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Fratture da fragilità dell'epifisi prossimale dell'omero: valutazione funzionale in pazienti sottoposti a trattamento chirurgico e non chirurgico

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Academic year: 2021

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Sommario

1 Introduzione ... 4 2 Anatomia della Spalla ... 5 2.1 Elementi Ossei ... 5 2.2 Elementi Muscolo-Tendinei e Cuffia dei Rotatori ... 8 2.3 Vascolarizzazione ... 11 2.4 Innervazione ... 13 2.5 Articolazione scapolo omerale e cingolo scapolare ... 15 3 Biomeccanica della spalla ... 20 3.1 Flesso-estensione ... 21 3.2 Adduzione ... 22 3.3 Abduzione ... 23 3.4 Rotazione interna ed esterna ... 24 3.5 Circumduzione ... 26 3.6 Movimenti di esplorazione globale della spalla ... 26 4 Fratture da Fragilità ... 28 4.1 Osteoporosi ... 28 4.2 Cadute ... 29 5 Epidemiologia ed eziopatogenesi delle fratture d’omero prossimale ... 30 6 Classificazione delle Fratture ... 33 6.1 Classificazione di Kocher ... 35 6.2 Classificazione di Codman ... 35 6.3 Classificazione di Neer ... 36 6.4 Classificazione AO ... 39 6.5 Classificazione LEGO ... 41 7 Valutazione clinica e strumentale delle fratture di omero prossimale ... 43 7.1 Quadro clinico ... 43 7.2 Valutazione strumentale ... 45 8 Modalità di Trattamento ... 48 8.1 Trattamento Conservativo ... 48 8.2 Trattamento Chirurgico ... 49 8.3 Vie di accesso ... 60 8.4 Riabilitazione ... 62 9 Scelte di trattamento ... 64 9.1 Trattamento non chirurgico ... 64 9.2 Riduzione e sintesi percutanea ... 65 9.3 Osteosintesi con chiodo endomidollare ... 65 9.4 ORIF con placca ... 66 9.5 Emiartroplastica ... 67 9.6 Protesi inversa di spalla ... 68 10 Complicanze ... 69 10.1 Necrosi avascolare ... 69

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10.4 Spalla congelata ... 73 10.5 Infezione ... 73 10.6 Lesione neuro-vascolare ... 74 11 Materiali e metodi ... 76 12 Risultati ... 79 13 Discussione ... 82 14 Conclusioni ... 86 Ringraziamenti ... 87 Bibliografia ... 89

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1 Introduzione

Le fratture dell’epifisi prossimale dell’omero rappresentano il 5 – 6% di tutte le fratture1; la maggior parte di queste avviene nella popolazione anziana, con età superiore ai 65 anni. Insieme alle fratture di femore, dell’estremo distale del radio e le fratture vertebrali da schiacciamento osteoporotico rappresentano le principali fratture da fragilità, ovvero fratture che avvengono per traumi a bassa energia e che sono dovute alla presenza d una più debole componente ossea. La gestione di queste fratture, spesso debilitanti, è basata su vari sistemi di classificazione e il trattamento può essere di due tipi: chirurgico e non chirurgico.

Ad oggi la letteratura medica nazionale ed internazionale non è ancora riuscita a identificare dei capisaldi che guidino nella scelta del trattamento in quanto i risultati ottenuti nei numerosi studi svolti negli ultimi anni continuano ad evidenziare che l’outcome del paziente è sostanzialmente equiparabile tra i due tipi di trattamento2.

Nonostante questi risultati recentemente si riscontra una spiccata propensione all’approccio chirurgico; questo è da attribuire al miglioramento delle tecniche e dei dispositivi a disposizione del chirurgo3.

Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare da un punto di vista funzionale l’outcome dei pazienti con fratture dell’epifisi prossimale di omero trattati con modalità chirurgica e non chirurgica presso la nostra U.O. di Ortopedia e Traumatologia 1, per poi confrontarne i risultati al fine di capire se vi siano differenze statisticamente significative tra i due tipi di trattamento.

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2 Anatomia della Spalla

La spalla, articolazione prossimale dell’arto superiore, è la più mobile tra le articolazioni del corpo umano. Essa presenta tre gradi di movimento, che permettono l’orientamento dell’arto superiore lungo i tre piani dello spazio. Il complesso articolare della spalla, costituito dall’articolazione gleno-omerale o scapolo-omerale, e dalle articolazioni del cingolo scapolare consentono di ottenere questa ampia gamma di movimenti. La sua stabilità dipende soprattutto dalla capsula, dai ligamenti e dai muscoli, e in misura minore dall’osso. 2.1 Elementi Ossei Gli elementi ossei che prendono parte ai movimenti della spalla sono tre: l’omero prossimale, la scapola e la clavicola (figura 1, figura 2).

La clavicola è un osso pari, simmetrico, allungato e incurvato ad S; esso presenta una curva mediale a convessità anteriore e una curva laterale a convessità posteriore. Rientra nel gruppo delle ossa piatte, sia per il tipo di ossificazione, sia per il contenuto midollare che è presente soltanto nel 30% degli individui. La clavicola è posta orizzontalmente, tra manubrio sternale e acromion scapolare, presenta un corpo e due estremità, mediale e laterale. L’estremità sternale (o mediale) termina con una faccia articolare sternale a forma di triangolo, con base superiore, che si articola con il manubrio sternale; l’estremità acromiale (o mediale) presenta una faccia articolare appiattita e rivolta posteriormente che si articola con l’acromion scapolare4.

La scapola è un osso piatto, pari e simmetrico, posto sulla superficie dorsale del torace con limiti superiori e inferiori rappresentati dalla terza e la settima costa. La faccia costale, concava presenta la fossa sottoscapolare da cui origina il muscolo sottoscapolare. La faccia dorsale è divisa dalla spina della scapola in fossa sopraspinata, più piccola e superiore, da cui origina il muscolo sopraspinato e in fossa infraspinata, ampia e inferiore da cui origina il muscolo

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omonimo. La spina della scapola origina sul margine mediale e si dirige lateralmente aumentando di altezza fino all’angolo acromiale, dove si porta in avanti e terminare in un processo appiattito, l’acromion. Sul margine mediale dell’acromion si trova la faccia articolare clavicolare, per l’articolazione con l’estremità acromiale della clavicola. Il margine superiore della scapola presenta, lateralmente, l’incisura scapolare che divenuta foro per il passaggio di un legamento da passaggio al nervo scapolare. Lateralmente si trova il processo coracoide sul cui apice si inserisce il tendine congiunto, formato dal capo breve del muscolo piccolo pettorale e dal coracobrachiale. In alto si trova il tubercolo infraglenoideo, che dà origine al capo lungo del tricipite brachiale. L’angolo superiore medialmente è appuntito e dà origine al muscolo elevatore della scapola. L’angolo laterale corrisponde alla cavità glenoidea, che tramite una superficie ovale e concava di tipo cartilagineo, si articola con la testa dell’omero. Sopra la cavità si evidenzia il tubercolo sopraglenoideo, da cui origina il capo lungo del bicipite brachiale. Infine l’angolo inferiore della scapola è arrotondato e si trova al livello della settima costa4.

L’omero è un osso lungo che forma lo scheletro del braccio; la componente prossimale è costituita dalla testa omerale, il trochite o grande tuberosità, il trochine o piccola tuberosità, il solco bicipitale e la parte prossimale della diafisi omerale. La testa omerale si presenta con un’ampia superficie articolare, quasi emisferica, rivestita da cartilagine, rivolta medialmente, posteriormente e in alto; essa presenta un raggio di curvatura di circa 2,25 cm e si articola con la cavità glenoidea della scapola. La testa è delimitata sul suo contorno dal collo anatomico, un lieve restringimento che la distingue dalle due tuberosità. Il trochite rivolto posteriormente e lateralmente, offre inserzione ai muscoli sovraspinato, sottospinato e piccolo rotondo. Il trochine rivolto anteriormente e medialmente, dà attacco al muscolo sottoscapolare. Il solco bicipitale si localizza tra le due tuberosità e dalle creste che partono da ciascuna di esse. Esso diviene

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tendine del capo lungo del muscolo bicipite. Inferiormente a trochite e trochine è situato il collo chirurgico. Figura 1. Scapola, omero e clavicola, visione anteriore Figura 2. Scapola, omero e clavicola, visione posteriore

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2.2 Elementi Muscolo-Tendinei e Cuffia dei Rotatori

I muscoli della spalla si estendono dalle ossa della cintura scapolare all’omero, ricoprendo l’articolazione scapolo-omerale; di essi il muscolo deltoide è posto sul piano superficiale, mentre gli altri sono situati profondamente, il muscolo sottoscapolare anteriore alla scapola ed i muscoli sopraspinato, sottospinato, piccolo rotondo e grande rotondo posteriormente alla scapola5

(figura 3 e 4).

