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Z32: le maschere dell’assassino e l’impunità sistemica

CAPITOLO III La rappresentazione del crimine e del colpevole nel cinema

3.2 Un percorso filmografico: ragioni e obiettivi

3.2.2 La confessione anonima: il filmmaker, il colpevole e la sua maschera

3.2.2.1 Z32: le maschere dell’assassino e l’impunità sistemica

Z32 è il codice identificativo assegnato alla deposizione di un ex soldato di leva israeliano all'interno dell’archivio di Breaking the silence,405 un progetto finalizzato a raccogliere le testimonianze di soldati israeliani coinvolti in azioni di guerra sproporzionate rispetto all’offesa o vere e proprie rappresaglie contro la popolazione civile palestinese. Mograbi, durante una prima fase di conoscenza e collaborazione in qualità di filmmaker a Breaking the silence, rimane colpito proprio dalla testimonianza di Z32, riguardante un'operazione punitiva contro

402 Da una parte, Mograbi ha di fronte a sé, sia nei video-diari girati da Z32 sia nei loro incontri personali, il volto reale del soggetto intervistato, dall’altra, Rosi interagisce con un’unica fonte anonima in uno spazio altrettanto anonimo. Come vedremo queste diverse caratteristiche del frame dell’interazione regista-soggetto determinano specifiche scelte narrative e registiche.

403 Cfr. P. Magli, Il volto e l’anima: fisiognomica e passioni, Bompiani, Milano 1995. La figura retorica del chiasmo a cui si richiama la Magli in questo testo è ripresa dalla riflessione filosofica di Maurice Merleau-Ponty. In particolare, si veda M. Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito, op. cit.; Id., Il visibile e l’invisibile, op. cit.

404 Si rimanda alle riflessioni di Lévinas sul volto discusse nella sezione precedente.

405 L’organizzazione no-profit è presente online con un sito che elenca le attività e gli eventi del gruppo, oltre a un vasto archivio di testimonianze scritte e riprese di soldati israeliani che denunciano operazioni militari contro civili e contrarie ai principi della Convenzione di Ginevra; https://www.breakingthesilence.org.il/ (consultato in data 18/08/2018).

degli agenti disarmati della polizia civile palestinese effettuata dall’esercito israeliano dopo l'uccisione di sei militari in un attentato terroristico. Il regista chiede all'ex soldato, identificato dalla sigla Z32, di partecipare a un film intervista; l'uomo acconsente, ma impone a Mograbi di non far apparire sullo schermo il proprio volto a causa del timore di essere riconosciuto dai parenti delle vittime o di poter essere in futuro incriminato all'estero.

Da questo presupposto, o meglio da questo diktat del protagonista, si origina la dialettica del film tra il racconto-denuncia di un crimine e i dispositivi di occultamento dell'identità del criminale. Intervistato da Joram ten Brink riguardo alla necessità inderogabile di celare il volto dell’ex soldato Z32, il regista israeliano ha dichiarato:

It’s more important, I think, to present to the society here, to my community, those questions of sheltering our own assassins, then to expose one soldier who was really the last person in this huge chain of command. He was the person who pressed the button, but he was only the person who pressed the button. He had no power and of course the big guys are not in danger. So for me it’s more important to bring it into discussion the whole issue rather than to expose one person.406

Mograbi ritiene, dunque, che l’anonimato del protagonista non costituisca necessariamente un ostacolo per la rappresentazione. Gli esecutori materiali del crimine, i soldati, si trovano all’estremità di una lunga catena di comando, che si origina a partire dai vertici dell’esercito e si propaga attraverso un’opinione pubblica largamente favorevole alla gestione politica e militare della questione palestinese da parte del governo e dei vertici dell’esercito israeliano. L’obiettivo di questo documentario non è, ci dice Mograbi, quello di mostrare il volto dell’individuo colpevole, quanto quello di indicare la maschera anonima dietro cui si celano i mandanti della violenza. L’operazione obbligata di mascheramento del colpevole può trasformarsi, allora, in una metafora dell’ingiustizia che coinvolge, per gradi differenti, tutta la società israeliana, adempiendo a una funzione tragica e teatrale, che, come vedremo, è resa ancor più esplicita dalla presenza di un coro, interpretato dallo stesso regista, con un accompagnamento musicale prima solo al piano e poi orchestrale.

