impegni assunti ... 13
e) La tipologia di prestazione erogata ... 15
1.2 I soggetti dei fondi pensione ... 17
1.3 Vigilanza sui fondi pensione ... 19
Capitolo 2 La previdenza complementare in Italia ... 20
2.1 Fasi evolutive del sistema previdenziale complementare... 22
a) Riforma Amato ... 22
b) Riforma Dini ... 26
c) Decreto legislativo n. 47/2000 ... 28
d) Decreto legislativo n.252/2005 ... 31
2.2. Tipologie di fondi ... 33
2.2.1 Fondi pensione chiusi (d.lgs 252/2005) ... 34
a)Requisiti di partecipazione e godimento ... 35
b)Trasferibilità dei diritti maturati ... 37
c) Devoluzione del TFR maturando ... 37
d) Il nuovo regime fiscale della previdenza complementare ... 43
2.2.2. I fondi aperti... 46
2
b)Caratteristiche peculiari dei fondi aperti ... 47
c)Funzionamento dei fondi aperti... 49
2.2.3. Dimensione del fenomeno ... 53
2.2.4 Esempio numerico ... 59
Capitolo 3 ... 65
3.1.Quadro sistemi previdenziali europei ... 65
3.2. il sistema pensionistico nel Regno Unito. ... 67
3.2.1 Il primo pilastro ... 68
a. Basic State Retirement Pension ... 69
b. State Second Pension ... 70
3.2.2. Il secondo pilastro e terzo pilastro ... 74
3.2.3. Forme pensionistiche complementari ... 76
3.2.4. I caratteri strutturali dei fondi pensione ... 78
3.2.5. Verso l “automatic enrolment” ... 81
3.3.Posizione dell’Unione europea in tema previdenziale ... 86
Conclusione ... 92
Appendice... 96
Bibliografia ... 107
3
Introduzione
A fronte del versamento dei contributi versati durante l’intera vita lavorativa all’INPS per l’ottenimento della pensione pubblica , ci si potrebbe chiedere cosa spinge lo stesso soggetto a rinunciare ad un’altra parte del suo stipendio di oggi a favore di una seconda pensione, il cui scopo previdenziale è prettamente lo stesso della prima, cioè quello di garantire lo stesso tenore di vita durante la fase
lavorativa e quella di pensionamento.
A cambiare in realtà tra le due pensioni non è solo il nome (si parla infatti di pensione pubblica e pensione integrativa), uguali forse sì, nello scopo, ma differenti per il resto della struttura e meccanismo, argomento centrale della trattazione.
Le motivazioni che spingono un lavoratore a crearsi una forma di previdenza privata trovano il loro fondamento nellaprogressiva evoluzione della struttura sociale italiana. Infatti negli ultimi anni si sono verificati fenomeni sociali che hanno modificato l’equilibrio del sistema pensionistico.
Come vedremo un progressivo aumento della vita media, una riduzione
contemporanea nelle nascite, un deficit nelle casse statali e un cambiamento nel mondo del lavoro hanno spinto le istituzione a sensibilizzare tutti i cittadini italiani al problema della previdenza affinché a fronte di una forte incertezza della pensione pubblica si possano garantire un’auto-sussistenza economica. Partendo proprio da queste considerazioni questo lavoro si presta a spiegare in quali termini e perché le forme di previdenza complementare si inseriscono nel contesto finanziario attuale, ad analizzare l’evoluzione storica della previdenza integrativa in Italia e in ultimo spiega le caratteristiche tecniche ed il
funzionamento della previdenza integrativa, fornendo al contempo un esempio numerico.
L’ultima parte del lavoro parte dall’intento di confrontare a livello europeo il sistema previdenziale italiano con una delle più solide realtà economiche esistenti in Europa, cioè quella del Regno Unito.
Grazie ai notevoli accantonamenti previdenziali privati, che alleviano gli oneri sul bilancio pubblico derivanti dall’invecchiamento della popolazione, il sistema
4 previdenziale del Regno Unito non presenta problemi di sostenibilità per le
finanze pubbliche in forte contrasto con quanto avviene nella maggioranza degli altri paesi europei così favorendo l’equità intergenerazionale del sistema stesso1. Ciononostante, nel Regno Unito è in corso un intenso dibattito sulla presunta “crisi” del suo sistema previdenziale, che riguarda sia il lato della domanda sia quello dell’offerta di prodotti previdenziali.
Il presente lavoro illustra le caratteristiche strutturali del sistema previdenziale del Regno Unito e passa in rassegna i principali aspetti del dibattito e gli interventi attuali a favore del sostegno della previdenza.
1 www.bancad’italia.it “Il pilastro privato del sistema previdenziale. Il caso del Regno Unito”(Francesco Spadafora) Numero 503 Giugno 2014
5
Capitolo 1 Ruolo dei fondi pensione nell’intermediazione
finanziaria e nel risparmio previdenziale
Per un’analisi chiara e corretta dell’argomento è necessario iniziare con una definizione dell’oggetto in esame, cioè i fondi pensione delineandoli in quelle che sono le loro caratteristiche peculiari in relazione anche ad altri strumenti finanziari ad essi associabili per funzioni, finalità e caratteristiche tecniche. I fondi pensione in termini generali possono essere definiti come istituzioni autonome il cui scopo consiste nella realizzazione efficiente di programmi di risparmio a lungo termine, finalizzati ad erogare prestazioni previdenziali ad un gruppo di soggetti, in forza di un contratto stipulato su base collettiva.
La funzione che si evince da questa definizione è proprio quella di erogare un trattamento previdenziale a favore dei soggetti al momento in cui cessano l’attività lavorativa in modo tale da lasciare costante o comunque non troppo inferiore il loro tenore di vita nel periodo di pensionamento.
Non essendo l’unico strumento che svolge questa finalità possiamo
immediatamente sottolineare come la caratteristica peculiare dei fondi pensione è quella di trovarsi ad operare in una cerniera tra il welfare2 e il settore finanziario. Infatti sono soggetti previdenziali perché forniscono un trattamento pensionistico integrativo ma allo stesso tempo sono soggetti finanziari perché operano
prevalentemente nel mercato della capitalizzazione investendo le proprie risorse sul mercato.
A tal proposito, la stessa Commissione di Vigilanza dei Fondi Pensione (COVIP) ha più volte rimarcato le peculiarità di questi fondi, qualificabili come operatori
previdenziali e non solo come meri intermediari finanziari e assicurativi, soggetti
dunque a profili di operatività, che rispetto ai predetti intermediari, presentano aspetti del tutto peculiari in relazione alla funzione previdenziale e sociale svolta.
2 Il welfare state, o stato del benessere, o ancora stato sociale, può essere definito come uno stato che garantisce ad ogni suo cittadino, come diritto politico e non come carità, degli standard minimi di reddito, di alimentazione, di salute, di abitazione, di educazione. È pertanto un’organizzazione istituzionale, politica ed economica che si pone come obiettivo la produzione di benessere e di sicurezza sociale.
6 Vista l’assonanza con sistemi di welfare possiamo meglio percepire le
caratteristiche distintive dei fondi pensione mettendoli a confronto con gli altri tipi di operatori finanziari sia intesi in senso generale sia in riferimento a fondi comuni di investimento aperti e chiusi.
Rispetto alla categoria generale degli intermediari finanziari3, i fondi pensione condividono la funzione principale di trasferire risorse tra unità economiche diverse (trasferimento nello spazio) e/o tra momenti temporali diversi
(trasferimento nel tempo). Ma questa duplice funzione è svolta in maniera differente. Infatti l’allocazione delle risorse dai soggetti in surplus (datori di fondi) a quelli in deficit (prenditori di fondi) avviene senza l’assunzione di rischi del prenditore nel proprio bilancio.