Il muscolo deltoide presenta una forma triangolare con base superiore incurvata a formare un segmento di cono. Esso origina dal margine anteriore della clavicola, dalla capsula articolare dell’articolazione acromio-clavicolare, dal margine laterale dell’acromion e dal labbro inferiore del margine posteriore della spina della scapola. I suoi fasci si portano in basso e s’inseriscono in un robusto tendine inserito sulla tuberosità deltoidea del corpo omerale.

Il muscolo sottoscapolare posto anteriormente alla scapola, origina dalla fossa sottoscapolare, ne riproduce la forma triangolare e si porta lateralmente all’estremità superiore dell’omero dove i suoi fasci muscolari convergono verso l’alto per trapassare in un tendine che decorre al davanti dell’articolazione scapolo-omerale e che si inserisce sulla piccola tuberosità dell’omero.

Il muscolo sopraspinato è un muscolo di forma piramidale, situato posteriormente alla scapola e che origina dai due terzi mediali della fossa omonima, si dirige lateralmente passando sotto l’articolazione acromio-claveare e all’acromion della scapola e con un tendine, al di sopra dell’articolazione scapolo-omerale, termina sulla faccia superiore del trochite.

Il muscolo sottospinato è un muscolo triangolare appiattito, situato posteriormente alla scapola. Origina nella fossa sottospinata e i suoi fasci si

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l’acromion della scapola, dietro all’articolazione scapolo-omerale, alla cui capsula articolare in parte aderisce e termina sulla faccetta media del trochite.

Il muscolo piccolo rotondo è un muscolo cilindrico, posto sulla faccia posteriore della scapola, inferiormente al muscolo sottospinato. Origina dalla parte superiore della cresta paramarginale posteriore della scapola, si porta in alto e lateralmente per inserirsi con un tendine sulla faccetta inferiore della grande tuberosità dell’omero.

Il muscolo grande rotondo è un muscolo appiattito in senso antero-posteriore, origina dalla faccia posteriore della scapola in corrispondenza della parte inferiore della cresta paramarginale posteriore. Si porta lateralmente e si inserisce con un tendine appiattito sul corpo dell’omero, in corrispondenza del labbro mediale del solco bicipitale e nel fondo del solco stesso5. Il capo lungo del muscolo bicipite, posto lateralmente, origina a livello della tuberosità sovraglenoidea della scapola e dal labbro glenoideo, con un tendine lungo e cilindrico che decorre dapprima nella cavità dell’articolazione gleno-omerale, tra la testa dell’omero e la capsula, percorre il solco bicipitale dell’omero e nel tragitto si fa carnoso in corrispondenza del terzo medio del braccio unendosi al capo breve, insieme al quale si inserisce alla tuberosità bicipitale del radio.

Relativamente l’articolazione della spalla devono essere presi in considerazione anche i muscoli grande rotondo, grande dorsale e grande pettorale che, insieme ai muscoli sottoscapolare, piccolo rotondo e infraspinoso, costituiscono il gruppo dei muscoli rotatori, implicati nei movimenti di intra- ed extra-rotazione.

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Il grande rotondo ha origine al di sotto del piccolo rotondo, dalla faccia dorsale dell’angolo inferiore della scapola si reca in alto e lateralmente per inserirsi sul labbro posteriore e sul fondo del solco bicipitale dell’omero5.

Il grande pettorale, muscolo toracoappendicolare, anteriormente nel torace; ha forma di ventaglio con ampia origine dalla clavicola, dalle coste superiori e dall’area sternocostale, è ricoperto da una robusta fascia, la fascia pettorale. I fasci delle tre porzioni di origine convergono verso l’esterno per inserirsi con un tendine appiattito sulla cresta del trochite omerale.

Il muscolo grande dorsale, largo e di forma triangolare è parzialmente ricoperto in alto dal muscolo trapezio. Origina dall’aponevrosi lombo-dorsale a partire dai processi spinosi delle ultime sei vertebre toraciche e dalle vertebre lombari, dalla cresta sacrale e dal labbro esterno della cresta iliaca; si porta lateralmente ed in alto verso la regione ascellare, per inserirsi sul labbro posteriore del solco bicipitale.

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2.3 Vascolarizzazione

La zona cruciale a livello della spalla è l’arteria ascellare con le sue vene e vasi linfatici satelliti. L’apporto ematico alla testa omerale è fondamentale, specie se si considera la necrosi avascolare, una delle complicanze più gravi in caso di frattura scomposta dell’ epifisi prossimale dell’omero (figura 5).

L’arteria ascellare è la continuazione dell’arteria succlavia e rappresenta il tronco arterioso principale per l’arto superiore. Si estende dal margine laterale della prima costa al margine inferiore del tendine del muscolo grande pettorale dove termina continuando come arteria brachiale6. L’apporto principale alla testa omerale viene fornito dalla terza porzione dell’arteria ascellare, tramite l’arteria circonflessa omerale posteriore e l’arteria circonflessa omerale anteriore.

L’arteria circonflessa omerale posteriore, accompagnata dal nervo ascellare, nasce dalla terza porzione dell’arteria ascellare, attraversa l’interstizio delimitato dal muscolo sottoscapolare in alto, dal muscolo grande rotondo in

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basso, medialmente dal capo lungo del bicipite e lateralmente dal collo chirurgico dell’omero. Lungo il suo decorso stacca i rami destinati all’articolazione scapolo-omerale e ai muscoli sottoscapolare, grande rotondo e tricipite; termina anastomizzandosi con la circonflessa anteriore dell’omero.

L’arteria circonflessa anteriore dell’omero origina a livello del margine inferiore del muscolo sottoscapolare per poi portarsi dietro il muscolo coracobrachiale e il capo lungo del bicipite, al davanti del collo chirurgico dell’omero, fino al solco bicipitale. Origina un ramo ascendente alla testa dell’omero che si anastomizza con l’arteria circonflessa omerale posteriore6.

Laing nel 1956 dimostrò che l’arteria circonflessa omerale anteriore, con il suo ramo ascendente che continua a livello intraosseo nell’arteria arciforme, è il vaso deputato all’irrorazione della testa omerale. Esso irrora vasta porzione della testa omerale e di norma penetra nell’osso nell’area del solco intertubercolare, fornendo rami al trochine e al trochite. Studi anatomici più recenti, condotti sia su cadavere che in vivo, hanno mostrato che l’epifisi prossimale dell’omero è irrorata dall’arteria arciforme ma questa, crea a livello intraosseo delle anastomosi con i vasi metafisari, posteromediali e quelli provenienti dalla grande e piccola tuberosità7. In seguito a frattura del collo chirurgico si possibile una lesione del vaso con conseguente necrosi avascolare della testa omerale.

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2.4 Innervazione

I muscoli della spalla sono innervati da rami del plesso brachiale (figura 6): deltoide e piccolo rotondo dal nervo ascellare, mentre il nervo sottoscapolare innerva i muscoli sottoscapolare e il grande rotondo e il nervo soprascapolare i muscoli sopraspinato e sottospinato5.

Fratture lussazioni anteriori della spalla e traumi violenti dell’omero prossimale possono ledere il plesso brachiale e l’arteria ascellare, inoltre sono possibili anche lesioni dei rami nervosi diretti ai muscoli intorno alla spalla: l’ascellare, il sovrascapolare e il muscolocutaneo.

