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di v.; P Ty non presentano segni).

951 Il solo P reca virgola dopo uentre, mentre è privo di pausa

(con Ty) in fine di v.; qui A reca virgola; T2Vt (seguìti da S e

Petr.) punto fermo.

952 La necessaria virgola in fine di v. (come anche in 953) è atte-

953 Petr. accoglie lugubre, ma in apparato – contraddittoriamen-

te e senza motivare l’affermazione – dichiara «senz’altro pre- feribile funebre». Numerosi indizî comprovano invece che lu-

gubre è da considerarsi variante evolutiva: anzitutto la rispon-

denza con BASILIO, Hex. V, c. 17 r B [V, 2, 6] («[…] quemad-

modu(m) quae tristi aliquo ac lugubri amictu abiecto, splen- didiorem induerit, et proprijs ornatibus exultet, et innumera genera plantarum proferat»; poi il sostantivo lugubria, con valore assoluto, per le vesti e le insegne del lutto (OVIDIO,

Met. XI, 669 da lacrimas, lugubriaque indue; Tristia IV, II, 73

«Illa dies veniet, mea qua lugubria ponam»; PROPERZIO, El.

IV, XI, 67 Numquam mater lugubria sumpsi; SENECA, Herc.

fur., 626 lugubribus amicta coniux). Inoltre vel lugubre vale

qui, per traslato (benché il GDLI non registri l’esempio), ‘fo- sco, tenebroso’: il negro manto (si noti la disposizione a chia- smo dei due sintagmi), ma con precisa memoria di I, 403-405 («Era quasi coperta [la terra] ancor da le acque / Che parean tenebroso e fosco il velo / Onde ascosa tenea l’orrida faccia / […]»). (Non è senza significato che TOMMASEO, nel Diziona-

rio dei sinonimi, 2579, raccolga e disponga in progressione

«Oscuro; Bruno; Nero; Atro; Tètro; Lugubre»). In quanto designa cosa che spira lutto, lugubre appare preferibile a fu-

nebre proprio perché più suggestivamente indeterminato e

adatto alla metafora della terra, antica madre dogliosa, mesta e squallida (956-957). La scelta è raccomandata infine da ra- gioni foniche altrettanto evidenti. Per il motivo della donna vestita a lutto cfr. Rime 132 (1: in negro manto); 176 (3: la

gonna oscura); 291 (In vaga e bruna gonna; 6: funebre manto);

411(6-8: «e ’l lucido or di crespe chiome bionde / leggiadra- mente in un bel nero asconde / madonna […]»); 423 (di abi- to virile); 568 (3: «candida e pura in vesti oscure ed adre»).

954 S e Petr. mettono virgola in fine di v., sulla scorta di A T2Vt

(e certamente di T1, illeggibile): punteggiatura che dà senso solo se seguìta – come avviene in T1A T2Vt – da una secon-

origine a un grave fraintendimento (Veste 954 verbo, seguìto da complementi di modo, anziché sostantivo; adorna 955 ag- gettivo accordato con arte, anziché verbo). Preferisco mante- nermi fedele alla interpunzione di P intendendo: ‘Come una veste tessuta di seta [questo il senso traslato del complemen- to di materia di ricche spoglie, ‘fatta con i preziosi bozzoli del baco’: cfr. Rime 336 e 337] e trapunta d’oro con arte vaga adorna oltre l’usato una donna che, poco prima afflitta dal dolore, abbia appena abbandonato il lutto, ecc.’. L’interpre- tazione è confermata dal secondo termine di paragone (956- 961), dove la verdeggiante e ricca veste 960 è appunto sostan- tivo. Cfr. M.c. V, 1260-1269; 1465-1473.

955 In fine di v. P T1hanno punto fermo; A punto e virgola; T2

Vt due punti; Ty nessun segno.

957 P Ty sono privi della necessaria pausa in fine di v.; T1(per ag- giunta posteriore?) ha virgola; A T2Vt punto e virgola. 960 Il solo P reca in fine di v. punto fermo anziché virgola (Ty è

privo di segni).

962 Aggiungo le prime due virgole (quella finale è aggiunta dal-

l’Ingegneri): di parte in parte si correla a dovunque… ne l’ope-

re create 965-966.

963 In fine di v. P Ty non recano pausa; T1ha due punti; A T2Vt

punto fermo.