In altri termini, mentre le banche emettono le proprie passività nominali, tipicamente a breve termine, per effettuare impieghi in proprio a più lunga scadenza a favore dei prenditori finali, i fondi pensione invece si limitano a raccogliere le risorse dai soggetti in surplus e attraverso piani di contribuzione predefiniti li impiegano in portafogli di attività finanziarie di pertinenza dei contribuenti. Dunque possiamo annoverare tra gli elementi distintivi dei fondi pensione proprio la metodologia di trasformazione del rischio che avviene attraverso la partecipazione ad un portafoglio di strumenti finanziari, ossia attraverso una diversificazione degli asset e non un trasferimento di esso4. Il trasferimento delle risorse tra momenti temporali diversi rimarca l’obiettivo dei fondi pensione, cioè quello previdenziale che si traduce finanziariamente proprio in un trasferimento intertemporale della ricchezza, realizzato al fine di mantenere in capo al soggetto una capacità di reddito anche al temine dell’attività lavorativa. In questo senso i fondi pensione sono annoverati all’interno della categoria degli investitori istituzionali5, caratterizzati dal fatto di investire un
3 Sono intermediari finanziari ex art. 106 i soggetti, iscritti nel relativo elenco, che esercitano nei confronti del pubblico in via professionale l'attività di concessione di finanziamenti, di assunzione di partecipazioni, di intermediazione in cambi, così come definite dal Decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze del 17 febbraio 2009, n. 29
4 Rif. “Il sistema finanziario” Forestieri G.,Munari P., EGEA (2009)
5 Sono operatori che, in modo continuativo e professionale, offrono la loro intermediazione per effettuare investimenti per conto di terzi. Sono tali le Sim, e banche, gli agenti di cambio, le società di gestione del risparmio, le Sicav, i fondi pensione, le imprese di assicurazione, le società finanziarie
7 patrimonio per conto di unità di surplus. Ciò può avvenire tramite
un’intermediazione in senso stretto propria delle compagnie assicurative nelle polizze vita tradizionali, sia tramite un mandato specifico ad investire su base collettiva.
Per quanto concerne invece la distinzione dei fondi pensione dai fondi comuni di investimento si deve far riferimento al profilo di lungo periodo caratterizzante le passività. Infatti, considerando queste nella loro accezione strettamente
previdenziale con conseguenti limiti nei diritti di trasferibilità e di riscatto, le passività si caratterizzano per un orizzonte temporale nettamente superiore a quello delle passività del fondi comuni di investimento aperti, data la facoltà riconosciuta agli aderenti di riscattare la loro posizione investita.
È meno sottile questa distinzione se il metro di paragone sono i fondi di
investimento chiusi. Ma a differenziarli sono altri aspetti. In primo luogo i fondi chiusi emettono passività di mercato potenzialmente scambiabili. Inoltre la finalità di ottenere alti profitti anche a discapito di un rischio contenuto si scontra contro la tutela dei diritti pensionistici dei lavoratori perseguiti dai fondi
pensione.
In ultimo la politica della raccolta posta in essere dai fondi chiusi si orienta prevalentemente verso investitori istituzionali interessati alle prospettive di rivalutazione delle quote nel lungo periodo. I fondi pensione invece hanno una politica di raccolta orientata verso una clientela di tipo non istituzionale.
In definitiva i fondi pensione condividono con gli altri intermediari finanziari la funzione di trasferimento delle risorse nello spazio e nel tempo; tuttavia le modalità operative attraverso cui tale funzione è svolta tendono ad assimilare i fondi pensione alla categoria degli investitori istituzionali piuttosto che a quella degli intermediari finanziari in senso stretto.
Le caratteristiche salienti degli investitori istituzionali sono quindi:
politica della raccolta orientata verso una clientela non istituzionale stabilità e prevedibilità dei flussi in entrata, generalmente stabiliti per
8 relativa programmabilità dei flussi di cassa in uscita, costituiti dalle
prestazioni previdenziali riconosciute dagli aderenti
passività a lungo termine suscettibili di rimborso anticipato esclusivamente a condizioni restrittive e particolari
orizzonte temporale di lungo periodo degli impieghi.
A queste connotazioni di carattere finanziario occorre aggiungere che i fondi pensione diversamente dagli altri operatori istituzionali del risparmio, si trovano a fronteggiare problemi del tutto peculiari legati alla loro funzione sociale e concernenti la sostenibilità della promessa previdenziale nel lungo periodo. È proprio da questa finalità sociale che i fondi pensione si inseriscono nel più vasto contesto del sistema pensionistico nazionale. Pertanto è limitativo
inquadrarli solo nell’ambito del processo di intermediazione bancaria ma risulta più completo e più corretto fare riferimento a un sistema che comprende tutto l’ambito pensionistico di uno Stato. E il sistema a cui si fa riferimento è quello dei “tre pilastri”.
Secondo questa impostazione qualsiasi sistema pensionistico di uno Stato può essere idealmente suddiviso in tre categorie, chiamati “tre pilastri”:
1. Primo pilastro: rappresentato dal sistema previdenziale pubblico, eroga trattamenti pensionistici di base. Si tratte del cosiddetto sistema di welfare volto a garantire a tutti i cittadini un livello minimo di reddito e finanziato con un sistema a ripartizione6 .
2. Secondo pilastro: costituito dalla previdenza complementare collettiva, ovvero i fondi pensione. Questi in genere seguono il criterio della
capitalizzazione7 ed integrano il primo pilastro contribuendo ad innalzare il tasso di sostituzione salariale.
3. Terzo pilastro: è costituito dalla pensione integrativa individuale, che opera su base volontaria tramite la predisposizione di strumenti finanziari e assicurativi da parte del singolo individuo. Tali prodotti, generalmente
6 Vedi par 1.2.3 7
9 amministrati nell’ambito delle assicurazioni, consentono al lavoratore di incrementare il proprio reddito in età avanzata e di scegliere tempi e modo nell’erogazione delle prestazioni.
I fondi pensione del secondo pilastro, di cui ci occuperemo prevalentemente nel proseguo della trattazione possono essere situati sia temporalmente che
tecnicamente a metà tra il primo pilastro interamente collettivo e obbligatorio e il terzo pilastro completamente individuale. Le ragioni che portano alla nascita di questa posizione intermedia sono riconducibili da un lato alla debolezza dei sistemi previdenziali pubblici che nel tempo si sono dimostrati incapaci di offrire un livello di copertura pensionistica adeguato e sostenibile nel medio-lungo termine; dall’altro lato dalle problematiche associate al terzo pilastro, laddove i rischi finanziari dovuti alla gestione privata dei fondi rischiano di mettere a repentaglio la principale funzione previdenziale richiesta dai fondi stessi. Ma sebbene i “tre pilastri” presentino delle caratteristiche proprie, il fine da essi perseguito è lo stesso, cioè quello di garantire al beneficiario l’ottenimento di una fonte di reddito al termine della sua attività lavorativa.
Questa articolazione non sempre trova riscontro nella realtà empirica. In molti casi la distinzione tra pilastri non è sempre facile da individuare soprattutto se si tratta di separare il secondo dal terzo pilastro. Per esempio nel Regno Unito che verrà trattato nel terzo capitolo il sistema pensionistico pubblico può essere parzialmente sostituito con uno schema pensionistico privato predisposto da una società e ciascun lavoratore può a sua volta sostituire quest’ultimo con
10
1.1 Caratteri dei fondi pensione
L’organizzazione di un sistema pensionistico complementare può avvenire secondo modalità differenti. È proprio da una disamina a livello internazionale che si possono distinguere diverse tipologie di fondi pensione in base ai seguenti criteri:
Tipo di rapporto con il sistema pensionistico pubblico Modalità di contribuzione
Modalità di funzionamento Tipologia di impegni assunti Tipologia di prestazione erogata
a) Rapporto tra sistema pubblico e fondo pensione
Per quanto riguarda il rapporto che si istaura tra un fondo pensione e il sistema pubblico quindi tra il secondo e il primo pilastro, possiamo distinguere tra tre differenti fondi pensione:
1. Fondi esonerativi: si caratterizzano per la peculiarità di sostituirsi
integralmente al sistema di base attraverso il versamento dei contributi e l’erogazione delle prestazioni previdenziali. Questi fondi vanno comunque visti come un’eccezione perché generalmente i sistemi pensionistici
privati non hanno la finalità di sostituire quelli pubblici, ma solo quella di affiancarsi e integrarli.
2. Fondi aggiuntivi: offrono una prestazione previdenziale totalmente
svincolata da quella pubblica di base. Non garantiscono al beneficiario un determinato standard di vita perché non c’è alcuna correlazione con quanto percepiscono sotto forma di pensione pubblica.