Il nervo ascellare o circonflesso è un nervo misto, composto da fibre che derivano dalla quinta e sesta radice cervicale. Origina a livello del cavo ascellare, dal tronco secondario posteriore, lungo il tragitto incrocia il muscolo sottoscapolare e si approfonda sotto il margine inferiore del muscolo. Decorre lungo il bordo inferiore della capsula dell’articolazione gleno-omerale e poi attraverso lo spazio quadrangolare di Volpeau, da cui emerge per circondare il collo chirurgico dell’omero (per tale rapporto il nervo è anche nominato circonflesso dell’omero). Invia un ramo al muscolo piccolo rotondo, per poi dividersi nei rami anteriore, diretto alla porzione intermedia e anteriore del deltoide, e posteriore, diretto alla porzione posteriore del deltoide. In virtù del suo stretto rapporto con la capsula articolare, la lesione del nervo ascellare rimane la lesione nervosa periferica più comune a carico della spalla, si ritrova più frequente a seguito di fratture dell’omero prossimale, dislocazioni dell’articolazione gleno-omerale, o per traumi diretti a carico del muscolo deltoide8. Il nervo sovra-scapolare è costituito anch’esso da fibre che derivano dalla quinta e sesta radice cervicale e origina dal tronco superiore del plesso brachiale. Decorre obliquamente in basso e in profondità rispetto ai muscoli omoioideo e trapezio; prosegue attraverso l’incisura sovrascapolare, al di sotto del legamento

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scapolare trasverso, dove è vulnerabile alle lesioni da trazione. Emette due rami per il muscolo sovraspinoso e circonda il margine laterale della spina scapolare sino al muscolo sottospinoso. Il nervo muscolo cutaneo è un nervo misto, composto da fibre derivanti da C5 e C6 ed occasionalmente fibre da C7, origina dal tronco secondario laterale del plesso brachiale; si porta distalmente attraversando il muscolo coracobrachiale, fra i muscoli bicipite e brachiale. Termina nel nervo cutaneo laterale dell’avambraccio nel punto in cui perfora la fascia profonda a livello del gomito. Durante il suo decorso nel braccio, emette rami muscolari per i muscoli

della loggia anteriore del braccio (coracobrachiale, bicipite e brachiale).

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2.5 Articolazione scapolo omerale e cingolo scapolare

La spalla non può essere considerata una sola articolazione, è di fatto un insieme di cinque articolazioni che compongono il complesso articolare della spalla.

L’articolazione scapolo-omerale, è un’enartrosi che collega la parte libera dell’arto superiore alla cintura scapolare (figura 7). Presenta una superficie articolare, la testa dell’omero, a forma di segmento di sfera che si rapporta con l’altra superficie articolare, la cavità glenoidea della scapola. Movimenti: è l’enartrosi più mobile del corpo e consente di eseguire movimenti di flessione, estensione, abduzione, adduzione, circumduzione e rotazione del braccio.

L’articolazione scapolo-omerale è connessa all’articolazione sottodeltoidea, composta dall’estremità superiore dell’omero e dalla volta acromio-coracoidea; è una falsa articolazione che si muove in associazione alla scapolo omerale.

Il cingolo scapolare è costituito da clavicola e scapola, connesse tramite l'articolazione acromion-clavicolare, un'artrodia formata da due superfici articolari pianeggianti che entra in gioco contemporaneamente all'articolazione sternoclavicolare. Il cingolo scapolare si connette al torace tramite l'articolazione sterno-costo-clavicolare, costituita dalla concavità della faccia articolare dello sterno e dalla convessità dell'estremità sternale della clavicola; fra i due capi articolari è interposto un disco fibrocartilagineo fissato in alto alla clavicola e in basso allo sterno. Anatomicamente è un’articolazione a sella, mentre funzionalmente è un'enartrosi poiché consente tre gradi di libertà (ante-retroposizione, elevazione ed abbassamento, rotazione).

L'articolazione scapolo-toracica articola scapola a torace e permette lo scivolamento della faccia anteriore della scapola sul piano toracico. Pur non essendo quest’ultima una vera articolazione, funzionalmente garantisce i movimenti di antiversione e retroversione dell'articolazione gleno-omerale.

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2.5.1 Articolazione scapolo-omerale.

L’articolazione scapolo omerale è un’enartrosi e presenta superfici articolari sferiche, quindi articolazioni a tre assi e tre gradi di libertà; in particolare si considerano la testa omerale, la cavità glenoidea e il relativo cercine glenoideo (figura 8).

Testa omerale: orientata in alto, internamente e posteriormente, è paragonabile ad un terzo di sfera dal raggio di 30 mm. La testa omerale e l'asse diafisario formano un angolo di circa 135°, detto angolo d’inclinazione mentre con il piano frontale si ha un angolo di declinazione di circa 30°. Tra la cartilagine articolare e la metafisi prossimale è presente il collo anatomico che presenta una inclinazione di 45°. Il collo anatomico si continua in basso con due sporgenze: trochine, posto anteriormente, ed il trochite, posto postero-lateralmente.

Figura 7. Articolazione scapolo-omerale. Veduta anteriore

Cavità glenoidea: situata nell’angolo supero-esterno del corpo della scapola ha orientamento in senso antero-esterno con proiezione supeirore; la cavità ha forma ovalare che sul piano sagittale ha una profondità media di 9 mm, su quello trasversale di soli 2.5 mm. La cavità glenoidea è completata perifericamente dal labbro glenoideo, un cercine fibrocartilagineo a sezione prismatico-triangolare a tre facce, la cui funzione è di aumentare la superficie

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2.5.2 La capsula articolare

La capsula articolare dell’articolazione scapolo-omerale s’inserisce sulla scapola, a livello del margine della cavità glenoidea e sull’omero, lungo il collo anatomico, scendendo medialmente fino al collo chirurgico. La capsula articolare è rinforzata superiormente dal legamento coraco-omerale, esteso dalla base del processo coracoideo della scapola al tubercolo maggiore dell’omero. La capsula articolare dell’articolazione scapolo-omerale presenta anteriormente tre ispessimenti: il legamento gleno-omerale superiore, il legamento gleno-omerale medio e il legamento gleno-omerale inferiore, il cui compito è rinforzare e migliorare la stabilità articolare. L’articolazione scapolo-omerale è percorsa internamente dal tratto iniziale del capo lungo del bicipite brachiale, avvolto dalla membrana sinoviale. A livello del solco bicipitale la capsula passa a ponte dal trochine al trochite e si prolunga in basso tra le due creste che fanno seguito alle tuberosità. Figura 8. Articolazione scapolo-omerale. Sezione frontale attraverso l'articolazione.

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2.5.3 Legamenti dell’articolazione scapolo-omerale.

Questi legamenti rafforzano la capsula fibrosa e stabilizzano l’articolazione, in particolare: legamento coraco-omerale e legamento gleno-omerale.

Il legamento coraco-omerale esteso tra coracoide e trochite, dove si inserisce il muscolo sottospinoso, quindi al trochine, ove si fissa il muscolo sottoscapolare. La separazione in due fasci del legamento coraco-omerale chiude il solco intertuberositario in cui decorre il tendine del capo lungo del bicipite.

Il legamento gleno-omerale si costituisce di 3 fasci: superiore sopra-gleno-sopra-omerale, medio sopra-gleno-pre-omerale, inferiore pre-gleno-sotto-omerale. Insieme disegnano una sorta di Z sulla faccia anteriore della capsula articolare. Durante l’abduzione vengono a tendersi il fascio medio ed inferiore del legamento gleno-omerale, mentre il fascio superiori ed il legamento coracoomerale si detendono. Nel movimento di rotazione esterna i tre fasci del legamento gleno-omerale sono in tensione, mentre si detendono durante la rotazione interna.

2.5.4 Tendine del capo lungo del bicipite.

Il tendine del capo lungo del bicipite brachiale si inserisce sul polo superiore del cercine glenoideo e sul tubercolo glenoideo, fuoriesce dall’articolazione tramite il solco intertuberositario scivolando sotto la capsula. A livello intra-articolare contrae rapporti diversi: inizialmente con faccia profonda della capsula e della sinoviale, in seguito la sinoviale forma due recessi tra la capsula e il tendine. Uniti i due recessi, il tendine si trova ad essere libero e circondato da un foglietto di sinoviale. Lungo tutto il suo percorso intracapsulare, il tendine rimane sempre extra-sinoviale.

