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Parte 3 – Presentazione delle scelte strategiche in materia di infrastrutture per la R&S (centri di competenza) 59

3.3 Una visione comune del futuro

Per costruire una visione comune sul futuro occorre condividere una riflessione sul passato, ovvero sul modello di crescita del territorio. A partire da una lettura condivisa e riflessiva del passato sarà possibile maturare le scelte che traguardano i cambiamenti necessari affinché il territorio pisano mantenga gli elementi di forza anche in un quadro nazionale e internazionale più difficile.

Proponiamo una scansione della storia recente per decenni, lasciando ad altre sedi lo svolgimento di analisi più puntuali, a partire dal 1980 circa.

È utile che questa riflessione parta non dal sistema dell’innovazione in senso stretto ma dal sistema produttivo nel suo insieme, perché è questa preoccupazione che muove la Amministrazione Provinciale all’interno delle sue responsabilità istituzionali.

2000-2010

1990-2000 1980-1990

Espansione dei settori tradizionali. Crisi farmaceutica

Crescita delle esportazioni provinciali (es. industria conciaria) Crisi e ripresa settore 2 ruote

Consolidamento industria farmaceutica Crescita settore nautica da diporto

Sfida della globalizzazione

Crisi finanziaria

Shock da domanda 2020

Figura 7 - Eventi e tendenze nello sviluppo del sistema produttivo della Provincia di Pisa

Il territorio pisano arriva agli anni ’80 con una problematica tipica del modello di industrializzazione recente: la crisi della grande impresa, che inizia a Pisa con la Marzotto negli anni ’60, prosegue con la Richard Ginori e la crisi del settore farmaceutico negli anni ’70. La risposta è quella che accomuna i territori della Terza Italia, o del modello NEC (Nord Est Centro): alla crisi della grande impresa fa da risposta la espansione dei distretti di piccola e piccolissima impresa specializzati nelle produzioni tradizionali. A Pisa si consolida l’industria conciaria, già presente dal dopoguerra, fino a diventare il principale polo italiano ed europeo; si espande grandemente l’industria calzaturiera, anche grazie ai vantaggi localizzativi di prossimità dalla materia prima pregiata, e si afferma l’industria del mobile, che ha a Cascina la sua sede di origine artistica e a Ponsacco la sua nuova sede di elezione.

La pubblica amministrazione e la politica assecondano questo sviluppo, tengono sotto controllo il conflitto sociale, indirizzano gli investimenti in infrastrutture verso la risoluzione di problemi industriali che richiedono la messa in campo di beni pubblici locali, come nel caso della depurazione del ciclo conciario a Santa Croce o le infrastrutture fieristiche per il mobile.

Se gli anni ’80 vedono l’affermazione del modello distrettuale, l’espansione prosegue anche nel decennio successivo, anche sotto la spinta di successive svalutazioni competitive nei confronti dell’area del dollaro. La Provincia di Pisa diventa strutturalmente esportatrice.

L’ingresso nell’euro e l’apertura del commercio mondiale a nuovi attori, in primis quelli provenienti dall’Estremo Oriente, aprono nel nuovo millennio scenari del tutto inediti. La manovra del cambio è preclusa nei confronti dei partner europei e difficile nei confronti dell’area dollaro. Al contempo, i settori tradizionali un tempo dominati dalle esportazioni italiane sia nei segmenti alti che nei segmenti medi e medio-bassi di massa, vengono progressivamente attaccati da una concorrenza internazionale aggressiva.

La spinta espansiva dei distretti si esaurisce: alcuni (calzaturiero, mobile) sono condannati ad un ridimensionamento, altri (conciario) reggono meglio la concorrenza internazionale, anche grazie ad un processo di globalizzazione degli approvvigionamenti della materia grezza che è stato gestito con grande preveggenza dai gruppi di imprese più avveduti. Il contenimento dei costi di smaltimento aiuta le imprese a restare competitive sui prezzi.