3. Fondi integrativi: offrono una mera integrazione della pensione pubblica di base operando in stretto rapporto con il sistema previdenziale di base.8
8 Esistono tre modalità di integrazione: metodo dell’integrazione pura per cui la prestazione offerta dal fondo è commisurata al netto di tutte le provvidenze erogate dallo schema di base; metodo
11
b) Modalità di contribuzione
Per “contribuzione” intendiamo il processo iniziale che porta alla costituzione del fondo pensione. Infatti riguarda l’operazione di versamento di moneta a favore del piano da parte dell’azienda e/o del lavoratore beneficiario della prestazione. È possibile dunque distinguere tra:
Fondi contributivi: alimentati dai contributi sia dei lavoratori che dell’azienda. Godono del vantaggio di alleggerire i costi a carico del datore di lavoro, di sensibilizzare il lavoratore alla problematica previdenziale e di innalzare il valore delle prestazioni.
Fondi non contributivi: beneficiano solo dei contributi versati dall’azienda. In questo caso è possibile attuare una gestione amministrativa più snella e non si corre il rischio di una mancata
installazione del fondo per mancanza di un numero sufficiente di adesioni da parte dei lavoratori, perché tutto è deciso e gestito direttamente
dall’azienda.
c) Modalità di funzionamento dei fondi
Per capire come vengono gestiti i contributi versati dall’azienda e/o dai lavoratori è necessario introdurre il concetto di equilibrio attuariale dei fondi pensione. Questo equilibrio è determinato dall’uguaglianza di due flussi finanziari: il primo in entrata, appunto i contributi versati dai lavoratori e l’altro in uscita, ovvero le prestazioni erogate dagli enti previdenziali a favore dei beneficiari. Ma è proprio il metodo di erogazione dei flussi in uscita a determinare un’importante
distinzione sotto il profilo delle modalità di gestione dei contributi. Distinguiamo infatti tra:
Fondi a ripartizione Fondi a capitalizzazione
delle provvidenze fornite dagli schemi di base; metodo dell’integrazione differenziale in base al quale può essere prevista una duplice prestazione, una ridotta, limitatamente al plafond coperto dagli schemi di base, e una piena, oltre tale limite.
12 Nei fondi a ripartizione l’equivalenza attuariale si ottiene eguagliando in un dato momento i contributi dei lavoratori attivi (flussi in entrata) con le prestazioni pagate (flussi in uscita) agli attuali pensionati.
Questa gestione dei flussi, propria del sistema previdenziale pubblico, non si basa tanto sull’accumulazione del capitale quanto su un “accordo tacito
intergenerazionale” che non può essere considerato un vero e proprio contratto in quanto manca sempre una delle due controparti. Infatti gli attuali lavoratori pagano le pensioni agli attuali pensionati sulla fiducia che successivamente le nuove generazioni (oggi non presenti) saranno in grado di pagare le prestazioni per quelli che saranno i futuri pensionati.9
Alla luce di ciò affinché un sistema a ripartizione sia definito in equilibrio deve essere soddisfatta la seguente equazione:
𝑃𝑚∗ 𝑁𝑝 = 𝐶𝑒𝑞 ∗ 𝑊𝑚∗ 𝑁𝑙10
Invece i fondi a capitalizzazione seguono un meccanismo di gestione finanziaria completamente differente. In questo caso i contributi che ogni lavoratore versa durante l’attività lavorativa vanno a finanziare un fondo che investe in attività finanziarie e contemporaneamente i contributi vengono capitalizzati così da permettere il pagamento della pensione di domani del medesimo lavoratore.
Il principio di equità attuariale si fonda in questo caso sul criterio della corrispettività secondo cui deve esserci un rapporto equilibrato tra storia
contributiva del soggetto e prestazione previdenziale erogata allo stesso per cui: 𝑉𝐴(𝑃) = 𝑀𝐶11
9 I fondi a ripartizione sono soggetto al rischio demografico. La ripartizione infatti entra in crisi se aumenta l’indice di dipendenza dato dal rapporto tra numero pensionati e numero lavoratori. Infatti se il numero dei pensionati è maggiore di quello dei lavoratori il numero delle prestazioni supererà quello dei contributi a scapito dell’equivalenza attuariale.
10
𝑃𝑚= Ammontare medio delle prestazioni previdenziali 𝑁𝑝= Numero delle pensioni erogate dall’ente
𝐶𝑒𝑞= Contributo di equilibrio
𝑊𝑚=Reddito medio lavoratori
𝑁𝑙= Numero dei lavoratori attivi
11 VA(P)=valore attuale del flusso delle pensioni di domani MC= montante contributivo
13 Al momento del pensionamento i lavoratori dunque riceveranno sotto forma di capitale e/o di rendita quanto da essi versato a titolo di contributo più una quota di interessi frutto della gestione finanziaria delle risorse.
Nella maggior parte dei Paesi, i fondi pensione seguono il criterio della capitalizzazione. Il loro vantaggio sta nell’irrilevanza della componente demografica e del relativo rischio.
Per completezza di informazione ricordiamo anche i fondi misti che
rappresentano una soluzione intermedia tra i due fondi sopra esposti. Questi prevedono la scissione del pagamento in due parti: una affluisce direttamente ai pensionati come nel sistema a ripartizione, la quota restante invece viene
capitalizzata a favore dei lavoratori attivi.
d)Tipologia degli impegni assunti
L’erogazione della prestazione previdenziale al beneficiario fa riferimento alla parte conclusiva del rapporto avvicinandosi così alla conclusione del contratto. La metodologia con cui ciò avviene ci porta a compiere una distinzione tra:
Fondi a contribuzione definita (DC: definited contribution) Fondi a beneficio definito (DB: definited benefit)
Vediamo l’ordine di determinazione delle componenti nei due metodi.
Nei DC basta leggere la figura da sinistra verso destra per capire che prima si determinano i contributi da versare. Successivamente questi vengono gestititi dall’intermediario. Ne deriva che i benefici erogati sotto forma di rata
14 degli anni di contribuzione e funzione inversa degli anni di pensionamento. Sono dunque i benefici a variare sulla base del principio di equità attuariale che deve essere sempre rispettato e secondo cui la ricchezza previdenziale (ovvero il valore attuale di tutti i benefici pensionistici) è esattamente pari, in valore attuale, ai contributi versati.
Nei DB invece la lettura dello schema precedente deve essere fatta da sinistra verso destra evidenziando così che si stabilisce subito quanto denaro si desidera ricevere al momento della prestazione. In base a questa scelta l’iscritto inizia a versare la propria contribuzione che diventa in questo caso il parametro aleatorio stimato calcolando il valore attuale della prestazione prevista a scadenza. Per fare questo si tiene in considerazione un tasso che comprenda il presunto rendimento finanziario dei contributi accumulati e la probabilità di vita e di morte degli iscritti. Il fondo pensione effettua periodicamente delle stime volte a verificare che i versamenti dell’iscritto e i rendimenti delle somme versate siano sufficienti a raggiungere la prestazione inizialmente stabilita. Se dalle stime dovesse
risultare che i versamenti effettuati e i rendimenti conseguiti non sono sufficienti, l’iscritto sarebbe tenuto ad effettuare versamenti aggiuntivi straordinari.
A livello internazionale sono diffusi fondi pensione a prestazione definita, in cui i versamenti aggiuntivi straordinari sono a carico dei datori di lavoro ed è
oltremodo riscontrabile una tendenza degli ultimi anni a trasformare
gradualmente i fondi pensione a prestazione definita in fondi a contribuzione definita.
15
e) La tipologia di prestazione erogata
Il fondo pensione nel momento in cui deve decidere in quale modo erogare la pensione, ha a disposizione una duplice forma:
Capitale in un’unica soluzione
Rendita vitalizia
I sistemi previdenziali del secondo pilastro talvolta prevedono un pagamento parziale del beneficio sotto forma di capitale. Solo in casi rari però la riscossione avviene in questa modalità. La più alta frequenza di pagamenti in forma di capitale si riscontra in quei Paesi caratterizzati da inflazione in rapida crescita dove quindi risulta difficile finanziare una pensione di valore reale costate anno per anno.