2.5.5 Articolazione scapolo-toracica

È un’articolazione fisiologica e non anatomica, quindi una falsa articolazione. Tramite questa e per mezzo del ventre muscolare del grande dentato, la scapola prende rapporto con la parete toracica. È implicata nei

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2.5.6 Articolazione sterno-costo-clavicolare.

Articolazione vera, a sella, situata all’estremità sternale della clavicola, connette lo scheletro della cintura scapolare con lo scheletro del torace; si stabilisce tra l’estremità mediale della clavicola ed il manubrio dello sterno con la prima cartilagine costale. La capsula articolare dell’articolazione è rinforzata anteriormente, dal legamento sterno-clavicolare, superiormente, dal legamento inter-clavicolare, che collega le estremità mediali delle due clavicole, lateralmente dal legamento costo-clavicolare. Movimenti: l’estremità mediale della clavicola può eseguire movimenti limitati in avanti, indietro, in alto ed in basso e può inoltre compiere il movimento di circumduzione della clavicola. L’articolazione sterno-costo-clavicolare partecipa a tutti i movimenti della spalla nel suo insieme.

2.5.7 Articolazione acromio-clavicolare

È un’artrodia che connette la clavicola alla scapola. Le sue superfici articolari sono rappresentate dalla faccia articolare clavicolare dell’apice dell’acromion della scapola e dalla faccia articolare acromiale dell’estremità laterale della clavicola. La capsula articolare è rinforzata dal legamento acromio-clavicolare, teso superiormente tra l’acromion della scapola e la clavicola, dai fasci dei muscoli trapezio e deltoide, e il legamento coraco-clavicolare il quale si tende tra il processo coracoideo e la clavicola e si divide in due fasci decorrenti su piani diversi: un fascio anteriore, detto legamento trapezoide, che va dalla faccia superiore del processo coracoideo alla tuberosità coracoidea della clavicola, e un fascio posteriore, detto legamento conoide, che ha forma triangolare con apice che si fissa alla radice del processo coracoideo e base che si inserisce sulla tuberosità coracoidea della clavicola. Movimenti: l’articolazione consente leggeri movimenti di scivolamento, che mutano l’ampiezza dell’angolo tra la clavicola e la scapola; permette inoltre un movimento di rotazione della scapola, con abbassamento del suo angolo laterale ed innalzamento di quello mediale, o viceversa9.

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3 Biomeccanica della spalla

La spalla, articolazione prossimale dell’arto superiore, è la più mobile di tutte le articolazioni del corpo umano10.

Dispone di 3 gradi di libertà, che permettono l’orientamento dell’arto superiore nei tre piani dello spazio (figura 9):

• L’asse trasversale situato nel piano frontale comanda i movimenti di flesso – estensione (anteposizione e retro-posizione), eseguiti in un piano sagittale. • L’asse antero-posteriore (o sagittale) situato nel piano sagittale comanda i

movimenti di abduzione e adduzione (rispettivamente allontanamento e avvicinamento dal piano di simmetria del corpo) effettuati in un piano frontale.

• L’asse verticale, determinato dalla intersezione del piano sagittale e del piano frontale corrisponde alla terza dimensione dello spazio; comanda i movimenti di ante e retro-posizione eseguiti in un piano orizzontale, quando le braccia sono abdotte a 90°.

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L’asse longitudinale dell’omero inoltre consente la rotazione interna ed esterna dell’arto superiore. Tale asse può coincidere con gli assi descritti o situarsi in una posizione intermedia rispetto ad essi. Nello spazio l’arto superiore consente i movimenti di: • Flesso-estensione • Adduzione • Abduzione • Rotazione interna ed esterna • Circumduzione 3.1 Flesso-estensione Eseguiti in un piano sagittale, intorno ad un asse trasversale: la estensione (retroposizione) fino ad ampiezze di 45° - 50°; mentre la flessione (anteroposizione) fino ad ampiezze di 180°.

È possibile ottenere la flesso-estensione su un piano orizzontale (figura 10), nel caso che nella posizione di riferimento l’arto superiore si trovi in abduzione di 90° nel piano frontale. In tal caso i movimenti sono combinati; la flessione orizzontale è il risultato di una flessione combinata ad una abduzione, ad ampiezza di 140°. La stessa estensione sul piano orizzontale è un movimento combinato all’abduzione ma ha un’ampiezza limitata ai 30 – 40° La stessa posizione di anteroposizione può essere anche definita come una abduzione a 180°.

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3.2 Adduzione

L’adduzione consente di avvicinare l’arto superiore al tronco; tale movimento avviene in un piano frontale a partire dalla posizione di riferimento (adduzione assoluta, con l’asse longitudinale dell’omero che coincide con l’asse trasversale)(figura 11). La sola adduzione è meccanicamente impossibile per la presenza del tronco. A partire dalla posizione di riferimento, l’adduzione è possibile solo se combinata o una retroposizione (adduzione molto debole) o a una anteposizione (l’adduzione raggiunge 30 – 45°). Partendo da una qualsiasi posizione in abduzione, l’adduzione, in questo caso detta adduzione relativa è sempre possibile in un piano frontale, sino alla posizione di riferimento.

Nell’addurre l’arto vengono impiegati i muscoli grande rotondo, grande dorsale, grande pettorale e romboide. I muscoli grande rotondo e romboide rappresentano la una coppia funzionale per l’adduzione poiché il muscolo romboide impedisce la rotazione della scapola verso l’alto, favorendo in tal modo l’adduzione del grande rotondo. L’altra coppia funzionale nell’adduzione è rappresentata dal muscolo grande dorsale, adduttore potente che tende a lussare inferiormente la testa omerale, e il capo lungo del tricipite brachiale, adduttore blando, che evita la lussazione inferiore, tramite la risalita della testa omerale. Figura 11. Adduzione. L'esecuzione è possibile solo se combinata ad una estensione (a sn) o ad una flessione (a ds)

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3.3 Abduzione

Movimento di allontanamento dell’arto superiore dal tronco, è eseguito in un piano frontale, intorno ad un asse antero-posteriore. L’ampiezza dell’abduzione raggiunge i 180°: il braccio è verticale al di sopra del tronco e in questa posizione coincide con la posizione della massima flessione dell’arto.

L’abduzione a partire da 90° consente di riavvicinare l’arto superiore al piano di simmetria del corpo, mentre la posizione finale d’abduzione (180°) si ottiene anche tramite un movimento di ante-posizione di 180°.

L’abduzione, come la flessione, è un movimento articolato complessivamente in tre tempi (figura 12):

• Primo tempo dell’abduzione (0 – 90°): i muscoli coinvolti sono deltoide e sopraspinoso che formano la coppia dell’abduzione a livello dell’articolazione scapolo-omerale, la responsabile dell’inizio del movimento, che termina a circa 90° quando l’articolazione scapolo-omerale è bloccata dal contatto con il trochite sul bordo superiore della glenoide. La rotazione esterna sposta il trochite in dietro, ritardando tale blocco meccanico.

• Secondo tempo dell’abduzione (90 – 150°): quando viene bloccata l’articolazione scapolo-omerale, l’adbuzione prosegue solo con la partecipazione del cingolo scapolare, ovvero tramite trapezio e gran dentato, coppia dell’abduzione nell’articolazione scapolo-toracica. I movimenti a campana della scapola portano la glenoide ad essere orientata più direttamente verso l’alto, fino a 60°. Le articolazioni sterno-costo-clavicolare e acromion-clavicolare, partecipano ciascuna per 30° nel movimento di rotazione.

• Terzo tempo dell’abduzione (150 – 180°): il reggiungimento della verticale implica la partecipazione del rachide al movimento. Nei movimenti unilaterali si inclina dal lato opposto, grazie alla contrazione dei muscoli spinali, nei movimenti bilaterali si ha invece iperlordosi lombare.

