Sul concetto di energia legata alla produzione e all’uso degli edifici, tanto è stato scritto e tanto si sta scrivendo: la questione è antica come la storia dell’architettura.
Gli scenari prefigurati dall’attuale direttiva europea 2010/31/EU impongono delle scelte di campo radicali: gli edifici di nuova costruzione dal 2020, praticamente non dovranno più consumare energia in fase d’uso (2018 per i nuovi edifici pubblici: scuole, università, teatri, municipi, ecc.); senza considerare anche i forti vincoli imposti dalla recentissima direttiva 2012/27/EU sull’efficienza energetica, con l’obiettivo di ridurre l’enorme peso della bolletta energetica europea dovuta alle importazioni dall’estero,
gravante per quasi il 4% del prodotto interno lordo.159
Ora però appare necessario spostare l’obbiettivo sulla città, superando l’idea del singolo edificio autonomamente ultraperformante; è necessario perciò agire più
158 Cfr. Cap. 3
consapevolmente alla scala del quartiere, del tessuto urbano consolidato. Come già è stato fatto alla scala del singolo manufatto l’attenzione della ricerca deve concentrarsi sulla individuazione di strumenti operativi finalizzati a ridurre drasticamente il fabbisogno di energia primaria in maniera organica sui tessuti urbani, incentivando prioritariamente lo sfruttamento delle risorse rinnovabili reperibili in loco.
Il percorso sembra molto complesso pensando che in Italia, ad esempio, più del 70% del patrimonio edilizio è stato costruito antecedentemente alla legge 376 del 1976, primo provvedimento normativo italiano che ha posto limiti restrittivi alle dispersioni termiche degli edifici. Inoltre è un dato di fatto che non esistono attualmente strumenti legislativi attuativi che considerino l’efficienza energetica alla scala urbana e il suo complesso interagire di diversi fattori. Si prospetta perciò un processo lungo ma realisticamente possibile, pensando agli attuali incrementi esponenziali degli interventi di riduzione delle dispersioni termiche e della produzione energetica da fonte rinnovabile.
Una certa visione ottimistica deriva anche dai dati che vengono pubblicati, anche se in maniera non troppo diffusa: il fotovoltaico installato in Italia ha recentemente superato
come potenza complessiva il livello di una centrale nucleare di quarta generazione.160
Oppure è sufficiente volgere lo sguardo alle realizzazioni urbane sostenibili già in essere: esistono esempi di quartieri energeticamente quasi autosufficienti come Solar City (R. Rainer, 1993) a Linz in Austria, Vauban (Kohlhoff & Kohlhoff, 1995) a Friburgo in Germania; o addirittura un intero comparto urbano completamente autosufficiente per 30.000 persone in costruzione ad Abu Dhabi (Masdar City, N. Foster, 2007-in corso) negli Emirati Arabi Uniti.
Masdar City: vista aerea del nuovo insediamento di progetto (fig. 1.110); l’andamento inclinato delle facciate degli edifici crea protezione dall’irraggiamento e spazi schermanti superiormente dai sistemi di produzione fotovoltaica (fig. 1.111); nel concetto estremizzato di sostenibilità viene gerarchizzata anche la mobilità: quella carrabile (elettrica) è separata e a un livello inferiore rispetto a quella pedonale (fig. 1.112)
160 Alla fine del 2011 la potenza installata in Italia ha raggiunto i 13.200 GWh contro i 9.600 GWh dell’impianto di Olkiluoto in Finlandia
L’ottimismo deriva anche dal fatto che in una sola giornata il sole riversa sulla terra una quantità di energia, teoricamente sfruttabile, pari circa a 5.400 volte l’intero
fabbisogno del pianeta; 86.000 terawatt contro i 15 terawatt globalmente richiesti.161
Secondo queste premesse l’innovazione tecnologica deve farsi carico d’incrementare la percentuale di resa dei sistemi che al momento è possibile sfruttare. Va detto che l’efficienza media degli attuali pannelli fotovoltaici, come esempio di tecnologia con i più
ampi margini di miglioramento, si aggira mediamente su di un modesto 14%;162
percentuale molto bassa se confrontata con alcune tipologie di sistemi termici a combustione, come ad esempio le caldaie a condensazione di ultima generazione, che possono arrivare fino al 109% di efficienza globale in rapporto all’energia primaria consumata.
Sotto l’aspetto architettonico gli edifici di nuova costruzione, ma soprattutto il patrimonio edilizio esistente, sono dei supporti ideali per le tecnologie solari; è necessario però risolvere attentamente le problematiche d’integrazione per garantire una buona qualità architettonica complessiva. D’altra parte è sbagliato ed eticamente discutibile utilizzare le superfici extraurbane sfigurando il territorio agricolo, poichè è sufficiente utilizzare gli svariati milioni di metri quadrati disponibili sulle coperture, giustamente orientate e in accesso al sole, per implementare questi sistemi.