È la seconda tipologia quella più diffusa in tutto il territorio europeo, questo perché si rende più facile l’aggiungersi di essa al vitalizio percepito a titolo di pensione pubblica.12
In questo caso il montante maturato sarà convertito in una rendita percepibile fino a quando il beneficiario resterà in vita. E la prestazione da parte della compagnia terminerà al momento del decesso. Per cui il rischio per il
beneficiario è di perdere parte del capitale maturato nel caso in cui il decesso avvenisse negli anni immediatamente successivi all’inizio della rendita.
Da un punto di vista tecnico esistono diverse forme di rendita tra cui l’assicurato può scegliere:
Rendita Certa per un determinato numero di anni: questa scelta risolve in
parte il problema appena visto con la prima opzione. La rendita sarà garantita per un certo numero di anni (solitamente 5 o 10) a prescindere dal momento del decesso. Al termine del periodo la rendita certa si trasformerà
automaticamente in rendita vitalizia e quindi sarà erogabile fino al momento del decesso dell’assicurato. Se l’assicurato dovesse morire durante gli anni di
12 Facciamo riferimento anche qui alla finalità principe della prestazione, quella cioè di garantire un vitalizio in modo da evitare rischi connessi alla scarsa previdenza dei soggetti a far fronte alle loro esigenze di reddito futuro al termine della loro attività lavorativa.
16 rendita certa, la stessa verrebbe erogata a favore di un altro soggetto designato dallo stesso assicurato e fino alla scadenza del periodo garantito.
Rendita Reversibile: in questo caso la rendita vitalizia sarà erogata
all’assicurato fino a quando questo resterà in vita. Al momento del decesso sarà erogata in favore di un altro soggetto designato dall’assicurato al
momento della stipula del contratto. Per cui il beneficio inizialmente spettante all’assicurato viene trasferito ad un’altra persona che ne godrà vita natural durante. Si tratta praticamente di una rendita operante su due teste.
Il calcolo della rendita si ottiene moltiplicando il montante finale per un coefficiente di conversione. Questo coefficiente verrà calcolato sulla base di:
Basi demografiche
Fanno riferimento alle tavole che le assicurazioni utilizzano per definire il valore delle rendite da erogare. Si basano sulle speranze di vita in
relazione al sesso ed all’età al momento della richiesta della rendita. Tasso Tecnico
Nelle assicurazioni vita il tasso tecnico è il rendimento minimo che viene riconosciuto dalla compagnia in via anticipata sulla rata di rendita.
È bene fare però una precisazione che parte dalla considerazione che non tutti i fondi pensione garantiscono il tasso tecnico. Infatti sotto il profilo della prestazione erogata, il fondo pensione può scegliere tra:
1. Prestazione senza garanzia di rendimento 2. Prestazione con garanzia di rendimento
Nel primo caso si parla di “gestione pura” caratterizzata dalla totale incertezza sui risultati finali di gestione, infatti i rischi finanziari
connessi all’investitore restano a carico dell’aderente per tutta la durata del fondo.13
Nel secondo caso invece il fondo si assume la responsabilità di restituire il capitale o garantire un tasso di rendimento minimo.
13
17 Caricamenti
Sono una parte significativa dei costi gestionali dei fondi pensione. A parità di altre condizioni, i fattori che influenzano la rendita vitalizia sono : diversità di genere – uomo / donna (un uomo prenderà una rendita maggiore di una donna);maggiore o minore età anagrafica (a maggiore età corrisponde una rendita maggiore);
Va infine osservato che i fondi pensione possono eventualmente riconoscere anticipazioni ai propri iscritti sul capitale maturato. Ma è anche vero che il concetto di anticipazione si contraddice con la logica operativa del fondo che come ripetuto più volte è quello di garantire un reddito costante al termine del periodo lavorativo.
Per questo motivo la legge circoscrive l’ottenimento dell’anticipazione a bisogni finanziari particolari, come quelli legati all’assistenza sanitaria, all’acquisto della prima casa, ma ben distante dalla legge, guardando il ruolo sociale che
l’anticipazione ha di fatto svolto in piena crisi i lavoratori si sono salvati utilizzando questo strumento in assenza di altri supporti economici.
1.2 I soggetti dei fondi pensione
Per svolgere tutte le sue funzioni nelle sue fasi il fondo pensione si avvale di diversi soggetti:
Gli aderenti: sono quei soggetti che decidono di trasferire il TFR a forme di previdenza complementare. L’adesione a un fondo di previdenza complementare può avvenire sia su base individuale od anche a fronte di un accordo plurisoggettivo. Gli aderenti versano i contributi a fondo pensione ed in cambio, superato un predeterminato periodo contributivo, godranno nelle prestazione.
Service amministrativo: si occupa della gestione dei contributi, delle liquidazioni e di eventuali trasferimenti. Gestiste di norma sia il ciclo attivo, relativo alla fase di accumulo, sia quello passivo relativo alla fase di decumulo, sgravando quindi il gestore del fondo negoziale, del fondo
18 aperto o del PIP dell’attività amministrativa attraverso l’esternalizzazione dell’intero processo che comprende tutte le attività riguardanti raccolta, gestione e investimento delle contribuzioni, la tenuta delle posizioni individuali degli aderenti, la relazione con le aziende e la reportistica per il Fondo stesso.
Gestore finanziario: il fondo si può avvalere di una società per la gestione del risparmio, che si occupa sostanzialmente dell’investimento dei contributi secondo le necessità dell’iscritto e nel rispetto della normativa vigente. Il gestore finanziario assume solo il compito di impiegare i capitali ma il rischio continua a gravare sul fondo stesso, perché esso mantiene una posizione giuridicamente rilevante sotto il profilo del rischio. Di solito la scelta di affidarsi a terzi per la gestione finanziaria è compiuta dai fondi negoziali e alcuni fondi preesistenti, mentre i fondi aperti e PIP gestiscono le risorse direttamente.
Banca depositaria: si occupa di custodire degli strumenti finanziari e delle disponibilità liquide del fondo pensione, distintamente dal gestore finanziario. Inoltre, esegue le istruzione impartite dal soggetto gestore del patrimonio.
Impresa di assicurazione: deve essere sempre presente e di occupa principalmente dell’erogazione delle prestazioni. Il fondo, per determinare forme pensionistiche può stipulare apposite convenzioni con imprese assicurative per le eventuali prestazioni.
19
1.3 Vigilanza sui fondi pensione
Il sistema della previdenza complementare si fonda su un insieme di regole finalizzate alla tutela del risparmio previdenziale. Per assicurarne il buon funzionamento il legislatore ha istituito una specifica Autorità di vigilanza: la COVIP14 (commissione di vigilanza sui fondi pensione).
La COVIP è l’ autorità amministrativa indipendente che ha il compito di vigilare sul buon funzionamento dei fondi pensione, a tutela degli aderenti e dei loro risparmi destinati a previdenza complementare, garantendo la trasparenza e la correttezza nella gestione e nell’amministrazione dei fondi stessi.
La COVIP può, inoltre, formulare proposte di modifiche legislative in materia di previdenza complementare; cura anche la raccolta e la diffusione delle
informazioni utili alla conoscenza dei problemi previdenziali e del settore. A livello europeo anche gli altri stati sono soggetti a vigilanza cosicché la COVIP è inserita negli organismi internazionali (Unione Europea e OCSE) nei quali operano le Autorità dei paesi membri relativamente ai temi della previdenza complementare.
In una prospettiva di efficienza dei controlli in ambito previdenziale, avuto riguardo all’esperienza di vigilanza maturata sulla gestione finanziaria dei fondi pensione, il legislatore, in tempi recenti, ha ritenuto di affidare alla COVIP anche il compito di controllo sugli investimenti delle risorse finanziarie e sulla
composizione del patrimonio degli enti previdenziali privati e privatizzati (c.d. Casse professionali). Si tratta di una scelta importante e significativa, avendo sempre riguardo alla vigilanza sul risparmio previdenziale del primo pilastro, che come tale merita una particolare attenzione, nell’ovvio rispetto dell’autonomia gestionale delle singole casse professionali.