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I muscoli che consentono quindi l’abduzione sono il deltoide e il sovraspinoso, che costituiscono una coppia funzionale nell’abduzione della omerale, il trapezio e il grande dentato, per l’adbuzione della scapolo-toracica ed infine per il raggiungimento della verticale entrano in gioco i muscoli del rachide. Figura 12. Abduzione eseguita in tre tempi 3.4 Rotazione interna ed esterna

La rotazione assiale del braccio avviene attorno all’asse longitudinale dell’omero e può essere eseguita qualsiasi sia la posizione della spalla. La misurazione del grado di rotazione avviene nella posizione di riferimento in cui il gomito è flesso a 90° sul braccio: l’avambraccio si trova così in un piano sagittale (figura 13). La rotazione interna ha un ampiezza di 95° e per raggiungere un tale grado di rotazione occorre necessariamente far passare l’avambraccio dietro al tronco, attraverso un certo grado di retroposizione, ovvero con il braccio posteriormente al dorso. La rotazione esterna presenta invece un ampiezza di 80° che non raggiunge quindi il livello di rotazione dell’interna. Questa posizione comporta raramente l’impiego dell’articolazione, il range di ampiezza in cui è utile la rotazione esterna è rappresentato tra 0 e 30°.

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I muscoli impiegati per la rotazione longitudinale dell’articolazione scapolo-omerale vengono divisi in due gruppi: i rotatori interni, ovvero grande dorsale, grande rotondo, sottoscapolare e grande pettorale, ed i rotatori esterni, sottospinoso e piccolo rotondo. Questi ultimi, meno potenti rispetto agli interni sono innervati da nervi distinti, il sovrascapolare e il circonflesso, che risultano originare dalla stessa radice del plesso brachiale. Lesioni da stiramento del plesso comportano quindi una paralisi di entrambi i muscoli e la rotazione dell’articolazione scapolo omerale da sola non completa la rotazione dell’arto superiore, a questo movimento si aggiunge la traslazione laterale della scapola che aumenta di circa 40 – 45° l’ampiezza della rotazione.

I muscoli delegati alla rotazione interna ed esterna sono rispettivamente grande dentato e piccolo pettorale, che determinano l’abduzione della scapola nella rotazione interna, e i muscoli romboide e trapezio che sono invece implicati per l’adduzione della scapola. Figura 13. Rotazione interna ed esterna

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3.5 Circumduzione

La circumduzione si svolge attorno ai tre assi e nella sua spinta massima essa descrive nello spazio un cono irregolare, il cono di circumduzione (figura 14). Tale movimento si svolge percorrendo tre settori spaziali determinati dai piani di riferimento dell’articolazione, ovvero il piano sagittale (ante-retroposizione), piano frontale (ad-abduzione) e piano orizzontale (ante-reproposizione in abduzione a 90°). Si parla di anteposizione quando il moncone si porta in avanti grazie all’azione dei muscoli grande pettorale, piccolo pettorale e grande dentato; l’anteposizione ha un’ampiezza maggiore rispetto alla retroposizione, movimento che porta il moncone posteriormente grazie all’azione dei muscoli romboide, trapezio e grande dorsale. Figura 14. Circumduzione 3.6 Movimenti di esplorazione globale della spalla

La funzione globale della spalla può essere esplorata mediante due movimenti che corrispondono ad azioni della quotidianità: pettinarsi/portare la mano dietro la nuca ed indossare un abito o soprabito (figura 15).

Primo movimento di esplorazione globale della spalla: pettinarsi. Movimento effettuato a gomito flesso, valuta simultaneamente l’abduzione e la rotazione esterna dell’arto superiore. Questo movimento quando è libero e di

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ampiezza normale porta la mano all’orecchio controlaterale e alla parte superiore della regione scapolare controlaterale.

Secondo movimento di esplorazione globale della spalla: indossare un abito o un soprabito. Tramite una flesso-abduzione si porta il braccio nella prima manica, mentre l’altro braccio è portato in estensione e rotazione interna con la mano che raggiunge la zona lombare del dorso. Quando questo movimento è libero e l’ampiezza normale, la mano raggiunge la parte inferiore della regione scapolare controlaterale.

La posizione di funzione della spalla invece vede l’asse del braccio in anteposizione a 45° e abduzione a 60°, mentre il braccio è in rotazione indifferente, in genere di 30 – 40° verso l’interno. Tale posizione corrisponde allo stato di equilibrio dei muscoli periarticolari della spalla: viene adottata per la immobilizzazione di fratture della diafisi omerale, poiché in queste condizioni, il frammento inferiore (l’unico su sui si agisce) è nell’asse del frammento superiore sul quale agiscono i muscoli periarticolari. Quest’ asse corrisponde all’asse del cono di circonduzione. Figura 15. A sn.,Pettinarsi: primo movimento di esplorazione globale della spalla, libero e di ampiezza normale. A ds. Indossare un abito: secondo movimento di esplorazione funzionale della spalla.

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4 Fratture da Fragilità

Le frattura da fragilità sono definite come il risultato di un evento traumatico a bassa energia, come ad esempio una caduta con soggetto in piedi o minore11.

Le fratture da fragilità sono in crescita, in correlazione al crescente aumento della vita media e quindi della stessa popolazione anziana. Le fratture da fragilità sono correlate a devastanti conseguenze, inclusa perdita di mobilità, ospedalizzazione e mortalità12. Per la loro natura, queste fratture si verificano nel paziente fragile che spesso presenta molteplici comorbilità e declino funzionale in stato avanzato. Il più delle volte, queste fratture sono il risultato di lesioni minori, delle quali il paziente ha poca o assente memoria13.

Le fratture da fragilità sono comuni e aumentano in modo significativo morbilità e mortalità, è quindi importante identificare quelli che sono i fattori di rischio, al fine di un’adeguata prevenzione e trattamento. Tra i fattori di rischio più importanti è indubbio che le fratture da fragilità siano correlate all’osteoporosi, che risulta essere il fattore più importante e potenzialmente trattabile nelle fratture da fragilità. I più comuni fattori di rischio sono quindi rappresentati da: osteoporosi, età, sesso femminile, razza bianca, deterioramento cognitivo, storia familiare di frattura, cadute, inattività fisica, basso indice di massa corporea, disturbi della marcia e dell’equilibrio, farmaci, alcool e tabacco11. 4.1 Osteoporosi L’osteoporosi è la più comune malattia ossea in entrambi i sessi. La maggiore conseguenza legata all’osteoporosi è la frattura che avviene a seguito di traumi a bassa energia, come caduta da posizione eretta o cadute minori, per definizione quindi frattura da fragilità12,14. L’osteoporosi è definita, in accordo alla densitometria ossea (BMD) e la densitometria assiale a raggi X (DEXA), che rappresentano i gold standard per la

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BMD inferiore a 2.5 deviazioni standard rispetto al valore di un giovane adulto (T-score < 2.5), mentre l’osteopenia è definita da un BMD tra -1.0 e – 2.5 deviazioni standard. L’osteoporosi è correlata a una serie di fattori che interessano primariamente il metabolismo osseo, alcuni non modificabili, come genere, età, storia familiare di fratture da fragilità, menopausa precoce e etnia caucasica; altri fattori invece sono modificabili, come il livello di attività fisica, il peso corporeo, il fumo di sigaretta, l’alcol e i bassi livelli di calcio e vitamina D15-17.

Secondo numerosi studi, tra cui quelli di Well et al. i pazienti depleti in vitamina D e calcio in cui è estata fatta una modificazione dietetica e supporto farmacologico con bifosfonati, mostrano una significativa riduzione del rischio di frattura18,19.

Quindi, il trattamento atto a incrementare il BMD, rappresenta una strategia adeguata per ridurre il rischio di frattura in pazienti selezionati, in particolare quelli che presentano una prima frattura da fragilità14.

4.2 Cadute Le cadute sono associate a un aumento significativo di morbilità e disabilità nella popolazione anziana. Il rischio di caduta cresce rapidamente con l’età; un terzo delle persone con più di 65 anni o più cade ogni anno e più della metà dei casi in modo ricorrente. Inoltre il rischio cresce esponenzialmente con il numero di fattori di rischio; il rischio di caduta ad un anno raddoppia con ogni fattore di rischio addizionale, dall’ 8% con alcun fattore di rischio fino al 78% con quattro fattori di rischio14,20. Molti dei fattori di rischio correlati alla caduta sono gli stessi

delle fratture da fragilità; questa correlazione comporta quindi un rischio crescente nei soggetti esposti a molteplici fattori di rischio14.