Nel nuovo decennio il territorio provinciale deve fare i conti con la globalizzazione dell’economia. Una impresa tradizionale riferimento come la Piaggio minaccia di delocalizzare le produzioni, prima in altre regioni italiane, poi all’estero. La sollevazione dei territori fa rientrare il proposito, ma mette anche in chiaro e per tutti che le condizioni di attrattività dei territori non sono un dato acquisito una volta per tutte, ma vanno guadagnate sul campo e possono essere revocabili. In positivo, lo shock della delocalizzazione induce tutti i soggetti a

concentrare le attenzioni ai fattori immateriali e innovativi che possono giustificare la presenza industriale sul territorio, essendo i fattori di costo al di fuori di ogni confronto sostenibile con i paesi emergenti.

Il modello di specializzazione del territorio si arricchisce di altre presenze. Nel giro di pochi anni si afferma un nuovo settore, la nautica da diporto, grazie alla intuizione dell’utilizzo a fini di cantiere del Canale dei Navicelli, un tempo considerato solo bacino di attraversamento (o di blocco, dato lo stato di insabbiamento dei fondali) verso il mare di mezzi di trasporto pesante. Si insediano nuovi cantieri, che attirano anche fornitori e subfornitori. L’industria del mobile trova un nuovo attraente settore di sbocco.

L’industria farmaceutica, un tempo in crisi, si consolida nuovamente grazie alla riorganizzazione societaria dei gruppi locali e all’insediamento di altri soggetti internazionali.

L’industria delle due ruote, dopo la minaccia di delocalizzazione, intraprende un massiccio processo di internazionalizzazione, soprattutto verso l’Asia, che mantiene a Pontedera le funzioni strategiche e riapre, sia pure con esitazioni, vari fronti di collaborazione con il sistema della ricerca. La nuova gestione afferma con chiarezza che non esistono rapporti privilegiati con la subfornitura locale se essa non risponde ad obiettivi di qualità, affidabilità e innovazione, in un confronto competitivo tendenzialmente mondiale.

Il primo decennio del 2000 è quindi, come si suole dire, a luci ed ombre. Conferma una certa tenuta dell’industria locale, ma nello stesso tempo fa venire meno alcuni fattori tradizionali di forza, come la prossimità geografica o la manodopera qualificata. Diventa sempre più chiaro che l’ingrediente nuovo da inserire massicciamente nei processi di sviluppo si chiama innovazione: nei prodotti, nelle procedure gestionali e di progettazione, nei processi produttivi.

È di estremo interesse affiancare alla cronologia (per necessità, molto succinta) dello sviluppo industriale del territorio la storia della creazione del sistema di innovazione.

Va anzitutto ricordato che se Pisa si è potuta affermare come un’area di alta intensità di ricerca ciò è dovuto alla attività di figure di altissimo rilievo scientifico, la cui storia nel secondo dopoguerra è in larga parte ancora da scrivere. Si pensi alle figure di Faedo, Gerace o Capovani nel campo dell’informatica e del calcolo, di Battistini, Lazzarino, Paris e Guerrini nelle diverse aree dell’ingegneria, di Moruzzi e Donato in medicina, di Gozzini, Foa o Bassani in fisica. Molti altri nomi andrebbero citati, ma questi da soli bastano a richiamare un elemento che non va mai trascurato: gli effetti più potenti sullo sviluppo di un territorio si hanno quando si creano competenze la cui qualità è riconosciuta a livello internazionale. Sarebbe interessante ricostruire a ritroso, con un metodo “genealogico”, le origini intellettuali profonde di molti degli innovatori che, a partire dagli anni ’80, hanno iniziato a costruire a Pisa un nuovo modello di sviluppo. Si scoprirebbero origini antiche e influenze affascinanti.