20
Capitolo 2 La previdenza complementare in Italia
Nell’ambito dei sistemi di “protezione sociale” la previdenza complementare può essere definita come una forma volontaria di accantonamento di risorse
finanziarie, agevolata fiscalmente dallo Stato e con lo scopo di disporre, alla fine della vita lavorativa, maggiori disponibilità tali da integrare le prestazioni
pubbliche e consentire di mantenere, durante la vecchiaia, un’accettabile tenore di vita.
Ovviamente il ruolo e l’importanza di queste forme aggiuntive e complementari variano in base alla “generosità” dei sistemi previdenziali pubblici. Infatti, nei Paesi in cui le prestazioni pensionistiche sono pari o superiori al 70/80% dell’ultimo reddito, queste forme risultano essere residuali; viceversa in quei Paesi dove la copertura è modesta, acquisiscono grande importanza e sono molto sviluppate.
In Italia, il sistema pubblico inizialmente era in grado di sostenere gli obiettivi di previdenza nazionali. Ma a partire dagli anni settanta, come la maggior parte dei Paesi occidentali, è stato interessato da un forte rallentamento dell’economia, determinato principalmente dalla crisi petrolifera del 1973-1976.
Ad aggravare questa situazione di difficoltà si sono aggiunti anche problemi di natura politico-legislativa associati a storici provvedimenti distorsivi che si sono successi nel tempo e che hanno portato ad un’eccessiva “generosità” del regime previdenziale obbligatorio15.
Questa profonda crisi perpetuata nel tempo ha spalancato le porte allo sviluppo della previdenza complementare quale strumento necessario per riportare in equilibrio i conti della previdenza pubblica e garantirne la sostenibilità nel lungo periodo.
Le ragioni e la necessità per le quali si è a lungo discusso sulla previdenza complementare sono basate su una serie di riflessioni che riguardano differenti
15 Per esempio la legge n.153 del 1969, che svincolava il calcolo della pensione dai contributi effettivamente versati che fino a quel momento venivano contabilizzati con il metodo “contributivo”, regolandoli alla retribuzione percepita negli ultimi anni di lavoro. questa riforma lasciò una pesante eredità al sistema pubblico che si riverberò fino alla grande riforma del 1992.
21 fattori: in primis la sostenibilità finanziaria dei sistemi pubblici, prevalentemente gestiti con il criterio della “ripartizione” che a causa di una scarsa correlazione tra contributi e prestazioni rischiano di generare iniquità intergenerazionali; il
rischio demografico con una evoluzione della struttura per età della popolazioni
che presentava già al tempo forti connotazioni di invecchiamento; infine le
modifiche del mercato del lavoro, che con l’entrata del lavoro sempre più tardiva
e un aumento del tasso di disoccupazione rendono necessarie forme previdenziali aggiuntive e complementari del sistema pubblico.
Così a partire dagli anni ’90, sebbene in ritardo rispetto agli altri Paesi europei, in Italia sono state realizzate riforme strutturali che hanno pian piano radicalmente revisionato il modo di intendere e fare previdenza. E infatti il processo di riforma del sistema pensionistico nazionale trova definizione compiuta nei molteplici interventi governativi. I principali provvedimenti attuativi di questa riforma sono stati:
Decreto legislativo n.124 del 1993 intitolato “ Disciplina delle forme
pensionistiche complementari” in attuazione della legge delega n.421 nel
1992.
Legge n.335del 1993 intitolato “Riforma del sistema pensionistico
obbligatorio e complementare”
Decreto legislativo n°47 del 2000 intitolato “ Riforma della disciplina
fiscale della previdenza complementare” in attuazione della legge delega
n°133 del 1999.
Legge n.243 del 2005 intitolato: “Norme in materia pensionistica e
deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno della previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il
22
2.1 Fasi evolutive del sistema previdenziale complementare
È difficile stabilire una data esatta di introduzione in Italia del sistema previdenziale complementare. Già prima del 1993, si erano sviluppate delle forme previdenziali di natura privatistica, tra loro assai diverse che all’epoca erano definite “integrative ” o “aggiuntive” del sistema previdenziale pubblico, che si basavano sul modello di esperienza di altri Paesi che hanno sperimentato prima dell’Italia questa forma di previdenza.
Nella maggior parte dei casi erano istituite in modo unilaterale dall’azienda e prevedevano una contribuzione del solo datore di lavoro o anche dei dipendenti in percentuale delle retribuzioni.
Nel corso degli ultimi trent’anni, a partire dagli anni Novanta, si apre un nuovo scenario: il Paese è in una gravissima crisi finanziaria con i conti pubblici fuori controllo, in gran parte appesantiti da un welfare non più insostenibile e l’Italia è al contempo scossa da una grave crisi istituzionale e morale che si ripercuote pesantemente sia sui partiti politici, sia sui sindacati ed anche su alcuni amministratori degli enti gestori di forme previdenziali.
a) Riforma Amato
In questo clima, il Governo presieduto dall’onorevole Giuliano Amato, vara la prima grande riforma del sistema previdenziale obbligatorio e conseguentemente si concretizza e diventa legge di Stato la prima norma sulla previdenza
complementare.
Infatti Il D.lgs n. 124/1993, fu emanato in attuazione della legge 23.10.92, n.421,meglio conosciuta come “Riforma Amato” recante: “Delega al governo
per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale” che è stato il primo
intervento legislativo concreto della storia previdenziale italiana con il quale si sono dettate le norme di riforma del sistema pensionistico.
I provvedimenti principali di questa riforma in tema di previdenza pubblica possono essere così riassunti:
23 Armonizzazione della normativa tra pubblico e privato
È il processo che tende a rendere uguali le norme, la contribuzione e i trattamenti dei vari regimi previdenziali.
Innalzamento dell’età pensionabile
Per i lavoratori iscritti all’INPS era fissata a 60 e 55 anni rispettivamente per uomini e donne. A seguito di questa riforma l’età per il pensionamento è di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne.
“Sconti” sull’età pensionabile
Da riferirsi a chi è impegnato in attività lavorative usuranti.16 I lavoratori pubblici e privati e i lavoratori autonomi occupati in queste attività possono ottenere uno sconto sull’età pensionabile di due mesi per ogni anno di occupazione svolto dall’ottobre del 1993 in poi, fino ad un massimo di cinque anni complessivi.
Modifica dell’integrazione al trattamento minimo
Il diritto al “minimo” oltre che al reddito personale del richiedente viene calcolato anche con riferimento al reddito del coniuge. Il diritto al
“minimo” si può ottenere solo se il reddito complessivo non supera i limiti fissati anno per anno.
Allargamento della base per il calcolo della pensione.
Il metodo di calcolo della pensione è quello retributivo ma si prende come riferimento la media delle retribuzioni dell’intera vita lavorativa.17
Questa legge fissava anche i principi ispiratori e i criteri per la redazione della normativa sulla previdenza privata con l’ obiettivo di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale attraverso la previsione di trattamenti pensionistici complementari da affiancare al sistema obbligatorio.
16 L’elenco delle attività usuranti è stato fissato nel decreto n° 374 del 1993. Sono “usuranti” quelle attività per i quali è richiesto un impegno psico-fisico continuativo e particolarmente intenso, condizionato per di più da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee. 17
Prima della riforma veniva sempre usato il metodo retributivo, ma diversificato in base alla categoria di appartenenza del lavoratore. Ciò che cambiava era l’orizzonte temporale di riferimento delle prestazioni, che prima della riforma erano sempre le ultime. Considerando un orizzonte temporale più lungo si riduce l’importo della prestazione previdenziale offerta
24 Sono state così dettate le regole fondamentali per il funzionamento dei fondi pensione, delineando le modalità di costituzione, di gestione delle risorse, di contribuzione e delle prestazioni finali erogate. È stato inoltre introdotto il principio della volontarietà dei fondi pensione, innovando notevolmente rispetto al passato, dove i fondi esistenti, spesso frutto della contrattazione collettiva, una volta costituiti erano considerati obbligatoriamente estesi a tutti i lavoratori. Questo testo, a causa della precaria situazione finanziaria del Paese che non consentiva grandi possibilità di manovra sotto il profilo fiscale, da un lato peggiorava la situazione precedentemente in vigore, dall’altro tuttavia ha
permesso che parallelamente il governo Amato approvasse nel marzo nel 1993 il
D.lgs. n.124 volto a disciplinare la previdenza complementare ed a creare le
condizioni affinché la stessa assumesse in Italia un’importanza sempre più marcata nel lungo periodo.