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5 Epidemiologia ed eziopatogenesi delle fratture d’omero

prossimale

Le fratture dell’omero prossimale rappresentano circa il 5 – 6% di tutte le fratture nella popolazione adulta nel mondo occidentale e la loro incidenza risulta in aumento con l’avanzare dell’età. Il trattamento delle fratture di omero, sia prossimale che distale è il più controverso e dibattuto rispetto a tutte le altre fratture21. Nella popolazione anziana difatti rappresentano la terza causa di frattura correlata ad osteoporosi, dopo le fratture prossimali di femore e le distali di radio22-25. Tali fratture sono frequenti nei pazienti anziani e presentano, a partire dai 40 anni, un incremento dell’incidenza correlata all’aumentare dell’età; infatti circa il 70% delle fratture sono registrate in pazienti di età superiore ai 70 anni.

Il sesso femminile è colpito due-tre volte di più rispetto al sesso maschile22,23 e l’età media di una frattura prossimale omerale è molto più avanzata nelle donne rispetto agli uomini: 70 anni contro i 54 degli uomini22.

Secondo gli studi condotti da Bergdahl, le fratture dell’omero prossimale risultano derivare nell’anziano, soprattutto da cadute a bassa energia ed indicano l’età come importante fattore di rischio per tale frattura. Considerando entrambi i sessi, la frattura di omero vede le fratture prossimali essere le più rappresentate, 79%, contro il 13% e l’8% rispettivamente per le fratture diafisarie e distali21.

Recenti studi condotti da Slobogean et al, suggeriscono che le fratture dell’omero prossimale sono responsabili di 185.000 accessi annui al pronto soccorso negli Stati Uniti e studi retrospettivi condotti in tre ospedali dell’Ontario individuano indicano che queste fratture rappresentano il 20% delle fratture da fragilità26.

Lo studio di Kristiansen et al. indica che le fratture dell’omero prossimale sono più frequenti nei paesi del Nord Europa dove, il sesso femminile nuovamente risulta il più colpito con un’incidenza pari a 5.2/1000 abitanti

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1.9/1000ab/anno. Il sesso maschile presenta invece, un’incidenza pressoché uniforme in tutta Europa (1.2/1000/anno)27.

Se si analizza lo studio Marvic et al. si evidenzia che così come negli Stati Uniti anche in Francia le fratture dell’omero prossimale hanno un’elevata incidenza, difatti nel 2009 sono registrate 10.874 fratture di omero prossimale in pazienti ospedalizzati e con età maggiore di 40 anni; di questi il 77% era di sesso femminile e con un’età media di 72,5 anni28.

Secondo l’analisi dei registri ospedalieri finlandesi, condotta dal 1970 al 1998 e relativa ai pazienti di età superiore ai 60 anni, si è verificato un incremento del 15% annuo per fratture di omero prossimale; considerando poi l’incidenza globale, si nota che c’è stato un incremento da 32 (1970) a 110/100.000 accessi l’anno (1998) per questo tipo di frattura. Esaminando entrambi i sessi si è verificato un aumento dell’incidenza pari al 166% (da 50 nel 1970 a 133 nel 1998) per le donne e del 250% (da 14 a 49) negli uomini. Sempre nello stesso periodo l’età media dei pazienti con fratture osteoporotiche è aumentato da 72 anni a 77 anni nel 199829,30. Tali studi evidenziano una stretta

correlazione sia con l’età che con l’osteoporosi come fattori di rischio importanti nelle fratture dell’omero prossimale. Riguardo agli studi finlandesi inoltre si evince che il numero di fratture da traumi a bassa energia nelle donne finlandesi con più di 80 anni è stato in continuo crescendo dal 1970 (32 fratture) al 2007 (478 fratture); ciò è dovuto a un simultaneo incremento nella popolazione a rischio. Se si considera la statistica corretta per età i dati mostrano una stabilizzazione tra il 1995 e il 2007 con 298 fratture su 100.000 abitanti nel 2007, contro 304 fratture su 100.000 abitanti nel 199531.

Lo studio epidemiologico di Court-Brown22,32, confrontato con i risultati degli studi finlandesi27,29,31,33, ha mostrato una maggiore incidenza delle fratture

nella mano dominante dei pazienti nonché una maggiore incidenza nei mesi più freddi (dicembre e gennaio). Stessi risultati, relativi al periodo di maggiore incidenza di tali fratture è riportato anche in ulteriori studi che indicano come la stagione invernale il periodo di maggiore incidenza di tali fratture21,23.

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Analizzando di dati relativi alla frattura dell’omero prossimale, si evidenzia che nell’87% dei casi la caduta accidentale rappresenta la causa principale, sono secondarie e rappresentano invece il 4% delle cause le cadute da scale, dall’alto o da dislivelli, gli incidenti sportivi riguardano il 4% delle cause ed interessano pazienti con una media d’età di 33 anni, così come il 4% è dovuto a incidenti stradali, che riguardano pazienti con 46 anni in media, ed infine l’1% è relativo a danni diretti22.

Altri fattori di rischio da evidenziare riguardano l’etnia: in particolare la razza bianca è più esposta a rischio di frattura rispetto agli altri gruppi etnici, eccetto le donne ispaniche che hanno un rischio analogo ai soggetti di razza bianca. Un ridotto introito di calcio è associato ad aumentato rischio di frattura ed è stato dimostrato che un adeguata integrazione di calcio carbonato riduce il rischio di frattura, così come è ridotto grazie alle terapie ormono-sostitutive impiegate in menopausa. Sono esclusi invece il fumo di sigaretta o l’uso di altri tipi di supplemento di calcio nell’associazione al rischio di frattura34.

Il diabete è stato rilevato essere un fattore di rischio per frattura dell’omero prossimale poiché comporta disturbi della deambulazione24 dovuti alla neuropatia diabetica, epilessia e una maggior frequenza di cadute in seguito agli episodi convulsivi.

In conclusione, le fratture dell’omero prossimale sono ad oggi prevalentemente osteoporosi-correlate e si presentano soprattutto in donne di età superiore ai 70 anni35. Il numero delle fratture di omero prossimale incrementa con l’età, queste fratture sono associate ad una significativa mortalità e costi in termini di gestione e trattamento; è stato previsto, a seguito dell’incremento dell’aspettativa di vita della popolazione, un aumento entro il 2030 delle fratture prossimali dell’omero, con un conseguente maggior tasso di morbidità e difficoltà nella gestione29,33.

In tal senso le misure preventive sono essenziali: calcio e vitamina D, per l’osteoporosi36, l’esercizio fisico e l’attività quotidiana, al fine di stimolare il

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6 Classificazione delle Fratture

Affinché una frattura sia trattata in modo appropriato, è necessario un sistema di classificazione delle fratture dell’omero prossimale che sia utilizzabile, ovvero esauriente da raccogliere tutti i fattori e al tempo stesso specifico da consentire una diagnosi e una terapia accurata. Il fine ultimo di un sistema di classificazione è guidare il trattamento, dare una stima della prognosi e valutare l’eventuale rischio di complicanze a seguito della frattura.

Nell’ottica di un trattamento ottimale della frattura la classificazione dovrebbe essere utilizzabile nella programmazione dell’intervento, quindi nella fase pre-operatoria, in modo da consentire un accordo tra i diversi operatori. Il ruolo della classificazione, oltre che da un punto di vista operativo dovrebbe avere in prospettiva la possibilità di essere strumento per la letteratura scientifica, in ambito di database e di consultazione e la condivisione di dati tra i vari studi.

Punti cardine di un sistema di classificazione appropriato sono: specificità che consente sia diagnosi che terapia appropriata; flessibilità che accoglie eventuali variazioni al fine di un più adeguato trattamento; praticità, sia per un più rapido impiego che per una migliore memorizzazione. La conoscenza dell’anatomia e delle proiezioni radiografiche più accurate rispetto alle strutture anatomiche sono i requisiti essenziali al fine di una più corretta lettura dell’immagine e del suo inserimento nel sistema classificativo.