Fatto sta che a partire dagli anni ’80 a Pisa si mette in movimento un processo, che dura tuttora, di creazione di un sistema locale di innovazione. Iniziano alcuni pionieri: la forte crescita dell’informatica pisana, che è leader a livello nazionale, attrae a Pisa imprese del calibro di IBM e Olivetti, e dalla fertilizzazione di competenze iniziano a nascere nuove imprese, talora sfidando le attitudini dell’accademia. È una fase di grande iniziativa istituzionale, guidata da rettori e leader di grande visione e assecondati da sindaci e amministratori provinciali capaci di decisioni rapide: viene creato il Consorzio Pisa Ricerche, l’Università di Pisa si dota di un piano edilizio pluriennale e strategico, in grado di assecondare un potente processo di espansione, il CNR progetta la riunificazione degli istituti nell’Area di ricerca, la S. Anna diventa una università indipendente e inizia a produrre spin-off.

Nel 1985-86 la Conferenza economica provinciale apre il dibattito sul modello di sviluppo. Coraggiosamente, si afferma che l’innovazione deve essere un perno dell’economia locale. Si pongono le basi per le scelte istituzionali successive e gli investimenti pubblici.

2000-2010

1990-2000

1980-1990

Forte crescita informatica Conferenza economica provinciale Progettazione Area di ricerca CNR

Piano edilizio di Ateneo Costituzione Scuola Sant’Anna Creazione CPR Creazione prime imprese spinoff

Creazione Polo Tecnologico Navacchio Polo Sant’Anna Valdera Pont Tech

Spinoff società CPR Incubatore Navacchio Incubatore Pontedera Incubatore di Peccioli Po.Te.Co

Navicelli

Fondo rotativo nuove imprese innovative Creazione NEST Accordo Marconi-CNIT-Sant’Anna Commissione brevetti e spinoff Ateneo

PRIV

Figura 8 - La creazione del sistema dell’innovazione della Provincia di Pisa

Nel decennio successivo non sono più solo i pionieri, ma tutte le istituzioni che si mettono in campo per la creazione di un sistema per l’innovazione.

Viene costituito, per l’impulso di un sindaco visionario, il Polo tecnologico di Navacchio sul sito di una antica fabbrica in disuso. La preservazione di un cuore manifatturiero nel cambiamento dei paradigmi: questa idea guida, cara alla politica locale, ha in sé i germi del cambiamento. Dentro la fabbrica rinasce il nuovo manifatturiero innovativo, che è ormai un mix complesso e inseparabile tra terziario e industria, tra funzioni nobili di progettazione e attività di testing in laboratorio. A ruota segue Pontedera, dove la nuova Piaggio cerca rapporti con il territorio, e trova nella Scuola Sant’Anna il partner ideale per ridefinire l’utilizzo di grandi spazi industriali. Nasce il Polo Valdera e si afferma un polo di robotica di rilievo internazionale, con vocazioni sulla robotica umanoide e biomedicale. A seguire la struttura di trasferimento di Pont-Tech. Il Consorzio Pisa Ricerche vede una crescita straordinaria delle attività e prepara al suo interno la trasformazione di alcuni laboratori (Centro Spazio, IT, tecnologie ambientali) in società indipendenti di ricerca, che avverrà in seguito.

Negli anni 2000 la dinamica assume alcune direzioni. Primo, vengono create nuove strutture di laboratorio (ad esempio NEST presso la Scuola Normale, CEIIP-CNIT alla Sant’Anna in collaborazione con Marconi, ora Ericcson). Secondo, vengono costruite nuove infrastrutture di servizi trasversali (incubatori di Navacchio, poi Pont-Tech e Peccioli) e centri di ricerca applicata e servizi di tipo settoriale (Po.Te.Co, Navicelli). Si assiste poi ad una progressiva diffusione e istituzionalizzazione delle attività di supporto alla creazione di impresa, con la creazione delle commissioni di Ateneo per brevetti e spin-off. Quarto, si iniziano a sperimentare nuove forme di governance sul territorio, attraverso il coinvolgimento degli enti locali su piani di sviluppo a lungo termine, come per il PRIV della Valdera, anche in questo caso con il supporto determinante di un sindaco visionario.

