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8 Modalità di Trattamento

8.3 Vie di accesso

Sono impiegati due accessi chirurgici di base per il trattamento delle fratture dell’omero prossimale: la via di accessso deltoidea-pettorale di Larghi e la via di accesso laterale transdeltoidea.

8.3.1 Accesso deltoideo-pettorale secondo Larghi

Rappresenta il classico approccio chirurgico alle fratture dell’omero prossimale, è molto rispettosa dell’anatomia superficiale, si fa infatti largo in un piano di clivaggio tra il deltoide e il pettorale, ma prevede la sezione, almeno parziale del sottoscapolare. (figura 35); si basa su un’incisione cutanea che inizia appena inferiormente alla clavicola e, dopo aver incrociato la coracoide, discende fino all’area d’inserzione del deltoide.

La vena cefalica, divaricata lateralmente o medialmente dovrebbe essere preservata. Viene dissezionata la fascia pettorale lateralmente al tendine del capo breve del muscolo bicipite brachiale, mantenendo il legamento coraco- acromiale prossimalmente e praticando un’incisione a 1-2 cm dal margine superiore dell’inserzione del muscolo grande pettorale distalmente. Si accede alle strutture sottostanti e deve essere praticata la sezione di almeno una parte del muscolo sottoscapolare per accedere ai frammenti di frattura; la sezione della componente del grande pettorale amplia il campo operatorio e risulta utile soprattutto per le fratture del collo chirurgico e le fratture tri- e quadripartite37. Il

capo lungo del bicipite brachiale, al di sotto del grande pettorale, fa da riferimento per trochite, trochine e i muscoli della cuffia dei rotatori associati. Abducendo il braccio, lo spazio subdeltoideo è esposto per permettere l’accesso prossimale. Un divaricatore viene posto dietro il frammento prossimale che resta libero nella ferita, sempre ricordandosi un possibile trauma del nervo ascellare e del nervo muscolocutaneo.

La riduzione va ottenuta sempre rispettando la vascolarizzazione: nel caso della placca, questa va posizionata lateralmente alla parte laterale del solco bicipitale, per preservare il ramo ascendente dell’arteria omerale circonflessa

Figura 35. Via di accesso deltoidea-pettorale di Larghi. A sn. Estremi dell’incisione; a ds.esposizione dell’estremità prossimale umerale, al di sotto del ventre del muscolo deltoide.

8.3.2 Accesso laterale transdeltoideo

L’accesso laterale trandeltoideo, a differenza dell’approccio deltoideo- pettorale non preserva l’origine e l’inserzione del deltoide. Questa via viene impiegata per l’inserimento di chiodi endomidollari e per effettuare l’osteosintesi del trochite. L’incisione viene effettuata a livello del fascio mediale del muscolo deltoide (figura 36); ha inizio lateralmente all’acromion e termina nella porzione laterale della diafisi omerale. La lunghezza di incisione può variare, fino a un massimo di 5 cm distalmente all’acromion, in base al tipo di frattura e dell’osteosintesi necessaria; il limite è dato da motivi di sicurezza per la protezione del nervo ascellare, che decorre al di sotto di tale linea di incisione. Quando l’intervento richiede l’applicazione di una placca, mediante tecnica mini- invasiva, è necessario delimitare anche inferiormente la zona del decorso del nervo ascellare, almeno 2 cm al di sotto della prima linea, così da individuare la zona pericolosa sulla porzione laterale dell’omero82.

Figura 36. Via di accesso laterale transdeltoidea

A sn. incisione trasdeltoidea e individuazione della zona di rischio di lesione del nervo ascellare A ds. localizzazione dell’incisione con suddivisione delle componenti del muscolo deltoide.