Questa legge introduce effettivamente nel panorama economico e legislativo italiano la figura dei fondi pensione, fornendo la prima organica disciplina della previdenza complementare nel contesto domestico.
L’art 1 del decreto legislativo citato, considera i trattamenti pensionistici erogati dai fondi come trattamenti complementari del sistema obbligatorio pubblico. I fondi possono essere costituiti sotto forma di soggetti giuridici di natura
associativa non riconosciuta, alternativamente come soggetti dotati di personalità giuridica o come fondi interni mediante l’accantonamento di un patrimonio di destinazione nell’ambito del patrimonio della singola società o dell’ente pubblico anche economico.
Stabilisce inoltre che beneficiari siano sia i lavoratori dipendenti, privati e pubblici, sia i lavoratori autonomi e liberi professionisti organizzati per aree professionali e per territorio.
Un altro aspetto importante è quello del finanziamento al fondo. Infatti il
provvedimento individua già nella devoluzione del Tfr maturando in correlazione all’ incentivazione fiscale una strada per lo sviluppo della previdenza
25
complessivo (contributo del datore di lavoro e del lavoratore), stabilito in
percentuale dalla retribuzione assunta a base della determinazione del TFR18. Principio cardine per l’utilizzo del TFR è quello della libertà di scelta del
lavoratore:19 la legge stabiliva per i lavoratori occupati prima del 28 aprile del
1993 la facoltà di scegliere di destinare anche una sola parte del Tfr maturando, mentre per i lavoratori occupati in data successiva prevedeva l’obbligo di versare tutto il Tfr maturando.
Fiscalmente le principali novità introdotte dal D.lgs 124/93 erano le seguenti: Il limite massimo di contribuzione al fondo che era pari al 10% della
retribuzione, compresi il TFR, i contributi aziendali e del dipendente La detrazione di imposta non doveva essere superiore al 27% fino a 3 mln
di lire
Il limite di deducibilità dei contributi dell’azienda veniva correlato al 50% del TFR versato al fondo
L’imposta sul fondo era pari allo 0,25%
Era data la possibilità di riscattare in capitali solo il 50% di quanto maturato, mentre il resto doveva obbligatoriamente essere erogato sotto forma di rendita
Non va dimenticato che i fondi, non potendo assumere impegni di tipo assicurativo, gestivano le loro risorse mediante convenzioni con soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività dell’intermediazione mobiliare (imprese assicurative che effettuavano operazioni sulla durata umana e di
capitalizzazione), con enti gestori di forme di previdenza obbligatoria oppure mediante la sottoscrizione o l’acquisizione di azioni o quote di società mobiliari. L’introduzione della previdenza complementare dunque influenzerà
positivamente il sistema economico ed in particolare il mercato finanziario,
18 Tfr: trattamento di fine rapporto. È una somma che il datore di lavoro liquida al dipendente al momento di estinzione del rapporto di lavoro. Il fondo Tfr si alimenta mediante accantonamenti del 7,41% del salario annuo meno lo 0,50 % che il datore di lavoro è tenuto a versare al Fondo di Garanzia presso l’Inps. Viene rivalutato annualmente ad un tasso dell’1,5% più il 75% di inflazione. Per il lavoratore si tratta di salario differito, mentre per l’azienda è un debito o una forma di finanziamento a condizioni vantaggiose.
19
26 perché vedrà aumentare la consistenza dell’intermediazione e inoltre inciderà notevolmente su tutte le forme pensionistiche aziendali e sui fondi già costituiti.
b) Riforma Dini
Già dal primo biennio successivo si diffonde la convinzione che il sistema previdenziale italiano, sia per la componente pubblica obbligatoria che per la quella complementare facoltativa, doveva essere ulteriormente riformato.
Infatti i conti delle varie gestioni previdenziali continuavano a peggiorare a causa dell’eccessiva lentezza degli interventi della riforma precedente. Allo stesso tempo i fondi pensione attraversavano una fase di stallo in quanto le norme del D.lgs. n.124/1993 chiudevano a nuovi ingressi i fondi già esistenti, ne
conducevano altri allo scioglimento e non si registrava nessun impianto di piani pensionistici nuovi.
Era necessaria una riforma che arrivò a soli due anni di distanza sotto il governo Dini con il Decreto legge n. dell’ 8 agosto 1995 . La “Riforma Dini” costituisce una tappa decisiva nel processo di definizione e di distribuzione degli ambiti operativi affidati alla previdenza pubblica e complementare.
Questo è stato un provvedimento veramente ampio e completo che modifica e innova profondamente il D.lgs 124/93.
Il punto qualificante della riforma è rappresentato dall’introduzione del metodo di calcolo della pensione che da retributivo è passato a contributivo prevedendo una stretta correlazione tra i contributi versati nel corso dell’intera vita lavorativa e la rendita pensionistica. La rendita è così ricollegata alla speranza di vita media del soggetto al momento del pensionamento20, previsto in modo flessibile tra i 57 e i 65 anni, abolendo così le pensioni di anzianità.
La riforma, per evitare eccessive penalizzazioni ai lavoratori prossimi alla quiescenza e a causa dei persistenti contrasti sindacali, agisce in modo molto graduale: si parla di un “modello misto” che prevede la suddivisione dei lavoratori in tre classi alle quali si applicavano differenti modalità di calcolo:
20 La correlazione è ottenuta attraverso il meccanismo dei “coefficienti di trasformazione” che appunto trasformano il montante accumulato in rendita sulla base delle medie mobili quinquennali del tasso di crescita nominale del PIL.
27 Per i nuovi assunti a partire dal 1° gennaio 1996 si applicherà
esclusivamente il sistema di calcolo “contributivo”.
Per i lavoratori con meno di 18 anni di anzianità contributiva al 31/12/95 le prestazioni pensionistiche verranno calcolate fino a tale data con il precedente metodo retributivo più favorevole mentre a partire dal 1° gennaio 1996, si applicherà, il metodo contributivo con il criterio del “pro rata”.
Per i lavoratori con almeno 18 anni di anzianità contributiva, al 31/12/1995, è previsto il mantenimento del metodo di calcolo “retributivo”.
Per quanto riguarda le previdenza complementare invece le principali novità, molte delle quali sono tuttora in vigore, riguardano:
Ampliamento della platea dei soggetti destinatari ai soci e ai lavoratori delle cooperative
Introduzione dei “fondi aperti” che tuttavia assumono una funzione
residuale rivolta ai soli lavoratori per i quali non operano o non sussistono fondi negoziali istituiti da contratti e accordi collettivi.
Ampliamento dei soggetti abilitati alla gestione delle risorse dei fondi pensione alle “società di gestione di fondi comuni”21
Introduzione della cosiddetta “portabilità” che consente una maggiore mobilità tra fondi permettendo al lavoratore la possibilità di trasferire l’intera posizione individuale ad altro fondo nel caso di cambio
dell’attività lavorativa; inoltre è prevista la libertà di trasferimento ad altro fondo (aperto o negoziale), anche in sostanza del rapporto di lavoro. dopo un periodo di permanenza al fondo minima di tre anni
Attribuzione alla “Commissione di vigilanza dei fondi pensione,” istituita dal D.lgs 124/93, della personalità giuridica di diritto pubblico,
incaricandola di regolare la trasparenza e la corretta gestione e amministrazione dei fondi pensione.
21
28 Relativamente al regime tributario, la legge in esame ha modificato in modo sostanziale la precedente normativa:
Elimina l’imposta sostitutiva espressa in percentuale(0,125% del valore dell’attivo netto del fondo), sostituendola con una imposta fissa nella misura di 10milioni di lire annue, ridotta a 5 milioni per i primi cinque anni dalla data di costituzione del fondo.
Le ritenute fiscali sui redditi diversi da capitale sono a titolo d’imposta (12,5 % sulle cedole dei titoli obbligazionari o 15% sui dividendi azionari), penalizzando da un lato i futuri fondi di piccole dimensioni e dall’altro i fondi già costituiti alla data di entrata in vigore della legge del 1993 che per la maggior parte erano di piccole dimensioni.