Mograbi si dimostra pienamente consapevole delle problematiche etiche e politiche connesse al ‘dare la parola’ al colpevole e incentrate su un quesito: «com'è possibile rendere presente il soggetto della confessione, sottraendogli i tratti idiomatici della sua identità?».407

406 A. Mograbi, J. ten Brink, The killer’s search for absolution: Z32, Avi Mograbi, in J. Oppenheimer, J. ten Brink (eds.), Killer

Images, Documentary Film, Memory and the Performance of Violence, Columbia University Press, New York 2012, pp.

270-271.

Z32 mette, infatti, in scena una confessione intima e volontaria, ma, strutturalmente mancante di quel ‘costo di enunciazione’ che contraddistingue l’atto confessionale. Come abbiamo visto nel secondo capitolo, per poter funzionare come pratica sociale la confessione deve comportare un sacrificio o, più genericamente, il superamento di una reticenza o di un segreto conveniente per l’enunciatore. Nella lettura foucaultiana dello sviluppo della pratica di veridizione del sé nella storia delle istituzioni occidentali il costo dell’enunciazione coincide in primo luogo con la sottomissione a un’autorità da parte del reo. Gli studiosi di diritto hanno evidenziato come la prospettiva di Foucault disconosca alla pena la funzione rieducativa su cui sono incentrate, invece, le teorie della giustizia penale di tutte le democrazie liberali contemporanee. Come sottolinea Nicola Selvaggi, per il filosofo francese,

tutto il ‘problema penale’ si articola [...] sulla dialettica tra potere punitivo, quale espressione del potere sovrano, e reo; mentre, invece, viene trascurata [...] la figura della vittima e, in questa prospettiva, il significato che possono assumere determinati percorsi confessionali in quei modelli in cui prevale, sull’esigenza strettamente punitiva, quella, invece, improntata a mediazione, conciliazione e riparazione.408

Rispetto a queste due chiavi di lettura principali — cioè, la confessione come dispositivo per legittimare la punizione, producendo discorsivamente il colpevole, e la confessione, invece, come parte di un processo di ‘riparazione’409 della frattura sociale prodotta dall’atto criminale

—, la confessione anonima di Z32 si configura come una performance difficile da inquadrare poiché non ‘dice’, ovvero non mostra, il legame tra un soggetto specifico e una colpa e non si rivolge in modo diretto alle vittime del crimine. A rendere problematico il senso e la funzione comunicativa del racconto dell’ex soldato non è solo il nascondimento dell’identità di colui che confessa, ma, a un livello più profondo, la questione relativa a chi siano i destinatari di questo atto così urgente e, allo stesso tempo, irresponsabile.

Una delle domande che guiderà l’analisi del dispositivo confessionale messo in scena da Mograbi sarà, quindi, a chi sta confessando i propri crimini Z32? Nella raccolta di saggi e interviste, curata dal filmmaker Joshua Oppenheimer e da Joram ten Brick, il capitolo che abbiamo già citato, dedicato a Z32, ricorre a un titolo significativo: The Killer’s search for absolution. La scelta del termine assoluzione, che rimanda a un ambito religioso o giuridico

408 N. Selvaggi, Le lezioni di Louvain sulla ‘confessione’ e le trasformazioni dei sistemi penali, in L. Luparia, L. Marafioti (a cura di), Confessioni, liturgie della verità e macchine sanzionatorie, op. cit., p. 37.

409 Il rapporto tra confessione e composizione del conflitto è evidente nel caso delle ‘Commissioni per la verità e la riconciliazione’, cioè di quei tribunali nazionali istituiti al fine di giudicare crimini politici o di messa perpetrati dallo stato o in nome delle sue leggi. Selvaggi, rileva, ad esempio che, secondo la legge istitutiva della Commissione per la verità e la riconciliazione sudafricana «il provvedimento di amnistia poteva essere concesso soltanto là dove il reo (per meglio dire: colui che fosse accusato di fatti connessi al segregazionismo) procedesse a una vera e propria ‘confessione pubblica’.», Ivi. p. 38.