966 È assai probabile che la incompiuta correzione di P, quasi

certamente autografa, mirasse a correggere l’endecasillabo dattilico.

970 S rinnovar.

971 Il solo P reca punto fermo in fine di v.; T1A T2hanno punto e virgola; Vt virgola; Ty nessun segno.

973 La virgola non va posta dopo fien (così P), ma dopo prima

(cfr. BASILIO, Hex. V, c. 17 r B [V, 2, 7]: «Primu(m) quidem i-

gitur cu(m) uideris herba(m) foeni et florem, ad meditatio- ne(m) uenias de humana natura, in memoriam reuocans ima-

ginem sapientis Esaiae. Quod omnis caro ut foenum, et om- nis gloria hominis uelut flos foeni [Is. 40, 6]»). Ambigua la soluzione adottata dagli editori moderni di riprodurre la punteggiatura dell’Ingegneri attestata da T1A T2Vt (una so-

la virgola in fine di v.).

976 In fine di v. P Ty non recano pausa; T1(seguìto da S) ha due punti; A T2 Vt punto fermo (punteggiatura preferibile alla

virgola di Petr.).

977 P A T2recano virgola dopo mortal (A T2Vt anche in fine di

v.).

978 La punteggiatura a testo è quella di P. Petr., sulla scorta di S e

sul fondamento di A T2Vt, pone punto fermo dopo repente. 979 Petr., per inerzia da S, È. Tuttavia la genuinità della lectio dif-

ficilior dei mss. (E), con espressiva ellissi verbale (il verbo si

trova in 990), appare indiscutibile. È, facendo di leggiadro

amante 978 il soggetto, costituisce una trivializzazione. Ma il

Tasso, enumerando una serie di disposizioni e condizioni (978-989), esemplarmente generali e non individuali, intro- dotte dalla vaghezza amorosa della giovinezza (leggiadro

amante) che si schiude alla vita, intende rivelarne subito, me-

diante l’ellissi del verbo essere, tutta la transitorietà (risolven- tesi nel cieco dinamismo vitalistico di raggira intorno 985, so-

spinge al corso 986, gravi lance rompendo 987) e la fallace, il-

lusoria inconsistenza esistenziale (appare 989: ma tutti i sin- tagmi di 988-989 insistono sull’irrealtà della finzione). Pro- prio in virtù della universale e simbolica esemplarità delle prerogative enumerate per accumulazione, emerge più tragi- co repentino e definitivo il discrimine, incombente su ogni

gloria mortal, che separa il sogno breve, le effimere gioie, le

illusorie speranze dell’oggi dalla dura, brutale, inesorabile realtà del Domani (990): un’antitesi, già implicita in Cade re-

pente, che offre evidenza concreta al funebre epifonema clas-

sico di 976-978. Questa movenza stilistica è evidentemente ispirata da BASILIO, Hex. V, c. 17 r B [V, 2, 8]: «Breuitas e-

ni(m) uitae, et in modico t(em)p(or)e gaudium, ac hilaritas humanae prosperitatis aptissimam apud prophetam ima- ginem adepta est. Hodie floridus corpore, carnulentus prae delicijs, florulentum habens colorem, prae aetatis uigore ua- lidus, et concitatus, et prae impetu no(n) consistens et intole- rabilis, cras ide(m) hic miserabilis, aut tempore marcidus, aut morbo dissolutus». Non è impossibile che la lettura È in Vt sia stata determinata indirettamente dall’interpolazione, pur rigettata, dell’articolo (’l leggiadro amante) da parte di T2 in 978(che tuttavia qui legge E).

980 P Ty non recano pausa in fine di v.

981 In fine di v. P T1 hanno punto e virgola; A T2Vt virgola; Ty

nessun segno.

982 S giovanili.

983 Il solo P reca virgola dopo odor; tutti i testimoni l’hanno in

fine di v., eccetto T1(punto e virgola) e Ty, privo di segni.