Infine, il sistema della innovazione si arricchisce di un nuovo strumento di tipo finanziario, il Fondo rotativo per le nuove imprese innovative, con una dotazione di quasi 3 milioni di euro. Il sistema locale inizia a prendere la forma di un vero e proprio sistema per l’innovazione.

2000-2010

1990-2000

1980-1990 Fase pionieristica

Fase imprenditoriale

Fase di diffusione Fase di maturità e proiezione

internazionale

Figura 9 - La maturità del sistema dell’innovazione della Provincia di Pisa

Si possono quindi definire i decenni dello sviluppo del sistema territoriale dell’innovazione in riferimento alla dinamica prevalente: pionieristico il decennio ’80, di imprenditorialità istituzionale il decennio ’90, e di diffusione il primo decennio del nuovo secolo.

Si tratta ora di definire i tratti di una nuova fase, che potremmo definire di maturità del modello e di espansione internazionale.

La definizione di “fase di maturità” ha due orientamenti: rispetto allo sviluppo del territorio, e rispetto alle politiche pubbliche.

Rispetto all’orientamento allo sviluppo si tratta di favorire:

• assunzione di responsabilità rispetto alle ricadute sullo sviluppo del territorio (rischio di visioni tecnologiche guidate solo dalla componente accademica)

• previsioni realistiche, credibili e documentate circa l’impatto degli investimenti pubblici sullo sviluppo

• crescita dimensionale delle start-up

• apertura alla concorrenza e ai mercati internazionali Ciò implica alcune conseguenze drastiche:

 no a spin-off sussidiate dalla università di provenienza e/o dai fondi europei

 temporary management nelle start up

Si tratta di riconoscere che il modello di crescita delle spin-off tipico delle fasi pionieristiche e imprenditoriali deve lasciare il passo ad un modello più professionale e internazionale- in una parola, le imprese devono crescere. Il territorio ha bisogno come l’aria di nuove occupazioni qualificate, che devono essere prodotte ad una velocità superiore a quanto sta accadendo con il modello delle spin-off, che danno lavoro al nucleo fondatore e a pochi altri collaboratori. Occorre con decisione intraprendere la strada della crescita.

Rispetto alle politiche di supporto pubblico la fase di maturità significa:

• evitare la duplicazione di funzioni

• aumentare l’utilizzo delle infrastrutture esistenti

• colmare i vuoti (policy gap)

• passare da una fase artigianale ad una fase professionale delle politiche di supporto

In altre parole, nelle fasi iniziali l’attore pubblico ha assecondato, talora guidato, una crescita generosa e volontaristica, guidata più da intuizioni e da visioni ottimistiche del futuro che da analisi rigorose, anche a costo di duplicare funzioni e investimenti.

A questa fase deve fare seguito una fase professionale e selettiva.

Alcune implicazioni di questo orientamento sono le seguenti:

 politiche orientate ai risultati

 valutazione di impatto

 scouting, pre-incubazione e formazione (vs. duplicazione strutture di incubazione)

 modelli economico-finanziari tendenzialmente sostenibili

Tutto questo deve avere una dimensione internazionale, che è il contrassegno della maturità competitiva di un territorio. SI tratta quindi di avviare una fase di attrattività:

• visibilità internazionale non solo rispetto alla ricerca ma anche alle infrastrutture tecnologiche e alle imprese

• maturità del territorio rispetto alla attrazione di grandi imprese nazionali e internazionali

• insediamento di laboratori

• investimenti produttivi

• accordi di collaborazione e contratti con imprese provenienti dall’esterno

• capacità di trascinamento di imprese del territorio verso traiettorie tecnologiche più avanzate.