Una tra le prime classificazioni anatomiche atte a migliorare la diagnosi e il trattamento venne ideata da Kocher (1896) ma la mancanza di consenso sulla descrizione e sulla classificazione delle fratture rendeva difficile valutare in modo adeguato il trattamento. Nel 1934 Codman contribuì in modo significativo l’interpretazione delle fratture di omero prossima apportando una divisione in quattro parti principali, divise secondo le linee epifisarie. Consistevano nella testa, nel trochite, nel trochine e nella diafisi. La successiva classificazione proposta da Neer, nel 1970, si basa su questa classificazione anatomica: essa integra l’anatomia, la biomeccanica e la scomposizione della frattura,

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consentendo una diganosi e un trattamento uniformi. Resta quindi un punto di riferimento utile e comune per la classificazione delle fratture di omero prossimale37.

Le classificazioni più largamente impiegate si basano sull’inquadramento prettamente anatomico: la classificazione di Neer, in virtù della sua semplicità di utilizzo, e la classificazione AO che, seppur complessa, permette un inquadramento più dettagliato della frattura prendendo in esame anche il rischio di necrosi avascolare. Limiti importanti di tali classificazioni sono l’affidabilità e la riproducibilità nell’inquadramento delle fratture38-41. Purtroppo questi due tipi di

classificazione, Neer ed AO spesso risultano essere discordanti nell’analisi di immagini radiografiche; questo comporta il fatto che in base alla classificazione utilizzata la medesima frattura abbia un trattamento diverso, con una compromissione dei risultati relativi agli studi clinici41.

Nel 2005 nasce la classificazione LEGO, ideata da Hertel ed incentrata sulla possibilità d’insorgenza di necrosi avascolare in relazione alla tipologia di frattura; con questa si ottengono risultati migliori ma risulta molto più complesso il suo impiego.

Seppur siano presenti numerosi sistemi classificativi, vengono comunque creati nuovi sistemi, nel tentativo di integrare il più possibile le classificazioni già presenti, poiché tutt’oggi non è ancora presente un sistema accettato a livello internazionale. Recentemente è stato proposto da Resch et all. un nuovo sistema di classificazione basato sull’analisi patomorfologica che pone enfasi sull’aspetto qualitativo delle fratture prossimali d’omero mostrato un’alta affidabilità quando basate su un protocollo standardizzato d’immagini che include l’impiego della TC42.È indubbio che il migliore auspicio per il futuro sia quello di identificare una classificazione valida a livello internazionale, di facile impiego e che consenta un analogo approccio dal punto di vista terapeutico.

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Figura 16. Classificazione di Kocher: collo anatomico, regione epifisaria e collo chirurgico.

Figura 17. Classificazione di Codman: a)trochite; b)trochine; c)testa, d) diafisi.

6.1 Classificazione di Kocher

Nel 1896, Kocher ideò il primo sistema di classificazione delle fratture di omero prossimale; esso era basato sul livello anatomico della frattura: collo anatomico, regione epifisaria, collo chirurgico (figura 16). Limite di questo sistema erano le fratture multiple in siti differenti e la distinzione tra fratture composte e scomposte37.

6.2 Classificazione di Codman

Codman, nel 1934, apportò un contributo importante grazie alla divisione in quattro segmenti principali delle fratture dell’omero prossimale. La delimitazione avveniva lungo le linee anatomiche di unione epifisaria: la testa, la diafisi omerale, trochite e trochine (figura 17). La conclusione di Codman era che tutte le fratture fossero una combinazione di questi quattro frammenti. Inoltre, la cuffia muscolotendinea si inserisce sui frammenti più prossimali e può mantenere solidali i frammenti fratturati37.

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6.3 Classificazione di Neer

La classificazione in quattro parti di Neer viene elaborata nel 1970 e si basa sulla classificazione anatomica di Codman; essa è un sistema omnicomprensivo che integra l’anatomia, la biomeccanica e la scomposizione della frattura, al fine di ottenere una diagnosi e un trattamento uniformi. È la classificazione più comunemente utilizzata per le fratture di omero prossimale e viene largamente usata per identificare i vari tipi di frattura (figura 18).

La classificazione di Neer si basa sull’attenta identificazione dei quattro frammenti principali e dei loro rapporti reciproci; questo risultato si ottiene tramite l’impiego di specifici radiogrammi, in particolare attraverso la sequenza per trauma (trauma series), che consiste nelle proiezioni anteroposteriore, laterale ed ascellare. Con questi parametri è possibile individuare le fratture scomposte: fratture in cui il segmento principale è distaccato per più di un centimetro o è angolato per più di 45° rispetto agli altri segmenti. Si considera invece minimamente scomposta se non soddisfa questi criteri.

Le fratture secondo Neer vengono quindi classificate in 5 gruppi (fig. 3) 43: • Gruppo I: fratture minimamente scomposte; tutte le fratture in cui il

segmento principale è distaccato meno di un centimetro o angolato meno di 45° rispetto agli altri segmenti. • Gruppo II: fratture del collo anatomico: frattura che avviene al di sotto delle tuberosità della testa omerale senza che vi sia una separazione tra trochine e trochite; molto rare. • Gruppo III: fratture del collo chirurgico: frattura tra testa e diafisi omerale a livello del collo chirurgico. Entrambe le tuberosità sono unite alla testa omerale. Nel paziente adulto vengono distinte tre tipologie di fratture del collo chirurgico: la frattura angolata, presenta un angolo superiore ai 45° e causa una limitazione nei movimenti di abduzione ed elevazione; la frattura comminuta del collo chirurgico, frattura scomposta del collo chirurgico in cui

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esercitata dal grande pettorale. L’azione della cuffia dei rotatori, intatta, mantiene la testa omerale in posizione neutra;

• Gruppo IV: frattura scomposta della grande tuberosità, la grande tuberosità, o una delle facce d’inserzione tendinea è scomposta per più di un cm rispetto alla piccola tuberosità. Tale frattura è patognomonica di una lesione longitudinale a livello della cuffia dei rotatori.

• Gruppo V: frattura scomposta della piccola tuberosità, spesso associata ad una lussazione posteriore, viene facilmente trattata con una riduzione a cielo chiuso; può essere isolata oppure in associazione ad una frattura del collo chirurgico.

• Gruppo VI: frattura lussazione, si presenta con la fuoriuscita della testa dallo spazio articolare in aggiunta alla frattura. Viene classificata in base alla direzione della dislocazione della testa omerale (anteriore o posteriore) e in base al numero di frammenti di frattura.

Una frattura scomposta viene inoltre classificata secondo il numero di frammenti in bipartita, tripartita, quadripartita. In una frattura bipartita un frammento è dislocato rispetto agli altri tre. In una tripartita due frammenti sono scomposti l’uno rispetto all’altro e gli altri due sono composti. Nelle fratture quadripartite sono scomposti tutti e quattro i frammenti di frattura; la testa ha perso il contatto con la glenoide ed è angolata lateralmente, anteriormente, posteriormente o superiormente, è distaccata da entrambe le tuberosità con conseguente perdita del proprio apporto ematico.

Nel 2002 è stata aggiunta da Neer una categoria isolata per le fratture quadripartite che impattano in valgo; ovvero fratture in cui la che vengono ad essere allargate. Il razionale di questa nuova categoria è giustificata dalla diversità nel trattamento e nella prognosi rispetto alla frattura quadripartita classica44. Un’altra categoria di fratture è costituita dalle fratture per fissurazione

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fissurazione, sono causate da un impatto centrale che determina l’espulsione di frammenti cartilaginei sia anteriormente che posteriormente con una superficie articolare frammentata in molte parti disconnesse. Le seconde, a stampo, sono generalmente associate ad una dislocazione posteriore; a tali fratture vengono viene attribuito un grading in base alla percentuale di superficie articolare interessata e sulla base di questo viene deciso l’approccio terapeutico più opportuno.