984 In fine di v. P reca punto fermo; T1punto e virgola; A T2Vt

virgola; Ty non presenta segni. In tutti i testimoni 983-984 ri- sultano invertiti. L’ordinamento a testo si fonda esclusiva- mente su ragioni stilistiche interne, ma la probabilità ed eco- nomicità dell’intervento sono di molto accresciute dalla pre- senza, nello stesso passo, di un altro v. dislocato (987), come provano forti e sostanziali argomenti pertinenti al senso, cer- tamente non sospetti di arbitrio soggettivo. Non pare incauto dedurne che in questo punto particolarmente tormentato l’o- riginale doveva prestarsi con facilità (o addirittura favorire) fraintendimenti quali quelli in cui incorre l’Ingegneri. Risulta comunque evidente che la struttura di 981-984 è modellata su un intenzionale parallelismo (del resto già anticipato da 978-980, dove soltanto si ha un participio presente anziché passato, e ancora ripreso dal primo emistichio di 985), sim- metria che corrisponde alla distinzione tra lo stato d’animo del giovane leggiadro amante colmo di lusinghiere aspettati- ve, proiettato con superba fiducia verso un vago avvenire

(981-982), e il suo aspetto fisico (983-984), che di quella par- ticolare condizione psicologica di trionfante sicurezza appare quasi il riflesso esteriore. Proprio tale sottile correlazione va perduta con l’ordinamento tràdito. Così come si perde la sa- piente gradatio indugiante dapprima sulla persona del prota- gonista (la chioma e ’l volto [983]: per la coppia cfr. Rime 61, 13«quelli [gli occhi lacrimosi fonti] ond’io porto sparso il se- no e ’l volto»; certo casuale la coincidenza con GALEAZZO DI

TARSIA«Se ti fur care le mie chiome e ’l viso») il cui fascino

giovanile è intensificato dalla esotica cosmesi, per poi passare alla sontuosa opulenza dell’abito, ostentato quale insegna di prestigio sociale e fastoso ornamento. Probabile (ma non de- cisiva per l’ordinamento) la compendiosa memoria dello PSEUDOBASILIO, Hex. XI. De Hominis constructione, c. 45 v

C «Inclina te ad terra(m), cogita q(uo)d ex cognata terrae re et reiectitia formatus es. quid magis contemptibile q(ua)m nos sumus, quid magis merito uilipendimus q(uam) nosip- sos? Vidisti aliquem magnopere iactabundu(m)? ueste florida

indutum? manu(m) habente(m) annulo fulgente(m), gem-

(m)am aut sigillum pretiosum ferentem, et ob hoc glorian- tem? sericis texturis amictum? seruos habente(m), et comas

diffusas easq(ue) flauas? et professionibus ac studijs super-

biente(m) [con 982-983]? torques aureos circumferente(m)? in argentea sella sedente(m)? magnis passibus incedentem? magna uoce intonantem? […] Cogita quod formauit ho(m)i- (n)em, limum de terra».

986 Petr., per inerzia da S, e. La lezione è probabilmente un con-

ciero dell’Ingegneri da porre in rapporto con il dislocamento di 987. In fine di v. P A hanno punto fermo; T1due punti; T2

Vt punto e virgola; Ty nessun segno.

987-989 L’ordinamento concorde dei testimoni, che pospongono

987a 988-989, è manifestamente guasto. Questi ultimi allu- dono infatti in modo trasparente alle mascherate carnevale- sche e, a conferma del carattere intensamente autobiografico dell’intero passo, sembrano rievocare atmosfere e ricordi fer-