Appare necessario ragionare nei termini di produzione diffusa, in regime di autoconsumo e d’immissione energetica in reti efficienti con il sistema dello scambio sul
posto;163 è possibile ipotizzare dei piccoli network energetici locali, che hanno nella
dimensione del quartiere urbano i loro confini di sistema e agiscono come elementi regolatori per lo stoccaggio e l’interscambio energetico. Nella concezione del quartiere energeticamente autosufficiente si attua una perequazione tra produzione e consumo energetico dei singoli edifici, più o meno virtuosi, per arrivare ad un bilancio complessivo tendente allo zero o addirittura positivo. È perciò fondamentale in questa prospettiva che l’energia prodotta da fonte rinnovabile sia disponibile a “chilometri zero”, incrementando il livello di autoconsumo in sito, poiché sarà più semplice la gestione energetica evitando perdite per trasporto o inadeguatezza delle reti.
Secondo queste premesse e considerando il livello di irraggiamento che l’Italia può vantare sorge un quesito: potrebbe essere possibile una “solarizzazione” diffusa ed estesa dell’Italia? Una primaria risorsa energetica nazionale che ci affranchi da quella percentuale altissima (85%) di dipendenza dall’estero, peraltro derivante da risorse fossili oramai non più sostenibili o problematiche centrali nucleari. Attualmente la quota
161 Fonte: GCEP – Stanford University
162 intesa come resa percentuale media rispetto alla complessiva radiazione incidente solare; cfr. Spagnolo M., op. cit., p. 195
di rinnovabili in Italia si assesta su una quota di circa il 10%164 della domanda di energia
primaria. I ritmi attuali di crescita sono importanti ma non bastano; è necessaria una svolta incrementale urgente per sostituire una delle maggiori voci di costo del bilancio
economico italiano e ridurre drasticamente le emissioni in atmosfera di CO2, anche per
rispettare gli impegni presi a livello mondiale. Uno scenario dell’ENEA prefigura al 2050 la
quota delle rinnovabili in Italia al 65%165 rispetto al fabbisogno energetico primario; è
possibile fare meglio e prima, grazie ad una diffusa fotovoltaicizzazione del paese. Questo fattore potrebbe rappresentare anche un nuovo motore di ripresa economica per imprese massicciamente riorientate sulla green economy, fornendogli una richiesta di prodotto certa e in aumento esponenziale.
Fig. 1.113: potenza fotovoltaica installata (2012) nei principali paesi produttori: è ben evidente il ruolo dell’Italia nel contesto internazionale, posizionata al secondo posto assoluto dietro alla Germania
Come agire è sempre un problema che parte dalla volontà politica (livello decisionale) e dalle risorse economiche (investimenti): quello che è stato fatto fino ad ora, come le incentivazioni sulla produzione da energia rinnovabile, è positivo ma non basta; prima o poi il sistema dovrà necessariamente arrivare ad autosostenersi, senza gravare più sul costo energetico della collettività.
È necessario perciò strutturare una grande convergenza d’intenti, primo fra tutti una legislazione prescrittiva di livello nazionale; questo strumento imporrà a cascata prima alle regioni e poi ai singoli comuni, quelle tipologie di pianificazione interamente
164 Cfr. Rapporto energia e ambiente, ENEA, Roma, 2013, p. 4-5 165 Ibidem, p. 12
finalizzate all’autosufficienza energetica degli ambiti urbani consolidati o di nuova costruzione, interessando non più solo la scala del singolo edificio.
La sfida più importante è senz’altro il recupero del patrimonio edilizio esistente, problema che presuppone l’individuazione di ambiti energeticamente omogenei attraverso una zonizzazione specifica dei territori comunali. Circoscritti gli ambiti un sistema perequativo interverrà sul bilancio energetico “di zona” stabilendo degli obbiettivi energetici da raggiungere; ciò sarà reso possibile da una classificazione puntuale degli edifici più energivori fino a quelli più virtuosi a energia zero o a energia+. Il regime attuale della certificazione energetica va sicuramente affinato, ma rimane lo strumento più funzionale per arrivare a un obbiettivo di gerarchizzazione dei costi di fornitura: chi consuma di più e non intende riqualificare il proprio patrimonio edilizio o implementare
sistemi di produzione energetica da fonti rinnovabili,166 pagherà proporzionalmente di più
la fornitura energetica per compensare la maggiore incidenza sul bilancio complessivo di quartiere. Questa logica dovrà attuarsi necessariamente all’interno di ambiti urbani già pianificati specificatamente per tendere ad un bilancio energetico zero; è fondamentale inoltre una campagna efficace di sensibilizzazione culturale dell’utenza finale, che stimoli anche processi di identificazione in comunità locali sostenibili e che faccia diventare l’autosufficienza energetica e il minor inquinamento ambientale una peculiarità del buon vivere.
In realtà tutto questo sta già avvenendo, con ottimi risultati e pur in situazioni più svantaggiose rispetto a quelle italiane, in nazioni vicine come Germania, Danimarca, Austria, Gran Bretagna e Olanda.
166 Anche attraverso le opportunità d’incentivazione attualmente in campo: Conto energia, Conto termico, detrazioni fiscali, utilizzo delle Energy Service Company (ESCO) per finanziare gli interventi di efficientamento energetico, ecc.