ben codificato,410 non è casuale. L’assoluzione, a differenza del perdono, è, infatti, un atto che compete a un’autorità istituzionalizzata — rappresentata dal sacerdote e dal giudice — e non alla vittima indefinita di un crimine. Il giovane assassino al centro di questo film — e il regista, come vedremo, sembra esserne ben consapevole — non cerca il perdono delle vittime, cioè, la riappacificazione con coloro che hanno subito il torto, quanto piuttosto una remissione della propria colpa da parte dei propri affetti o dei propri pari: la fidanzata, il regista e la società israeliana in genere. Più precisamente Z32 ambisce a essere ‘scusato’, ovvero giustificato, anziché giudicato,411 rispetto al crimine commesso. La confessione del protagonista è più assimilabile alla verbalizzazione di un trauma subito che al racconto di una colpa a cui si vorrebbe rimediare. Nell’autorappresentarsi come vittima della propria stessa violenza, Z32 esclude dal proprio orizzonte esperenziale e comunicativo qualsiasi rapporto con il dolore dell’altro: gli uccisi, i loro cari e la loro comunità di appartenenza.

Mograbi interviene nella narrazione egoriferita del protagonista, facendo del narcisismo e dell’irresponsabilità dell’ex soldato il perno per l’articolazione di un discorso etico e politico. Ne risulta, come afferma Christa Blümlinger che:

Le but de ce type de confession n'est pas la thérapie du trouble de stress post-traumatique, mais plut la construction d'une communauté de témoins et d'enquèteurs et la démonstration de la systématicité des crimes commis dans les territoires occupés.412

La costruzione di ‘una comunità di testimoni e investigatori’ riconduce la confessione di Z32 in uno spazio pubblico e civile, liberandola dal rischio di un ‘ripiegamento’ vittimista sull’esperienza trauma del colpevole, che tende a escludere o marginalizzare il dolore delle vittime e il discorso etico sulla responsabilità individuale.413

La prima parte di Z32 è dedicata alla questione del dispositivo che permetterà di filmare la testimonianza del crimine a cui ha partecipato il protagonista. È significativo il fatto che i titoli di testa siano inseriti solo dopo il ventottesimo minuto del film, a indicare la funzione di prologo di questo lungo blocco iniziale. L’introduzione contiene tutti e quattro gli elementi

410 In ambito cattolico l’assoluzione coincide con la remissione, a opera del sacerdote e tramite l’atto di penitenza del fedele, dei peccati confessati, mentre nel diritto penale essa determina il proscioglimento dell’imputato dalle accuse a suo carico.

411 Come abbiamo visto nel secondo capitolo, il filosofo francese Vladimir Jankélévitch ha proposto di distinguere perdono, oblio e scusa partitiva. Mentre il perdono ha come oggetto la colpa non espiata e ‘pretende’ la pienezza del ricordo della colpa nella vittima, la scusa implica una riduzione della colpa in base a criteri pratici e temporali (il calcolo dei vantaggi e l’usura del ricordo). Cfr. V. Jankélévitch, Il perdono, op. cit.

412 C. Blümlinger, Casques et masques: scénographies du trauma de guerre, in Blüminger, Lagny, Lindeperg, Niney, Rollet (eds), Théâtres de la mémoire. Mouvement des images, Presses Sorbonne Nouvelle, Paris 2001.

413 Mi rifaccio qui alla definizione di responsabilità individuale descritta nel corso del primo e del secondo capitolo soprattutto attraverso la riflessione filosofica di Hannah Arendt.

testuali principali su cui si articola il documentario di Mograbi: il video-diario di Z32 e della fidanzata, filmato durante un loro viaggio in India, la testimonianza diretta dell’ex-soldato al regista e le sequenze in cui Mograbi commenta e interroga tanto la confessione del giovane quanto il significato dell’intera performance documentaria in atto.