raresi molto presenti nell’opera del Tasso, a cominciare dalle

Lettere, e riaffioranti con più pungente malinconia sul decli-

nare della vita: si pensi all’apertura del Gianluca overo de le

maschere: («A.P. Tutta Ferrara è piena di maschere e voi an-

cora siete rinchiuso?» [p. 671, § 1]), alla competente disqui- sizione tecnica intorno alle maschere modenesi e ferraresi (§§ 12-13), alla rassegna – venata di amara ironia – dei diversi travestimenti possibili (§§ 25-29), ma soprattutto alla comu- ne disposizione malinconica e smagata («F.N. L’allegrezze so- no conformi a l’età de gli uomini, sì come i frutti a le stagioni […]. Sì come i capegli canuti non divengono mai neri, così mai non ringioveniscono le voglie, una volta invecchiate» §§ 2-6) che apparenta i due testi, fino al rovesciamento, o me- glio al dissolversi, nel poema sacro amaramente consumato quale denudamento repentino (Dispogliando), strage delle il- lusioni, totale e atroce disinganno esistenziale (1025-1028), della stessa splendida metafora teatrale cui, nel passo più ce- lebre del dialogo, è affidata la nostalgica memoria del primo incontro con Ferrara («[…] e mi parve che tutta la città fosse una maravigliosa e non più veduta scena dipinta, e luminosa e piena di mille forme e di mille apparenze […]»). Sintagmi come estrania pompa, allusivo allo sfarzo peregrino ed esotico dei travestimenti («[…] e le pompe di questa corte agguaglia- rono tutte quelle fatte da’ re o da imperatori, né sono inferio- ri a l’antiche descritte da poeta o da istorico, perché vi furo- no vedute non solamente l’operazioni de’ cavalieri, ma le ma- raviglie ancora de gli dei favolosi: e io vidi la Fama picciola da prima e poi, crescendo, nascondere il capo fra le nuvole, e udi’ la sua tromba»: § 30), finto aspetto, mentite larve non hanno alcuna attinenza con il contenuto marziale di 987 (è da escludere infatti che il verso vada letto in questo contesto co- me una esplicita metafora erotica e sessuale dal greve timbro comico realistico). Richiamano al contrario e per contrasto l’altro e principale ambito, oltre a quello dei fieri ludi e delle giostre, in cui si esplica la vitalità esuberante del giovane ro-

busto per l’età, inizialmente qualificato come leggiadro aman- te 978: quello della sfrenata licenza carnevalesca e delle

schermaglie erotiche propiziate dalla stagione «che gli accorti amatori a’ balli invita» (Rime 711, 2). L’interpretazione trova conferma, anche alla stregua di precise consonanze formali, nel son. 712, eloquente fin dall’argomento (Descrive la stagio-

ne del carnevale e le sue immaginazioni con le quali vedeva sempre presente la sua donna): «Riede la stagion lieta, e ’n va-

rie forme / sotto non veri aspetti [C legge mentiti a.] i veri amanti [«descrive legiadrissimamente l’uso de le maschere», chiosa il Tasso] / celan se stessi e sotto il riso i pianti, / se- guendo di chi fugge i passi e l’orme. / Io, come vuole Amor che mi trasforme, / mi vesto ad ora ad or novi sembianti, / e mille larve a me d’intorno erranti / veggio con dubbio cor che mai non dorme» (1-8). E soprattutto nel 186 (Mostra di

riconoscere la sua donna in maschera, benché fosse ignobil- mente vestita): «Chi è costei ch’in sì mentito aspetto / le sue

vere bellezze altrui contende, / e ’n guisa d’uom ch’a nobil preda intende / occulta va sotto un vestir negletto?» (1-4). Mentre mentite larve vengono rimosse in 108, 12. Chiarito, con il conforto dei riscontri prodotti, che l’ellittica e voluta- mente enigmatica espressione Appare altrui (989) richiama il rituale della seduzione ed evoca larve usate in amorosi cori (Rime 713, 13), ancora più evidente ne risulta l’incongruenza con il violento dinamismo di rompendo (987), che invece per- fettamente si intona, coronandole, alle prodezze equestri di 985-986 («[…] raggira intorno / Un gran destriero, o lo so- spinge al corso»; cfr. Rime 836, 9-12 «Ma pur quando la bianca e dotta mano [di Vincenzo Gonzaga] / un gran de- striero in giro affrena e volve / di quei che pasce la tua nobil terra / lieto lo sparge d’onorata polve […]»; 867, 12-14; e 876; Torrismondo 195-197; 1780-1811). Del resto, a perento- ria conferma dell’ordinamento a testo, stanno i probanti ri- scontri interni di III, 37-43 e IV, 4-6, dove è già anticipato con inequivocabili coincidenze formali lo stesso motivo del

carosello contrapposto al torneo e alla giostra. Di torneamen- ti in maschera non si ha d’altra parte notizia: quando infatti l’ambasciatore fiorentino Bernardo Canigiani in un dispaccio da Ferrara del 12 febbraio 1565 scrive: «Ieri si roppon di molte lance al saracino da forse quaranta maschere di livree di più conserti, nuove ma di poca spesa […]», la precisa de- scrizione che segue permette di accertare, senza ombra di dubbio, che il sintagma tecnico maschere di livree designa le divise delle squadre partecipanti, il loro travestimento, non il travisamento dei volti per mezzo del finto aspetto di una ma- schera; e corrisponde alla «livrea molto pomposa con penac- chij bellissimi alla Ferraresa», alle «bellissime livree con son- tuosissimi penacchij» indossate in una occasione analoga da Vincenzo Gonzaga e dal signor Tullio Gueriero (ben ricono- scibili e non mascherati) secondo la vivida descrizione di un corrispondente del duca Alfonso in una lettera da Mantova del 7 marzo 1582 (queste e altre testimonianze si possono re- perire in A. SOLERTI, Ferrara e la corte estense nella seconda