8.4 Riabilitazione

La riabilitazione per le fratture di omero prossimale è fondamentale, perché è necessaria un’adeguata mobilità per il ritorno ad una funzione ottimale. Se una frattura o una riparazione di frattura è stabile, si può iniziare precocemente la terapia. Il protocollo di riabilitazione attualmente più utile è il sistema a 3 fasi ideato da Hughes e Neer83. L’applicazione di questo sistema è

variabile e dipende dal tipo di frattura, dalla stabilità della frattura o della sua riparazione e dalla capacità del paziente di assimilare il programma di esercizi. Gli esercizi sono eseguiti in tre o quattro sedute quotidiane per 20 – 30 minuti e in genere si consiglia il coinvolgimento e l’aiuto di un fisioterapista per svolgere il programma di esercizi e per il controllo della loro corretta esecuzione. In particolare le tre fasi si articolano in: • Prima fase: esercizi passivi assistiti; vengono eseguiti nell’immediato periodo post-operatorio o in caso di frattura minimamente scomposta o trattata con riduzione a cielo chiuso e stabile, si comincia tra il 7° e il 10° giorno successivo ad essa. In genere si parte con l’esercizio del pendolo di Codman37, in cui il braccio viene ruotato sia esternamente che internamente

facendogli descrivere piccoli cerchi. Il secondo esercizio consiste in una intrarotazione a paziente supino, con l’ausilio di un bastone. A tre settimane dalla frattura si possono aggiungere gli esercizi di elevazione e in poco tempo si può far provare esercizi per l’estensione. • Seconda fase: esercizi attivi, contro resistenza e di allungamento. Si parte con l’elevazione attiva a paziente supino, così da eliminare parzialmente la forza di gravità, rendendo più semplice l’elevazione, successivamente si fa eseguire in stazione eretta. Inizialmente è importante mantenere il gomito flesso e il braccio vicino alla linea mediana, per far questo si impiegano strisce di gomma di diversa lunghezza (thera-bands) per potenziare gli intrarotatori, gli extrarotatori e le porzioni anteriore, intermedia e posteriore del deltoide. Altro esercizio consiste nel sollevare il braccio sulla testa a mani unite,

esercizio è fondamentale per incrementare abduzione ed extrarotazione. L’arrampicamento su parete non viene generalmente eseguito perché non promuove l’allungamento.

• Terza fase: programma di mantenimento con esercizi avanzati di allungamento e potenziamento; in genere iniziata a 3 mesi e impiega al posto delle strisce dei tubulari di gomma per incrementare la resistenza. Il braccio viene allungato più in alto sulla parete, appoggiando il torso alla parete stessa. Per l’elevazione sono utili l’allungamento sulla sommità di una porta e l’allungamento a paziente prono. La forza si può incrementare con l’uso di pesi leggeri e con l’attività funzionale.

È essenziale un regime adeguatamente supervisionato di riabilitazione affinché il trattamento della frattura abbia successo. Pur eseguita alla perfezione, una riduzione o una riparazione chirurgica di una frattura non conseguirà un buon risultato senza appropriati sforzi riabilitativi.

9 Scelte di trattamento

Esistono vari scelte di trattamento per le fratture di omero prossimale; dal 50% all’80% queste fratture sono composte o minimamente scomposte e sono stabili abbastanza per essere trattate in modo non operativo84. D’altro canto le fratture instabili e scomposte possono essere trattate con una riduzione a cielo aperto che comprende tutte le metodiche descritte nel precedente capitolo relativo al trattamento chirurgico. L’età del paziente, il livello di attività funzionale, le preferenze del chirurgo e l’abilità di ricostruire i frammenti, giocano tutti un ruolo critico nel determinare il miglior trattamento primario in pazienti con questo tipo di lesione. 9.1 Trattamento non chirurgico

Il trattamento non chirurgico trova indicazione nei casi di frattura composta o con una minima scomposizione43, consiste nell’immobilizzazione con

una fasciatura alla Desault o, preferibilmente, con un tutore reggi-braccio in lieve abduzione e rotazione neutra da mantenere da 3 a 5 settimane cui fa seguito la mobilizzazione dell’arto assistita. Unica eccezione è rappresentata da frattura con dislocazione della grande tuberosità maggiore di 5mm; in questo caso viene trattata come un frattura bipartita della grande tuberosità85. Il trattamento

conservativo in accordo con molti Autori86,87 non è unicamente riservato alle

fratture composte o minimamente scomposte; ma è indicato anche in pazienti anziani che hanno fratture tripartite e quadripartite dell’omero prossimale ottenendo dei risultati simili, in termini di funzionalità nelle attività quotidiane e riduzione del dolore, a quelli ottenuti con l’intervento.

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