Per quanto riguarda l’assetto delle contribuzioni, si passa dalla “detraibilità22” ad aliquota massima del 27% alla “deducibilità”23
ad aliquota marginale. Per i lavoratori dipendenti i fondi sono alimentati da un contributo a carico del lavoratore nel limite del 4% della retribuzione annua con un limite di 5 milioni.
c) Decreto legislativo n. 47/2000
La normativa della previdenza complementare viene ulteriormente modificata dal D.lgs n.47, del 18 febbraio 2000 (emanato in attuazione della delega contenuta nell’art 3 della legge 133/99) e dal successivo decreto legislativo, di carattere correttivo n.168/01, che realizzano una riforma del regime fiscale complessivo e introducono le forme pensionistiche individuali.
Infatti l’emanazione del d. lgs 47/2000 nasce con l’obiettivo specifico di rivedere la disciplina fiscale dei fondi pensione, ma finisce per istituzionalizzare la previdenza individuale tanto da fissare l’articolazione del sistema pensionistico nazionale in tre “pilastri”.
22
La detraibilità è la sottrazione dei costi detraibili dopo aver calcolato il reddito imponibile e l’imposta da versare.
23 La deducibilità è la sottrazione delle spese (costi) deducibili dal reddito prima di calcolare l’imposta.
29 Da un punto di vista fiscale il Legislatore ha disciplinando unitariamente la
disciplina dei fondi pensione sotto tutte tali forme:
le forme di previdenza complementare di cui all’art. 3 cioè fondi chiusi e all’art. 9 del d. lgs 124/93 fondi aperti con adesione su base contrattuale collettiva.
le forme pensionistiche individuali attuate mediante adesione ai fondi aperti o mediante stipula di contratti di assicurazione sulla vita aventi finalità previdenziali ;
i contratti di assicurazione sulla vita, distinguendo quelli aventi finalità di copertura dal rischio di invalidità permanente, morte e di non
autosufficienza, da quelli aventi finalità di capitalizzazione finanziaria; i versamenti effettuati a forme pensionistiche di natura obbligatoria ai fini
della prosecuzione volontaria della contribuzione;
i fondi pensione che risultavano già istituiti alla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n° 421 i cosiddetti “fondi preesistenti”; il T.F.R. e le altre indennità equipollenti;
Oltre ad una riorganizzazione e un accorpamento della disciplina fiscale un punto focale della riforma riguarda i meccanismi della previdenza individuale. È vero che ancor prima di questa riforma esistevano già strumenti individuali
previdenziali ma con questo decreto il Legislatore ha ritenuto opportuno sottolineare la loro appartenenza alle forme pensionistiche di tipo individuale. Più specificamente si fa riferimento in questo caso:
All’adesione ai fondi aperti24
Alla stipulazione di contratti di assicurazione sulla vita. Questo decreto introduce di fatto i piani individualistici pensionistici
(PIP).Questi, attuati mediante polizze di assicurazione si rivolgono a tutti coloro che, indipendentemente dalla propria situazione lavorativa intendono costituirsi una rendita integrativa.
24
30 La peculiarità di tali forme è che assicurando una rendita alla scadenza del
rapporto contrattuale, ossia alla maturazione dei requisiti per l’erogazione della pensione complementare, sono le sole forme pensionistiche a prevedere un unico rapporto contrattuale che accompagna l’aderente dalla fase di adesione a quella di contribuzione sino a quella di erogazione della rendita.
Per l’adesione a tali forme è prevista la stipula di un vero e proprio contratto di assicurazione: i PIP, in base alle disciplina dettata dalle circolari dell’ISVAP sono realizzate mediante contratti assicurativi di ramo I25, cioè assicurazioni
sulla vita, nei quali la rivalutazione della posizione individuale è legata a una o più gestioni interne separate; oppure contratti assicurativi di ramo III, cioè polizze di tipo unit linked, nei quali la rivalutazione è invece collegata al valore delle quote di uno o più fondi interni detenuti dall’impresa di assicurazione. La caratteristica previdenziale di queste forme è evidenziata dalla presenza di specifiche clausole sulla prestazione, sulla modalità di erogazione, e sui termini e sulle condizioni di trasferimento o riscatto della posizione analoghe a quelli dei fondi pensione.
L’azione di espansione delle compagnie di assicurazione nel mercato della previdenza integrativa con polizze individuali ha posto l’attenzione del
Legislatore sull’esigenza di coordinare il mondo dei fondi pensione con quello dei PIP e quindi anche con i prodotti Vita di ramo I e III. Si tratta di un’esigenza trascurata al momento in cui sono nati. Infatti, fino ad allora, le compagnie potevano operare nel campo della previdenza integrativa solamente con il ramo VI26 che era confrontabile con le gestioni finanziarie quanto a trasparenze, vigilanza e governance e trasferibilità delle prestazioni. Con l’introduzione dei PIP, tale simmetria viene meno e le compagnie assicurative ovviamente ne approfittano spingendo al massimo il collocamento delle polizze Vita previdenziali.
25 I Rami Assicurativi rappresentano le aree di rischio al quale l’Assicuratore può esporsi.
26 Operazioni di gestione di fondi collettivi costituiti per l'erogazione di prestazioni in caso di morte, in caso di vita o in caso di cessazione o riduzione dell'attività lavorativa.
31 La normativa sui PIP, alla luce di questi problemi verrà ripresa successivamente con il D.lgs n. 252/2005 al fine di equiparare totalmente le polizze previdenziali individuali ai fondi pensione esistenti.
d) Decreto legislativo n.252/2005
Dopo le riforme degli anni Novanta, il sistema previdenziale italiano torna ad essere oggetto di attenzione da parte delle Autorità Nazionali. Già nel 2004 il governo approva la proposta di legge delega di riforma del sistema pensionistico (legge delega n.243/2004) che vale la pena ricordare in quanto si propone di raggiungere tre obiettivi fondamentali largamente condivisi a livello europeo:
1. Garantire la sostenibilità del sistema pensionistico nel medio e nel lungo periodo.
2. Sviluppare la previdenza complementare, da affiancare a quella pubblica. 3. Elevare gradualmente l’età pensionabile.
Il Decreto legislativo n.252/2005,attuativo della legge delega n.243/2004,con l’obiettivo di incentivare una partecipazione più diffusa ai pilastri previdenziali privati e di rafforzare le fonti di finanziamento, ha una portata talmente ampia da poter configurarsi come una e vera riscrittura dell’originario decreto n.124/1993 istitutivo dei fondi pensione che dall’entrata in vigore delle nuove norme risulta essere abrogato. Con l’obiettivo è quello di incentivare una partecipazione più diffusa ai pilastri previdenziali privati e di rafforzarne le fonti di finanziamento. L’articolo 1, in continuità con le previsioni del precedente 124/93, specifica che il decreto disciplina le “forme di previdenza” il cui scopo è quello di erogare trattamenti pensionistici complementari a quelli del sistema obbligatorio di base, con l’obiettivo di “assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale”. Per
sistema obbligatorio si intendono tutte le forme pensionistiche gestite da Enti
pubblici e privati ai quali ogni soggetto deve obbligatoriamente iscriversi all’inizio della attività lavorativa.
L’articolo 2 elenca i soggetti che possono aderire alle forme pensionistiche complementari:
32 Lavoratori dipendenti sia pubblici che privati. Ai fini dell’adesione al
fondo pensione, essi possono aggregarsi secondo modalità diverse, in particolare sulla base dell’appartenenza alla medesima categoria professionale, allo stesso comparto o raggruppamento, alla medesima azienda o raggrupparsi sulla base di criteri territoriali.
Lavoratori autonomi e liberi professionisti, raggruppati ed organizzati anche per aree professionali o territoriali.
Soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro
Soggetti che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari.
In generale da questa breve disamina un elemento fondamentale da sottolineare è data dal fatto che dall’originario d.lgs. n.124/1993, in cui il Legislatore destinava gli strumenti di previdenza complementare ai soli lavoratori iscritti al regime pensionistico obbligatorio si arriva ad estendere l’adesione di tali fondi a chiunque (indipendentemente dalla situazione reddituale, lavorativa e
previdenziale) voglia tutelarsi da un sistema pensionistico pubblico italiano, che risulta uno dei meno generosi a livello europeo in quanto non è n grado di garantire una sostenibilità finanziaria al contribuente al termine dell’età lavorativa.