metà del secolo decimosesto, Città di Castello, S. Lapi, 1900,

pp. CXLIX-CLXI; specialmente CL e n. 8; CLIII). Senza contare che in quel cimento volto all’esaltazione della virtù e della destrezza individuali sarebbe assurdo che proprio l’i- dentità dei partecipanti restasse nascosta sotto mentite larve, come implicitamente si arguisce da un passo del Gianluca: «F.N. Questa vostra è cortesia, o signor Ippolito; il quale sete un di coloro ch’imitano i migliori ne l’opere valorose, né ce- late con la maschera alcuna cosa di cui debbiate vergognarvi, perché gli arringhi, le giostre, i torneamenti, ne’ quali il vo- stro valore è conosciuto, sono le vostre nobilissime imitazioni […]» (§ 30). Per il sintagma chiuso arringo nel suo valore tec- nico (‘lizza’), ma anche in riferimento a precisi luoghi e co- stumanze che ancora una volta paiono collegati al cortese e cavalleresco mondo ferrarese, cfr. Rime 735; 714, 9-11: «Oh, foss’io pur dove teatri e scene / orna il mio duce glorioso [Al- fonso II], e vero / in finte guerre il suo valor dimostra /

[…]!»; 723, 79-86: «Altri, ov’a pugna invita / il metallo cano- ro, / fa di sé ne’ teatri altera mostra; / né ghirlanda fiorita / di fior d’argento e d’oro / il move o ricco pregio altro di giostra, / ma quella ch’or si mostra / vergine bella, ed ora / con un bel vel s’asconde / […] / e ch’al pensier propone / altri pre- mi, altro arringo ed altro agone» (con fusione dei motivi ago- nistico ed erotico); 874; G.C. VI, 29, 5-8: «Loco è nel campo, chiuso, a tutte prove / da’ valorosi cavalieri eletto, / dove ozïosa la virtù non langue; / ben che cessin talor le morti e ’l sangue»; M.c. VI, 934-937; Il Gianluca, §§ 31-33: «I. G. Il si- gnor duca non lascia alcuna occasione di manifestar la sua grandezza e ’l suo valore; e quando non sono presenti le vere battaglie, ci mostra l’imagine di ciascuna. […] Non è picciol diletto veder tanti cavalieri con abiti così vari e spesse volte così ricchi armeggiare con tanto valore e con tanta leggiadria, e tante donne piene di tanta bellezza con sì rari e con sì nuovi ornamenti». Si aggiunga infine, a guisa di corollario, che solo l’ipotesi della dislocazione di 987 vale a rendere persuasiva ragione del passaggio di o a e in 986. Di intenzionale concie- ro (attribuibile all’Ingegneri) e non di fortuito errore si tratta, appunto perché l’editore è stato indotto, per superare le apo- rie create dal guasto ordinamento tràdito, a modificare il te- sto allo scopo di ottenere la contrapposizione di due azioni tra loro omogenee: l’esibizione di perizia equestre (985-986) da un lato, e dall’altro il fastoso torneamento (988-989-987, secondo la numerazione a testo). In realtà le azioni, scandite dalle disgiuntiva, sono tre (benché le prime due, belli simula-

cra cientes, appaiano più strettamente collegate dall’analoga

natura dell’energico esercizio fisico): le evoluzioni del caro- sello (cfr. Il Gonzaga secondo overo del giuoco, p. 473, § 61; Il

Romeo, p. 513, § 13), la giostra o arringo (la stessa distinzio-

ne in G.C. III, 53, 2-8: «Altri punge destrieri al corso o volve; / […] / Altri con vista più fiera e superba, / si corre incontra e l’arme rompe e solve; / E con varia fortuna in bella giostra / A’ duo messaggi il suo valor dimostra»), la mascherata carne-

valesca. Ed è soltanto restaurando la primitiva collocazione che l’accenno conclusivo alla parvenza sotto mentite larve ri- acquista tutta la sua pregnanza simbolica e la sua tragica iro- nia (si veda questo apparato a 979, e 1025-1026). L’ipotesi più economica suggerisce che il guasto sia stato prodotto dal- la erronea inserzione di 988-989, molto probabilmente ag- giunti a margine.