Il film inizia con la ripresa di un dialogo tra Z32 e la fidanzata nella camera da letto di un hotel. La macchina da presa, appoggiata ai piedi del letto, inquadra a figura intera i due giovani, i cui volti sono nascosti da un effetto sfocato, che richiama l’ovale di fumo comunemente usato in televisione per celare l’identità di un testimone. Grazie a questa conversazione lo spettatore viene messo subito a conoscenza del primo dispositivo narrativo e registico usato in questo documentario: il video-diario. Mograbi ha, infatti, affidato una videocamera digitale al protagonista, chiedendogli di usarla per riprendere in modo autonomo le proprie riflessioni personali — e della compagna — sul significato e la valenza della scelta di raccontare, allo stesso tempo in modo pubblico e anonimo, il crimine a cui ha preso parte. Ciò che emerge immediatamente dalla dialettica tra i due giovani è la rivendicazione, da una parte, e il dubbio, dall’altra, dell’autenticità del gesto di Z32. In questa scena, la ragazza fa notare al compagno l’atteggiamento spavaldo e impostato che tende ad assumere di fronte alla videocamera accesa—«parli come se volessi impressionare qualcuno», e, ancora, «parla con me, non con un pubblico immaginario» —414 e che, per molti versi, richiama quella ‘mentalità da soldato’ posta sotto accusa nel documentario. Z32 appare toccato nel vivo da queste critiche e ribatte adducendo la ragione che l’ha definitivamente convinto a prendere parte al progetto di Mograbi: l’incapacità della fidanzata e del regista di ‘comprenderlo’, di riconoscergli, cioè, che nella circostanza specifica — l’uccisione sommaria di due agenti di polizia palestinesi senza alcuna colpa — egli non aveva avuto scelta. L’obiettivo dichiarato del protagonista è, perciò, dimostrare pubblicamente di essere stato a propria volta vittima di un sistema criminale che ‘devia’ i giovani militari, sostituendo i valori etici propri della vita civile con il principio esclusivo della forza bruta e con la minaccia costante di un nemico invisibile e onnipresente.

Questa prima scena mette, dunque, immediatamente a fuoco l’ambiguità che caratterizza la figura del protagonista e il suo atto comunicativo, in bilico tra la confessione, la denuncia e la richiesta di essere assolto e liberato dalla propria colpa. La sequenza che segue è composta in maniera affine e introduce l’altro protagonista di questo documentario, il regista. Anche Mograbi si sta auto-filmando. Come nella forma del video-diario, non vi sono operatori dietro alla videocamera e l’ambiente è quello vissuto e abitato dal soggetto enunciatore — qui il

414 Tutti i passi citati tratti dal film sono una mia traduzione dei sottotitoli in lingua inglese tratti dall’edizione in DVD del film di Mograbi.

salotto/studio del filmmaker. Il volto del regista è inizialmente coperto da una calzamaglia. Mograbi sta mettendo in scena il suo Z32, interpretando il ruolo di un testimone che si sente letteralmente soffocare sotto la maschera dell’anonimato — qui la calza da donna che riproduce lo stesso effetto di copertura dell’ovale di fumo visto prima — e che decide di liberarsene, tagliando con una forbice prima le fessure degli occhi, poi quelle della bocca e del naso e, infine, si smaschera completamente. L’ingresso, nella parte conclusiva di questa scena, della moglie di Mograbi rinforza il senso di specularità tra questa parte e la sequenza iniziale; come la fidanzata di Z32, la moglie del regista, con il suo secco diniego a prendere parte a questo progetto, esprime verso i soggetti responsabili dell’atto comunicativo (il testimone e il filmmaker) un’opposizione morale, che mette in campo questioni decisive sul piano filmico e politico: si può ignorare la pretesa di giustizia delle vittime, escludendole dalla rappresentazione? Si può denunciare un crimine nascondendo il carnefice materiale? Mograbi, a conoscenza delle opinioni della moglie in merito al suo film, ironizza, invitandola a seguire il suo esempio, indossando un cappuccio.

La scena successiva ci mostra, ripresi in dettaglio, gli occhi e la bocca di Z32 mentre racconta al regista la propria esperienza durante la fase di addestramento nell’unità di élite dell’esercito israeliano presso cui prestava servizio. L’inquadratura stringe sui fori della maschera digitale da cui trapela l’umanità del volto di Z32. Questi tre punti a fuoco in mezzo alla nebbia che cela il viso del protagonista, cioè, la bocca e gli occhi, danno allo spettatore la possibilità di ‘immaginare’ un soggetto reale. Anche della fidanzata di Z32, camuffata con lo stesso effetto di post-produzione, possiamo percepire la concretezza. Nel caso della ragazza le riprese sono sempre tratte dal video-diario girato dall’ex-soldato. L’intervista di Mograbi a Z32 viene interrotta da una sequenza in cui è quest’ultimo a intervistare la fidanzata, chiedendole se si senta ancora arrabbiata o delusa nei suoi confronti. In prima battuta, la ragazza risponde

«non più come un tempo», ma, dopo qualche risposta, diventa chiaro che si tratta più di un nervo scoperto che di una cicatrice nella relazione tra i due; la giovane si dice, infatti, incapace di proseguire l’intervista, rifiutando di esporre i propri dubbi e il proprio giudizio morale sul crimine commesso da Z32.