Questo decreto legislativo è tutt’ora in vigora e dunque analizzato nel proseguo della trattazione al fine di darne una visione più esaustiva possibile.
33
2.2. Tipologie di fondi
Le forme pensionistiche complementari, vengono attuate mediante costituzione di appositi fondi o patrimoni separati. Una prima importante distinzione che il Legislatore italiano introduce e che non trova riscontro immediato nelle
esperienze degli altri Paesi europei è quella tra fondi pensione aperti e chiusi. Strumenti finanziari su cui investire ce ne sono tanti: fondi, obbligazioni, azioni. Ma la legge di fatto spinge la scelta di quattro categorie di prodotto, grazie al riconoscimento di una serie di vantaggi fiscali; ci riferiamo a:
I fondi pensione aperti: sono fondi pensione dedicati a tutti i lavoratori dipendenti e autonomi.
I fondi pensione chiusi: sono fondi pensione istituiti da accordi tra industrie e sindacati, aperti ai lavoratori dipendenti del settore a cui tali fondi sono dedicati.
I fondi preesistenti: sono fondi pensione istituiti27 precedentemente alla riforma del 1992, data di entrata in vigore della legge delega n.421/92. Nel corso degli ultimi anni hanno dovuto adeguare le loro regole a quelle dei fondi chiusi, quindi sono assimilabili a questi ultimi.
I Piani pensionistici individuali (o Pip) sono contratti di assicurazione sulla vita che hanno finalità pensionistiche. I Pip scontano il fatto si sostenere alti costi che si riflettono sui rendimenti e quindi sulla pensione futura.28
Si denota dunque la volontà del legislatore di spingere i risparmiatori a depositare i propri contributi presso i Fondi Pensione Complementari che
rappresentano, in termini semplicistici, una forma di risparmio gestito nella quale l’insieme di tanti piccoli versamenti, costituiti dai contributi dei singoli iscritti, sia dei lavoratori che dei datori, nonché quote di TFR, affluiscono, nel corso della vita attiva, in un unico patrimonio (il fondo) che li investirà sui mercati
27 Per data di istituzione si intende quella in cui è stato sottoscritto l’accordo collettivo o è stato emanato il regolamento aziendale.
28 I Pip rispondono meno alle finalità pensionistiche perché hanno molti costi che si riflettono sui rendimenti e, quindi, sulla pensione futura.
34 finanziari utilizzando strumenti di massima specializzazione, gestiti
professionalmente; ciò allo scopo di costituire una pensione complementare a quella di base.
2.2.1 Fondi pensione chiusi (d.lgs 252/2005)
I fondi pensione chiusi sono soggetti con o senza personalità giuridica, autonomi rispetto al soggetto promotore e istituiti a beneficio esclusivo di particolari categorie di lavoratori che appartengono alla stessa categoria professionale, alla stessa impresa o allo stesso territorio. Infatti questa tipologia di piani
pensionistici nasce grazie all’iniziativa delle parti sociali, lavoratori o imprese, che convengono nella istituzione del fondo e stabiliscono le modalità di
partecipazione.
La normativa italiana prevede l’esistenza di due tipologie di fondi chiusi: Fondi a beneficio definito
Fondi a contribuzione definita.
In realtà l’operatività dei fondi a beneficio definito è vincolata ai soli lavoratori autonomi e ai liberi professionisti, mentre è esclusa a priori alle altre categorie di destinatari. Dunque, per i lavoratori dipendenti le prestazioni erogate dai fondi pensione possono essere solo aggiuntive rispetto a quelle offerte dal primo pilastro, invece per i lavoratori autonomi e liberi professionisti è previsto anche l’accesso a fondi pensione di tipo integrativo, in grado di assicurare loro una pensione globale, pubblica e privata, pari alla percentuale predeterminata alla retribuzione percepita.
A prescindere da questa distinzione, tra regime a beneficio definito o
contribuzione definita, il criterio utilizzato per la gestione delle risorse è quello della capitalizzazione.
35
a)Requisiti di partecipazione e godimento
Per quanto riguarda i requisiti di partecipazione e di godimento ai fondi pensione è prevista una distinzione importante: il Legislatore da un lato lascia un certo margine di discrezionalità per la definizione dei requisiti di accesso alle
prestazioni, dall’altro invece pone alcune condizioni limite necessarie per avere diritto al trattamento pensionistico.
Infatti il diritto alla pensione si acquisisce al compimento della stessa età pensionabile stabilita dal regime obbligatorio29 e solo dopo avere maturato un periodo di contribuzione al fondo non inferiore a cinque anni.
Sulla base di questa regola generale l’aderente può anche decidere di posticipare l’accesso alla pensione integrativa, decidendo di proseguire volontariamente nella contribuzione. In quest’ultimo caso, sarà lo stesso aderente a stabilire autonomamente il momento della fruizione della prestazione aggiuntiva. Qualora invece le prestazioni siano erogate con anticipo di cinque anni rispetto alla maturazione dei requisiti, devono presentarsi determinate condizioni quali: stato di inoccupazione per un tempo superiore a 48 mesi o invalidità permanente che comporti la riduzione delle capacità di lavoro a meno di un terzo.
D’altro canto è prevista anche la possibilità di richiede in qualsiasi momento un’anticipazione della posizione individuale maturata. In questo caso l’importo non potrà mai essere superiore al 75% e dovrà sempre essere motivato da esigenze di spese sanitarie a seguito di gravissime situazioni relative a sé, al coniuge e ai figli per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle
competenti strutture pubbliche30. In alternativa la motivazione può riguardare l’acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli o per ristrutturazioni
29
Riferimento obbligato alla Riforma Fornero: DL 201/2011 ha inasprito in generale i requisiti di accesso fissandoli a 66 anni per gli uomini (dipendenti ed autonomi) e per le lavoratrici del pubblico impiego; la riforma ha anche innalzato gradualmente i requisiti con riferimento alle lavoratrici del settore privato, con l'obiettivo di parificare l'età pensionabile tra uomini e donne entro il 2018 (anno in cui i requisiti saranno uguali per tutti).
30 Sull’importo erogato, al netto dei redditi già assoggettati ad imposta, è applicata una ritenuta a del 15% ridotta di una quota pari a 0,30% eccedente il quindicesimo anno di partecipazione al fondo, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali.
36 della prima casa per un massimo del 75%31. In aggiunta sono annoverate ulteriori esigenze degli aderenti per un importo non superiore al 30% chiedibile solo dopo che sono decorsi otto anni dall’iscrizione al fondo32.
Per quanto riguarda le modalità del riscatto, questo può essere parziale o
totale:
È parziale nella misura del 50% della posizione individuale maturata, nei casi di cessazione dell’attività lavorativa che comporti l’inoccupazione non inferiore a 12 mesi e non superiore a 48 mesi, ovvero in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a procedure di mobilità o cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria.
È totale invece per i casi di invalidità permanente che comportino la riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo e a seguito di cessazione dell’attività lavorativa o inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi. Tale facoltà può essere esercitata nel quinquennio precedente la maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni pensionistiche complementari.
In caso di morte dell’aderente prima della maturazione del diritto alla prestazione pensionistica, l’intera posizione individuale maturata è riscattata dagli eredi ovvero dai diversi beneficiari dallo stesso disegnati, siano essi persone fisiche o giuridiche. In mancanza di tale indicazione una parte della posizione viene devoluta a finalità sociali secondo le modalità stabilite dal “Ministro del lavoro e delle politiche sociali” e la parte restante invece viene devoluto al fondo pensione stesso33.
31 Devono essere decorsi otto anni di iscrizione al fondo e l’acquisto deve essere documentato da atto notarile
32
Sugli importi erogati al netto dei redditi già assoggettati ad imposta, si applica una ritenuta di imposta del 23%.
33 Sulle somme percepite a titolo di riscatto è prevista una ritenuta a titolo di imposto del 15% ridotta dello 0,30% per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di sei punti percentuali.