988 S estranea.

989 S sotto a mentite. P Ty non presentano pausa in fine di v. 990 S tinto del pallor.

992 Petr., per inerzia da S, O con le m. 994 S appena.

995 Petr., sulla scorta di T2 Vt S, introduce il capoverso. La vir-

gola dopo Quegli manca in tutti i testimoni; quella in fine di 996soltanto in P Ty.

998 La virgola in fine di v. manca in P Ty.

1000 S Di e di; Petr. De’ e de’. Per de nordico fa propendere l’in-

determinatezza anonima e subalterna di umil turba 998 e

lunga greggia 999 (senza l’articolo determinativo). In fine di

v. tutti i testimoni recano virgola, tranne T1(punto e virgola) e Ty (privo di segni).

1001 S Oppur e di; Petr. de’. 1002 S de.

1003 In fine di v. P T1Ty non recano pausa; A T2Vt (seguìti da S)

hanno due punti. Petr. pone punto e virgola.

1005 In fine di v. i testimoni hanno punto fermo (tranne Ty, privo

di segni). A testo la punteggiatura di Petr. (S pone due punti).

1007 Petr., per inerzia da S, e: altro esempio di lectio facilior intro-

dotta dall’Ingegneri che abusivamente trasforma in coppia verbale adduce e tragge, verbi invece correlati dal chiasmo in un rapporto di opposizione con i rispettivi soggetti: Grazia,

libero atto della volontà e un fine determinato, quali sareb- bero, per il cortigiano, conseguire il prestigio, il successo con i relativi guadagni, il favore: le ambizioni cioè che lo conducono a corte); mercede e cibo per il secondo (tragge esprime la spinta della dura necessità di guadagnarsi il sala- rio e i mezzi di sostentamento che trascina contro il volere). Cfr. BASILIO, Hex. V, c. 17 r B - 17 v C [V, 2, 9] «Ille conspi-

cuus in diuitiarum opule(n)tia, et multitudo circa ipsum a- dulatoru(m), satellitium amicorum fictorum gratia(m) ipsius uenantiu(m), multitudo cognationis eiusque fictae, grex in- numerus inse- / quentium [con 995-1001], partim cibi gra- (tia), partim ob alias causas ad ipsum accurrentium ipsique assidentium [con 1006-1008], quos et progressus et reuersus secum trahens, inuidia(m) sibi occurrentiu(m) parit [con 1002-1005]».

1008 Con la lezione a testo mercede e cibo sembra quasi un’endia-

di (‘salario atto a procurarsi i mezzi di sussistenza’) Non im- possibile tuttavia, alla luce della fonte («[…] partim cibi gra- tia, partim ob alias causas […]»: si veda il secondo apparato a 1007), che P leggesse o, nel qual caso mercede (‘ricompen- sa, remunerazione, tornaconto ecc.’) andrebbe annesso alla serie precedente con effetto di climax discendente.

1009 Indispensabile, benché manchi nei testimoni (e in S e Petr.),

la virgola in fine di v. con arroge imperativo (non IIIª singo- lare dell’indicativo – sogg. governo di 1010 – come l’assenza di pausa induce il MAIERa ritenere), sulla scorta di BASILIO,

Hex. V, c. 17 v C [V, 2, 10]: «Adde ad diuitias etia(m) politi-

cam aliquam potestate(m), aut etiam ex regibus honores, aut gentiu(m) gubernationem, aut exercituum imperiu(m), prae- conem magna uoce ante ipsum intonantem, feruligeros hinc et hinc grauissima(m) perculsione(m) subditis incutientes, plagas, bonor(um) publicationes, abductiones, ui(n)cula, ex q(ui)bus intolerabilis apud subditos coaceruatur timor».

1011 Petr., per inerzia da S, da gl’.

1012 Il solo P reca innanzi a e e in fine di v. punto fermo anziché

virgola.

1013 S lucid’armi.

1014 La pausa in fine di v. manca in P T1Ty; A T2Vt hanno pun-

to fermo. S e Petr. pongono punto e virgola.

1015 S ’l. Il solo P reca virgola dopo Quinci.

1016 Il solo P reca virgola dopo pouertà (ma non in fine di v.).