Il passare del tempo, il viaggio e la nuova quotidianità che li allontano dalla colpa e dal suo contesto, hanno indotto la donna a credere di riavere accanto a sé il compagno innocente e buono di cui si era innamorata, ma non riescono a modificare l’idealità del suo giudizio morale. Come nel caso di Eichmann, anche Z32 chiama in causa una gerarchia e, a un livello più profondo, una mentalità succube di questa gerarchia, incapace, cioè, di responsabilizzarsi e di ‘processare’ un comando ingiusto, valutandolo sulla base della propria coscienza e del proprio

senso morale. Dopo queste due interviste per molti versi speculari — quella fatta dal regista a Z32 è caratterizzata da una sorta di smania del testimone di raccontare, sin nei minimi particolari, la propria esperienza dentro l’apparato militare, mentre l’intervista di Z32 alla fidanzata è contraddistinta dalla difficoltà di quest’ultima a esporsi e dalla sua riluttanza dichiarata a prendere parte a questo progetto documentario — ritorniamo nel salone/studio di Mograbi, dove il regista, assieme al compositore Noam Enbar, che lo accompagna al pianoforte, sta provando una canzone. Il pezzo musicale, ispirato al teatro brechtiano e, nello specifico, alle musiche di Hanns Eisler, svolge la funzione di commento, o meglio di coro, alla testimonianza in prima persona di Z32. Questo primo passaggio in musica ha un ruolo significativo nella lunga introduzione anteposta ai titoli di testa e vale la pena riportarne integralmente il testo:

Mascherare il suo volto per potergli parlare, lasciare un foro per il suo naso e per i suoi due occhi per poter avvertire il suo sorriso. Lui dice di doversi lasciare alle spalle il passato… ha ragione ad avere paura, ha ragione a sentirsi escluso, ma non ha motivo di sentirsi eccezionale… lui è solo una riserva tra le altre. Mascherare il suo volto per poter continuare a immaginarlo, lasciare un foro per il suo naso e due per i suoi occhi per poter sentire il suo sorriso e che non ha nulla di malvagio, che è solo lo stereotipo di un figlio. Mascherare il suo volto.415

Gli inserti canori ritorneranno nel corso del film con l’aggiunta di un accompagnamento orchestrale di base — meno di una decina di musicisti raggruppati nel salone della casa del regista. A livello contenutistico, come emerge già dall’estratto riportato sopra, i testi rimandano al coro delle tragedie greche e svolgono una funzione metalinguistica, interrogandosi, da un lato, sulla colpa e sul destino del personaggio e, dall’altro, sul senso della messa in scena di una maschera che cela un’identità e rappresenta il ‘soldato qualsiasi’, il figlio al fronte di una comunità perennemente sotto assedio.416 Nel passaggio citato, Mograbi manifesta la necessità di mascherare il colpevole per poter parlare con lui e farne il testimone di un crimine di guerra rimasto impunito. La performance musicale «riprende l’effetto di distanziamento delle maschere»,417 e, allo stesso tempo, si interroga sul loro senso duplice e contraddittorio:

415 Mograbi, Z32, traduzione mia.

416 Mograbi, anche per ragioni biografiche — ha un figlio quasi coetaneo di Z32 —, si immedesima nel padre del ragazzo e dei tanti figli mandati al fronte di una guerra apparentemente senza fine. Il rapporto tra la generazione dei padri, nati negli anni Cinquanta, poco dopo il riconoscimento internazionale dello stato israeliano, e quella dei figli mandati a combattere e a morire, prima nella Seconda Intifada (2000) e poi nella Seconda Guerra del Libano (2006) è un tema caro anche allo scrittore David Grossman.Va inoltre specificato che in Israele la leva è obbligatoria per uomini e donne, rispettivamente per due anni e otto mesi e due anni, a partire dai diciotto anni e che di media il 70% dei giovani coscritti presta servizio.

417 «Pour répondre au second defì éthique et esthétique (“Je suis en train d’héberger un assassin dans mon film”), Mograbi invente un dispositif d’auto-confession. Celui-ci repose sur une mise en scène musicale qui évoque l’opéra brechtien (...) et

nascondere un assassino e proteggere un testimone.