Inoltre secondo altri studi le maggiori difficoltà di questa classificazione sono state rilevate nella valutazione del trochine e nella determinazione dell’esatta entità di scomposizione dei frammenti. Essendo il sistema di Neer una classificazione anatomopatologica e non radiografica delle scomposizioni della frattura, il suo uso accurato può richiedere speciali esami radiografici, che integrino le proiezioni convenzionali, o talvolta una valutazione operatoria nel caso di casi difficili.

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6.4 Classificazione AO

La classificazione delle fratture di Müller o AO è un sistema di classificazione inizialmente pubblicato nel 1987 e aggiornato nel 2007 dalla AO Foundation45, rappresenta un metodo per la categorizzazione delle fratture in

base alla localizzazione e la severità, in modo tale da dare al chirurgo opzioni per il trattamento e al paziente una prognosi per gli esiti funzionali e anatomici. Tale sistema di classificazione pone l’accento sulla vascolarizzazione dei segmenti articolari poiché prognosi è strettamente legata all’apporto vascolare del segmento articolare visto che la necrosi avascolare è una complicanza comune.

La classificazione consta di tre categorie; ciascuna è poi suddivisa in sottogruppi numerati in modo crescente in rapporto ad una maggiore gravità della frattura.

• Frattura di tipo A: la meno grave, è assente l’esclusione vascolare del segmento articolare e la necrosi avascolare è improbabile. È extracapsulare e coinvolge due dei quattro segmenti principali (figura 19).

Figura 19. Fratture di tipo A. A1: frattura extraarticolare unifocale che coinvolge il collo chirurgico: A2: frattura extraartcolare unifocale con impatto metafisario; A3: frattura extraarticolare unifocale senza impatto metafisario.

• Frattura di tipo B: più grave, presenta una parziale esclusione del segmento articolare con basso rischio di necrosi avascolare. È parzialmente intracapsulare e sono coinvolti tre dei quattro frammenti principali (figura 20).

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Figura 20. Fratture di tipo B. B1:frattura extraarticolare bifocale con impatto metafisario; B2: frattura axtraarticolare bifocale senza impatto metafisario; B3: frattura extraarticolare bifocale con lussazione della glenoomerale.

• Frattura di tipo C: la più grave, impone una totale esclusione vascolare del segmento articolare ed il rischio di necrosi avascolare è elevato. È intracapsulare e coinvolge tutti e quattro i segmenti principali (figura 21).

Figura 21. Fratture di tipo C. Fratture che interessano la superficie articolare, sono suddivise in tre sottogruppi in base alla grandezza dei segmenti e al grado di lussazione.

Ciascuno dei nove sottogruppi è a sua volta suddiviso in altre tre categorie. A causa della complessa natura di questo sistema la classificazione AO viene meno utilizzata rispetto alla classificazione di Neer.

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6.5 Classificazione LEGO

Basata sui classificazione di Codman, Hertel nel 2005 ha elaborato un sistema di classificazione binario, detto classificazione LEGO; questa classificazione si basa sullo studio di 100 fratture intracapsulari dell’omero prossimale trattate chirurgicamente dal 1998 al 200146. Il sistema è basato sul

concetto che sono presenti cinque piani elementari di frattura lungo i quali può avvenire la separazione dei frammenti in vario modo: 1. Fratture tra la grande tuberosità e la testa 2. Fratture tra la grande tuberosità e la diafisi 3. Fratture tra la piccola tuberosità e la testa 4. Fratture tra la piccola tuberosità e la diafisi 5. Fratture tra la grande e la piccola tuberosità.

In questo modo risultano possibili dodici gruppi di frattura dell’omero prossimale47: sei in cui l’omero è diviso in 2 frammenti, cinque in cui l’omero è diviso in 3 frammenti e uno in cui l’omero è diviso in 4 frammenti (figura 7).

In aggiunta sono stati introdotti dei criteri accessori, in particolare il più importante è l’estensione metafisaria posteromediale della frattura della testa (figura 8), seguono poi lo spostamento mediale o laterale della diafisi rispetto alla testa, lo spostamento delle tuberosità, l’eventuale inclinazione della testa in varo o in valgo (figura 9), la presenza di fratture-lussazioni, fratture a stampo o fratture con fissurazione della testa omerale con uno o due piani di frattura intraarticolari (figura 22. 23, 24, 25).

Per la classificazione delle fratture sono necessari radiogrammi ottenuti con le tre proiezioni del trauma series, spesso però l’acquisizione A.P. è presa in rotazione interna e l’acquisizione ascellare è considerata troppo dolorosa da eseguire, per questo sono necessarie ulteriori indagini mediante RMN o TC47.

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Figura 23. Criterio aggiunto: l’estensione metafisaria posteromediale della frattura della testa; maggiore è l'estensione e migliore sarà la perfusione della testa.

Figura 24. Criterio aggiunto: integrità della cerniera mediale; fattore predittivo di ischemia e della possibilità di una riduzione.

Figura 22: Classificazione LEGO. suddivisione in base al numero di frammenti; 1-6 fratture con due frammenti, 7-11 fratture con tre frammenti, 12: frattura con 4 frammenti. Figura 25. Criterio aggiunto: fissurazione della testa omerale con uno (a sinistra) o due (a destra) piani di frattura intraarticolari; entrambi i frammenti rimangono perfusi.

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7 Valutazione clinica e strumentale delle fratture di

omero prossimale

7.1 Quadro clinico

La maggior parte delle fratture dell’omero prossimale esordisce in modo acuto, in quanto il meccanismo più comune di tali fratture è una caduta su un arto anteposte ed esteso, sebbene un trauma diretto alla spalla possa anch’esso produrre questa lesione, specie in soggetti osteoporotici48. Talvolta coesiste per traumi con braccio eccessivamente ruotato, come nell’iperabduzione, una lussazione, che peggiora il traumatismo sia a livello osseo che dei tessuti molli.

I sintomi più comuni, come nella maggior parte delle fratture sono il dolore, la tumefazione, l’arrossamento cutaneo, la limitazione dell’articolarità attiva e passiva e l’iperestesia in corrispondenza in questo caso della spalla, specie nell’area del trochite37,48. Il dolore alla palpazione può di frequente

accompagnarsi ad un crepitio osseo dovuto alla mobilizzazione dei frammenti di frattura. In genere a 24 – 48 ore dalla lesione compare un’ecchimosi che può estendersi alle sedi limitrofe ed è frequente un caratteristico ematoma nella regione interna del braccio che può arrivare fino al gomito (ematoma brachio-toracico o di Hennequin49)(figura 26.).

A un primo esame ispettivo le fratture possono essere valutate in base al profilo che la spalla assume; le fratture lussazioni posteriori presentano il versante anteriore della spalla spianato, coracoide più prominente e una protuberanza posteriore con l’asse omerale che punta posteriormente. In questi casi sarà sempre presente un deficit dell’extrarotazione e dell’abduzione secondario al dolore. Al contrario nella frattura-lussazione anteriore compare una protuberanza anteriore e il versante posteriore dell’articolazione è spianato o infossato.

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Non è infrequente che per la natura fragile del paziente anziano, oltre che alla singola frattura di omero prossimale, siano presenti fratture in altri distretti ossei, specie a livello del gomito, dell’avambraccio e del polso. Grosse deformità della spalla o solco subacromiale pronunciato possono suggerire un associazione a dislocazione della testa omerale50.

Nell’approccio alla frattura di omero prossimale è essenziale una meticolosa valutazione neurovascolare37,48,50,51. Plesso brachiale e arteria

ascellare sono situati appena medialmente alla coracoide e una loro lesione non è infrequente, può verificarsi anche nelle fratture composte, è quindi importante un’attenta valutazione del nervo ascellare e del nervo muscolocutaneo poiché questi nervi sono i più frequentemente danneggiati nei traumi dell’estremità prossimale dell’omero48,50,52-54. In tal senso bisognerebbe valutare la sensibilità

sul deltoide, perché a causa del dolore può risultare difficoltoso valutare l’attività o l’ipostenia di questo muscolo innervato dal nervo ascellare. Figura 26. Ematoma di Hennequin o Brachiotoracico, si può presentare dopo 24 – 48 ore in conseguenza a frattura dell’omero prossimale

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